Abstract
I Consigli giudiziari (e il Consiglio direttivo della Corte di Cassazione limitatamente a quest’ultima), organi decentrati che svolgono attività per il funzionamento dell’autogoverno della magistratura in ogni distretto di Corte d’appello e in ausilio del Consiglio Superiore della Magistratura, sono esaminati con particolare riguardo alla loro composizione, ai criteri di elezione dei membri, alle competenze e al ruolo sempre più rilevante dagli stessi ricoperto, anche con riferimento alla componente non togata.
I Consigli giudiziari sono organi di amministrazione della giurisdizione istituiti presso ogni distretto di Corte d’appello, che svolgono attività per il funzionamento dell’autogoverno della magistratura in ausilio del Consiglio superiore della magistratura e in posizione di subordinazione solo funzionale e non gerarchica rispetto a quest’ultimo (Azzali, C., I Consigli giudiziari, Padova, 1988, 217-218; Volpe, G., Ordinamento giudiziario generale, in Enc. dir., XXX, Milano, 1980, 881; delibera del 20 ottobre 1999 del Consiglio superiore della magistratura; Pizzorusso, A., Organizzazione della giustizia – profili generali, in Enc. dir. agg. IV, Milano, 2000, 912; Pomodoro, L.-Pretti, D., Manuale di ordinamento giudiziario, Torino, 2012, 73).
V’è chi sostiene (Azzali, C., op. cit., 30 ss.; Pomodoro, L.-Pretti, D., op. cit., 78; Fantacchiotti, M.-Fiandanese, F., Il nuovo ordinamento giudiziario, Padova, 2008, 93) che l’origine dei Consigli giudiziari debba farsi risalire alle “Commissioni di sindacato” istituite dal R.d. 25.10.1864 s.n. in ogni circondario del Regno, composte dal presidente, dal procuratore generale e dal capo ufficio istruzione del Tribunale. Successivamente, furono istituite “commissioni locali” presso ogni Corte d’appello (r.d. 3.10.1873, n. 1595), con il compito di formulare proposte in ordine alle nomine, alle promozioni, ai trasferimenti dei consiglieri delle Corti e dei funzionari della magistratura giudicante dei Tribunali. Dette commissioni locali furono soppresse dal r.d. 5.1.1879, n. 4686 e, al posto delle stesse, il r.d. 4.1.1880, n. 5230 istituì a Roma, presso il Ministero di grazia e giustizia, una “Commissione consultiva centrale” per le promozioni ed i trasferimenti dei giudici composta, anch’essa, di magistrati. Si pervenne, pertanto, al r.d. 7.1.1904, n. 2, che istituì presso Tribunali e Corti di Appello nuovi organi chiamati “Consigli giudiziari”, con il principale compito di esprimere pareri e fornire informazioni, alla sopra menzionata “Commissione consultiva centrale”, in luogo di quelli precedentemente resi dai capi degli uffici, sulla nomina, promozione o trasferimento dei magistrati. Con la l. 14.7.1907, n. 511, istitutiva del Consiglio superiore della magistratura, la disciplina dei Consigli giudiziari fu profondamente modificata. In particolare (art. 18), fu previsto presso ogni Tribunale un Consiglio giudiziario composto dal presidente, che lo presiedeva, dal procuratore del Re e da due giudici che, nei Tribunali ove vi fossero stati più di due giudici, erano eletti annualmente nel mese di gennaio in assemblea generale. Un Consiglio giudiziario fu istituito anche presso ogni Corte d’appello, composto dal primo presidente della Corte, che lo presiedeva, dal procuratore generale, e da due consiglieri eletti annualmente nel mese di gennaio in assemblea generale.
Il ruolo dei Consigli giudiziari acquisì maggiore rilievo, nel senso che fu ad essi consentito di formulare una dichiarazione di abilitazione alle funzioni giudiziarie nonché un “giudizio di classificazione” per ogni anno fino alla promozione dei giudici aggiunti del circondario alle funzioni giudicanti o requirenti sulla base del merito per capacità, dottrina, operosità e condotta.
Successivamente, furono adottate la l. 19.12.1912, n. 1311, che abolì la presenza, all’interno degli stessi Consigli, di componenti di estrazione elettiva (art. 13). Tale presenza elettiva fu reintrodotta con il r.d. 14.12.1921, n. 1978 (art. 110), ma fu nuovamente soppressa dal r.d. 30.12.1923, n. 2786 (art. 150).
Per tutta la durata del regime fascista rimase esclusa, pertanto, ogni possibilità di ricorso al sistema elettivo dei componenti dei Consigli giudiziari, soppressi presso i Tribunali. Rimasero quelli presso le Corti d’appello con competenza solo consultiva rispetto alle decisioni del Ministro di grazia e giustizia, che tenevano conto delle informazioni ricevute dai capi degli uffici giudiziari.
In seguito, caduto il regime fascista, il r.d.lgs. 31.5.1946, n. 511 ed il d.lgs.c.p.s. 13.9.1946, n. 264 modificarono la composizione e le funzioni dei Consigli giudiziari. In tale periodo, dei Consigli giudiziari si occupò anche l’Assemblea costituente. Tuttavia, non si provvide ad alcuna menzione degli stessi nel testo della Costituzione, sì da far ritenere che se tale scelta non comportava «sicuramente l’esclusione, od anche la semplice limitazione, della possibilità di esistenza e funzionamento» dei Consigli, ne «deriva[va], però, altrettanto sicuramente un’insuperabile subordinazione funzionale, e conseguentemente un vincolo, implicito ma essenziale, di ausiliarietà fra i Consigli giudiziari … ed il Consiglio superiore della Magistratura» (Azzali, C., op. cit., 217-218).
In ogni caso, fu reintrodotto il principio di elettività dei componenti dei Consigli (v. art. 6. r.d.lgs. n. 511/1946 e d.lgs.c.p.s. n. 264/1946) ed assunsero un ruolo di «collegamento, e allo stesso tempo di filtro, fra le esigenze, le spinte ideologiche di quella che … potremmo definire la ‘base’ dell’ordine giudiziario, e le logiche e gli indirizzi politici … dei componenti gli organi di vertice» (Azzali, C., op. cit., 203).
Successivamente, con l’entrata in vigore della l. 24.3.1958, n. 195 e del d.p.r. 16.9.1958, n. 916, i Consigli giudiziari, in un’ottica di coordinamento con le funzioni e le competenze previste per il Consiglio superiore della magistratura, furono nuovamente disciplinati dalla l. 12.10.1966, n. 825 e dal d.p.r. 4.4.1967, n. 214 che, nel modificare la precedente normativa di cui al r.d.lgs. n. 511/1946 e al d.lgs.c.p.s. n. 264/1946, previdero che presso ogni Corte d’appello fosse costituito un Consiglio giudiziario presieduto dal primo presidente della Corte stessa e composto dal procuratore generale della Repubblica presso la medesima nonché da otto membri, di cui tre con funzioni di supplenti, eletti ogni due anni da tutti i magistrati degli uffici giudiziari del distretto con voto personale e segreto.
Il numero dei membri era indipendente dal numero dei magistrati del distretto ed essi erano ripartiti non in base alle funzioni svolte, ma per categoria e venivano eletti in un collegio elettorale unico costituito da tutti i magistrati del distretto, con procedimento di tipo maggioritario (Pomodoro, L.–Pretti D., op. cit., 71-85, in particolare 75 e 76).
I Consigli giudiziari, fino alla riforma del 2007, operavano come collegi “perfetti”, potendo deliberare solo con la presenza di tutti i membri.
In forza delle menzionate disposizioni, i Consigli giudiziari hanno continuato a funzionare con particolare riguardo alla formulazione di pareri per le nomine dei magistrati a magistrato di tribunale, consigliere di corte d’appello e consigliere di cassazione e in materia di tabelle di composizione degli uffici giudiziari.
In effetti, il Consiglio superiore della magistratura, in virtù di propri provvedimenti quali la circolare n. 1275 del 22 maggio 1985, poi modificata dalla circolare n. 16103 del 30 luglio 2003, sui pareri dei Consigli giudiziari, e la risoluzione sul decentramento degli stessi (delibera 20 ottobre 1999 cit.), aveva individuato i parametri di riferimento per i Consigli proprio ai fini della formulazione dei detti pareri relativi alla progressione in carriera dei magistrati.
Giova aggiungere che i Consigli giudiziari, già prima della riforma introdotta dal d.lgs. 27.1.2006, n. 25, come modificato dall’art. 4 commi da 8 a 15 della l. 30.7.2007, n. 111 e di quanto disposto, da ultimo, dal d.lgs. 31.5.2016, n. 92, si occupavano delle questioni riguardanti i giudici di pace e, in generale, della magistratura onoraria, operando con l’apporto di «cinque rappresentanti designati, d'intesa tra loro, dai Consigli dell'ordine degli avvocati del distretto di Corte d'appello» (art. 4, co. 2, l. 2.11.1991, n. 374; art. 7 co. 2 bis della detta legge aggiunto dall’art. 5, l. 24.11.1999, n. 468).
Come accennato (v. supra § 1), i Consigli giudiziari sono stati oggetto di nuova e più dettagliata disciplina normativa in forza del d.lgs. n. 25/2006, come modificato dall’art. 4 co. 8-15, l. n. 111/2007, assumendo un ruolo sempre più importante nell’autogoverno della magistratura. È stata prevista una composizione allargata dei Consigli, con la partecipazione di componenti non togati, e un ampliamento delle attribuzioni, con la «valorizzazione qualitativa della loro attività, nella prospettiva di rendere concreto l’obiettivo di un relativo decentramento nel sistema di governo autonomo dei magistrati» (Diotallevi, G., I Consigli giudiziari e il Consiglio direttivo presso la Corte di cassazione, in dir. pen. e proc., 2006, I, 34).
Membri di diritto di ciascun Consiglio giudiziario sono il presidente della Corte d’appello e il procuratore generale presso la medesima.
Invero, il d.lgs. n. 25/2006 prevedeva inizialmente quale membro di diritto anche il presidente del Consiglio dell’ordine degli avvocati avente sede nel capoluogo del distretto. Tuttavia, la l. n. 111/2007 ha eliminato tale previsione. La presenza del presidente del Consiglio dell’ordine degli avvocati avrebbe creato problemi interpretativi con riguardo proprio alla sua partecipazione al collegio incaricato della trattazione di questioni attinenti le valutazioni ed i pareri relativi alla carriera dei magistrati. Pertanto, si ritiene che la soluzione adottata dal legislatore nel senso dell’estromissione sia non solo giuridicamente corretta, in quanto maggiormente conforme al dettato costituzionale (artt. 101 e 105 Cost.), ma anche del tutto opportuna, in ragione della necessità di evitare che colui che patrocina una delle parti in un procedimento instaurato innanzi al magistrato esaminando possa, poi, valutarne i requisiti di idoneità alla progressione in carriera dello stesso.
I Consigli giudiziari hanno una composizione diversificata a seconda che siano istituiti in distretti nei quali sono presenti uffici con organico complessivo fino a trecentocinquanta magistrati o in distretti in cui sono presenti uffici con organico complessivo compreso tra trecentocinquantuno e seicento magistrati ovvero in distretti nei quali sono presenti uffici con organico complessivo superiore a seicento magistrati.
Nella prima categoria di distretti, i Consigli giudiziari sono composti, oltreché dai due membri di diritto (il presidente della Corte d’appello e il procuratore generale presso la medesima), da nove altri membri, di cui sei magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari del distretto (tra i quali quattro addetti a funzioni giudicanti e due a funzioni requirenti) e tre componenti non togati, di cui un professore universitario in materie giuridiche nominato dal Consiglio universitario nazionale, su indicazione dei presidi delle facoltà di giurisprudenza delle Università della Regione o delle Regioni sulle quali hanno, in tutto o in parte, competenza gli uffici del distretto, e due avvocati, con almeno dieci anni di effettivo esercizio della professione, con iscrizione all’interno del medesimo distretto, nominati dal Consiglio nazionale forense, su indicazione dei consigli dell’ordine degli avvocati del distretto (art. 9, co. 2, d.lgs. n. 25/2006).
Nella seconda categoria di distretti (nei quali sono presenti uffici con organico complessivo compreso tra trecentocinquantuno e seicento magistrati), i Consigli giudiziari sono composti, oltreché dai due membri di diritto, da quattordici altri membri, di cui dieci magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari del distretto (tra i quali sette addetti a funzioni giudicanti e tre a funzioni requirenti) e quattro componenti non togati, di cui un professore universitario in materie giuridiche, nominato dal Consiglio universitario nazionale, su indicazione dei presidi delle facoltà di giurisprudenza delle Università della Regione o delle Regioni sulle quali hanno, in tutto o in parte, competenza gli uffici del distretto, e tre avvocati con almeno dieci anni di effettivo esercizio della professione con iscrizione all’interno del medesimo distretto, nominati dal Consiglio nazionale forense, su indicazione dei consigli dell’ordine degli avvocati del distretto (art. 9, co. 3, d.lgs. n. 25/2006 cit.).
Nella terza categoria di distretti (nei quali sono presenti uffici con organico complessivo superiore a seicento magistrati), il Consiglio giudiziario è composto, oltreché dai due membri di diritto sopra menzionati, da venti altri membri, di cui quattordici magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari del distretto, di cui dieci addetti a funzioni giudicanti e quattro a funzioni requirenti, e sei componenti non togati, di cui due professori universitari nominati dal Consiglio universitario nazionale, su indicazione dei presidi delle facoltà di giurisprudenza delle Università della Regione o delle Regioni sulle quali hanno, in tutto o in parte, competenza gli uffici del distretto, e quattro avvocati con almeno dieci anni di effettivo esercizio della professione con iscrizione all’interno del medesimo distretto, nominati dal Consiglio nazionale forense, su indicazione dei Consigli dell’ordine degli avvocati del distretto (art. 9, co. 3-bis d.lgs. n. 25/2006).
In caso di mancanza o impedimento, i membri di diritto sono sostituiti da chi ne esercita le funzioni (art. 9, co. 3-ter).
Le sedute del Consiglio giudiziario sono valide con la presenza della metà più uno dei componenti, in essi computati anche i membri di diritto. Le deliberazioni sono valide se adottate a maggioranza dei presenti. In caso di parità prevale il voto del presidente (art. 9 bis, d.lgs. n. 25/2006).
Al riguardo, occorre rilevare che il dettato normativo non distingue tra componenti effettivi e componenti supplenti, come, invece, previsto dalla legislazione precedente.
Il Consiglio giudiziario, presieduto dal presidente della Corte d’appello, elegge al suo interno, nella prima seduta, con votazione effettuata a scrutinio segreto, tra i componenti togati, il segretario (art. 11).
L’art. 10, d.lgs. n. 25/2006, come sostituito dall’art. 4, co. 10, l. n. 111/2007, e, poi, di recente modificato dall’art. 3, d.lgs. n. 92/2016, ha istituito una sezione autonoma del Consiglio giudiziario per i giudici onorari di pace (unica figura di giudice onorario che ha fatto cadere la distinzione tra giudici di pace e giudici onorari di tribunale) e i vice procuratori onorari per l'esercizio delle competenze assegnate dalla legge in relazione: a) alla procedura di concorso per titoli per l'accesso, all'ammissione al tirocinio e all'organizzazione e al coordinamento del medesimo; b) alla proposta per la nomina di coloro che hanno terminato il tirocinio e alla formazione di una graduatoria degli idonei; c) al giudizio di idoneità per la conferma nell'incarico; d) alle valutazioni sulle proposte di sospensione dalle funzioni, decadenza, dispensa, revoca dell'incarico e di applicazione di sanzioni disciplinari.
La sezione autonoma è composta, oltre che dai componenti di diritto del Consiglio giudiziario, da: a) tre magistrati e un avvocato, eletti dal Consiglio giudiziario tra i suoi componenti, e due giudici onorari di pace e un vice procuratore onorario eletti sia dai giudici onorari di pace che dai viceprocuratori onorari in servizio nel distretto, nell'ipotesi di cui all'articolo 9, co. 2, d.lgs. n. 25/2006 (prima categoria di distretti); b) cinque magistrati e un avvocato, eletti dal Consiglio giudiziario tra i suoi componenti, e tre giudici onorari di pace e due vice procuratori onorari eletti sia dai giudici onorari di pace che dai vice procuratori onorari in servizio nel distretto, nell'ipotesi di cui all'articolo 9, co. 3, d.lgs. n. 25/2006 (seconda categoria di distretti); c) otto magistrati e due avvocati, eletti dal Consiglio giudiziario tra i suoi componenti, e quattro giudici onorari di pace e tre vice procuratori onorari eletti sia dai giudici onorari di pace che dai viceprocuratori onorari in servizio nel distretto, nell'ipotesi di cui all'articolo 9, co. 3bis d.lgs. n. 25/2006 (terza categoria di distretti).
Le sedute della sezione autonoma sono valide con la presenza della metà più uno dei componenti e le deliberazioni sono assunte a maggioranza dei presenti. In caso di parità prevale il voto del presidente. In ipotesi di mancanza o di impedimento i membri di diritto del Consiglio giudiziario sono sostituiti da chi ne esercita le funzioni. Nelle ipotesi di cui all’art. 10, co. 1, lett. c) e d), il componente della sezione autonoma nominato dal Consiglio nazionale forense non può partecipare alle discussioni e alle deliberazioni della sezione medesima, che riguardano un magistrato onorario che esercita le funzioni in un ufficio del circondario del Tribunale presso cui ha sede l'ordine al quale l'avvocato è iscritto.
Il sistema elettorale adottato dal legislatore del 2007 ha carattere proporzionale.
L’art. 12, d.lgs. n. 25/2006, come sostituito dall’art. 4, co. 12, l. n. 111/2007, prevede, per l’elezione dei componenti togati dei Consigli giudiziari, la presentazione di liste di candidati presentate da almeno venticinque elettori: ciascuna lista non può essere composta da un numero di candidati superiore al numero di eleggibili per il Consiglio giudiziario e nessun candidato può essere inserito in più di una lista. Ogni elettore riceve due schede, una per le elezioni dei magistrati addetti a funzioni giudicanti e l’altra per quella dei magistrati addetti a funzioni requirenti ed esprime il voto di lista ed una sola preferenza nell’ambito della lista votata.
L’art. 12 bis, d.lgs. n. 25/2006, introdotto dall’art. 4, co. 12, l. n. 111/07 cit., disciplina l’assegnazione dei seggi con sistema proporzionale, con individuazione del quoziente base per la detta assegnazione dei seggi dividendo la cifra dei voti validi espressi nel collegio relativamente a ciascuna categoria di magistrati di cui all’art. 9, d.lgs. n. 25/2006, come modificato dall’art. 4, co. 8, l. n. 111/2007 cit. (magistrati esercenti funzioni giudicanti e magistrati esercenti funzioni requirenti), per il numero dei seggi del collegio stesso. Il numero di seggi spettanti a ciascuna lista è determinato dividendo la cifra elettorale dei voti da essa conseguiti per il quoziente base.
L’originario art. 9 del d.lgs. n. 25/2006, non più in vigore attesa la diversa composizione dei Consigli giudiziari disposta dalla L. n. 111/2007, prevedeva come componenti dei Consigli giudiziari anche «due nominati dal Consiglio regionale della Regione ove ha sede il distretto o nella quale rientra la maggiore estensione di territorio sul quale hanno competenza gli uffici del distretto, eletti, a maggioranza di tre quinti dei componenti e, dopo il secondo scrutinio, di tre quinti dei votanti, tra persone estranee al medesimo consiglio».
Invero, il fatto che la norma non prevedesse il possesso da parte dei “nominati” (eletti) di requisiti o qualifiche professionali particolari e la possibilità che essi potessero essere espressione delle medesime categorie già rappresentate nei Consigli giudiziari, avrebbe potuto alterare gli equilibri interni agli stessi Consigli, con componenti appartenenti a categorie diverse in modo variabile da distretto a distretto, in contrasto con i necessari profili di unitarietà imposti dall’ordinamento giudiziario (Di Dedda, E., I Consigli giudiziari riformati, in Abruzzese, M. e altri, Guida alla riforma dell’ordinamento giudiziario, Milano, 310; Giangiacomo, B., I Consigli giudiziari, in Quest. Giust., 2006, f. 1, 99; Diotallevi, G., op. cit., I, 36; Santalucia, G., in il nuovo ordinamento giudiziario, a cura di Carcano, D.,184).
L’art. 13, d.lgs. n. 25/2006, allunga la durata in carica dei componenti non di diritto dei Consigli giudiziari a quattro anni (in precedenza era di un biennio) e prevede il divieto di immediata rieleggibilità o rinnovo dei componenti magistrati elettivi e dei componenti nominati dal Consiglio universitario nazionale e dal Consiglio nazionale forense e dei componenti rappresentanti dei giudici onorari di pace, con sostituzione del componente magistrato elettivo che per qualsiasi ragione cessi dalla carica nel corso del quadriennio da parte del magistrato che «lo segue per numero di voti nell’ambito della stessa categoria». Sotto il profilo dell’elettorato attivo e passivo, devono ritenersi esclusi i magistrati ordinari in tirocinio (ex uditori giudiziari) senza funzioni giudiziarie, che sono considerati rientranti nell’organico solo con l’assunzione delle funzioni e, pertanto, non possono considerarsi magistrati «in servizio presso gli uffici giudiziari del distretto», come richiesto dall’art. 9, d.lgs. n. 25/2006 (Risoluzione del Consiglio superiore della magistratura del 19 marzo 2008).
Finché non si è insediato il nuovo Consiglio giudiziario continua a funzionare quello precedente ai sensi dell’art. 13, d.lgs. n. 25/2006.
L’art. 15, d.lgs. n. 25/2006, come modificato dall’art. 4, co. 13, l. n. 111/2007, elenca in modo specifico le competenze dei Consigli giudiziari, prevedendo che questi ultimi formulino: a) pareri sulle tabelle di cui all’art. 7 bis, r.d. n. 12/1941 e sui criteri per l’assegnazione degli affari e la sostituzione dei giudici impediti di cui all’art. 7 ter, r.d. n. 12/1941; b) pareri per la valutazione di professionalità dei magistrati ai sensi dell’art. 11, d.lgs. n. 160/2006, come sostituito dall’art. 2, co. 2, l. n. 111/2007; d) esercitino la vigilanza sull'andamento degli uffici giudiziari del distretto, con segnalazione al Ministro della giustizia, in caso di disfunzioni nell'andamento di un ufficio; e) formulino, altresì, pareri e proposte sull'organizzazione e il funzionamento degli uffici del giudice di pace del distretto (ora giudici onorari di pace); g) pareri, anche su richiesta del Consiglio superiore della magistratura, in ordine all’adozione, da parte del medesimo Consiglio, dei provvedimenti inerenti a collocamenti a riposo, dimissioni, decadenze dall’impiego, concessioni di titoli onorifici e riammissioni in magistratura dei magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari del distretto o già in servizio presso tali uffici al momento della cessazione dal servizio medesimo; h) pareri su richiesta del Consiglio superiore della magistratura su materie attinenti competenze attribuite ai Consigli giudiziari medesimi; i) proposte al comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura in materia di programmazione dell’attività didattica della Scuola medesima.
La rilevanza del ruolo acquisito dai Consigli giudiziari a seguito delle modifiche apportate dalla l. n. 111/2007, con particolare riguardo all’introduzione delle valutazioni periodiche della professionalità dei magistrati (ogni quattro anni) fino al raggiungimento del 28° anno di anzianità e della temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi (il Testo unico sulla dirigenza redatto del Consiglio superiore della magistratura – si veda da ultimo quello di cui alla circolare n. 14858 del 28 luglio 2015 - prevede, infatti, che i Consigli giudiziari esprimano pareri attitudinali specifici per il conferimento degli uffici direttivi e semidirettivi distinti per grado e per funzione), ha comportato un ampliamento del numero dei componenti dei Consigli medesimi.
Inoltre, è il competente Consiglio giudiziario (art. 21, co. 3, d.lgs. 30.1.2006 n. 26, come modificato dall’art. 3, co. 15, l. n. 111/2007) a proporre i magistrati affidatari presso i quali i magistrati vincitori di concorso svolgono i prescritti periodi di tirocinio designati, poi, dal Consiglio superiore della magistratura, che opera il giudizio di idoneità al conferimento delle funzioni giudiziarie, tenendo conto, tra l’altro, proprio del parere espresso dal Consiglio giudiziario competente (art. 22, co. 2, d.lgs. n. 26/2006, come modificato dall’art. 3, co. 16, lett. c), l. n. 111/2007).
Ai sensi dell’art. 16, d.lgs. n. 25/2006, come modificato dall’art. 4, co. 14, l. n. 111/2007, i componenti avvocati e professori universitari partecipano esclusivamente alle discussioni e deliberazioni relative all’esercizio delle competenze di cui all’art. 15, co. 1, lett. a), d) ed e). In tal modo, si può dire che i Consigli funzionano «a geometria variabile» (Sacchettini E., Geometria variabile in base alla delibera, in Guida dir., 2006, 7, 86), ossia i pareri per la valutazione di professionalità dei magistrati, sul loro status e sulle materie attinenti alle competenze ad essi attribuite, oltre alle proposte sulla programmazione dell’attività didattica della Scuola superiore della magistratura, sono formulati ed esercitati dal Consiglio giudiziario in composizione ristretta ai soli membri togati.
Al riguardo, si è osservato che «il fine che la legge intende perseguire, con la diversificazione della composizione, è proprio quello di evitare che soggetti diversi dai magistrati professionali, al di là del titolo di partecipazione al Consiglio giudiziario, concorrano alla formulazione di pareri, all’adozione di deliberazioni e all’esercizio di compiti di vigilanza, che incidono direttamente sui profili di status dei magistrati» (Santalucia, G., op. cit., 183-184).
Peraltro, per le materie per cui è escluso l’intervento degli avvocati e dei professori questi ultimi possono esercitare il cosiddetto diritto di tribuna, stante la regola, suscettibile di eccezione, della pubblicità delle sedute del Consiglio (risposta del Consiglio superiore al quesito del 12 marzo 1999, in www.csm.it) .
Oltre alla composizione del Consiglio “allargata” agli avvocati e ai professori e a quella “ristretta”, limitata ai soli componenti togati, quella costituita dalla sezione autonoma per i giudici onorari di pace è definita “integrata” (Pomodoro, L.–Pretti D., op. cit., 82-83)
I Consigli sono dotati di autonomia organizzativa e sono, altresì, titolari di un potere di autoregolamentazione, come pure evidenziato dal Consiglio superiore della magistratura, che, con la delibera del 18 marzo 2009, ha precisato che il detto potere «dei Consigli giudiziari trova il suo più sicuro fondamento nell’art. 97 della Costituzione», essendo le attività degli stessi «funzionali al buon andamento dell’organizzazione giudiziaria complessivamente intesa». Quanto sopra vale anche per il Consiglio direttivo della Corte di cassazione appresso esaminato, con riguardo al quale, del resto, l’art. 3, co. 1, d.lgs. 25/2006 prevede espressamente che esso debba adottare «le disposizioni concernenti l’organizzazione dell’attività e la ripartizione degli affari».
Il d.lgs. n. 25/2006 come modificato dall’art. 4 co. 1-7, l. n. 111/2007, ha istituito il Consiglio direttivo della Corte di cassazione, realtà del tutto nuova all’interno dell’autogoverno della magistratura.
Il titolo I del sopra menzionato decreto legislativo contiene una pluralità di disposizioni in gran parte corrispondenti a quelle di cui al titolo II, relativo ai Consigli giudiziari.
Anche per il Consiglio direttivo non può non valere quanto già osservato circa la natura e il ruolo dei Consigli giudiziari, che, come si è visto (v. supra § 1), si sono venuti configurando, nel tempo, quali organi ausiliari del Consiglio superiore della magistratura «in una prospettiva di decentramento volta a realizzare maggiore celerità ed efficienza all’azione amministrativa» (Cassano, M., in Il nuovo ordinamento giudiziario, a cura di D. Carcano, Milano, 2006, 156).
Con particolare riguardo al Consiglio direttivo della Corte di cassazione, si è detto che esso «riassume in sé una duplice natura: quella di organo di autogestione e quella di organo ausiliario nel più ampio contesto di una problematica – non risolta nella prospettiva riformatrice – del ruolo del giudice di legittimità all’interno dell’ordine giudiziario» e che costituisce un «organismo significativamente mutuato da un’esperienza di autogoverno maturata in sede decentrata» (Cassano, M., op. cit., 156-157).
Un precedente del menzionato Consiglio direttivo potrebbe essere rinvenuto nel Gruppo consultivo istituito in esecuzione della proposta dell’Assemblea generale della Corte di cassazione tenutasi il 23 aprile 1999, con compiti di elaborazione di pareri e di ausilio nel settore dell’organizzazione dell’ufficio (gli atti dell’Assemblea del 23 aprile 1999, sono pubblicati in Foro it., 1999, V, 161 ss.; D’Ambrosio, V., Il Consiglio direttivo della Corte di cassazione, in Albamonte, E.- Filippi, P., a cura di, Ordinamento giudiziario. Leggi, regolamenti e procedimenti, Torino, 2009, 77 e ss.)
Il Consiglio direttivo della Corte di cassazione è composto dal primo presidente della medesima Corte, dal procuratore generale presso la stessa e dal presidente del Consiglio nazionale forense (membri di diritto), nonché da otto magistrati, di cui due che esercitano funzioni requirenti, eletti da tutti e tra tutti i magistrati in servizio presso la Corte e la Procura generale, nonché da due professori universitari di ruolo di materie giuridiche, nominati dal Consiglio universitario nazionale, e da un avvocato con almeno venti anni di effettivo esercizio della professione, iscritto da almeno cinque anni nell’albo speciale di cui all’art. 33, R.d.l. n. 1578/1933, conv. In l. n. 36/1934 (riguardante i patrocinanti avanti le magistrature superiori) nominato dal Consiglio nazionale forense.
In caso di mancanza o di impedimento, i membri di diritto, ossia il primo presidente della Corte di cassazione, il procuratore generale presso la stessa Corte e il presidente del Consiglio nazionale forense, sono sostituiti da chi ne esercita le funzioni.
Il Consiglio direttivo è presieduto dal primo presidente della Corte. Nella prima seduta elegge al suo interno, con votazione effettuata a scrutinio segreto, tra i componenti togati, il segretario ed adotta le disposizioni concernenti l’organizzazione dell’attività e la ripartizione degli affari.
L’art. 4, d.lgs. n. 25/2006, come sostituito dall’art. 4, co. 4, l. n. 111/2007, disciplina le modalità di elezione dei componenti togati del Consiglio direttivo e stabilisce per l’elezione degli stessi la presentazione di liste di candidati presentate da almeno venticinque elettori, ciascuna lista non può essere composta da un numero di candidati superiore al numero di eleggibili per il Consiglio direttivo e nessun candidato può essere inserito in più di una lista.
L’art. 4 bis, d.lgs. n. 25/2006, introdotto dall’art. 4, co. 4, l. n. 111/2007, disciplina l’assegnazione dei seggi, come per i Consigli giudiziari, con sistema proporzionale.
I componenti non di diritto del Consiglio durano in carica quattro anni ed alla scadenza del mandato non sono immediatamente rieleggibili o rinominabili. In caso di cessazione dalla carica del componente magistrato elettivo non si dà luogo a nuove elezioni, ma lo stesso viene sostituito dal magistrato che lo segue per numero di voti nell’ambito della stessa categoria. Finché non si è insediato il nuovo consiglio continua a funzionare quello precedente.
Per i magistrati della Direzione nazionale antimafia il d.lgs. 28.2.2008, n. 35 ha previsto che votino presso l’ufficio elettorale con sede nel capoluogo del distretto della Corte d’appello di Roma, non esercitando funzioni di legittimità e stante la loro eleggibilità al Consiglio superiore della magistratura nella quota dei magistrati requirenti di merito (art. 23, co. 2, lett. b), l. n. 195/1958).
Anche per il Consiglio direttivo della Corte di cassazione sussiste il principio della composizione a geometria variabile, con diritto di partecipazione del componente avvocato nominato dal Consiglio nazionale forense e i componenti professori universitari, esclusivamente alle discussioni e deliberazioni relative all’esercizio delle competenze relative alla formulazione del parere sulla tabella della Corte di cassazione di cui all’art. 7 bis, r.d. 30.1.1941, n.12 e sui criteri per l’assegnazione degli affari e la sostituzione dei giudici impediti di cui all’art. 7 ter, co. 1-2, r.d. n. 12/1941.
In ordine alle ulteriori competenze (formulazione di pareri per la valutazione di professionalità dei magistrati ai sensi dell’art. 11, d.lgs. n. 160/2006, come sostituito dall’art. 2, co. 2, l. n. 111/2007, di pareri, su richiesta del Consiglio superiore della magistratura, su materie attinenti competenze attribuite al Consiglio direttivo medesimo e di proposte al comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura in materia di programmazione dell’attività didattica della Scuola medesima), solo il presidente del Consiglio nazionale forense, quale componente di diritto, può partecipare alle relative sedute e senza limiti riguardo alle pratiche all’ordine del giorno.
Costituzione artt. 101 e 105; R.d. 25.10.1864 s.n.; R.d. 3.10.1873, n. 1595; R.d. 5.1.1879, n. 4686; R.d. 4.1.1880, n. 5230; R.d. 7.1.1904, n. 2; l. 14.7.1907, n. 511; l. 19.12.1912, n. 1311; R.d. 14.12.1921, n. 1978; R.d. 30.12.1923, n. 2786; R.d. 30.1.1941, n.12; R.d.lgs. 31.5.1946, n. 511; d.lgs.c.p.s. 13.9.1946, n. 264; l. 24.3.1958, n. 195; d.P.R. 16.9.1958, n. 916; l. 12.10.1966, n. 825; d.P.R. 4.4.1967, n. 214; 21 novembre 1991, n. 374; l. 24.11.1999, n. 468; d.lgs. 27.1.2006, n. 25; d.lgs. 5.4.2006, n. 160; d.lgs. 30.1.2006 n. 26; l. 30.7.2007, n. 111; d.lgs. 31.5.2016, n. 92.
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