conflitto
Contrapposizione tra soggetti, individuali o collettivi, che origina da posizioni contrastanti e incompatibili.
Indica, nelle scienze sociali, la relazione antagonistica tra soggetti in competizione per il possesso, l’uso o il godimento dei beni disponibili in quantità limitata per la soddisfazione dei propri bisogni.
Nella conflittualistica teoria marxista, il c. sociale è una caratteristica di tutte le società, che contrappone soggetti collettivi, i cui interessi sono permanentemente antagonistici, e si sviluppa intorno all’appropriazione e al controllo dei mezzi di produzione, esprimendosi nel c. di classe (➔ classe sociale): in questo caso si parlerà di c. di struttura.
Su un versante opposto a quello marxista, alla teoria struttural-funzionalistica il c. non appare come inevitabile e oggettivo, ma piuttosto come risultato della cattiva integrazione del sistema sociale. Secondo questa impostazione, il c. di classe costituisce un fenomeno endemico della società industriale avanzata, condizionato dall’azione contrastante esercitata sul sistema di stratificazione sociale dal complesso strumentale (lavoro, scambio e proprietà) dominato da principi ‘individualistici’, e dalla parentela, guidata da principi ‘solidaristici’ (T. Parsons). Le teorie conflittualistiche identificano nel c. una caratteristica normale di tutte le società, mentre quelle integrazioniste lo considerano espressione di una patologia sociale, risultato della cattiva integrazione del sistema sociale.
È il c. che può verificarsi tra capitale e lavoro, intendendo con esso il contrasto tra le imprese proprietarie del capitale e i lavoratori, generalmente in merito alla distribuzione delle risorse. Il c. di lavoro si manifesta generalmente nei rapporti di lavoro alle dipendenze.
Si parla di c. industriale nei casi in cui i lavoratori con comunanza di interessi tendono a coalizzarsi per esercitare pressioni nei confronti dell’impresa, per es. attraverso il sindacato (➔ ). La manifestazione prevalente del c. industriale, in Italia così come in tutti i Paesi industrializzati occidentali, è quella dello sciopero (➔). In questo caso il c. è regolato e istituzionalizzato nel diritto di sciopero (diritto di rango costituzionale) e nella sindacalizzazione. Con la caduta del regime fascista (che lo considerava reato e oggetto di repressione) e l’avvento della Costituzione repubblicana, infatti, lo sciopero viene riconosciuto come diritto soggettivo. Nell’ordinamento del lavoro, a differenza degli altri settori in cui la tutela dei diritti è demandata all’autorità giudiziaria, è ammessa l’autotutela degli interessi collettivi mediante il ricorso a forme di azione diretta quali lo sciopero, il boicottaggio o l’ostruzionismo. Le forme di autotutela sindacale hanno come oggetto non solo l’aspetto economico del rapporto di lavoro, ma anche la difesa di altri diritti. Anche le imprese possono esprimere il c. attraverso forme di autotutela, per es. la serrata (➔), cioè la chiusura da parte del datore di lavoro dei normali luoghi di lavoro. Il c. di lavoro può riguardare anche condizioni di altro tipo, per es. nel settore pubblico, dove l’utente colpito non è quello dell’impresa datore di lavoro ma quello dell’utente ‘innocente’ e del contribuente che subisce i costi del servizio e del disservizio. Il c. può inoltre concernere controversie individuali, ovvero contrasti tra il singolo lavoratore e il datore di lavoro in merito al trattamento economico o ad altri aspetti del rapporto lavorativo. In questo caso la composizione del c. avviene attraverso il ricorso alle autorità giudiziarie.
In materia di rappresentanza, ogni ipotesi in cui il rappresentante sia portatore di un interesse contrastante e incompatibile con l’interesse del rappresentato. Si tratta di una situazione giuridicamente anomala, nella quale si viene a trovare chi è titolare di interessi economici o di altra natura e allo stesso tempo di poteri che gli permettono di produrre leggi e regolamenti a difesa di tali interessi.