CONICHE (gr. κωνικαί, κώνου τομαί; lat. conicae; fr. coniques; sp. cónicas; ted. Kegelschnitte; ingl. conic sections, conics)
1. Si designano con questo nome comune tre specie di curve, ellisse, parabola e iperbole, di aspetto nettamente diverso (fig. 1). Mentre l'ellisse, che come caso particolare comprende il cerchio, è chiusa e tutta a distanza finita, le altre due sono aperte e si prolungano all'infinito, e per di più, l'iperbole è costituita da due parti o rami staccati. Tuttavia esse costituiscono una medesima famiglia, la cui unità, nell'insieme di tutte le possibili curve, si rivela sotto ciascuno dei diversi punti di vista da cui si possono definire, e in particolare se si ricorre a quella loro generazione, che in linea storica si presentò per prima e che dà ragione del nome. Si consideri un cono circolare retto (o anche obliquo), pensandolo come luogo di rette intere e non di semirette limitate al vertice V (cioè costituito, come si direbbe in geometria elementare, da due coni opposti al vertice) e s'immagini di segarlo con un piano π non passante per V (fig. 2). Se π non è parallelo ad alcuna generatrice (talché le seghi tutte da una stessa parte del vertice) la curva sezione è un'ellisse (o in particolare un cerchio). Se invece π è parallelo a una generatrice (così che incontri tutte le altre da una stessa parte di V) la sezione è una parabola. Se infine il piano è parallelo a due generatrici, queste dividono la superficie conica in due parti tali che le generatrici dell'una sono incontrate da π da una banda del vertice, le altre dalla banda opposta e in tal caso la curva sezione è un'iperbole. Va poi notato che se il piano π passa per il vertice del cono V (e non è esterno ad esso) lo sega secondo due rette (generatrici), le quali coincidono se π è tangente al cono. Così, in base a una veduta di continuità, si è già da questo punto di vista elementare condotti (e altrettanto accade dagli altri punti di vista) a includere nella famiglia delle coniche anche le coppie di rette (eventualmente coincidenti) che si sogliono chiamare coniche degeneri.
La semplicità e l'eleganza delle proprietà geometriche delle coniche e le molte applicazioni, di cui si mostrarono suscettibili, richiamarono su di esse in tutti i tempi l'attenzione dei geometri e si può dire che la storia della loro teoria rispecchi nelle sue linee schematiche fondamentali la storia stessa dell'intera geometria.
2. Cenni storici. - È dubbio se Democrito già si fosse occupato delle coniche, e, secondo le tradizioni più attendibili, va considerato come inventore di esse il geometra greco Menecmo (sec. IV a. C.), discepolo di Eudosso, il quale le introdusse per risolvere il cosiddetto problema di Delo, cioè della duplicazione del cubo (v. cubo). Egli le considerava sezioni piane del cono rotondo e più precisamente sezioni con piani perpendicolari a una generatrice. Si ha così un'ellisse o una parabola o un'iperbole, secondo che l'angolo di apertura del cono è acuto, retto o ottuso.
Sembra che in questo stesso senso venissero considerate anche nei trattati di Aristeo il vecchio (contemporaneo di Euclide, ma un po' maggiore di età) e di Euclide stesso, l'uno e l'altro completamente perduti. Si deve tuttavia ritenere che già in queste opere si ponessero alla base dello studio delle coniche le loro proprietà caratteristiche come curve del piano e non già la loro generazione spaziale come sezioni del cono: certo è che Archimede, nella sua determinazione dell'area dell'ellisse e del settore parabolico, presuppone come note molte proprietà delle coniche, che dovevano essere contenute in codesti due libri perduti.
3. Ma la teoria elementare delle coniche trova il suo assetto completo e si può dire definitivo nell'opera di Apollonio Pergeo (v.) in otto libri, di cui l'ultimo è andato perduto. Apollonio concepisce senz'altro le coniche come sezioni di un cono circolare qualsiasi (retto o obliquo). Ma a questa definizione spaziale fin dall'inizio della sua trattazione sostituisce una definizione come luoghi piani: precisamente, generalizzando una considerazione che già si trova in Archimede, stabilisce per le coniche quella proprietà caratteristica che, col formalismo algebrico della moderna geometria analitica, viene espresso dall'equazione della conica riferita a una tangente e al diametro passante per il punto di contatto. Enunciando tali proprietà, Apollonio introduce i tre nomi ἔλλειψις, παραβολή, ὑπερβολή, che oggi dai più si fanno derivare dalla nomenclatura usata nei cosiddetti problemi di "applicazione delle superficie piane" studiati dai pitagorici (risoluzione geometrica di equazioni di secondo grado). Sulla base della definizione suaccennata con procedimenti di algebra geometrica, che oggi si direbbero di trasformazione delle coordinate, Apollonio studia successivamente i diametri coniugati e gli assi, le tangenti e gli asintoti, le normali e, implicitamente, l'evoluta, i poli e le polari, i fuochi e le proprietà focali per l'ellisse e l'iperbole, le intersezioni d'una conica e d'una retta o di due coniche fra loro, le similitudini fra coniche. A questo mirabile trattato di Apollonio poco aggiunsero i geometri greci posteriori. Si può ricordare che nel VII libro della Collezione matematica di Pappo, si trovano il teorema sull'esagono iscritto in una coppia di rette (caso particolare del celebre teorema del Pascal; n. 13), la definizione delle coniche (verosimilmente già prima nota a Euclide) come luoghi dei punti, di cui è costante il rapporto delle distanze da un punto e da una retta fissi (n. 10) e la costruzione d'una ellisse di cui son dati cinque punti (Pappo, libro VIII, prop. XIII). I matematici bizantini e arabi mantennero viva nel Medioevo la conoscenza degli scritti di Apollonio. Vitellione, attingendo a qualche fonte greca perduta, nella sua Prospettiva (Περὶ ᾿Οπτικῆς), scritta forse in Italia, probabilmente a Viterbo, prima del 1277, nel lib. IX, prop. 39-44, dimostra le proprietà del fuoco della parabola e del paraboloide di rivoluzione come specchio ustorio nel quale: a tota superficie et a quolibet puncto ipsius radii solares in unum punctum aggregantur. Questa proprietà è altresi chiaramente accennata in un frammento attribuito da J. L. Heiberg ad Antemio (cfr. Mathematici Graeci Minores, Copenaghen 1927, pp. 77-92).
4. Nel Rinascimento, dopo un primo saggio di volgarizzazione di Apollonio dovuto al Vvalla (Venezia 1501) e una traduzione più estesa, ma non più accurata, del Memmo (pubblicata dal figlio nel 1537), comparve nel 1566 a Venezia quella del Commandino (Apollonii Pergaei Conicorum Libri quatuor), la quale fece testo in tutte le scuole di Europa.
Ma in questa rinascita la teoria delle coniche, sotto l'influsso di nuove correnti d'indagine geometrica, che si andavano allora delineando, si orientò per nuove vie. Dall'opera dei pittori e degli architetti, specialmente italiani, la pratica e lo studio della prospettiva erano passati oramai nel dominio dei geometri, onde era naturale che si tenesse conto della possibilità (già implicita nell'antica definizione spaziale) di considerare le coniche come figure prospettiche d'un circolo. D'altro canto le coniche apparivano non più soltanto come creazioni d'una libera fantasia geometrica, bensì come immagini direttamente legate alla schematizzazione di fenomeni ottici, di fatti geodetici, soprattutto di leggi astronomiche, dopo che Keplero aveva scoperto che le orbite planetarie sono ellissi. Lo stesso Keplero dedicò un capitolo dei suoi Ad Vitellionem paralipomena (Francoforte 1604), alle coniche, che egli studiava, combinando considerazioni di prospettiva con una veduta di continuità, per cui riguardava le tre specie di coniche (al pari della retta) come deducibili per deformazione dal circolo. Pervenne così, per intuizione più che per logica deduzione, alle proprietà dei fuochi, che da lui ricevettero questo nome e che egli, a differenza di Apollonio, considerò anche nel caso della parabola. E va ricordato che i risultati ottenuti in via euristica da Keplero furono poi dimostrati deduttivamente da B. Cavalieri (v.) nell'opuscolo sullo specchio ustorio (Bologna 1632).
5. Il primo che partendo esplicitamente dalla considerazione delle coniche come proiezioni del circolo, ne concepì da questo punto di vista una teoria unitaria, è stato G. Desargues, il quale, coerentemente allo spirito di generalità insito in siffatta considerazione fondamentale, introdusse la nozione e l'uso dei punti all'infinito (pur senza spingersi a riconoscere che essi vanno considerati come costituenti, nel loro insieme, una retta). Non meno che per la generalità del punto di vista e dei metodi, l'opera del Desargues è mirabile per la novità e l'importanza dei risultati, primo fra tutti il suo celebre teorema (n. 13); e a lui vanno ravvicinati B. Pascal (v.), che scoperse appena sedicenne il teorema sull'esagono inscritto in una conica (n. 13) e più tardi F. De La Hire e J. le Poivre, che approfondirono le relazioni tra poli e polari, già prima riprese, dopo i cenni di Apollonio, dal Desargues.
6. Ulteriori apporti alla teoria delle coniche dovevano ancora venire recati dai più larghi e più elevati sviluppi, che per la geometria si venivano preparando sotto l'impulso di quello spirito di generalità, che già si era manifestato nell'opera del Desargues e del Pascal. Nel 1822 si costitui col Traité des propriétés projectives des figures di J. V. Poncelet la geometria proiettiva. Il Poncelet, considerando le operazioni di proiezione e sezione nel loro senso più generale, si pose il problema dello studio sistematico di quelle proprietà delle figure piane, che hanno carattere d'invarianza rispetto a siffatte operazioni, e assunse come criterio generale d'indagine delle figure l'idea di ridurle, per mezzo di proiezioni e sezioni, a qualche loro caso particolare, come già il Desargues e il Pascal avevano ridotto le coniche a cerchi. Inoltre il Poncelet riconobbe per primo nella polarità rispetto a una conica un mezzo per dedurre sistematicamente da ogni teorema di geometria piana di natura grafica (cioè esprimibile per mezzo di relazioni di appartenenza di punti e rette) un nuovo teorema, ed è per questa via che il Brianchon dedusse dal teorema del Pascal sull'esagono inscritto a una conica il suo teorema sull'esalatero circoscritto (n. 13); mentre poi la veduta del Poncelet doveva, attraverso l'opera del Gergonne e del Plücker, mettere capo alla scoperta del principio di dualità (v.).
7. Dai successivi sviluppi della geometria proiettiva derivarono due nuovi modi di definire le coniche. Si osservi anzitutto che se, presi due punti distinti e fissi U e V su di una circonferenza γ (fig. 3) e congiuntili con un punto M di essa, s'immagina che questo descriva l'intera circonferenza trascinando con sé le due rette UM e VM, si ottiene fra le rette dei due fasci di centri U, V una corrispondenza biunivoca (cioè tale che ad ogni retta di ciascun fascio corrisponde nell'altro una retta e una sola) e questa corrispondenza è, come si suol dire, una uguaglianza diretta, intendendosi con ciò affermare che se UM ed UN sono due rette quali si vogliano del primo fascio, l'angolo MVN delle due rette corrispondenti per V è uguale e di ugual verso dell'angolo MUN. Viceversa è chiaro che fra due fasci complanari di centri U, V, presi ad arbitrio, si può (in infiniti modi) definire una tale uguaglianza diretta, e, escluso il caso che si corrispondano le rette per U, V parallele, il luogo dei punti d'intersezione delle coppie di rette corrispondentisi è una circonferenza. Ciò posto, se a partire dalla figura costituita da una circonferenza γ e dai due fasci (in corrispondenza di uguaglianza diretta) che si ottengono proiettandone i punti da due suoi punti fissi U e V, si eseguiscono quante si vogliono proiezioni e sezioni, così da arrivare a una nuova figura piana, questa risulta costituita da una conica γ′ e da due fasci di centri U′, V′ su di essa. Se in questi due fasci si fanno corrispondere le rette che s'incontrano nei punti di γ′, si ottiene una corrispondenza che naturalmente non è più, in generale, un'uguaglianza diretta; e lo Steiner ha scoperto che si tratta d'una proiettività tra i due fasci (v. geometria), cioè d'una corrispondenza costruibile per mezzo di proiezioni e sezioni. Il risultato si può invertire; onde si è condotti a porre, con lo Steiner, la seguente definizione proiettiva delle coniche (teoricamente importante anche per le generalizzazioni di cui è suscettibile): si dice conica il luogo dei punti d'intersezione delle coppie di rette corrispondenti in due fasci complanari proiettivi, non prospettivi. Per comprendere la ragione di quest'ultima riserva si tenga conto che due fasci complanari U, V, si dicono prospettivi quando in essi si corrispondono le rette (fig. 4) che proiettano i punti d'una medesima retta ad essi complanare (asse di prospettività), nel qual caso è manifesto che il luogo delle intersezioni delle rette corrispondenti si spezza in codesto asse di prospettività e nella retta UV.
8. Per chiarire l'altra definizione proiettiva delle coniche cui dianzi alludemmo, fissiamo l'attenzione sulla corrispondenza che rispetto a una data conica y intercede fra i singoli punti del piano e le corrispondenti polari. Essa rientra come caso particolare in una classe di corrispondenze, le cosiddette correlazioni o reciprocità, la cui prima idea risale a A.F. Möbius, di poco posteriore al Poncelet. Al Möbius si deve il concetto generale di trasformazione o corrispondenza biunivoca sia nel piano sia nello spazio, e più particolarmente il concetto di omografia o collineazione. Limitatamente al caso di due piani π e π′, si designa con tale nome ogni corrispondenza biunivoca fra i punti di π e quelli di π′. in cui ai punti di una retta corrispondono i punti di una retta; e il Möbius riconobbe (in base anche a una considerazione di continuità, dimostrata poi superflua dallo Staudt) che le omografie fra piani non sono altro che le corrispondenm del Poncelet, costruibili per proiezioni e sezioni. Ora, accanto a queste omografie, il Möbius, ispirandosi a una veduta di generalità che doveva poi essere ulteriormente sviluppata dal Plücker, considerò anche le corrispondenze biunivoche fra i punti d'un piano π e le rette d'un altro π′, tali che agli ∞1 punti d'una retta qualsiasi di π corrispondano le rette d'un ben determinato fascio di π′ (e quindi alla retta sostegno degli ∞1 punti il centro di codesto fascio). Sono queste precisamente le correlazioni o reciprocità: e si possono considerare intercedenti anche fra due piani sovrapposti, nel qual caso per altro occorre, ogni qualvolta si parli di un elemento (punto o retta), dichiarare su quale dei due piani esso vada considerato. Orbene, la polarità rispetto a una conica (o corrispondenza fra i singoli punti del piano e le rispettive polari) è una particolare correlazione: precisamente è una correlazione involutoria, con che s'intende affermare che se un punto P descrive una retta q, la rispettiva polare descrive un fascio il cui centro Q ha precisamente per polare la retta q; in altre parole, se il piano s'immagina per un momento sdoppiato in due (l'uno all'altro sovrapposti), a un qualsiasi punto corrisponde la medesima retta, sia che lo si consideri sul primo o sul secondo piano. I punti della conica sono tutti e soli quelli che appartengono alle rispettive polari; ed è questa la proprietà assunta da R.G.C. Staudt per definire le coniche. Egli considerò a priori tutte le possibili correlazioni involutorie del piano (o polarità) e osservò che può darsi benissimo che in una tale corrispondenza non esista nessun punto che appartenga alla sua polare (polarità uniformi); ma se esiste un punto siffatto, ne esistono infiniti, costituenti una conica. Di qui la definizione dello Staudt: si dice conica il luogo dei punti appartenenti alla rispettiva polare in una polarità non uniforme.
9. Già qualche secolo prima dello Steiner e dello Staudt, un'altra definizione piana delle coniche era stata fornita dalla geometria analitica, costituita a metodo sistematico d'indagine per opera del Descartes e del Fermat (v. coordinate), presso a poco negli stessi anni in cui il Desargues aveva posto le prime basi della geometria proiettiva. Col sussidio delle coordinate cartesiane x, y le proprietà locali delle coniche, che già erano note ad Apollonio, si traducono in equazioni di 2° grado (a coefficienti reali) tra le coordinate x, y di un punto corrente sulla curva; e poiché, viceversa, si è potuto riconoscere che ogni equazione siffatta (quando ammetta qualche soluzione reale e il suo primo membro non sia decomponibile nel prodotto di due funzioni lineari) rappresenta una conica, si perviene alla preannunziata definizione: si dice conica ogni curva algebrica del 2° ordine (non degenere in due rette).
10. Proprietà elementari delle coniche. - Consideriamo una conica γ (non degenere; n.1), pensandola come sezione del suo piano π con un cono rotondo di vertice V (non giacente in π) e di asse r. Essa ammette, in ogni caso, come asse di simmetria la proiezione di r sul piano π, e questo asse interseca γ in due punti A, A′, se si tratta di un'ellisse o di un'iperbole, in un solo punto A se si tratta di una parabola (fig. 5). L'ellisse e l'iperbole ammettono come secondo asse di simmetria la perpendicolare ad AA′ nel suo punto medio O, e questo secondo asse interseca l'ellisse in due punti B, B′, equidistanti da O (risultando BB′ 〈 AA′), mentre è esterno all'iperbole. I quattro punti A, A′, B, B′ per l'ellisse, i due punti A, A′ per l'iperbole, il punto A per la parabola si dicono vertici. Gli assi di simmetria (due, fra loro ortogonali, per l'ellisse e l'iperbole, uno solo per la parabola) si dicono assi principali della conica; e più precisamente AA′ si chiama asse maggiore per l'ellisse (in quanto talvolta si designano col nome di assi anche gli stessi segmenti AA′, BB′), asse trasverso per l'iperbole, mentre l'altro asse si dice minore per l'ellisse, non trasverso o secondario per l'iperbole. Per entrambe queste specie di coniche il punto d'incontro O dei due assi (rispetto al quale asse sono simmetriche) si dice centro. La parabola non ha centro.
Dal punto di vista elementare, il modo più semplice di definire i fuochi è quello dovuto a G. P. Dandelin (in Nouveaux mémoires, II, Bruxelles 1822, pag. 172 e segg.). Delle infinite sfere inscritte nel cono (per ipotesi rotondo), due risultano tangenti al piano π nel caso dell'ellisse e dell'iperbole, una sola nel caso della parabola (fig. 6). Si dicono fuochi della conica i punti di contatto di codeste sfere col suo piano π, i quali perciò sono due, F, F′, per l'ellisse e l'iperbole, uno solo, F, per la parabola. Essi giacciono sull'asse principale, proiezione su π dell'asse del cono (cioè sull'asse maggiore dell'ellisse, e trasverso dell'iperbole, sull'unico asse per la parabola), il quale si dice perciò asse focale. Nel caso della ellisse e dell'iperbole i fuochi sono simmetricamente posti rispetto al centro O e risultano interni al segmento AA′ per la prima, esterni per la seconda. Per ciascuna delle sfere tangenti dianzi indicate, il piano del circolo di contatto col cono sega π secondo una retta perpendicolare all'asse focale, la quale si dice direttrice della conica, relativa al fuoco in cui la sfera tocca π. Si hanno così due direttrici per l'ellisse e l'iperbole, una sola per la parabola; e in ogni caso si tratta d'una retta esterna alla conica.
L'ellisse e l'iperbole godono rispettivamente delle due seguenti proprietà, ciascuna delle quali è, per la corrispondente conica, caratteristica, cosicché può assumersi come sua definizione (e si è cosi condotti per l'ellisse alla nota costruzione per mezzo d'un filo o "costruzione dei giardinieri"): L'ellisse è il luogo dei punti le cui distanze da due punti fissi (fuochi) hanno una somma costante (= AA′). L'iperbole è il luogo dei punti, le cui distanze da due punti fissi (fuochi)hanno una differenza costante in valore assoluto (= AA′).
Vale poi per tutte e tre le specie di coniche quest'altra proprietà pur essa caratteristica: una qualsiasi conica (che non sia un cerchio) è il luogo dei punti, le cui distanze da un punto (fuoco) e da una retta (corrispondente direttrice) fissi, stanno in un rapporto costante, detto eccentricità della conica; e indicato questo rapporto costante con e, si ha precisamente e 〈 1, e 〈 1, e = 1, secondo che si tratta di un'ellisse o di un'iperbole o d'una parabola.
Una conica γ, qualunque sia la sua specie, è proiettata da un qualsiasi punto fuori del suo piano π secondo un cono circolare; e anzi vi sono sempre ∞1 punti, da cui il cono proiettante risulti rotondo. Il luogo dei vertici di questi coni proiettanti rotondi è un'altra conica γ′ (detta conica focale della γ), la quale ha comune con γ l'asse focale, giace nel piano perpendicolare a π lungo questo asse e ammette come fuochi e vertici rispettivamente i vertici e i fuochi di γ. La relazione fra una conica e la sua focale è reciproca.
11. Proprietà proiettive delle coniche.- Partiamo dalla definizione dello Steiner (n. 7), che caratterizza una conica y come luogo dei punti d'intersezione delle rette corrispondenti di due fasci giacenti in uno stesso piano e aventi centri U, V distinti, fra i quali sia stabilita una corrispondenza proiettiva (che non sia una prospettività). Per la stessa definizione la conica γ passa per U e V (fig. 7). E questi due punti, sebbene sembrino così assumere un ufficio privilegiato nella definizione della conica, sono due punti generici di essa, in quanto si dimostra che se sulla γ si prendono altri due punti distinti U1, V1 quali si vogliano, e si fanno corrispondere le coppie di rette che da U1, V1 rispettivamente proiettano i singoli punti di γ, si ottiene ancora fra i due fasci di centri U1, V1 una ben determinata proiettività.
Se i due fasci proiettivi U, V si segano con una qualsiasi retta r non passante né per U né per V (cioè se su r si fanno corrispondere fra loro i punti d'intersezione con le coppie di rette corrispondentisi in U, V), si ottiene su r una proiettività, i cui eventuali punti uniti sono i punti comuni a r e γ; secondo che questa proiettività è iperbolica, parabolica o ellittica, la r ha comuni con γ due punti (secante), uno (tangente) o nessuno (retta esterna).
Per ogni punto di γ passa una tangente e una sola; in particolare la tangente in U (o in V) è la retta per U (o rispettivamente per V) che nella proiettività fra i due fasci corrisponde alla UV. L'insieme delle tangenti d'una conica è suscettibile d'una definizione, che è la duale di quella or ora ricordata per le coniche, come luoghi di punti: date in un piano due rette (o punteggiate) u, v distinte, fra le quali sia definita una proiettività (che non sia una prospettività), le congiungenti delle varie coppie di punti corrispondentisi sulle due punteggiate costituiscono l'insieme delle tangenti a una conica (conica-inviluppo).
12. Le definizioni proiettive dianzi chiarite per le coniche-luogo e per le coniche-inviluppo permettono di riconoscere quanti punti o tangentì occorrano e bastino per individuare una conica. Poiché tra due fasci complanari di rette risulta individuata una proiettività quando si assegnino ad arbitrio tre coppie di elementi i quali debbano corrispondersi (teorema fondamentale della geometria proiettiva), ogni qualvolta si prefissino nel piano 5 punti A, B, C, D, E (a tre a tre non allineati), basta far corrispondere alle tre rette AC, AD, AE uscenti da A, rispettivamente le rette BC, BD, BE uscenti da B (fig. 8), perché resti individuata fra i due fasci A, B una proiettività e quindi (come luogo dei punti d'intersezione delle rette in essi corrispondentisi) una conica passante per i cinque punti. Abbiamo dunque che 5 punti, a 3 a 3 non allineati, individuano una conica. E se si fa coincidere per continuità E con A e successivamente C con B, si riconosce che una conica è ugualmente individuata da 4 punti e dalla tangente in uno di essi, oppure da 3 punti e dalle tangenti in 2 di essi. Dualmente si ha che una conica è individuata da 5 tangenti, oppure da 4 tangenti e dal punto di contatto di una di esse, o infine da 3 tangenti e dai punti di contatto di 2 di esse.
Si vede così in particolare che per quattro punti A, B, C, D (di cui nessuna terna sia allineata) passano infinite coniche (una e una sola per ciascun punto generico del piano). Queste ∞1, coniche si dice che costituiscono un fascio (di punti-base A, B, C, D).
Le stesse definizioni dello Steiner permettono di costruire linearmente (cioè con l'uso della sola riga) quanti punti (o dualmente quante tangenti) si vogliano di una conica individuata in uno dei modi or ora detti: p. es., dati della conica 5 punti A, B, C, D, E, si può determinare l'ulteriore intersezione con la conica di una qualsiasi retta a uscente da A (basta intersecarla con la retta per B, corrispondente ad a nella proiettività fra i due fasci A e B, in cui ad AC, AD, AE, corrispondono rispettivamente BC, BD, BE).
13. Nella teoria proiettiva delle coniche hanno ufficio essenziale i seguenti tre teoremi, di cui i primi due sono fra loro duali:
1. Teorema del Pascal. - Se un esagono semplice ABCDEF è inscritto in una conica (fig. 9), le tre coppie di lati opposti (AB e DE, BC ed EF, CD ed FA) s'incontrano in tre punti di una stessa retta p (retta del Pascal relativa all'esagono).
2. Teorema del Brianchon. - Se un esalatero semplice abcdef è circoscritto a una conica (fig. 10), le tre coppie di vertici opposti (ab e de, bc e ef, cd e fa) determinano tre rette passanti per uno stesso punto P (punto del Brianchon relativo all'esalatero).
3. Teorema del Desargues. - Se un quadrangolo completo è inscritto in una conica (fig. 11), ogni secante della conica, che non passi per alcun vertice del quadrangolo, la sega in due punti, che sono coniugati nella involuzione, a cui appartengono le intersezioni delle tre coppie di lati opposti del quadrangolo.
Circa il teorema del Pascal, rileviamo che, presi su di una conica sei punti A, B, C, D, E, F, s; possono formare con essi 60 diversi esagoni semplici (quante sono le permutazioni di 6 oggetti pensati in ordine chiuso). Le corrispondenti 60 rette del Pascal costituiscono una configurazione che è stata oggetto di studio da parte di molti geometri (in particolare di G. Veronese) e che lo stesso Pascal chiamò "esagramma mistico".
Dei teoremi del Pascal e del Brianchon sono utili i casi limiti, cui si perviene facendo per continuità coincidere una o due o tre coppie di vertici o di lati consecutivi (pentagono inscritto e tangente in un vertice, pentalatero circoscritto e punto di contatto d'uno dei suoi lati, quadrangolo inscritto e tangenti in due vertici opposti, ecc.). Le varie proposizioni che cosi si ottengono, come già i teoremi 1,2, sono invertibili e perciò permettono di costruire per punti o per tangenti una conica individuata per mezzo di opportune condizioni (n. prec.). Per es., datine 5 punti A, B, C, D, E e presa per A una retta a ad arbitrio, l'ulteriore intersezione X di questa con la conica si costruisce ricorrendo alla retta del Pascal relativa all'esagono ABCDEX, la quale risulta individuata come congiungente i due punti d'intersezione di AB, DE e di CD, XA = a (fig. 12).
Il teorema del Desargues conduce invece alla soluzione di problemi di secondo grado, di cui il più semplice è il seguente: costruire una conica, la quale passi per quattro punti A, B, C, D (di cui nessuna terna sia allineata) e risulti tangente a una retta a, non passante per alcuno di essi. Le coniche del fascio di punti-base A, B, C, D segano la a secondo coppie dell'involuzione, cui appartengono le intersezioni de le coppie di rette (coniche degeneri del fascio) AB e CD, AC e BD, AD e BC. Due di queste tre ultime coppie d'intersezioni bastano a individuare l'involuzione; e di questa gli eventuali punti di contatto con a di coniche passanti per A, B, C, D sono i punti doppî. Si giunge così al problema di determinare i punti doppî di un'involuzione (problema tipico di 2° grado).
14. Alla soluzione del problema fondamentale or ora indicato si perviene nel modo seguente. Poiché quattro punti A, B, C, D d'una conica y sono proiettati dagli altri punti di essa secondo quaderne che risultano fra loro tutte proiettive, è lecito chiamare armonica una tale quaderna di punti, quando sia proiettata secondo una quaderna armonica di rette da un punto della γ; e si può chiamare proiettività fra due coniche γ, γ′, considerate come luoghi di punti (o punteggiate coniche), ogni corrispondenza biunivoca fra i loro punti, la quale faccia corrispondere a ogni quaderna armonica di punti di γ una quaderna parimenti armonica di punti di γ′. Queste proiettività non sono altro che quelle corrispondenze che si ottengono segando con le due coniche due fasci proiettivi aventi rispettivamente su di esse i loro centri; e una qualsiasi di queste proiettività fra coniche risulta individuata quando se ne assegnino tre coppie di punti corrispondenti. Si consideri in particolare una proiettività tra due punteggiate coniche sovrapposte γ = γ′: come nel caso delle proiettività fra punteggiate rettilinee, a una tale proiettività risultano associati (fig. 13) un asse di collineazione (luogo dei punti d'intersezione delle coppie di rette AB′ e A′B, AC′ e A′C, BC′ e B′C,... se A e A′, B e B′, C e C′,... sono punti corrispondenti) e, dualmente, un centro di collineazione (punto di concorso delle congiungenti delle coppie di punti ab′ e a′b, ac′ e a′c, bc′ e b′c,... se a e a′, b e b′, c e c′,... sono tangenti alla conica in coppie di punti corrispondenti). Le eventuali intersezioni dell'asse di collineazione con la conica sono i punti uniti della proiettività considerata.
Fra le proiettività tra punteggiate coniche sovrapposte si possono considerare le involuzioni (come quelle che coincidono con le loro inverse o, in altre parole, sono tali che gli elementi omologhi vi si corrispondano in doppio modo) e in questo caso si riconosce che le coppie di punti omologhi A e A', B e B′,... ecc., sono allineate (fig. 14) col centro P di collineazione (che qui si dice centro o polo dell'involuzione), mentre le rispettive tangenti a e a′, b e b′,... concorrono sull'asse p di collineazione (detto in questo caso asse d'involuzione). I punti doppî dell'involuzione sono i punti di contatto delle eventuali tangenti alla conica uscenti da P, ossia le eventuali intersezioni della conica con p.
Di qui il modo di determinare i punti doppî d'una involuzione data su di una retta r (costruzione dello Steiner); due coppie di punti omologhi nell'involuzione A e A′, B e B′ (quante bastano a determinarla) si proiettano da un punto U di una conica γ su di essa in A1 e A1 ′, B1 e B1 ′; costruito l'asse dell'involuzione così definita su γ (cioè la congiungente dei punti d'intersezione di AB- e A′B e di AB e A′B′), si riproiettano su r le eventuali intersezioni di codesto asse con la conica. Questa costruzione è eseguibile con riga e compasso, in quanto si può sempre prendere come conica γ un cerchio (fig. 15).
15. Se nel piano di una conica y si prende un punto P, non giacente su di essa, i coniugati armonici di P rispetto alle coppie di punti di y, allineati con P, appartengono tutti a una medesima retta p, la quale gode altresi delle due seguenti proprietà, ciascuna delle quali è atta a caratterizzarla: contiene i punti d'intersezione delle tangenti a y nelle coppie di punti allineati con p (in particolare i punti di contatto delle eventuali tangenti per P a γ) e gli ulteriori punti diagonali di ogni quadrangolo completo iscritto in γ, che abbia un punto diagonale in P (fig. 16). La retta p si dice polare di P.
Dualmente, se nel piano di γ si prende una retta p non tangente a γ, le coniugate armoniche di p rispetto alle coppie di tangenti a γ, che si possono condurre dai varî punti di p, passano tutte per un medesimo punto P che gode, altresì, delle due seguenti proprietà, pur esse caratteristiche: passano per P le congiungenti dei punti di contatto delle coppie di tangenti a γ, che s' incontrano su p (in particolare le tangenti nelle eventuali intersezioni di p con γ) e le ulteriori rette diagonali di ogni quadrilatero completo circoscritto a γ, il quale abbia una retta diagonale in p. Il punto P si dice polo della p rispetto alla conica, e la relazione tra polo e polare è reciproca nel senso che se p è la polare di P, P è il polo di p.
Secondo che P è esterno o interno alla conica, la rispettiva polare è segante o esterna; e nell'uno e nell'altro caso non passa per p. Se poi un punto P è sulla conica, si assume (per ragioni di continuità) come sua polare la tangente in P; e in tal modo risulta definita, rispetto alla data conica γ, una corrispondenza biunivoca fra i punti e le rette del piano, la quale si dice polarità relativa alla conica (fondamentale) γ.
Se un punto P descrive una retta q, la polare p di P descrive il fascio che ha per centro il polo Q di q. La polarità è dunque una correlazione e anzi una correlazione involutoria, in quanto in essa i punti e le rette omologhi si corrispondono in doppio modo. Essa si dice non uniforme in quanto ammette punti (tutti e soli quelli della conica γ) che appartengono alla rispettiva polare. Come già si è accennato al n. 8, si può (seguendo lo Staudt) considerare a priori nel piano le correlazioni involutorie non uniformi e definire la conica come loro luogo fondamentale: per una teoria delle coniche da questo punto di vista si vedano le Lezioni di geometria proiettiva di F. Enriques, citate nella bibliografia.
Due punti P e Q si dicono coniugati rispetto alla conica y, o alla rispettiva polarilà, se la polare di P passa per Q (e quindi la polare di Q per P); e dualmente si definiscono le rette coniugate. I punti di una qualsiasi retta r non tangente a γ sono a due a due coniugati, e queste coppie costituiscono un'involuzione (ellittica se la retta è esterna a γ, iperbolica se è secante, nel qual caso le due intersezioni sono i punti doppî). Su di una generica tangente a γ, il punto di contatto P ha come coniugati, oltre sé stesso, tutti gli altri punti della retta, mentre ciascuno di questi ha come coniugato P, talché l'involuzione delle coppie di punti coniugati è in questo caso degenere; e valgono i risultati duali nei fasci di rette uscenti dai singoli punti del piano.
16. Le proprietà metriche delle coniche si deducono dalle proprieta proiettive dianzi accennate, mettendole in relazione con la retta impropria del piano. Anzitutto una conica è un'ellisse o un'iperbole o una parabola, secondo che rispetto ad essa la retta all'infinito è esterna, secante o tangente.
Preso un qualsiasi punto improprio P∞, la sua polare p (come contenente i coniugati armonici di P∞ rispetto alle coppie di punti di γ allineate con P) biseca tutte le corde di γ parallele alla direzione di P∞, (fig. 17). Perciò ogni polare di un punto improprio si dice diametro della conica. Tutti i diametri (come polari dei punti della retta impropria) passano per il polo di questa, il quale per l'ellisse e per l'iperbole è un punto proprio O, per la parabola è un punto improprio O∞. Nel primo caso il punto O è centro di simmetria della conica (interno per l'ellisse, esterno per l'iperbole), onde l'ellisse e l'iperbole si sogliono dire coniche a centro. Per queste coniche a ogni diametro p è coniugato un altro diametro q (bisecante tutte le corde parallele a p, mentre alla sua volta q biseca tutte le corde parallele a p) e queste coppie di diametri coniugati appartengono a un'involuzione. Se in questa involuzione tutte le coppie di diametri coniugati sono ortogonali, la conica, come dotata di simmetria ortogonale rispetto a ogni suo diametro, si riduce a un cerchio. Escluso questo caso particolare, nell'involuzione dei diametri coniugati esiste una coppia, e una sola, di diametri coniugati e ortogonali (assi di simmetria ortogonale della conica), tutti e due secanti (nei quattro vertici) per l'ellisse, uno secante, l'altro esterno per l'iperbole. Sono questi gli assi (principali).
Un diametro non può essere coniugato di sé stesso se non quando risulti tangente (per necessità in un punto improprio) alla conica, cosicché l'ellisse non ammette nessun diametro coniugato di sé stesso, mentre l'iperbole ne ammette due, e queste tangenti nei due punti improprî si chiamano i suoi asintoti (fig. 18).
Per la parabola tutti i diametri sono paralleli (in quanto passano per O∞) e segano la conica ciascuno in un sol punto proprio. Ogni diametro è asse di simmetria nella direzione coniugata, la quale è in generale obliqua; un diametro e uno solo è coniugato alla direzione ortogonale, ed è l'asse (principale) della parabola. Per definire da questo punto di vista i fuochi, si ricordi che per ogni punto, rispetto alla conica, risulta definita un'involuzione fra le coppie di rette coniugate. I fuochi si possono caratterizzare come quei punti in cui siffatte coppie di rette coniugate sono tutte ortogonali; e da tale definizione è agevole dedurre le notevoli proprietà angolari e segmentarie che i fuochi godono in relazione alle corde, alle tangenti, alle normali, ecc. Le direttrici sono le polari dei fuochi.
17. Trattazione analitica. - Equazioni canoniche delle coniche a centro. - Si considerino l'ellisse e l'iperbole come luoghi dei punti le cui distanze da due punti fissi F, F′ hanno uguale a una costante 2a la somma e, rispettivamente, la differenza in valore assoluto (n. 10). Posto FF′ = 2c (con c 〈 a nel caso dell'ellisse, c > a nel caso dell'iperbole) e adottate come asse delle x la retta F′F, come asse delle γ la perpendicolare ad FF′ nel suo punto medio O (fig. 19), si trova come equazione del luogo (così riferito ai suoi assi principali) la
dove b2 = a2 ∓ c2, valendo il segno superiore per l'ellisse, quello inferiore per l'iperbole. Per l'ellisse a e b sono i semiassi, rispettivamente maggiore e minore; p, er l'iperbole a è il semiasse trasverso, e b si chiama talvolta semiasse non trasverso o secondario, per quanto in realtà l'asse delle y non intersechi la curva in punti reali, bensì nei due punti immaginarî coniugati ± ib.
Per entrambe le coniche a centro le equazioni delle direttrici, l'eccentricità e (rapporto delle distanze di un generico punto della conica da un fuoco e dalla rispettiva direttrice) e il parametro p (metà della corda passante per il fuoco e perpendicolare all'asse focale) sono dati da
Infine le equazioni degli asintoti dell'iperbole (tangenti nei punti all'infinito) sono
Per a = b l'ellisse si riduce al cerchio di raggio a, l'iperbole alla cosiddetta iperbole equilatera, caratterizzata dalla proprietà di avere gli asintoti ortogonali.
Se si confronta l'equazione dell'ellisse con l'equazione x2 + y2 = a2 del cerchio a essa concentrico, che ha per raggio il semiasse maggiore a, se ne deduce rispettivamente
onde si riconosce che l'ellisse si può costruire per punti, riducendo le ordinate dei singoli punti del circolo nel rapporto b/a (fig. 20). Ciò si può esprimere dicendo che l'ellisse è la curva corrispondente al cerchio nell'omologia affine ortogonale di asse x e di rapporto b/a.
Notiamo, in via incidentale, che più generalmente ogni conica si può costruire (linearmente) per punti come corrispondente a un cerchio in un'omologia: si ottiene un'ellisse, un'iperbole o una parabola secondo che il cerchio è tutto da una parte o secante o tangente rispetto alla prima retta limite dell'omologia (cioè alla retta cui corrisponde la retta all'infinito).
Per il generico punto M dell'ellisse si dice anomalia eccentrica (Keplero) l'angolo AOM1 (fig. 20), che permette di rappresentare parametricamente l'ellisse mediante le equazioni
che, ove si ponga t = tang (u/2), diventano
e inettono in luce la natura razionale dell'ellisse.
Similmente le equazioni parametriche dell'iperbole si possono scrivere, ricorrendo alle funzioni iperboliche (v. funzione: Funzioni notevoli):
o anche, ponendo t = tangh (u/2)
Va infine rilevato che l'equazione di un'iperbole, riferita ai suoi asintoti come assi coordinati, assume l'aspetto
dove k è una costante.
18. Equazione canonica della parabola. - La parabola si consideri (n. 10) come luogo dei punti equidistanti da un punto F(fuoco) e da una retta d (direttrice). Se s' indica con p la distanza del dato fuoco F da d e si adottano come asse delle x la perpendicolare da F alla d (orientata da d verso F) e come asse y la parallela alla d, equidistante da questa e da F (fig. 21), si trova come equazione della parabola (riferita all'asse e alla tangente nel vertice) la
e si riconosce che p è precisamente il parametro. Scambiando x con y ed eseguendo una qualsiasi traslazione degli assi, si riconosce che un'equazione del tipo
dove a, b, c sono tre numeri dati, rappresenta sempre una parabola ad asse parallelo all'asse delle y, volgente la concavità in alto o in basso secondo che a è positivo o negativo, e avente per vertice il punto di coordinate - b/ (2 a), (4 ac - b2)/(4 a).
19. Equazione polare delle coniche. - Una delle proprietà salienti dei fuochi si è che la distanza da un fuoco a un qualsiasi punto della conica è esprimibile linearmente per mezzo della sua proiezione sull'asse focale; precisamente denotando codesta distanza con ρ e tenendo conto delle equazioni canoniche (1) e (3), si trova, rispettivamente per l'ellisse, l'iperbola e la parabola
cosicché nel sistema di coordinate polari ρ, ϕ, che ha per polo il fuoco e per asse polare l'asse focale (orientato dal fuoco verso la corrispondente direttrice) una conica di qualsiasi specie risulta rappresentata dall'equazione
dove giova ricordare che è e 〈 1 o e > 1 o e = 1 secondo che si tratta di un'ellisse o di un'iperbole o d'una parabola (n. 10).
20. Teoria generale. - Nel piano riferito a coordinate omogenee (cartesiane o anche proiettive) x1: x2: x3, si consideri la più generale equazione (omogenea) di 2° grado (e a coefficienti reali), che si può scrivere
dove, per simmetria delle formule, si conviene una volta per tutte di poter scrivere in luogo di a12, a13, a23 (semicoefficienti dei termini rettangoli) indifferentemente a21, a31, a32. Questa equazione rappresenta la più generale curva algebrica del 2° ordine, che qui chiameremo senz'altro conica: la coincidenza di questa nuova definizione con quella elementare o con quella proiettiva risulterà dal seguito.
Fondamentale per le considerazioni che qui si vogliono accennare è la cosiddetta formula del Joachimstal: se si fissano due punti P (x1:x2:x3), P′ (x1′: x2′ : x3′), le coordinate di ogni punto della loro congiungente sono date da λx1 + λ′x1′, λx2 + λ′x2′, λx3 + λ′x3′ dove λ/λ è un parametro arbitrario; i valori di questo parametro corrispondenti alle eventuali intersezioni della retta P P′ con la curva di equazione (4) sono dati dalla equazione quadratica
dove il coefficiente di 2λλ′ è la forma polare della forma quadratica ternaria f(x1, x2, x3); precisamente, posto
si ha per definizione
Il determinante del 3° ordine dei coefficienti delle tre semiderivate (6) di f
si dice discrimínante della forma f o della conica definita dalla (4); e in base alla (5) si riconosce che l'annullarsi di A è la condizione necessaria e sufficiente perché la f si spezzi nel prodotto di due trinomî di 1° grado, ossia perché la conica degeneri in una coppia di rette (reali o immaginarie). Perché poi queste due rette coincidano (nel qual caso si tratta di una retta reale contata due volte) occorre e basta che si annullino insieme con A anche tutti i suoi minori del 2° ordine.
Esclusa l'ipotesi A = 0, si deduce dalla stessa (5) che la polare di un generico punto P′ (x1′, x2′, x3′) rispetto alla conica (in particolare la tangente alla conica in P′, se questo punto è sulla conica) è definita dalla equazione
Se con u1: u2: u3 si denotano le coordinate omogenee di retta (nel sistema associato al sistema puntuale x1: x2: x3 adottato), intercedono fra le coordinate x1: x2: x3 di un generico punto e le coordinate u1: u2.: u3, della rispettiva polare le equazioni
dove ρ denota un arbitrario fattore di proporzionalità. Sono queste le equazioni della polarità definita dalla conica (4).
L'equazione dell'inviluppo delle tangenti alla conica (rette coniugate di sé stesse) è data da
e ove si denoti con Ars il complemento algebrico di ars nel discriminante A, si può scrivere:
È questa l'equazione di un inviluppo di 2ª classe, cioè dell'ente duale della curva algebrica del 2° ordine. Giova qui notare che un inviluppo di 2ª classe d'equazione (8), considerato a priori, può degenerare; e ciò si verifica ogni qualvolta sia nullo il rispettivo discriminante, cioè il determinante dei coefficienti Ars. In questo caso l'inviluppo si spezza in due fasci di rette, i quali risultano coincidenti sempre e solo quando siano nulli anche tutti i minori del 2° ordine di codesto discriminante. Ora va rilevato che se la (8) proviene nel modo dianzi indicato dall'equazione (4) d'una conica degenere in due rette distinte, essa rappresenta precisamente il fascio (contato due volte) che ha per centro il punto comune a codeste rette; mentre invece se la (4) rappresenta due rette coincidenti, l'equazione (8), in quanto gli As sono tutti nulli, si riduce a un'identità. Così, dualmente, a un inviluppo di 2ª classe degenere in due fasci distinti risulta associato come luogo di punti del 2° ordine la degenere in due fasci coincidenti non risulta collegato nessun determinato luogo di 2° ordine.
21. Passiamo alle proprietà metriche e a tal fine supponiamo che le coordinate omogenee x1: x2: x3 siano cartesiane ortogonali; si passerà alle coordinate cartesiane ordinarie, di cui qui ci varremo, ponendo x:y:1 = x1:x2:x3 (v. coordinate).
Anzitutto, per trovare le eventuali intersezioni della conica con la retta impropria, di equazione x3 = 0, basta far coesistere questa equazione con la (4), talché si è condotti all'equazione quadratica
il cui discriminante è dato da a122 − a11 a22 = − A33. Perciò la retta all'infinito è esterna, secante o tangente alla conica, secondo che è
Se A ≶ 0, cioè se la conica non è degenere, si dice senz'altro che si tratta rispetivamente di un'ellisse o d'una iperbole o d'una parabola (e l'accordo con le definizioni elementari o proiettive risulterà fra un momento). Se poi è A = 0, si ottiene rispettivamente una coppia di rette complesse coniugate (coppia ellittica) oppure reali e di direzioni diverse (coppia iperbolica) oppure reali e parallele o, in particolare, coincidenti (coppia parabolica).
Escludiamo oramai le coniche degeneri, cioè supponiamo A ≶ 0 ed esaminiamo anzitutto il caso A33 ≷ o (coniche a centro).
Le polari dei punti improprî 1:0:0 e 0:1:0 rispettivamente dell'asse delle x e delle y (cioè i diametri coniugati alle direzioni degli assi) risultano dati, in base alle (7), dalle equazioni (in coordinate ordinarie)
onde il loro punto comune (centro della conica) ha per coordinate A31/A33, A32/A33. Ogni altro diametro ha come equazione una combinazione lineare delle (9). Se m, m′ sono i rapporti direttivi di due diametri coniugati, sussiste fra essi l'equazione (ottenuta esprimendo che la polare del punto improprio 1: m: 0 passa per il punto improprio 1: m′: 0)
È questa l'equazione dell'involuzione dei diametri coniugati. I rappo1ti direttivi degli eventuali diametri coniugati di sé stessi (asintoti) sono definiti dalla
la quale ammette radici reali sempre e solo quando sia A33 〈 o, cioè per l'iperbole. Risulta di qui che se x0, y0 sono le coordinate del centro, l'equazione complessiva degli asintoti è data da
Facendo coesistere con la (10) la condizione di perpendicolarità mm′ = − 1, si trova che i rapporti direttivi dei diametri coniugati alla direzione ortogonale sono le radici dell'equazione di 2° grado in m
che, avendo il discriminante sempre positivo, ammette in ogni caso due radici reali di prodotto uguale a - 1 e quindi corrispondenti a due diametri ortogonali, salvo quando sia identicamente soddisfatta, cioè si abbia a12 = 0, a11 = a22, il che accade sempre e solo quando la conica si riduce a un cerchio (v. cerchio). Escluso questo caso, le due radici reali della (11) dànno i rapporti direttivi degli assi principali, e basta, con una trasformazione delle coordinate, riferire la conica a codesti assi per trovare che la nuova equazione è del tipo
dove il prodotto pq (che è il nuovo A33) ha lo stesso segno dell'A33, primitivo.
Se A33, e quindi pq, è positivo, sono possibili per p e q le due combinazioni di segno + + e − −: nel primo caso la (12) è del tipo (1) col segno + e rappresenta perciò un'ellisse; nel secondo non ammette nessuna soluzione reale e, per analogia formale, si suol dire che definisce un'ellisse immaginaria. È questo (insieme con la coppia ellittica di rette) il solo caso nuovo, che viene introdotto dalla definizione analitica di conica in confronto di quella elementare (o anche proiettiva).
Se poi A33, e quindi pq, è negativo, le combinazioni di segno possibili per p e q sono + − e − +: nel primo caso la (12) è del tipo (1) col segno - e rappresenta un'iperbole; nel secondo è riducibile al medesimo tipo con lo scambio di x con y e quindi dà un'iperbole avente come asse trasverso l'asse delle y anziché quello delle x.
Supponiamo infine che nella (4) sia A33 = 0. I due diametri (9), coniugati alle direzioni degli assi, risultano fra loro paralleli nella direzione di rapporto direttivo − a11/a12 = − a21/a22, cosicché sono pur paralleli fra loro e ai due precedenti anche tutti gli altri diametri. Il solo diametro, che sia coniugato alla direzione ortogonale, è definito da
che si ottiene cercando la polare del punto improprio a11: a12: 0, ossia a12: a22: 0. È questo l'unico asse della conica e basta riferirne l'equazione a questo asse e alla tangente nell'estremo per ridurla al tipo (3) e quindi riconoscere che si tratta effettivamente di una parabola.
I criterî cosi ottenuti per riconoscere la specie della conica rappresentata da una qualsiasi equazione (4) sono riassunti nella tabella:
22. Fasci e schiere di coniche. - Date due coniche di equazioni (x,y) = 0, ϕ (x, y) = 0, si dice sistema lineare ∞1 o fascio di coniche l'insieme di tutte le coniche rappresentate dall'equazione λf + μϕ = 0 al variare del parametro λ/μ. Le proprietà fondamentali di un tale fascio sono:1. ogni punto (reale o immaginario) comune alle due coniche f = 0, ϕ = 0 è comune anche a tutte le altre coniche del fascio (e si dice punto-base del fascio); 2. per ogni altro punto del piano passa una conica del fascio e una sola. Si noti che qui il concetto di "fascio" assume un senso più largo di quello del n. 12, dove si trattava dei fasci di coniche aventi quattro punti-base (reali e distinti). Per il teorema del Bezout (v. algebra, n. 46) il sistema di equazioni f = 0, ϕ = 0 ammette sempre 4 soluzioni, ma può darsi che 2 o anche tutte e 4 siano complesse, o che, mantenendosi reali, coincidano in parte o tutte, dando cosi luogo rispettivamente a punti-base immaginarî o a punti di contatto (fissi) per le curve del fascio.
Duale del fascio di coniche-luogo è la schiera di coniche-inviluppo λ F (u, v) + μ Φ (u, v) = 0, dove F (u, v) = 0, Φ (u, v) = 0 rappresentano due coniche-inviluppo quali si vogliano: ogni tangente (reale o immaginaria) comune a queste due è comune anche a tutte le rimanenti coniche della schiera, mentre ogni altra retta del piano è toccata da una di queste coniche e da una sola.
In generale le coniche d'un fascio, considerate come inviluppi, non costituiscono una schiera: ciò avviene soltanto (e si ha un fascio-schiera) per le coniche aventi fra loro due contatti semplici (in due punti fissi) o un contatto quadripunto (in un punto fisso).
Rimandiamo ai trattati speciali per maggiori particolari sull'argomento, come pure per lo studio dei sistemi lineari di coniche ∞r con r > 1 e dei sistemi ∞1 algebrici, ma non più lineari, per i quali ultimi, a opera di Steiner, De Jonquières, Cremona, Chasles, Cayley, Zeuthen, Schubert, ecc., è stata sviluppata la cosiddetta teoria delle caratteristiche (numeri delle coniche del sistema passanti per un punto generico e di quelle tangenti a una retta generica), che segna gl'inizî della geometria numerativa (cfr. F. Enriques-O. Chisini, Lezioni sulla teoria geom. delle equazioni e delle funz. alg., I, Bologna 1915, II, 11, n. 25).
Qui, a complemento di quanto si è già detto, aggiungiamo che costituiscono una schiera sia tutte le coniche a centro aventi comuni, in due punti fissi, i fuochi, sia tutte le parabole aventi comuni il fuoco e il punto all'infin;to (coniche confocali od omofocali). Una schiera di coniche a centro confocali, riferita agli assi principali comuni alle sue coniche, è rappresentata, in coordinate cartesiane, dall'equazione
dove a e b sono costanti date e λ è il parametro, mentre una schiera di parabole confocali (e coassiali), riferita all'asse focale come asse delle x e al fuoco come origine, ha l'equazione
Della schiera (13) passano per ogni punto del piano due coniche, di cui una è un'ellisse, l'altra un'iperbole, segantisi ortogonalmente in quattro punti, simmetricamente posti rispetto agli assi (fig. 22), mentre due coniche della stessa specie non hanno mai punti comuni. Della schiera (14) passano per ogni punto due parabole, che si segano ortogonalmente in due punti simmetrici rispetto all'asse focale (fig. 23). Questi due sistemi doppî ortogonali di coniche confocali costituiscono le linee coordinate delle coordinate ellittiche e paraboliche del piano (v. coordinate, n. 28).
23. Quadrature e rettificazioni. - Già Archimede, nell'opuscolo sulla quadratura della parabola (Opera omnia, II, Lipsia 1913, pp. 263-315), determinò l'area del segmento parabolico come uguale ai 4/3 di quella del triangolo che ha la stessa base del segmento e il vertice nel punto di contatto della tangente alla parabola, parallela a codesta base (fig. 24); e nel De conoidibus et sphaeroidibus (ibid., I, Lipsia 1910, pp. 246-445) assegnò l'area πab dell'ellisse di semiassi a e b. In ogni caso l'area d'un settore di conica di qualsiasi specie è dato da un integrale calcolabile per mezzo di funzioni elementari (razionali, radicali, trigonometriche e logaritmiche).
Altrettanto si dica della lunghezza d'un qualsiasi arco di parabola. Invece la rettificazione dell'ellisse e dell'iperbole costituisce un problema d'ordine più elevato. Hanno in proposito un notevole interesse storico i teoremi di G. Fagnano (1750) sulla determinazione di archi d'ellisse e d'iperbole, la cui differenza sia costruibile elementarmente (cioè con riga e compasso) e ad essi vanno ravvicinati i risultati di J. Landen (1771-1775) sull'esprimibilità di ogni arco iperbolico per mezzo di due archi d'ellisse e gli ulteriori, svariati contributi recati a quest'ordine di questioni da Eulero. La lunghezza d'un generico arco d'ellisse (o d'iperbole) si può esprimere (Legendre 1786) per mezzo di quei particolari integrali, che appunto furono detti ellittici e che, fornendo il primo esempio di funzioni non riducibili a funzioni elementari, aprirono l'adito alla moderna teoria delle funzioni (v. funzione: Funzioni notevoli).
24. Le coniche nelle applicazioni. - Come si è già visto, lo studio delle coniche ha dato lo spunto a molte teorie geometriche. D'altra parte varî ordini di ricerche meccaniche o fisiche (vedi n. 1) hanno trovato nella teoria delle coniche un mezzo espressivo di rappresentazione e di schematizzazione. Ecco qualche esempio fra i più semplici.
Le trasformazioni birazionali, o cremoniane, quadratiche fra due piani, si ottengono facendo corrispondere proiettivamente alle coniche d'una rete (o sistema lineare ∞2) λf + μf′ + νf″ = 0 d' un piano π (dove f = 0, f′ = o, f″ = 0 rappresentano tre coniche aventi comuni tre punti, distinti o no, e λ : μ : ν denotano tre parametri omogenei) le rette d'un altro piano π′. A un punto generico di π, punto-base d'un fasc: o della rete, corrisponderà su π′ il centro del fascio di rette corrispondente. Di conseguenza alle rette di π′ verranno a corrispondere su π le coniche di una rete analoga, e fra i punti dei due piani risulterà definita una corrispondenza biunivoca algebrica (non proiettiva).
In meccanica un punto, animato da due moti componenti rettilinei in direzioni diverse, l'uno uniforme, l'altro uniformemente vario, descrive una traiettoria parabolica: esempio tipico il moto dei gravi, lanciati nel vuoto in direzione non verticale (v. cinematica). Così il moto risultante di due moti armonici di eguale centro, lungo due rette ortogonali e sfasati d'un quarto di periodo, è un moto ellittico (v. armonico: Moto armonico); e questo fatto ha notevole importanza nello studio dei fenomeni ottici ed elettromagnetici. Infine la traiettoria d'un punto lanciato in una direzione qualsiasi e attratto da un centro con forza inversamente proporzionale al quadrato della distanza (legge del Newton, del Coulomb, ecc.) è una conica avente un fuoco nel centro di attrazione (moti kepleriani: v. cinematica). L'esempio più cospicuo è dato dai moti planetarî, ma anche la più recente fisica dell'atomo introduce la considerazione di questi moti kepleriani nello studio, in prima approssimazione, del comportamento degli elettroni rispetto al nucleo.
Bibl.: Per la storia fino al sec. XVII: H.G. Zeuthen, Die Lehre von der Kegelschnitte im Alterthum, Copenaghen 1886; id., Geschichte der Mathematik im XVI. und XVII. Jahrhundert, Lipsia 1903. - Per le teorie proiettive: F. Enriques, Lezioni di geometria proiettiva, Bologna 1898, 4ª ed., 1922; F. Severi, Geometria proiettiva, Padova 1922, 2ª ed., Firenze 1926. - Per le teorie analitiche, v. la bibl. della voce coordinate, e, per una trattazione d'insieme, l'art. di F. Dingeldey, Kegelschnitte und Kegelschnittsysteme, in Encyklopädie der math. Wiss., III, ii, i, Lipsia 1903-1915, pp. 1-160.