consolazione
. Il termine è caratteristico del linguaggio prosastico, e appare solo in Convivio: in due casi (II X 3, IV XIII 13) è traduzione del titolo dell'opera di Boezio; in altri due (IV XII 4 e 7) riproduce anche nella grafia - De Consolatione - il titolo dell'opera stessa.
In Cv I II 13 il termine ricorre ancora a proposito di Boezio, ricordato come colui che aveva ispirato a D. l'amore per la filosofia, e gli aveva dato il coraggio di cessare la propria infamia scrivendo il Convivio per difendersi: E questa necessitate mosse Boezio di se medesimo a parlare, acciò che sotto pretesto di consolazione escusasse la perpetuale infamia del suo essilio, dove c. ha il comune significato di " conforto ". Così anche in II IX 2 (con riferimento a Voi che 'ntendendo 32): Ben può dire ‛ consolata ', ché ne la sua grande perdita questo pensiero, che in cielo salia, le avea data molta consolazione; e II XII 3, dove il termine assume valore attivo: Tullio scritto avea un altro libro... nel quale... avea toccate parole de la consolazione [" del modo di consolare "] di Lelio.
In un altro passo, infine, è detto di una persona, " conforto e sostegno " (consolazione de le cose e de la patria perduta, III XI 16), e assume perciò valore concreto, sì come cotidianamente dicemo, mostrando l'amico, ‛ vedi l'amistade mia ', e 'l padre dice al figlio amor mio '. Il passo è traduzione letterale da Stazio (" o rerum et patriae solamen ademptae ", Theb. V 609), esplicitamente ricordato.