CONFINI (fr. frontière; sp. frontera; ted. Grenze; ingl. frontier)
Per confini dello stato s'intende la linea ideale che delimita il territorio di ciascuno stato, o da quello degli altri stati confinanti, o da quello nullius. Si è sovente affermata la necessità che gli stati, nel porre i proprî confini, si conformino a certi principî; così, secondo una regola spesso anche seguita dagli stati, si dovrebbe assumere come frontiera qualche barriera naturale interrompente la continuità del territorio (cosiddetti confini naturali); così pure, secondo una dottrina prevalsa specialmente nel secolo scorso, i confini di ciascuno stato dovrebbero comprendere tutti i territorî abitati da individui appartenenti a una data nazionalità (cosiddetta teoria della nazionalità). Ma si badi bene che altro è chiedersi a quali criterî è utile e opportuno che gli stati si uniformino nel fissare i proprî confini, altro è indagare quali concretamente ed effettivamente siano i confini che dividono gli stati. La scienza giuridica si occupa specialmente di questo secondo problema, e non considera come confini dello stato se non quelli posti, o unilateralmente dallo stato nel proprio ordine interno, o bilateralmente da due o più stati nei loro rapporti internazionali. La determinazione dei confini statali occupa pertanto due distinti rami del diritto: il diritto interno, in quanto ciascuno stato per mezzo di leggi interne provvede a determinare quali territorî debbano considerarsi appartenergli; il diritto internazionale, in quanto per mezzo di atti e di norme internazionali gli stati si riconoscono reciprocamente l'appartenenza di determinati territorî. La trattazione che segue è limitata al solo diritto internazionale, sia perché nel diritto interno mancano norme e regole generali relative a questa materia, sia, e principalmente, perché i singoli stati si conformano di regola a quanto il diritto internazionale statuisce.
I confini internazionali di ciascuno stato, esclusi quelli marittimi (per i quali v. sotto), risultano anzitutto da trattati, quando con un atto di questa specie gli stati si accordano fra loro sui rispettivi confini, e dall'uso immemorabile, il che specialmente avviene per stati di antica formazione che non hanno mai subito variazioni ai loro confini Vi sono inoltre, per le catene dei monti, i fiumi, i laghi, e i mari interni, alcune norme generali, sebbene di carattere suppletivo e valevoli solo ove non sia possibile dimostrare una diversa volontà degli stati interessati. Quando una frontiera passa per una catena di montagne, la linea di confine, in mancanza di espressa pattuizione contraria, si reputa corrispondere allo spartiacque. Quando è un fiume quello che divide due o più stati, è pacifico che esso non spetta pro indiviso agli stati ripuari, ma è invece controverso in quale modo si debba dividere fra essi.
Anticamente era ammesso che la linea di divisione di un fiume fosse segnata dalla linea mediana del fiume medesimo. Piìi modernamente al congresso di Rastadt del 1797-98 e nella susseguente pace di Lunéville del 1801 (art. 6) i rappresentanti della Francia e della Germania decisero di assumere come linea di confine il Talweg (parola tedesca che significa letteralmente "via della valle"), e cioè la linea della massima depressione e quindi della massima corrente; principio questo che permette agli stati ripuarî di usufruire egualmente del fiume per i bisogni della navigazione, svolgendosi questa principalmente lungo tale linea. Non sono mancate però alcune critiche, sia perché una molteplicità di cause naturali sposta frequentemente la linea della massima corrente, spostando così anche il confine, sia perché riesce difficile stabilire quale stato abbia giurisdizione sulle navi seguendo queste, come già abbiamo detto, quella linea. Tuttavia il criterio del Talweg fu consacrato da numerosissimi trattati e da ultimo dall'art. 30 del trattato di Versailles, tanto che si dubita se, nell'ipotesi di un nuovo fiume internazionale, d'un fiume cioè scorrente prima nel territorio d'un solo stato e ora attraverso le rive di più stati, il confine fra questi, ove nulla sia stabilito in proposito, debba condursi secondo l'antica linea mediana, oppure secondo il nuovo principio del Talweg. Trattandosi qui di una norma semplicemente interpretativa della volontà degli stati, sembra, limitatamente beninteso ai fiumi navigabili per i quali soli spiega pratica utilità il nuovo principio, esser logico presumere che a questo gli stati abbiano inteso riferirsi, essendo esso ora generalmente riconosciuto come il migliore. Le variazioni poi del corso di un fiume possono avere diversa influenza sulla linea del confine: se il fiume rimane sostanzialmente nello stesso letto, gli spostamenti del Talweg o della sua linea mediana avranno per effetto un simultaneo spostamento della linea di confine; se il fiume invece cambia completamente di letto, esso passa sotto la sovranità dello stato il cui territorio ha invaso, e la linea di confine resta nell'antico letto dove si trovava per l'innanzi. Si noti però che la Russia e la Prussia nel 1885 e l'Italia e l'Inghilterra nel 1909 si accordarono che il confine avesse a seguire il fiume anche nel nuovo letto.
I laghi e i mari interni infine si dividono fra gli stati le cui rive bagnano, proporzionalmente all'estensione delle coste di ognuno. Nella pratica assai di frequente gli stati si accordano però per un diverso regolamento, specialmente per i laghi e i mari interni; sui fiumi inoltre si costituiscono sovente diritti di terzi stati diversi da quelli ripuarî, data l'enorme importanza loro per il commercio, che preme sia libero a tutti.
L'argomento tuttavia più controverso è quello dei confini marittimi. L'alto mare è libero, non suscettivo d'appropriazione da parte degli stati singoli; ma ove incominci lo spazio dal quale è esclusa la sovranità statale, e dove invece finisca quello a questa sottoposto è oggetto di moltissime dispute, essendo assai disparate le opinioni sia sulla natura, sia sul punto d'inizio, sia sull'estensione di quella striscia di mare immediatamente adiacente alla terra, che si suole denominare mare costiero o territoriale.
Si discute in primo luogo quale sia la natura del mare territoriale, e se esso cada, non meno della contigua terra ferma, sotto la sovranità dello stato che questa possiede; oppure se sia libero al pari dell'alto mare e lo stato possa solo esplicare su di esso determinati poteri. Da alcuni scrittori recenti poi e da alcune legislazioni si cerca di accedere contemporaneamente a entrambi questi principî: la legislazione del Venezuela, ad es., dichiara parte del territorio statale il mare territoriale fino a tre miglia dalla costa, e solo oggetto di taluni poteri dello stato il mare territoriale residuo. L'opinione, almeno in Italia, dominante è però nel senso che il mare territoriale costituisca per intero parte del territorio dello stato, e sia sottoposto alla sovranità di questo, facendosi per lo più osservare che lo stato esercita, o ha la possibilità, anche se non ne faccia uso, di esercitare su di esso la pienezza dei poteri sovrani; che questi poteri, specialmente quando vengono rivolti verso stranieri, non possono venire spiegati altrimenti se non riconoscendosi un diritto di sovranità, e infine che questa non è esclusa, ma anzi riconfermata, dalle limitazioni (come la libertà del transito inoffensivo) che deve subire. Si discute inoltre quale sia la linea che segna la fine della terraferma e l'inizio del mare territoriale. Una volta si era sostenuto, sotto l'influsso specialmente del diritto romano, che tale linea fosse segnata dall'alta marea; da altri, e a questa opinione ha aderito il legislatore tedesco, si è sostenuto che il confine di terraferma si sposta simultaneamente all'altezza della marea; oggi invece l'opinione prevalente e, sembra, corretta, tien conto delle coste quali risultano a bassa marea, procedendosi da queste alla misurazione del mare territoriale e reputandosi fino a queste estendersi il territorio statale di terraferma. La discussione, come facilmente si vede, ha notevole importanza per la determinazione del confine statale, sia perché, ove si ritenga che il confine marittimo dello stato è dato dal termine del mare territoriale, fare iniziare questo da uno o da un altro punto importa pure farlo terminare più o meno innanzi verso l'alto mare, e quindi più o meno protendere il confine dello stato; sia poi, e più ancora, perché, ove si ritenga che il mare territoriale non cade sotto la sovranità dello stato, sarebbe la linea di separazione del mare territoriale dalla terraferma quella che segnerebbe il confine marittimo dello stato, e sarebbe quindi di evidente necessità determinarlo esattamente. Si discute infine sulla estensione del mare territoriale; e ci limitiamo a ricordare le teorie più accreditate e più sovente seguite dagli stati, essendo impossibile tener dietro a tutte le innumerevoli teorie emesse a questo proposito. Un tempo era prevalente l'opinione che il mare territoriale si estendesse fin dove poteva giungere il tiro del cannone; poiché, si diceva, può costituire mare territoriale solo quella striscia di mare sulla quale lo stato può fare sentire la sua autorità dalla terraferma. In seguito si sostenne pure che l'estensione del mare territoriale fosse di tre miglia marine (5555 metri); criterio questo che nella sua origine era una derivazione del primo, tale essendo a quel tempo da considerare la portata media dei cannoni, e che aveva solo il pregio di una maggiore precisione. Ma, più modernamente, aumentata enormemente la portata delle armi da fuoco, i due diversi criterî si sono separati nettamente; e mentre, da un lato, la misura delle tre miglia marine non è stata abbandonata, ma anzi continua a essere accolta da numerosi autori e da non meno numerose legislazioni e atti internazionali, dall'altra si fa invece da molti osservare che le mutate condizioni richiedono oggi una maggiore estensione del mare territoriale, e non pochi stati, specialmente latini e scandinavi, o con le loro leggi interne o per mezzo di atti internazionali fissano un limite assai maggiore e assai vario. Di qui dubbî e incertezze d'ogni sorta che sembrano dover far disperare di trovare una norma internazionale generale in questa materia, e che per di più, quando uno stato non abbia esplicitamente fissato i confini del proprio mare territoriale, rendono assai arduo determinare dove abbia inteso di porli. La teoria migliore, e che tiene più esatto conto dello stato attuale del diritto internazionale, sembra essere quella svolta da D. Anzilotti. Secondo questo autore, se anche (cosa di cui tuttavia crede vi sia ragione di dubitare) la regola delle tre miglia marine fosse stata un tempo una vera e propria norma consuetudinaria internazionale, essa comunque non rivestirebbe più tale carattere, ma sarebbe caduta per desuetudine, non potendo più dirsi che corrisponda al comune e generale convincimento degli stati. D'altra parte, poiché è l'unico criterio al quale gli stati hanno frequentemente aderito, bisogna anche conchiudere che non si è formata alcuna norma internazionale che fissi agli stati una determinata estensione del mare territoriale. Non vi è che un limite minimo, quello delle tre miglia marine, entro il quale la territorialità del mare non può essere discussa; e un limite massimo, quello del tiro odierno del cannone, oltre il quale nessuno stato potrebbe pretendere di estendere il proprio mare territoriale senza violare la norma internazionale che sancisce la libertà dell'alto mare. Entro questi due limiti, minimo e massimo, gli stati hanno facoltà di fissare l'estensione del proprio mare territoriale quale ritengano migliore per i loro interessi. Quale poi in concreto per ogni stato sia cotesta estensione, non può ricavarsi altrimenti che dalle leggi interne o dai trattati stipulati dagli stati, o da qualunque altro atto o fatto che dimostri la loro volontà di adottare un criterio di misurazione piuttosto che un altro. Quanto ai golfi, ai seni e alle baie, possono sostanzialmente ripetersi le stesse osservazioni fatte per il mare territoriale. A dir vero molti, i quali negano l'appartenenza allo stato di quest'ultimo, l'ammettono invece per i primi; ma tale distinzione non sembra giustificata, non essendovi alcuna sostanziale diversità fra i due casi. È necessario inoltre, perché queste porzioni di mare abbiano carattere territoriale, che il loro ingresso, cioè la linea che congiunge le due sporgenze di terra, non superi una certa larghezza; ma quale questa sia è discusso. Il mezzo migliore sembra però sempre quello di riferirsi anche qui al mare territoriale: l'estensione dell'ingresso non deve superare il doppio del mare territoriale, e per determinare l'estensione di questo si deve procedere secondo quanto più sopra si è detto. Tuttavia, per particolari ragioni storiche, alcune baie il cui ingresso supera di molto tale misura, si considerarono ugualmente sotto la sovranità di singoli stati. Note pretese di questo genere sollevò ad es. l'Inghilterra e non le ha ancora abbandonate del tutto, ed è riuscita, almeno in parte, a farle riconoscere anche dagli altri stati. Quando poi le coste di un golfo, seno o baia appartengano a diversi stati, si ritiene per di più che il golfo o baia non cada sotto la loro sovranità né divisa né indivisa, ma sia libero. I medesimi principî si applicano infine anche agli stretti.
Questo per i confini della superficie orizzontale di uno stato. In quanto poi alle superficie verticale, è pacifica l'appartenenza del sottosuolo allo stato cui appartiene la superficie; discussa invece è stata la questione dell'atmosfera, e solo recentemente ha trionfato il principio della sovranità degli stati sullo spazio atmosferico sovrastante ai loro territorî. (V. atmosfera).
Bibl.: Tutti i trattati generali di diritto internazionale; inoltre: Carathéodory, Das Stromgebietsrecht und die internationale Flussschiffahrt, in Hozlendorj Handbuch des Völkerrechts, II; D. Anzilotti, Intorno agli effetti delle modificazioni del corso di un fiume sui confini fra gli stati, in Riv. di diritto internazionale, 1914; N. Kercea, Die Staatsgrenze in die Grenzflüssen, Berlino 1916; Heilborn, Talweg, in Hatschek-Strupp Wörterbuch des Völkerrechts, II; P. Olivieri, Il diritto dello stato sul mare territoriale, Genova 1902; F. Perls, Das internationale öffentliche Seerecht der Gegenwart, Berlino 1930; A. Raestad, La mer territoriale, Parigi 1913; Temple Grey, Des eaux territoriales, in Rev. de droit international et de législation comparée, 1927; Hostie, Le domaine maritime, ibid., 1927; De Valles, L'espace aérien et sa démanialité, Parigi 1910; D. Anzilotti, La cond. giur. dello spazio atmosferico nei rapporti internaz., Verona 1911; J. Spiropoulos, Der Suftraum integrierender Teil des Staatsgebietes, Lipsia 1921.
Il confine dello stato è oggetto di studio anche da parte della geografia politica, che lo considera alla stessa stregua dei confini degli altri fatti o fenomeni geografici. Nel modo stesso che ogni fenomeno sia climatico, sia botanico o antropico è separato dall'altro non già da una linea netta e precisa, ma da zone di transizione, così il confine dello stato non è da considerarsi una linea, ma una zona, che attraverso i tempi può spostarsi e assumere valore diverso. Mentre infatti in origine il confine tra uno stato e l'altro consisteva in una zona disabitata (come ora tra Gibilterra e la Spagna), in seguito ha assunto il carattere di zona di attrito.
I confini degli stati si possono distinguere in naturali e convenzionali (o artificiali); i primi consistono in ostacoli naturali (monti, fiumi, deserti, paludi, mari), con valore di separazione diverso a seconda dei diversi tempi (così mentre il Reno poteva costituire un ostacolo e quindi un buon confine al tempo dei Romani, non ha ora altra funzione che di limitare le zone d'interferenza di due stati e di costituire un ostacolo agli scambî); i secondi possono essere semplicemente indicati da meridiani e paralleli (come parte del confine tra l'Alasca e il Canada e tra il Canada e gli Stati Uniti), oppure seguire linee di riferimento (come è il caso di quello tra l'Eritrea meridionale e l'Etiopia, parallelo alla linea costiera); il caso più frequente, specie in Europa, è però quello di confini segnati materialmente sul terreno. In origine questo era fatto a scopo difensivo (Vallo d'Adriano, Muraglia Cinese), ma in seguito è prevalso il criterio di segnare il confine con pilastrini, palizzate o altro al semplice scopo di demarcazione delle zone d'influenza dei singoli stati. Di solito quello che si considera poi un buon confine dal punto di vista difensivo è invece un cattivo confine dal punto di vista economico.
Bibl.: Curzon of Kedleston, Frontiers, Oxford 1907; T. Holdich, Politicals frontiers and bundary making, Londra 1916; C. B. Fawcett, Frontiers: a study in political geography, Oxford 1918; K. Haushofer, Grenzen, Berlino 1928. E inoltre i capitoli sui confini nei trattati di geografia politica del Ratzel (pp. 445-528) e del Maull (pp. 133-44). Sui confini d'Italia esiste una grossa opera in più volumi dovuta a V. Adami, Storia documentata dei confini del Regno d'Italia, Roma 1920, 1928, 1930.