confarsi
. Compare due volte nella Commedia, in If XXXIV 33 e in Pg XXI 15. Nella prima occorrenza (vedi oggimai quant'esser dee quel tutto / ch'a così fatta parte si confaccia) non esistono problemi di interpretazione. Unanimemente antichi e moderni commentatori intendono il verbo come equivalente a " esser confacente ", " essere proporzionato ": se solo le braccia di Lucifero sono così smisurate, si immagini quale sia la dimensione del corpo (il tutto), dimensione che, appunto, dovrà " stare in proporzione " con la parte. Parimente unanimi sono i commentatori nel rilevare come il linguaggio così preciso, misuratore, sminuisca di molto il grandioso effetto prodotto nel lettore dall'ardita immagine della terzina precedente (vv. 28-31). Nella seconda occorrenza (Noi ci volgemmo sùbiti, e Virgilio / rendéli 'l cenno ch'a ciò si conface), il cenno che " si conviene ", è " adatto alla circostanza " (Fallani), " confacente al tono e allo spirito " delle parole di Stazio (Grabher), fu interpretato dagli antichi commentatori (primo fra tutti il Lana) come un saluto espresso a parole, o addirittura come la formula liturgica di risposta " et cum spiritu tuo ". Ma tutti i commentatori moderni rifiutano tale ipotesi, e interpretano l'espressione come indicante un gesto che esprima un'affettuosa riconoscenza: " ricambiò quel saluto con un gesto della mano o del capo confacente ad esso; quel che segue (‛ poi cominciò ', e l'augurio di pace con cui il discorso comincia) pare escludere un saluto che sia augurio di pace a parole " (Rossi). Il verbo è presente, nel senso di " si conviene ", in Guittone (Altra fiata 133) e in Chiaro (Uno disio 34).
Secondo il Moore il verbo c. sarebbe da integrare in Cv III III 4 vedemo certe piante lungo l'acque quasi c[onf]arsi. L'integrazione proposta dagli editori del '21 è invece c[ontent]arsi, ma senza dubbio la migliore è quella del Busnelli: can[s]arsi (cfr. la nota ad l., e quella dell'edizione Simonelli, che invece conserva la lezione più antica, cantarsi).