Confucio
Filosofo cinese (n. 551 - m. 479 a.C.).
Sebbene le fonti di maggior credito per ricostruire la vita e l’opera di C. siano unanimamente considerate i Dialoghi (Lunyu ➔), il Mencio (Mengzi ➔) e lo Zuozhuan («Commentario di Zuo Qiuming»), uno dei tre commentari degli Annali delle Primavere e Autunni (Chunqiu), la biografia accolta e consolidata dalla tradizione è quella composta da Sima Qian (forse 145-86 a.C.) nel suo Shiji («Memorie di uno storico»). In cinese il filosofo si chiamava Kong Qiu o Kong Zhongni o più diffusamente Kongzi («Maestro Kong»). Il nome di C. non è quindi altro che la latinizzazione di Kong Fuzi, denominazione che però non ricorre mai in questa forma nelle fonti cinesi, essendo stata coniata verso la fine del 16° sec. dai gesuiti missionari in Cina. In Europa ne diffuse il nome e la dottrina specialmente il Confucius Sinarum philosophus, sive Scientia Sinica, opera monumentale composta dai quattro gesuiti P. Intorcetta, C. Herdtrich, F. Rougemont, Ph. Couplet e pubblicata a Parigi nel 1687, nella quale per la prima volta eruditi e filosofi europei poterono leggere in traduzione latina alcuni classici della tradizione testuale confuciana.
Nativo del regno di Lu (nell’odierna provincia dello Shandong) e rampollo di una famiglia aristocratica decaduta, C. visse in una delle epoche più caotiche della storia cinese, quando la dinastia Zhou (secc. 11°-3°), oramai esausta e vacillante, subiva quotidianamente la tracotanza militare di alcuni regni belligeranti. Sin da giovane età si dedicò allo studio, privilegiando soprattutto gli antichi riti, la musica e la poesia. Ricoprì varie cariche minori nel regno di Lu, che poi abbandonò per attriti a corte; fu quindi costretto a un lungo periodo di peregrinazioni da un regno all’altro in compagnia di alcuni fedeli discepoli. Mai tuttavia cessò di professare la sua dottrina, richiamando presso di sé un gran numero di giovani, di origine sia nobile sia umilissima.
Nei Dialoghi (Lunyu), opera composta dai discepoli di C. e considerata una raccolta di conversazioni, aforismi e aneddoti, l’entità divina per antonomasia, il «Cielo» (tian), ricorre sommessamente e solo due sole volte viene menzionato il tianming («mandato celeste»); questo però non deve indurre a credere che C., dal momento che non parla «mai di eventi straordinari [...] e di divinità» (Lunyu VII, 21), negasse il soprannaturale. È invece la profonda crisi politico-sociale dell’epoca che lo induce a riservare esclusiva attenzione e premura all’uomo e al suo agire nella società. Non è dunque il rifiuto del soprannaturale, ma solo lo sforzo di esortare continuamente l’uomo a migliorare la propria natura e ad agire per il bene dei propri simili: «Se non sai onorare gli uomini, come puoi pensare di onorare divinità e spiriti?» (Lunyu XI, 12). Questa è la «via» (dao), una via già esperita dai virtuosi e saggi sovrani della remota antichità, che diffuse ovunque armonia e giustizia e, tra gli uomini, anche il metodo del buon governo. Tale via si rivela autenticamente all’uomo quando egli si addentra nella ricerca interiore, sorretto dallo studio, dalla disciplina e dalla osservanza di antiche norme. In ciò l’uomo è agevolato dalla condotta di un sovrano virtuoso o di un maestro esemplare: «Se viaggiassimo in tre – disse il maestro – certamente avrei sempre un maestro accanto: dell’uno coglierei i pregi per trarne esempio, dell’altro coglierei i difetti per emendarmi» (Lunyu VII, 22). Solo l’uomo che agisce lealmente (zhong) e che non impone agli altri ciò che non desidera per sé (shu) è sulla retta via. Costui è l’uomo nobile (junzi), che con l’azione del pensiero (si), lo studio (xue) e il controllo del proprio impulso egoistico (keji) ottiene la virtù per eccellenza: l’umana benevolenza (ren). La grafia stessa del carattere cinese ren – il radicale significante «uomo» (ren) unito al carattere per esprimere «due» (er) – afferma il senso profondo della condizione dell’umana benevolenza: condizione che si dà solo nella relazione con l’altro e che l’uomo realizza prima nel seno della propria famiglia e poi, forte di questa esperienza, nella vita sociale: «L’uomo dotato di benevolenza – disse il maestro –, desiderando essere saldo, fa sì che lo siano gli altri, desiderando progredire, fa sì che gli altri progrediscano. Assumi come esempio quel che puoi fare per chi ti è vicino: è la strada verso la benevolenza» (Lunyu VI, 30). Così l’uomo nobile di animo si distingue radicalmente da tutti e soprattutto da chi è mediocre e dappoco, perché questi bada solo al profitto e al proprio vantaggio: «L’uomo nobile di animo tiene alla benevolenza, l’uomo dappoco agli agi; l’uomo nobile di animo tiene all’imparzialità, l’uomo dappoco al favore» (Lunyu IV, 11). Nella condotta quotidiana l’uomo nobile di animo è orientato dai «riti» (li), tramandati dagli uomini dell’antichità, e la loro osservanza è in definitiva la vera esperienza religiosa, tutta umana e volta a stabilire una permanente armonia col mondo e col cosmo.
La dottrina di C., diffusamente tramandata dai suoi discepoli, divenne ortodossia di Stato durante la dinastia Han (secc. 3° a.C. - 3° d.C.) e successivamente fu sempre più espressione della Cina imperiale sino alla caduta della dinastia Qing nel 1911. I Dialoghi (Lunyu), che la tradizione attribuisce a C., sono invece opera probabilmente composta dai suoi discepoli: una parte – i primi quindici libri – appena dopo la morte del maestro e il resto – cinque libri – in età posteriore.