Parigi, Conferenza di
Conferenza internazionale organizzata dai vincitori della Prima guerra mondiale. Vi si negoziarono i trattati di pace con le potenze degli imperi centrali e i loro alleati. Si svolse, con alcuni intervalli, tra il genn. 1919 e il genn. 1920. La conferenza di pace registra, tra l’altro, un fatto politico capitale per la storia del 20° sec.: l’ingresso degli Stati Uniti d’America nella grande politica mondiale. Gli americani portavano con sé una nuova concezione dei rapporti internazionali, riassunta nei 14 punti elencati dal presidente Wilson in un messaggio al Congresso nel 1918. Tra questi, l’affermazione del principio di nazionalità e la costituzione della Società delle nazioni. Nonostante l’ispirazione universalistica, la nuova diplomazia americana dovette venire a compromessi con la politica perseguita dai rappresentanti delle potenze europee vincitrici. I plenipotenziari europei erano arrivati a Parigi non solo per consolidare la pace, ma soprattutto con il fermo intento di conseguire i propri obiettivi di guerra. Nonostante questa radicale divergenza di prospettive tra vecchio e nuovo mondo, gli americani non ebbero difficoltà ad accordarsi con gli europei. Il luogo dell’accordo fu il «consiglio supremo interstatuale». Tra il 15 marzo e il 7 maggio 1919, Wilson, Lloyd George, Clemenceau e V.E. Orlando si riunirono tutti i giorni privatamente per ridisegnare le linee della carta politica d’Europa e definire gli interessi delle potenze sconfitte nel vecchio continente e nelle colonie. A dispetto del principio di nazionalità, nei Balcani prevalsero gli interessi delle potenze vincitrici e dei loro alleati minori, e non si esitò a spostare confini e a ridefinire appartenenze statuali senza tenere in nessun conto la composizione etnica dei singoli territori che passarono da uno Stato all’altro. La Germania, su cui ricadde l’intera responsabilità della guerra, fu colpita nella sua integrità territoriale e nella popolazione. L’Alsazia-Lorena fu «restituita» alla Francia; Posnania e Prussia occid. entrarono nei nuovi confini della Polonia, che otteneva così il suo corridoio verso il mare. Danzica, città indiscutibilmente tedesca e che non poteva essere ceduta senza violare ogni principio di nazionalità, fu costituita in «città libera», sotto il controllo della Società delle nazioni e con l’obiettivo di servire da porto alla Polonia. I debiti di guerra che le furono imposti vennero calcolati in cifre astronomiche che la Germania non sarebbe mai stata in grado di risarcire. I vincitori imposero la smilitarizzazione della Renania e la riduzione dell’esercito tedesco a 100.000 unità. La parte più cospicua della conferenza riguardò dunque la questione tedesca. Il trattato che regolò gli obblighi della Germania nei confronti dei vincitori prese il nome dal luogo della firma, il Salone degli specchi della reggia di Versailles (28 giugno 1919). Il luogo era altamente simbolico e manifestava la volontà di rivalsa dei francesi sull’antico nemico tedesco. Qui la Germania, dopo aver sconfitto l’esercito di Napoleone III a Sedan, aveva proclamato la nascita del secondo Reich, il 18 genn. 1871. Al Trattato di Versailles con la Germania, il più rilevante riguardo agli effetti sugli equilibri politici e i drammatici sviluppi degli anni successivi, si aggiunsero gli accordi tra le potenze vincitrici e gli altri Paesi sconfitti: il Trattato di Saint-Germain con l’Austria (10 sett. 1919) e quello di Trianon con l’Ungheria (4 giu. 1920), con i quali veniva ripartito il dissolto impero austroungarico e si definivano confini e territori dei nuovi Stati sorti in seguito alla sua fine; quello di Neuilly-sur-Seine con la Bulgaria (27 nov. 1919), che stabilì confini e attribuzioni territoriali tra quest’ultima e il nuovo Regno dei serbi, dei croati e degli sloveni, ma anche rispetto a Grecia e impero ottomano; e infine il Trattato di Sèvres con lo stesso impero ottomano (10 ag. 1920), che assegnava vari territori contesi alla Grecia, facendo avanzare il processo di dissoluzione dell’impero, poi culminato nella guerra d’indipendenza condotta da Atatürk e nella nascita della Turchia. Collateralmente, veniva infine siglato l’accordo Faysal-Weizmann (3 genn. 1919) relativo alla Palestina. Per quanto riguarda l’Italia, un patto segreto, firmato a Londra nel 1915 e che era stato la base diplomatica dell’intervento italiano in guerra, le riconosceva notevoli vantaggi territoriali nella Venezia Giulia, in Istria e Dalmazia. Ma quel trattato non era stato firmato dagli americani e Wilson non si sentiva vincolato dagli accordi. Finita la guerra, l’Italia aggiunse una rivendicazione non prevista dal patto del 1915, il porto croato di Fiume, città a maggioranza italiana ma circondata da una periferia slava. Il conflitto si produsse su questo punto. Gli italiani erano disposti a rinunciare a una parte della Dalmazia, ma non a Fiume. Wilson si oppose con forza, Orlando abbandonò la Conferenza di P. in segno di protesta e i confini orientali italiani furono definiti solo più tardi in base a un accordo bilaterale tra Italia e Iugoslavia (Rapallo, nov. 1920). Negli anni durissimi del dopoguerra, i trattati di pace avrebbero alimentato un forte malcontento nelle opinioni pubbliche europee, soprattutto in Germania e in Italia, e nutrito uno spirito di rivalsa che avrebbe ingrossato il consenso dei movimenti fascista e nazista. Molte questioni affrontate a Parigi si sarebbero ripresentate irrisolte allo scoppio della Seconda guerra mondiale.