CONGRUA
. È il complesso dei redditi d'un beneficio ecclesiastico, necessarî al conveniente sostentamento del chierico prepostovi: ed è abbreviazione dell'espressione latina portio congrua, sustentatio congrua o competens. (V. Cod. Iscr. Can., cc. 1409, 1439 § 2).
Da principio la congrua indicava principalmente la parte dei proventi che, nell'incorporazione pleni iuris, doveva rimanere salva al vicario perpetuo incaricato della cura d'anime in un monastero, in un capitolo cattedrale o collegiale, o in un beneficio annesso a codesti enti. In seguito significò il minimo delle rendite d'un beneficio necessario per il sostentamento del chierico. Il principio fondamentale per il diritto delle decretali fu che i chierici debbono avere di che vivere in corrispondenza della loro condizione o ricevere un conveniente trattamento. Il concilio di Trento emanò varie disposizioni dirette ad assicurare le condizioni economiche del clero, specialmente di quello curato, allo scopo di tenerne alta la dignità e di fare ad esso una condizione conveniente e decorosa. In via indiretta si stabilì la misura della congrua in ducati 1000 per i vescovi, e in ducati 100 per i parroci (sess. XXIV, c. 13 de reform.). Il minimo di congrua fu fissato da alcuni papi posteriori al concilio, come Pio V (1566-72), Gregorio XIII (1572-85), Innocenzo XIII (1721-1724), Benedetto XIV (1740-58) e Leone XII (1823-29) per i parroci e viceparroci della città di Roma. Adunque poteva considerarsi come ius receptum che ai parroci specialmente si dovesse assicurare un minimo di reddito sufficiente per un onesto sostentamento. La congrua poteva consistere in una porzione di frutti, o in una prestazione fissa in danaro, o nella rendita d'un fondo, o altra cosa immobile.
Anche gli stati intervennero con leggi e provvedimenti atti ad assicurare al beneficiario un minimo di rendita. In alcuni casi prevalse la ragione politica: nel sistema della Chiesa di Stato i funzionarî ecclesiastici, o come tali o come incaricati di pubbliche funzioni, erano considerati pubblici ufficiali o quanto meno funzionarî mediati dello stato. Alla ragione politica s'intrecciò talvolta quella giuridica, giacché gli assegni che lo stato pose a carico suo o di altri enti pubblici erano in corrispettivo dei beni ecclesiastici incamerati, di proventi (decime, diritti di stola) da cui erano liberati i fedeli o in conseguenza dell'attuazione da parte dello stato del principio canonistico della solidarietà tra i varî enti ecclesiastici. Il concetto di congrua si allargò e comprese gli assegni che per legge civile venivano corrisposti al clero dallo stato, dai comuni e da altri enti pubblici. In alcuni stati (es. Francia) gli assegni furono posti a carico del bilancio, onde si ebbe un clero stipendiato dallo stato.
In Italia, dopo la legge piemontese del 29 maggio 1855 n. 878, si ammise che, quando i proventi del beneficio parrocchiale non bastavano per un conveniente sostentamento, si suppliva con un assegno corrisposto da un ente di stato (cassa ecclesiastica, fondo per il culto). Si distinse tra congrua e supplemento di congrua, secondo che l'assegno costituiva la totalità o solo una parte del minimo di reddito fissato dalla legge.
Pertanto la congrua è la stessa dotazione del beneficio, se questa consiste unicamente nella prestazione certa e determinata dell'assegno a carico dello stato o di altro ente pubblico; è parte della dotazione, se questa è costituita da altri beni e rendite oltre l'assegno.
Il codice canonico non definisce la congrua; però il suo concetto originario è riaffermato nel can. 471, §1; "Si paroecia pleno iure fuerit unita domui religiosae, ecclesiae capitolari vel aliae personae morali, debet constitui vicarius qui actualem curam gerat animarum, assignata eidem congrua fructuum portione arbitrio episcopi". Permane il concetto che la congrua costituisce il minimo dell'ammontare delle rendite del beneficio per il conveniente sostentamento dell'investito; onde: a) non si può fondare un beneficio, se l'ammontare delle rendite della dotazione annessa al medesimo sia inferiore alla congrua; b) l'ammontare delle rendite può essere diminuito per motivi urgenti, ma la diminuzione non può intaccare la congrua; c) la congrua come assegno alimentare è insequestrabile.
In quanto alla sufficienza, il codice canonico richiede per la fondazione d'un beneficio una dos congrua (c. 1415, § 1; cfr. c. 1410). Il giudizio su tale sufficienza è rimesso all'autorita ecclesiastica, che dovrà seguire la legge canonica, la consuetudine o la legge civile, se l'ente debba essere riconosciuto come persona giuridica. Ciò in derogazione del principio ammesso dal codice canonico che in alcuni casi si possano erigere benefici senza congrua (c. 1415, § 3).
Nella dismembratio, che si ha quando parte del territorio e dei beni d'un beneficio viene detratta dal medesimo e assegnata ad altro beneficio (c. 1421), sono regolati i rapporti economici dei due enti, giacché l'ordinario che provvede allo smembramento di una parrocchia "debet vicariae perpetuae seu paroeciae noviter erectae congruam portionem assignare)), fermo rimanendo quello che è prescritto nel can. 1500; se tale porzione congrua non si possa avere aliunde, "desumi debet ex redditibus, dummodo sufficiente redditus eidem matrici ecclesiae remaneant" (c. 1427, § 3).
Gli ordinarî possono unire una parrocchia a una chiesa cattedrale o collegiale, sita nella parrocchia, in modo che le rendite di questa, cedano a vantaggio di quella "relicta parocho vel vicario congrua portione" (c. 1423, § 2).
Gli ordinarî non possono imporre sui benefici pensioni perpetue e vitalizie, ma possono, nell'atto di conferire il beneficio e per una giusta causa da menzionarsi nel provvedimento di collazione, imporre ai beneficiario una pensione temporanea durante la sua vita "salva huiG congrua portione" (c. 1429 § 1).
In quanto al cosiddetto beneficium competentiae (cioè il privilegio di avere esentata, in caso di esecuzione per debiti, una quota parte di beni per il sostentamento del chierico), esso non è esclusivo dei beneficiarî, ma di tutti i chierici (c. 122).
La dottrina canonistica fissava ancora altri principî. Nella congrua si dovevano imputare tutti i proventi certi ed emolumenti che a cagione dell'ufficio spettano al beneficiario, come le decime, i diritti di stola e anche le rendite del beneficio legittimamente annesso al primo. Inoltre essa, fondandosi sul Digesto (XXXIV, 1, de alimentis, 6) estese il concetto della congrua, comprendendo in essa anche una conveniente abitazione.
Il diritto italiano stabilì il principio che lo stato non avrebbe stipendiato o sussidiato alcun culto. Ma questo principio è stato abbandonato nei riguardi della Chiesa cattolica. Però si escogitò un espediente, per cui le spese di culto erano sostenute da appositi enti forniti di entrate provenienti solo da beni ecclesiastici: il fondo per il culto, il fondo speciale di beneficenza e religione della città di Roma, l'economato dei benefici vacanti. In seguito il principio è stato abbandonato e lo stato sussidia largamente il fondo per il culto che viene così in aiuto di enti ed ecclesiastici, pagando al clero bisognoso determinati assegni. Questi sono designati col nome di supplementi di congrua. E congrua, secondo il diritto dello stato, vuol dire appunto il reddito che la legge civile stima costituire il minimo che dev'essere assicurato a un determinato beneficiario; il supplemento di congrua designa l'assegno corrisposto dal fondo per il culto ai parroci e agli altri ecclesiastici.
Gli assegni hanno quasi sempre carattere di supplementi, giacché, determinato il reddito minimo indispensabile per ogni categoria di ecclesiastici, il fondo per il culto corrisponde la differenza fra tale reddito minimo e quello effettivo, qualora quest'ultimo non raggiunga il minimo legale.
Le cifre del reddito minimo, in base al quale sono liquidati gli assegni, sono state fissate dal decreto-legge 31 marzo 1925, n. 364. Le norme per la liquidazione e la concessione sono state stabilite dal decreto-legge 7 gennaio 1926, n. 13; vedi r. decr. 2 ottobre 1921, n. 1409; r. decr. 2 luglio 1922, n. 910. Per quanto gl'impegni fossero assunti in via transitoria, pure essi sono definitivi per lo stato, il quale conserva l'obbligo di corrispondere al fondo per il culto le somme indispensabili per venire in aiuto di quasi tutti i beneficiarî ecclesiastici. La legge 27 maggio 1929, n. 810 che rende esecutivo il concordato 11 febbraio 1929 tra l'Italia e la S. Sede stabilisce (articoli 17 e 18) che in caso di riduzione di diocesi e parrocchie rimarranno inalterati gli assegni degli enti ecclesiastici esistenti nelle diocesi e il trattamento economico delle parrocchie.
Bibl.: D. Schiappoli, Le congrue e i supplementi di congrua ai parroci, Torino 1899; id., in Atti della R. Accademia delle Scienze morali e politiche di Napoli, XLVIII.