CONGREGAZIONE DI CARITÀ
. Istituzione pubblica di assistenza e beneficenza creata dallo stato per regolare la pubblica beneficenza in ogni comune. Per un'esatta comprensione della natura giuridica e sociale della congregazione di carità occorre tener presente la distinzione (v. beneficenza) fra gli enti di beneficenza facoltativa sorti per iniziativa privata, con finalità particolari, e quelli della carità legale istituiti dallo stato per provvedere ad alcune attività assistenziali che lo stato ravvisa necessarie per ogni parte del suo territorio e verso l'intera popolazione del Regno.
La congregazione di carità fu istituita con la legge 20 novembre 1859, il cui precedente legislativo, per altro, era costituito negli Stati Sardi dai regi editti 6 agosto 1716 e 19 maggio 1717 di Vittorio Amedeo II. Anche la sua denominazione, più appropriata a una corporazione che a una fondazione, è dovuta all'originaria costituzione di enti collettivi, che provvedevano a quelle forme essenziali assistenziali, alle quali provvedono oggi le congregazioni di carità. La prima legge sulle opere pie d'Italia (3 agosto 1862) non solo conservò, ma meglio disciplinò e organizzò l'istituto, il quale ottenne una completa sistemazione nella legge 17 luglio 1890, n. 6972, tuttora vigente, sebbene, anche in rapporto alla congregazione di carità, profondamente modificata da successive disposizioni legislative.
La congregazione di carità è, come ogni altra istituzione pubblica di assistenza e beneficenza, una persona giuridica pubblica, un ente autarchico istituzionale; essa, quindi, come ogni altra opera pia, ha capacità di ricevere beni a titolo di liberalità, sia inter vivos, sia mortis causa, ed esercita la beneficenza facoltativa voluta dai benefattori. Ma, appunto perché di creazione legislativa e con specifiche finalità conferitele dallo stato, essa ha caratteristiche proprie, che le assegnano una speciale posizione giuridica rispetto a ogni altra istituzione di beneficenza. È da notare innanzi tutto che vi dovrebbe essere una congregazione di carità in ogni comune; né, d'altra parte, sarebbe possibile l'esistenza in ciascun comune di più congregazioni. I suoi scopi, le sue attività, la sua organizzazione sono fissati dalla legge e soltanto questa può mutarli. Queste particolari caratteristiche dell'istituto, che non sono incompatibili con l'ente fondazione, hanno fatto affermare da alcuni scrittori l'esistenza di un tertium genus di persone giuridiche, da collocarsi fra le associazioni e le fondazioni, che non avrebbero bisogno né di associati, né d'un patrimonio destinato a uno scopo, e per le quali l'elemento essenziale sarebbe il fine determinato; fine che, per le congregazioni di carità, si ravviserebbe nell'assistenza degl'indigenti. Questa teoria trova un apparente fondamento nel fatto che le congregazioni di carità, quando sono create dalla legge, non posseggono né associati né un patrimonio, e nonostante ciò hanno una personalità giuridica e vivono come enti di diritto, con la capacità di possedere e acquistare ogni diritto che non abbia per presupposto la persona fisica. Ma non è affatto necessario ricorrere a un terzo tipo di persone giuridiche per inquadrare le congregazioni di carità nel tradizionale sistema; giacché la mancanza di associati non è nemmeno da rilevare, trattandosi, come si è detto, di fondazioni: e la mancanza di patrimonio all'atto della loro creazione è caso non infrequente per gli enti che sono nell'aspettativa del patrimonio, e si costituiscono appunto per predisporre la persona capace di accoglierlo.
La congregazione di carità ha dalla legge queste speciali attribuzioni: n) può, nei casi dalla legge previsti, amministrare altre opere pie (art. 4 della legge del 1890); b) è la legale rappresentante degl'interessi dei poveri del comune (art. 7, id.); c) promuove l'assistenza e la tutela degli orfani e minorenni abbandonati, dei ciechi e sordomuti poveri, e ne assume la cura nei casi urgenti (art. 8, id.). Infine, in base all'art. 3 della legge medesima, alla congregazione di carità sono devolute le disposizioni a favore dei poveri o altre simili espresse genericamente, senza che sia determinato l'uso, l'opera pia o il pubblico istituto in cui favore siano fatte, o quando la persona incaricata dal testatore di determinarlo non possa o non voglia accettare l'incarico. Sono le disposizioni generiche a favore dei poveri, di cui è parola nell'art. 832 cod. civ.
L'organizzazione della congregazione di carità ha avuto, negli ultimi anni, profondi mutamenti per effetto del r. decr. 30 dicembre 1923, n. 2841 (art. 5); della legge 17 giugno 1926,n. 1187 (art. 2); e infine della legge 4 marzo 1928, n. 413. In base alla legge 1890, il consiglio comunale nominava tanto il presidente quanto i componenti la congregazione di carità. Il r. decr. del 1923 conferì al sottoprefetto la nomina della maggioranza dei componenti, conservando al consiglio comunale la nomina della minoranza. L'inverso fu stabilito dalla legge del 1926. Ma, soppressi i consigli comunali e accentrate nel podestà le funzioni deliberanti ed esecutive dei comuni, un'analoga riforma della congregazione di carità venne sancita dall'importante legge del 1928 dianzi citata. In base a questa, un presidente di nomina prefettizia concentra in sé le funzioni deliberanti ed esecutive della congregazione; un comitato di patroni esercita una funzione meramente consultiva a fianco del presidente. Provocare il parere del comitato dei patroni è, a volte, obbligatorio, a volte facoltativo per il presidente. Il presidente può dal prefetto essere revocato o sospeso. Il comitato dei patroni può essere sciolto dallo stesso prefetto. Questa nuova organizzazione delle congregazioni di carità ne ha, rafforzandone la compagine, accentuato il carattere di organo dell'amministrazione indiretta dello stato.
Bibl.: S. d'Amelio, La beneficenza nel diritto italiano, Roma 1929, p. 530 segg.; A. Longo, Le istituzioni pubbliche di beneficenza, in Trattato di diritto amministrativo dell'Orlando, Milano 1897 segg., VIII, cap. V; V. Brondi, La beneficenza legale, ivi, p. 141 segg.; O. Luchini, Le istituzioni pubbliche di beneficenza, Firenze 1894, p. 72 segg.; A. Pironti, Codice dell'assistenza e della beneficenza pubblica, Firenze 1925, p. 20 segg.; G. Zanobini, Legislazione amministrativa, Firenze 1927, par. 120 segg.