CONSULTA NAZIONALE
NAZIONALE - L'assenza di una rappresentanza popolare e l'impossibilità di costituirla con libere elezioni, mentre durava nell'Italia meridionale l'occupazione militare alleata e nel nord quella tedesca, fece sentire - durante la Luogotenenza - l'opportunità della costituzione, o almeno, di una assemblea consultiva che rendesse più aderente alle correnti della pubblica opinione l'azione legislativa del governo. Fu così istituita la Consulta nazionale con decr. legisl. luog. 5 aprile 1945, n. 146, a cui fecero seguito il decr. legisl. luog. 30 aprile 1945, n. 168, relativo alla sua composizione, e i decreti modificativi 12 luglio 1945, n. 422, in conseguenza dell'avvenuta liberazione del Nord, e 31 agosto 1945, n. 527. L'effettiva costituzione della Consulta si ebbe quindi col decr. luog. 22 settembre 1945, col quale furono nominati 440 consultori. Col decr. luog. 31 luglio 1945, n. 443, era stato istituito perfino un ministero per la Consulta. Questa poté riunirsi la prima volta in seduta plenaria, sotto la presidenza del decano di età, on. Agnini, il 25 settembre 1945, procedendo alla elezione dell'ufficio di presidenza.
La Consulta nazionale dava pareri sui problemi generali e sui provvedimenti legislativi che ad essa sottoponeva il governo. La richiesta del parere era obbligatoria: sui progetti di bilancio e sui rendiconti consuntivi dello stato, in materia di imposte, salvi i casi di urgenza; sui progetti di legge elettorali. Per le altre materie la richiesta era facoltativa. In nessun caso però il parere dato vincolava il governo. Ai membri della Consulta fu anche riconosciuto il diritto di proporre leggi e quello di rivolgere al governo interrogazioni e interpellanze. La Consulta era composta di consultori nominati dal governo, a scelta o su designazione delle rispettive associazioni delle seguenti categorie: appartenenti ai partiti politici costituenti il Comitato di liberazione nazionale; ex parlamentari antifascisti, scelti fra ex deputati della XXVII legislatura o senatori nominati prima del 28 ottobre 1922 o che tennero atteggiamento di opposizione al governo fascista; appartenenti alle maggiori organizzazioni sindacali e ad associazioni di reduci (combattenti, partigiani d'Italia); rappresentanti della cultura, delle libere professioni e dei tecnici dirigenti di aziende. Erano consultori di diritto coloro che ricoprirono la carica di presidente del consiglio dei ministri prima del 28 ottobre 1922; i presidenti del Senato e della Camera dei deputati nominati dopo la liberazione di Roma; gli alti commissarî che potevano esser chiamati a partecipare al consiglio dei ministri.
Allo scopo di tutelare l'indipendenza della istituzione e dei suoi membri, furono concesse ad essi alcune delle guarentigie attribuite dallo statuto del 1848 alla Camera e ai deputati: i consultori erano insindacabili ed irresponsabili per le opinioni e i voti espressi nell'esercizio o a causa delle funzioni; non potevano essere sottoposti a procedimento per atti del loro ufficio senza autorizzazione della presidenza; la polizia interna spettava alla Consulta stessa ed era esercitata dal presidente; senza il cui ordine la forza pubblica non poteva entrare nell'aula. Ai consultori era corrisposta una indennità per ogni giornata di seduta.
In seno alla Consulta furono costituite dieci commissioni che lavorarono con serietà di intenti e non mancarono di dare importanti suggerimenti al governo, quantunque da questo non tenuti in eccessiva considerazione, non potendo la consulta emettere alcun voto di approvazione o biasimo sull'opera del governo stesso, del quale veniva considerata, ed era, per la sua origine, piuttosto una emanazione anziché un organo di controllo.
In numerose sedute plenarie la Consulta si occupò della legge per la elezione della Costituente ed il referendum istituzionale, discussione conclusasi con un discorso di V. E. Orlando, che rievocò le nobili tradizioni del parlamento italiano e le insigni figure degli uomini che ne facevano parte nel 1922. Alla Consulta non fu però dato di poter esercitare la più importante forse delle sue funzioni: quella dell'esame dei bilanci, perché questi non le furono mai presentati. Da ciò furono determinate le interpellanze dei consultori E. Artom e A. Moscati, che diedero modo al ministro Corbino di fare ampie dichiarazioni sulla politica finanziaria del governo, provocando una larga discussione.
Per quanto corpo privo della possibilità formale e legale di influire sulla formazione del governo, è da notarsi che fu la Consulta, attraverso quella influenza che, comunque, emana dall'ambiente che si forma nelle assemblee politiche, a determinare la caduta del ministero Parri, che essa aveva trovato al governo all'atto del suo insediamento.
La Consulta, rimasta formalmente in vita sino al 1° giugno 1946, non tenne dopo l'approvazione della legge per il referendum istituzionale (9 marzo 1946) altre sedute pubbliche, ma continuò sino all'aprile il lavoro delle commissioni. Dei componenti della Consulta nazionale soltanto 128 furono eletti deputati alla Costituente.
Il ministero per la Consulta nazionale fu soppresso con decr. legisl. luog. 22 dicembre 1945, n. 826, e le sue attribuzioni furono devolute ad un ufficio per le relazioni con la Consulta istituito presso la presidenza del Consiglio dei ministri.
Bibl.: R. Lucifredi, Lezioni di diritto pubblico, Genova 1946; C. Mortati, La Costituente, Roma 1945; O. Ranelletti, Corso di istituzioni di diritto pubblico, I, Milano 1946.