Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Primo grande scultore moderno, Constantin Brancusi introduce nuove prospettive di metodo e nuove forme. Prediligendo la scultura a taglio diretto, interviene sulla struttura tradizionale del gruppo scultoreo e attribuisce una funzione del tutto rinnovata ai basamenti. Semplifica le forme depurandole dagli aspetti decorativi tipici della scultura simbolista. Le sue innumerevoli fotografie, delle singole opere come dell’atelier, manifestano la sua sensibilità per l’ambientazione delle sculture, osservate e documentate come creature nello spazio. Considerato, ancora in vita, tra i più grandi scultori del secolo, alla sua morte destina con lascito testamentario il proprio studio allo Stato francese.
A Parigi
Nel 1904 Constantin Brancusi, di origine rumena, arriva a Parigi; vi trova Auguste Rodin, l’astro della scultura, e gli artisti della generazione successiva come Émile-Antoine Bourdelle e Aristide Maillol, lavorano entro i limiti di un simbolismo classicista, monumentale e antropomorfico. Brancusi propone da subito una strada assai diversa per la scultura, con forme e metodi nuovi.
Conosce Antonin Mercié (1845-1916), scultore e professore all’École des Beaux-Arts e ottiene un diploma che gli permette di aprire uno studio e trasferirsi definitivamente a Parigi. Vicino alla cerchia della rivista “Verse et Prose” di Paul Fort, espone con il gruppo Abbaye de Créteil, frequentato anche dal pittore Albert Gleizes, che poi frequenterà circoli cubisti. Il gruppo è intriso di gusto post simbolista e vicino alla sensibilità antipositivista di Henri Bergson , il grande filosofo francese che nel 1907 pubblica L’Evoluzione creatrice. Pur senza partecipare attivamente ad alcun movimento organizzato, dal 1920 frequenta ambienti dadaisti. È amico del compositore Erik Satie e soprattutto di Marcel Duchamp, che, con la sua influenza presso i collezionisti americani, giocherà un ruolo importante per la fortuna di Brancusi negli Stati Uniti.
Brancusi, di formazione accademica, conosce la tradizione della scultura antica e domina le tecniche di lavorazione del marmo. A Parigi si appassiona alla scultura gotica delle grandi cattedrali francesi, ne rielabora i modelli e le composizioni che gli evocano il repertorio formale primitivo ed elementare della scultura millenaria dei Carpazi rumeni.
Il bacio e la scultura a taglio diretto
Tra il 1907 e il 1916 esegue varie versioni de Il bacio, una scultura estremamente affascinante che è quasi un programma poetico. In pietra calcarea, un materiale vile e quasi inadatto a un’opera d’arte, rappresenta due esseri stretti in un abbraccio. Il titolo dell’opera è identico a quello del famosissimo gruppo di Rodin, ma il risultato, il metodo di lavoro, le ambizioni, completamente nuove. Gli scultori tradizionali ideavano i modelli (spesso plasmati nella creta) e affidavano ad artigiani o praticiens il trasferimento in uno o più esemplari nel bronzo o nel marmo. Al contrario Brancusi e i modernisti– André Derain, Amedeo Modigliani seguono il lavoro dall’inizio alla fine. Con un controllo completo del work in progress, scelgono personalmente il blocco di pietra, scolpiscono “a taglio diretto” rifiniscono il lavoro per conto proprio, anche negli aspetti che le generazioni precedenti consideravano più artigianali. Brancusi ama scolpire anche i materiali più resistenti all’intervento dell’uomo. Tra i legni predilige la quercia antica (dalla pasta durissima) e appena viene a conoscenza dell’invenzione dell’acciaio inossidabile, se ne fa inviare una lastra con tanto di macchina levigatrice Black & Decker.
Basamenti e scultura monumentale
Dopo aver rinnovato il metodo di lavoro, Brancusi interviene sulla struttura formale. Con un procedimento opposto a quello di Rodin e dei simbolisti che, eliminato il piedistallo delle statue, ambientavano le loro opere nello spazio dello spettatore – con un effetto illusionistico formidabile –, Brancusi inventa un nuovo ruolo per i basamenti. Essi divengono parte integrante dell’opera, una componente inscindibile e luogo di espressione e sperimentazione formale. Scolpisce i basamenti scegliendo accuratamente i materiali in base agli accordi cromatici, tratta le superfici con la stessa perizia dell’opera in senso stretto. Brancusi va ancora oltre, al punto che da un’idea per un basamento nasce l’unico grande monumento pubblico che riuscirà a realizzare, La colonna senza fine del Complesso monumentale di Târgu Jiu (1937-1938) in Romania. La colonna è alta 29,33 metri e realizzata con 15 elementi, i semiconi affrontati. È un’opera in fusione di ferro metallizzato giallo e rame dorato, con un’anima di acciaio. I semiconi che si ripetono, secondo un modulo identico, suggeriscono l’idea di una estensione potenzialmente infinita. Brancusi già nel 1912 concepisce una struttura verticale sagomata, come basamento per una scultura, Maïastra (bronzo, Des Moines Art Center, Iowa, USA) e nel 1915 sintetizza per la prima volta un elemento a semi-coni affrontati per lo zoccolo di Chimera, la scultura in quercia del Philadelphia Museum of Art. Da quell’elemento geometrico ripetuto nasce la scultura più monumentale di Brancusi. Esegue numerose repliche in quercia e una in gesso svetta nel suo studio dal pavimento al soffitto. Nel parco di Târgu Jiu La porta del bacio (di travertino) e La tavola del silenzio (di pietra calcarea), distanti tra loro circa 130 metri, scandiscono una prospettiva assiale lunga un chilometro e mezzo che culmina nella magnifica Colonna senza fine, quasi il basamento monumentale del cielo.
Semplificare
Tra le serie più significative di Brancusi è quella che inizia dalla scultura giovanile Sonno (1908, Bucarest, Muzeul National de Artã), prosegue con Musa addormentata (1909-1910), Scultura per ciechi (1920) e culmina in Inizio del mondo (1920). Sonno è una testa scolpita nel marmo adagiata sulla gota destra. Il volto emerge dalla pietra, i solchi dello scalpello sono profondi. Brancusi esegue quest’opera sviluppando il tema del “non finito”, secondo il gusto ornamentale della scultura simbolista. Nel 1909 Brancusi scolpisce Musa addormentata, i lineamenti del volto e i solchi dei capelli sono accennati delicatamente nell’ovale di marmo bianco levigatissimo. 11 anni dopo Scultura per ciechi è una riedizione dello stesso soggetto, la superficie pulitissima è venata soltanto dalle screziature del marmo bianco dai riflessi tra il giallo tenue e il rosa pallido. Inizio del mondo, sempre del 1920 è un ovale di marmo bianco candido e liscio, senza traccia di scalpello, montato sull’acciaio specchiante e la pietra calcarea.
Brancusi parte da una scultura nello stile ornamentale dei simbolisti (Sonno), avanzando in un processo di semplificazione formale in cui prima purifica l’opera da ogni elemento narrativo e da ogni tratto ornamentale (Musa addormentata), poi arriva a cancellare persino le tracce del lavoro artistico, i solchi dello scalpello (Inizio del mondo). La scultura diventa così un oggetto pulito da elementi decorativi in una semplificazione formale assoluta che arriva all’essenza delle cose.
La fotografia tra lirismo e discorso critico
Brancusi conosce e usa la fotografia certamente dal 1904, ma è dopo la breve esperienza nello studio di Rodin (un mese, nel 1907) che inizia a sfruttarne le potenzialità ai fini della scultura. Soltanto dal 1921, e con i consigli di Man Ray, si procura un equipaggiamento professionale e allestisce una camera oscura attigua all’atelier.
Brancusi esegue riprese fotografiche di singole sculture come Maïastra o versioni di Uccelli d’oro, opere in bronzo nelle quali si riflettono i riverberi di tutto ciò che sta intorno. Nelle fotografie mette in scena un vero discorso per immagini sul proprio lavoro, mostrando come, diversamente dai cubisti che scompongono le forme, egli cerchi forme pure dalle linee continue che piuttosto attraggono e racchiudono lo spazio circostante.
Brancusi esegue anche riprese fotografiche dello studio. Con scorci e vedute d’insieme, registra ogni cambiamento nella posizione e nella combinazione delle sculture. Percepisce lo studio come un contesto unitario, un ambiente scultoreo dove i singoli pezzi vengono esaltati dai rapporti reciproci. Negli ultimi anni di vita si adopera affinché alla sua morte quell’insieme scultoreo, sostanzialmente un’opera d’arte unitaria, non venga smembrato e dona tutto, in un legato testamentario, allo stato francese.
È stato affermato da più parti che la fotografia, per Brancusi, è l’occasione di una riflessione critica sulla scultura, ma anche un raffinato mezzo espressivo tout-court. Il ricchissimo materiale rimasto, tra lastre, pellicole stampe originali (più di 2000), mostra come Brancusi fotografi le sculture, da sole o assemblate in gruppi: prova le luci, combina le ombre, ritocca le stampe e le fotografa nuovamente con un gusto per i giochi di luce e le sovraesposizioni che va ben oltre un semplice uso strumentale della fotografia.