Confisca e terzo proprietario
Le diverse forme di confisca, penali e di prevenzione, coinvolgono i diritti di numerosi “terzi”, ivi compresi i “terzi” proprietari. Le poche disposizioni presenti nell’ordinamento hanno imposto alla giurisprudenza di delineare gli ambiti della tutela di questi terzi, sotto il profilo sostanziale e procedimentale. Lo scritto propone l’individuazione di principi comuni, spesso riferibili a ogni forma di confisca, ponendo in rilievo le limitatissime innovazioni legislative e l’opera, talvolta inconsapevole della copiosa recente giurisprudenza.
La tutela del terzo proprietario, alla luce delle recenti evoluzioni normative e giurisprudenziali, impone un preliminare riferimento all’incremento esponenziale delle confische e delle problematiche che sorgono per i terzi “estranei” coinvolti da questi provvedimenti.
È ormai diffusa la consapevolezza che il “crimine da profitto” si contrasta, oltre che con l’ordinaria azione preventiva e repressiva, con “un’azione sul patrimonio” diretta a sottrarre i profitti illecitamente accumulati che costituiscono la ragione per cui le persone hanno commesso o intendono commettere reati1. Nel nostro ordinamento sono ormai molteplici gli istituti che danno attuazione al principio secondo cui “il delitto non paga”, a partire dalle diverse forme di confische penali – che assumono forma sanzionatoria o di misura di sicurezza – e di prevenzione. Il tratto comune dell’evoluzione di questi istituti si può individuare, da un lato nel graduale incremento delle forme di confisca, dall’altro nell’attenuazione – fino a scomparire – del nesso tra bene confiscato e commesso reato o attività illecita, col conseguente rilievo che assume la tutela dei terzi estranei al reato o all’illecito che possono subire l’ablazione. Alla confisca tradizionale (misura di sicurezza) prevista dal codice penale all’art. 240 – facoltativa e obbligatoria – si sono progressivamente aggiunte, a partire dall’art. 416 bis, co. 7, c.p., plurime confische obbligatorie che coinvolgono beni sempre beni che presentano un nesso col commesso reato. Il nesso di derivazione viene attenuato, se non escluso, con la confisca allargata (o estesa o per sproporzione), introdotta nel 1994 e oggi prevista dall’art. 240 bis c.p., che impone, nel caso di condanna per determinati delitti, l’ablazione dell’intero patrimonio di valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato ai fini delle imposte sul reddito o alla propria attività economica, sempre che il condannato non ne giustifichi la legittima provenienza. I beni oggetto di confisca sono individuati prendendo come riferimento la confisca di prevenzione, introdotta con la l. 13.9.1982, n. 646, che consente l’ablazione, nei confronti dei meri indiziati di appartenenza ad associazione mafiosa, dell’intero patrimonio di origine illecita, senza che occorra alcun nesso con l’“illecito” fondante la pericolosità della persona cui i beni sono confiscati.
Seguono, nel tempo, plurime ipotesi di confisca per equivalente (o di valore) – anche queste di natura obbligatoria – che non richiedono il nesso di pertinenzialità, consentendo, qualora non sia possibile la confisca «diretta» del prezzo o del profitto, quella di beni per un valore corrispondente di cui il condannato ha la disponibilità diretta o indiretta. Infine, viene introdotta nel 2001 la confisca ai danni dell’Ente, sia diretta che per equivalente. L’importanza delle confische è posta in risalto dalla Corte costituzionale quando valorizza « … forme ‘moderne’ di confisca alle quali, già da tempo, plurimi Stati europei hanno fatto ricorso per superare i limiti di efficacia della confisca penale ‘classica’: limiti legati all’esigenza di dimostrare l’esistenza di un nesso di pertinenza – in termini di strumentalità o di derivazione – tra i beni da confiscare e il singolo reato per cui è pronunciata condanna. Le difficoltà cui tale prova va incontro hanno fatto sì che la confisca ‘tradizionale’ si rivelasse inidonea a contrastare in modo adeguato il fenomeno dell’accumulazione di ricchezze illecite da parte della criminalità, e in specie della criminalità organizzata … » (C. cost., 21.2.2018, n. 33). Il progressivo ampliamento degli strumenti di confisca e la loro applicazione esponenziale nel tempo comporta il coinvolgimento sempre maggiore di “terzi” – estranei al commesso reato o alla pericolosità del destinatario del provvedimento – che vantano diritti sul bene oggetto di confisca. La disorganicità degli interventi e la mancanza di disposizioni regolatrici impongono interpretazioni dirette a risolvere plurimi problemi applicativi, attraverso letture rispettose dei principi costituzionali e della CEDU, al fine di tutelare soggetti “terzi” i cui diritti possono essere compromessi, in modo differenziato, dalle confische. Possono definirsi “terzi” i soggetti, diversi dal proposto o indagato/imputato/condannato, coinvolti in vario modo dal sequestro e/o dalla confisca. Una classificazione delle diverse tipologie di terzi si può delineare sulla base dei diritti vantati e della tutela loro garantita:
a) terzi eredi o aventi causa del titolare del bene;
b) terzi titolari di diritti di credito, muniti o meno di diritti reali di garanzia sui beni;
c) terzi formali intestatari dei beni, titolari/proprietari (sotto il profilo civilistico) del bene sequestrato/confiscato con riferimento a condotte del destinatario del procedimento di prevenzione o penale. Si affronterà il solo tema della recente evoluzione normativa e giurisprudenziale della tutela di questi ultimi terzi (proprietari) nelle diverse forme di confisca penali e di prevenzione, individuando alcuni caratteri comuni.
Manca una disciplina unitaria della tutela dei terzi proprietari. Per la confisca di prevenzione l’opera della giurisprudenza ha consentito di delineare, nel tempo, principi comuni che si sono tradotti anche in norme, da ultimo col d.lgs. 6.9.2011, n. 159. Per le confische penali la disciplina è disorganica e dispersa in poche disposizioni, spesso con formulazione diversa per le singole forme di confisca.
Pur se nell’ultimo anno vi sono stati plurimi interventi normativi e giurisprudenziali, il loro limite deriva dal fatto che l’ampiezza e la modalità della tutela dei terzi, ivi compresi i terzi proprietari, si interseca con numerose problematiche, anche interpretative, relative: alla costituzione e alla tutela dei diritti prevista dal codice civile, a partire dalla natura giuridica dell’acquisto del bene da parte dello Stato – a titolo originario o derivativo –; alla necessità di sottrarre dal circuito economico legale beni illecitamente acquisiti (in qualche modo equiparabili ai beni non commerciabili); alla natura dei diritti coinvolti. Assumono rilievo anche le valutazioni politico-sociali-economiche che guidano l’individuazione del giusto equilibrio tra interesse dello Stato all’ablazione dei beni o patrimoni “illeciti” e interessi dei “terzi estranei” al fine di rafforzare la coesione sociale nel contrasto ai fenomeni, facendo prevalere, comunque, la realtà sulla forma per evitare azioni elusive che interessano i fenomeni su cui interviene la materia penale in senso ampio (in cui si può fare rientrare la confisca di prevenzione). Queste sono le ragioni, in sintesi, che hanno impedito, per lungo tempo, e che in parte impediscono ancora oggi, un’espressa e univoca disciplina degli effetti delle confische sui diritti dei terzi. L’esame delle disposizioni vigenti e dell’articolata evoluzione della giurisprudenza consente di delineare alcuni principi comuni relativi alla tutela offerta ai terzi proprietari sulla base dell’appartenenza del bene da assoggettare a confisca che può essere esaminato da un duplice punto di vista2:
i) il bene può (confisca facoltativa) o deve (confisca obbligatoria di qualunque natura, anche di prevenzione) essere appreso a colui cui appartiene se la disponibilità effettiva è in capo al responsabile del reato o alla persona pericolosa;
ii) l’appartenenza del bene a persona che non ha commesso il reato o non ricollegabile alla pericolosità del prevenuto (in sede di prevenzione) può impedire la confisca se si accerta la sua estraneità (salva l’intrinseca pericolosità della cosa).
Sulla base di questa premessa comune si può delineare la suddivisione dei terzi proprietari in due categorie:
a) terzi cui appartiene il bene formalmente, ma fittizi intestatari del medesimo bene nella disponibilità indiretta del proposto o dell’indagato/imputato/condannato. Pur avendo la titolarità giuridica, sotto il profilo civilistico, del bene, ne subiscono la sottrazionea – prima provvisoria col sequestro, poi irreversibile con la confisca definitiva – perché considerati “teste di legno” del destinatario del procedimento (di prevenzione o penale) che è ritenuto nella disponibilità effettiva del bene;
b) terzi cui appartiene il bene, effettivi titolari per i quali non è in discussione l’effettiva disponibilità ma, ciononostante, la res può loro essere sequestrata/confiscata perché si trova in un nesso strumentale col reato commesso dall’indagato/imputato/condannato, ovvero è stata nella disponibilità del proposto che l’ha ceduta prima del sequestro (per sottrarlo a questo).
L’individuazione di queste due categorie va esaminata più nel dettaglio, così come la tutela loro assicurata nei due diversi procedimenti all’esito dei quali viene disposta la confisca, penale e di prevenzione.
L’appartenenza formale del bene (ovvero la proprietà o titolarità formale) non impedisce la confisca qualora emerga la disponibilità effettiva in capo all’autore del reato ovvero alla persona pericolosa. Per il sequestro/confisca di prevenzione il d.lgs. n. 159/2011 fa espresso riferimento, agli articoli 20 e 24, alla disponibilità, contrapponendo la titolarità formale dei proprietari con la disponibilità (indiretta) del proposto che consente il sacrificio dei diritti dei terzi. La giurisprudenza ha delineato la nozione di “disponibilità” del bene che, per espresso dettato normativo, può essere diretta o indiretta, perciò non limitata alla mera relazione naturalistica o di fatto con il bene, ma estesa, al pari della nozione civilistica del possesso, a tutte quelle situazioni nelle quali il bene medesimo ricada nella sfera degli interessi economici del soggetto, anche se costui eserciti il proprio potere su esso per il tramite di altri che pure ne godano direttamente (orientamento costante, da ultimo Cass. pen., 31.3.2017, n. 33538, in CED rv. n. 270714). Il riferimento alla disponibilità, anche diretta o indiretta, del bene è costante per ogni forma di confisca penale, seppur con terminologie diversificate:«colui cui appartiene il bene» (art. 240 c.p.), «disponibilità» (322 ter c.p.), «disponibilità a qualsiasi titolo» o «disponibilità indiretta» (240 bis c.p.), «disponibilità per interposta persona» (art. 600 septies, 644 e 648 quater c.p.). La giurisprudenza ha delineato i concetti di “appartenenza” e “disponibilità” in modo sostanzialmente analogo a quello di disponibilità, diretta o indiretta, elaborato per la confisca di prevenzione: «Non è rilevante la titolarità formale dei beni, bensì la disponibilità sostanziale degli stessi che, come per la confisca di prevenzione, non può ritenersi limitata alla mera relazione naturalistica o di fatto con il bene, ma deve essere estesa, al pari della nozione civilistica del possesso, a tutte quelle situazioni nelle quali il bene medesimo ricada nella sfera degli interessi economici del soggetto, anche se costui eserciti il proprio potere su esso per il tramite di altri che pure ne godano direttamente» (orientamento costante, per le diverse forme di confisca, Cass. pen., 20.1.2017, n. 35771, in CED rv. n. 270798; Cass. pen., 6.3.2017, n. 13084, in CED rv. n. 269711; Cass. pen., 21.3.2017, n. 20685, in CED rv. n. 270066). Dunque, sono enucleabili principi applicabili per ogni forma di confisca – penale e di prevenzione – ricorrendo la medesima finalità di evitare elusioni alla normativa. Conferma si trae dalla recente giurisprudenza sulla preclusione processuale derivante dall’accertamento irrevocabile sulla “disponibilità” o “appartenenza”, proprio perché si tratta di presupposto coincidente (Cass. pen., 7.12.2016, n. 23040, dep. 2017; Cass. pen. 18.12.2017, n. 15284, in CED rv. n. 272387).
L’esigenza di elaborare principi comuni per ogni forma di confisca emerge anche dalla delimitazione dell’onere probatorio gravante sulle parti circa l’appartenenza o disponibilità indiretta che consente la confisca ai danni del terzo proprietario. Secondo l’orientamento giurisprudenziale, gradualmente consolidato, nel caso di beni intestati formalmente a terzi deve essere svolta un’indagine rigorosa e approfondita, avendo il giudice l’obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia sulla base di elementi fattuali connotati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza, e idonei a costituire prova indiretta della disponibilità del proposto (per la confisca di prevenzione, Cass. pen., S.U., 22.12.2016, n. 12621, in CED rv. n. 270083. Per le diverse forma di confische penali: facoltativa o obbligatoria, Cass. pen., 10.6.2009, n. 29495, in CED rv. n. 244435; ex art. 240 bis c.p., Cass. pen. n. 13084/2017; confisca per equivalente, Cass. pen., 11.2.2015, n. 11497, in CED rv. n. 262695). Non ricorre un’inversione dell’onere della prova perché, a fronte della prova offerta dall’organo proponente e ritenuta idonea dal Tribunale in sede di sequestro, i terzi intestatari (apparenti titolari) possono fornire elementi diretti a inficiare la ricostruzione accusatoria (esercitando la “facoltà di difendersi”) attraverso l’introduzione nel procedimento, non della prova di elementi a discolpa, ma semplicemente di temi o tracce di prova la cui indicazione ritengano utile a fini difensivi (per la confisca di prevenzione, Cass. pen., 9.2.2011, n. 6997; Cass. pen., 20.9.2017, n. 13375, in CED rv. n. 272703. Per le confische penali, Cass. pen. n. 13084/2017).
Le ordinarie regole in materia di onere probatorio sono talvolta attenuate da presunzioni o argomenti di ordine logico che rendono meno gravoso l’onere probatorio.
Per la sola confisca di prevenzione il legislatore ha previsto ipotesi di presunzione iuris tantum, sulla base delle persone coinvolte o della natura degli atti (art. 26, co 2, d.lgs. n. 159/2011). Per gli argomenti di ordine logico la giurisprudenza è pervenuta, ormai, a una nozione unitaria, rimarcando la distinzione tra terzi intestatari “estranei” e terzi che abbiano vincoli lato sensu di parentela o di convivenza indicati in alcune norme art. 19, co. 3, d.lgs. n. 159/2011. Per tali soggetti non occorre alcuno specifico accertamento sulla disponibilità indiretta, profilandosi una sorta di presunzione, sia pure iuris tantum, presupponendo il legislatore che il destinatario della confisca «faccia in modo che i beni illecitamente ottenuti appaiano formalmente nella disponibilità giuridica delle persone di maggiore fiducia, ossia i conviventi, su cui grava, pertanto, l’onere di dimostrare l’esclusiva disponibilità del bene per sottrarlo alla confisca» in quanto è «più accentuato il pericolo della fittizia intestazione e più probabile l’effettiva disponibilità da parte del medesimo» (per la confisca di prevenzione, Cass. pen., 15.6.2017, n. 43446, in CED rv. n. 271222; Cass. pen., 15.3.2018, n. 20462. Per le confische penali, Cass. pen., 9.4.2014, n. 15829, in CED rv. n. 249538).
L’effettiva appartenenza (o diponibilità) del bene in capo al terzo non impedisce, in alcuni casi, la confisca. Per la confisca penale il bene, pur se il reato è stato commesso da altri, può essere confiscato al terzo proprietario se non è “estraneo al reato” (oltre che nel caso di cosa “intrinsecamente pericolosa”). Dottrina e giurisprudenza tendono a elaborare un concetto di “estraneità” ampio, riferito alla mancanza di qualsiasi collegamento, diretto o indiretto, con la consumazione del fatto-reato, ossia nell’assenza di ogni contributo di partecipazione o di concorso, ancorché non punibile. Se vi è stato un contributo di qualunque natura al fatto reato, indipendentemente dalla presenza nel procedimento e dalla concreta assunzione della qualità di imputato viene meno il presupposto della estraneità, concetto più ampio dell’essere responsabile del reato ovvero di concorrervi: è persona estranea solo chi, indipendentemente dall’essere stato o meno sottoposto a procedimento penale, risulti di fatto non aver avuto alcun collegamento, diretto o indiretto, con la consumazione del reato stesso; si richiede anche l’assenza di vantaggi o utilità dal reato, ripetuto per ogni ipotesi di confisca obbligatoria, facoltativa o obbligatoria che sia (giurisprudenza costante, recentemente, Cass. pen., 17.2.2017, n. 29586; Cass. pen., 26.5.2017, n. 42778)3.
Un cenno va fatto alla operatività dei principi ora esposti in tema di confisca ai danni del terzo proprietario qualora non emerga la sua “estraneità” nei sensi descritti anche in assenza di una sentenza di condanna nei confronti dell’autore del reato. La questione, come è noto, ha impegnato, nel caso della lottizzazione abusiva, le corti nazionali e la Corte europea, con l’epilogo rappresentato dalla sentenza della Grande Camera 28.6.2018, G.I.E.M. e altri c. Italia. In linea generale, si può ricordare che numerose disposizioni prevedono ipotesi di confisca-misura di sicurezza da applicare obbligatoriamente anche in assenza di condanna. Si tratta della confisca delle cose intrinsecamente pericolose (art. 240, co. 2, n. 2, c.p. e delle confische previste da alcune leggi speciali, ad esempio: art. 301 d.P.R. 23.1.1973, n. 43; art. 123, co. 3, d.lgs n. 190). In questi casi non sorgono particolari problemi applicativi anche sulla base dei principi esposti in materia di tutela dei terzi. Più articolata la soluzione per le leggi speciali che prevedono la confisca-sanzione indipendentemente dalla condanna, come nel caso di lottizzazione abusiva (art. 44, co. 2, d.P.R. 6.6.2001, n. 380). In estrema sintesi si può affermare che, anche alla luce dell’intervento citato della Grande Camera, è consentita la confisca purché si pervenga a un accertamento della penale responsabilità dell’imputato, con tutte le garanzie previste nei diversi gradi di giudizio, sempre che al terzo sia consentito difendersi (nel giudizio di cognizione o di esecuzione) ed emerga la sua estraneità al reato nei sensi già esposti. Il terzo, dunque, non solo non deve avere partecipato alla commissione del reato, ma da esso non deve avere ricavato vantaggi e utilità, poiché soltanto versando in tale situazione oggettiva e soggettiva può vedere riconosciuta la intangibilità della sua posizione giuridica soggettiva e l’insensibilità di essa agli effetti del provvedimento di confisca (Cass. pen., 5.7.2017, n. 32363, in CED rv. n. 270443; Cass. pen., 5.4.2018, n. 15126, in www.ambientediritto.it, 5.4.2018).
L’estraneità del terzo cui appartiene il bene (ovvero proprietario effettivo) assume diverso rilievo per la confisca di prevenzione in cui non vi è un accertamento del commesso reato e, dunque, non vi può essere una persona a questo estranea.
Rileva, però, il tema dell’efficacia della cessione del bene da parte del proposto prima del sequestro. Occorre verificare se questa cessione può impedire gli effetti tipici della confisca per la perdita della disponibilità della res. L’opponibilità giuridica della cessione da parte del proposto avviene «in caso di acquisto in buona fede – rilevante, di per sé, ove rigorosamente provata in sede di prevenzione – nell’ipotesi di beni mobili, secondo il principio “possesso vale titolo”, ai sensi dell’art. 1153 c.c., ovvero, in caso di immobili o mobili registrati, in combinazione con le ordinarie regole civilistiche che risolvono i conflitti tra più potenziali acquirenti, secondo il regime della trascrizione e, dunque, dell’anteriorità del relativo acquisto» (Cass. pen., S.U., 26.6.2014, n. 4880, in CED rv. n. 262604). Si evoca, in qualche modo, la pericolosità della cosa, non intrinseca come in sede penale ex art. 240, co. 2, n. 2), c.p., ma derivante dalla relazione che la lega all’atto dell’acquisto illecito con la persona pericolosa. Anche l’art. 25 d.lgs. n. 159/2011, che consente la confisca per equivalente «quando i beni non possono essere confiscati in quanto trasferiti legittimamente, in qualunque epoca, a terzi in buona fede», richiama la condizione soggettiva dell’acquirente, senza distinzione tra beni mobili e immobili, quale presupposto che, rendendo “effettivo” il trasferimento e la conseguente perdita di disponibilità da parte del proposto, autorizza l’apprensione di beni di legittima provenienza nella titolarità del proposto di valore equivalente. Il riferimento alla buona fede del terzo acquirente, pur se rischia di creare equivoci e sovrapposizioni indebite tra mezzi di acquisto della proprietà e regime di opponibilità dell’acquisto, rappresenta, in definitiva, una “clausola di salvezza” utilizzata dalla giurisprudenza per evitare condotte elusive (Cass. pen., 4.6.2003, n. 38294; Cass. pen., 4.12.2009, n. 46737).
La tutela del terzo proprietario è da tempo disciplinata nel procedimento di prevenzione attraverso scarne norme che presentano consolidati orientamenti giurisprudenziali.
La giurisprudenza ritiene il terzo formale intestatario del bene “portatore” di un mero interesse civile nel procedimento diretto a tutelare il proprio diritto senza alcuna estensione delle garanzie e dei diritti attribuiti al proposto. Non vi è l’obbligo da parte del Tribunale di nominare un difensore, è prevista la sua citazione nella fase del contraddittorio, può impugnare il decreto di sequestro, può proporre appello e ricorso per cassazione.
Non si verifica una nullità nel caso di omessa citazione, potendo i terzi fare valere gli eventuali diritti col procedimento dell’incidente di esecuzione (Cass. pen., 3.12.2014, n. 13035, in CED rv. n. 263414).
Per le confische penali mancava una regolamentazione sulla tutela nel procedimento del terzo proprietario. La l. 17.10.2017, n. 161 ha colmato la lacuna solo per la confisca di cui all’art. 240 bis c.p., prevedendo l’art. 104 bis, co. 1-quinquies, disp. att. c.p. che nel processo di cognizione debbano essere citati i terzi titolari di diritti reali sui beni in sequestro, di cui l’imputato risulti avere la disponibilità a qualsiasi titolo. Deve, perciò, farsi riferimento alla giurisprudenza che, in epoca recente, ha progressivamente ampliato le forme di tutela affermando alcuni principi cui può farsi cenno. In linea generale, il terzo proprietario (a differenza del terzo titolare di un diritto reale di garanzia o di godimento) in quanto persona cui appartiene il bene può chiedere la restituzione ed attivare le tutele previste (istanza di riesame, richiesta di revoca, appello al rigetto dell’istanza di revoca, ecc.). Il terzo, infatti, fa valere il diritto di proprietà che, in quanto caratterizzato dall’assolutezza, si pone in una situazione di giuridica incompatibilità con il diritto che lo Stato intende conseguire attraverso il sequestro finalizzato alla confisca (e cioè di divenire proprietario); situazione questa che può essere risolta immediatamente senza attendere l’esito del processo penale, in quanto se si dovesse accertare che il bene è di proprietà del terzo, in buona fede e non colluso, il sequestro non potrebbe che essere revocato, restando del tutto «irrilevante attendere l’esito del processo penale» (Cass. pen., 27.10.2016, n. 1390, dep. 2017; Cass. pen., 10.5.2018, n. 26273). Il terzo, però, non ha diritto all’avviso di fissazione dell’udienza di riesame o dell’appello proposto da altri (Cass. pen., 22.2.2013, n. 22153; Cass. pen., 27.4.2016, n. 43548). Il terzo proprietario può proporre ricorso per cassazione quando consentito (rigetto dell’istanza di riesame, dell’appello, ecc.) solo ove abbia partecipato alla fase precedente, vale a dire al procedimento di riesame o di appello (Cass. pen., 15.1.2014, n. 5647; Cass. pen., 19.1.2018, n. 8268), fatta eccezione per l’ipotesi in cui il sequestro sia stato disposto, per la prima volta, dal tribunale a seguito di appello cautelare interposto dal pubblico ministero (Cass. pen., 16.1.2015, n. 9796; Cass. pen. n. 8268/2018).
Non esiste una norma di carattere generale o un principio che imponga la citazione in giudizio del terzo proprietario del bene sequestrato e/o di cui si chieda la confisca.
L’unica disposizione è quella, come ricordato, introdotta dalla l. n. 161/2017 per cui per la confisca di cui all’art. 240 bis c.p., nel solco di una sempre più marcata assimilazione alla confisca di prevenzione, va disposta la citazione nel giudizio di cognizione dei terzi proprietari. Deve ritenersi che la citazione, espressamente prevista, consenta al terzo di esercitare tutti i diritti della parte (seppur ai fini dei meri interessi civili) nel corso del giudizio (richiesta di prova, proposizione di eccezioni, ecc.). La giurisprudenza dovrà chiarire se la nuova disposizione consenta al terzo di proporre appello e ricorso per cassazione nel caso di confisca, non essendo state modificate le norme sulle impugnazioni. Deve ritenersi che l’omessa citazione, come in materia di confisca di prevenzione, non comporti nullità e consenta di esperire l’incidente di esecuzione dopo la confisca definitiva ovvero, come si vedrà a breve, di chiedere la revoca della confisca nel corso del giudizio, ferma la facoltà d’intervento. Per le altre forme di confisca penale, la citazione, pur se non è imposta, può essere disposta, così come il terzo proprietario del bene (secondo la tesi preferibile) può intervenire nel giudizio per fare valere i suoi diritti. La possibilità di partecipare al processo non legittima, però, il terzo proprietario all’impugnazione della sentenza nel capo relativo alla confisca del bene di sua proprietà, potendo fare valere le sue ragioni con la proposizione di un incidente di esecuzione (ad es., Cass. pen., 27.5.2010, n. 23926, in CED rv. n. 247791). La questione di costituzionalità fondata sull’inadeguatezza dell’incidente di esecuzione ai fini della difesa del diritto di proprietà è stata disattesa dalla Corte costituzionale (C. cost., 24.10.2017, n. 253) sulla base della sentenza delle Sezioni Unite che, pur confermando l’inammissibilità dell’incidente di esecuzione in pendenza del processo di cognizione, hanno riconosciuto il diritto del terzo proprietario di chiedere, anche dopo la pronuncia della confisca e prima della sua definitività, la revoca del sequestro e di proporre le relative impugnative. La conclusione deriva dalla natura del sequestro che spossessa il terzo proprietario e costituisce il titolo della cautela fino alla sentenza di confisca irrevocabile, laddove la confisca (non definitiva) non muta il titolo giuridico in base al quale il bene è sottoposto a vincolo reale (rappresentato sempre dal sequestro), consentendo al terzo proprietario di chiedere al giudice della cognizione la restituzione del bene e, in caso di diniego, di proporre appello dinanzi al tribunale del riesame; con la confisca definitiva muta il titolo e il terzo può proporre incidente di esecuzione.
L’esame delle poche disposizioni presenti nell’ordinamento e della copiosa giurisprudenza di questi ultimi anni dimostrano quanti e quali siano i profili problematici ancora esistenti sulla tutela garantita al terzo proprietario. Il proliferare delle forme di confisca penali, cui si affianca la confisca di prevenzione, che coinvolgono interi patrimoni per i quali manca (o è attenuato) il nesso di derivazione col reato o con l’attività illecita, e la loro sempre più ampia applicazione da parte dei giudici di merito, rende ineludibile una riforma che affronti organicamente la disciplina delle confische e della tutela dei terzi, in primo luogo dei terzi proprietari. La direttrice è, in qualche modo, tracciata dalla giurisprudenza che, sempre più spesso, enuclea principi comuni per le diverse forme di confisca o rileva differenze che impongono soluzioni diversificate. In linea di prima approssimazione, le forme e l’intensità della tutela del terzo proprietario potranno dipanarsi attraverso gli orientamenti giurisprudenziali e normativi relativi alla confisca di prevenzione, sempre più spesso richiamati per la confisca allargata di cui all’art. 240 bis c.p. – che presenta plurimi caratteri comuni – e alla confisca per equivalente che egualmente non prevede un nesso della cosa confiscata con il commesso reato o con l’attività illecita.
1 Maugeri, A.M., Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Milano, 2001, 122 ss; AA. VV., La giustizia patrimoniale penale, Torino, 2011. Menditto, F., Le confische nella prevenzione e nel contrasto alla criminalità “da profitto” (mafie, corruzione, evasione fiscale), in www.penalecontemporaneo.it, 2.2.2015.
2 Menditto, F., Le confische penali e di prevenzione, La tutela dei terzi, Milano, 2015, 428.
3 Numerose sentenze della Corte costituzionale consentono di delineare principi riferibili a ogni confisca penale. L’art. 27, co. 1, Cost., consente la confisca delle cose indicate dall’art. 240 c.p. (o dalle norme speciali) solo nei confronti: a) dell’autore del reato; b) del terzo che «abbia tratto profitto» dal reato, in qualunque modo (C. cost., 19.1.2017, n. 2) ovvero per il quale sia rilevabile «almeno un difetto di vigilanza» (C. cost., 17.7.1974, n. 229); c) del terzo che, comunque, non sia «in buona fede» in quanto la confisca non può essere inflitta al terzo di buona fede, titolare di una posizione «protetta dal principio della tutela dell’affidamento incolpevole, che permea di sé ogni ambito dell’ordinamento giuridico» (C. cost., 10.1.1997, n. 1).