Consumi
di George Katona
Consumi
sommario: 1. Il mutato ruolo del consumatore. 2. Dati statistici: a) ripartizione del PNL e delle spese dei consumatori; b) le spese discrezionali; c) mutamenti nella distribuzione del reddito; d) le spese del consumatore durante il ciclo vitale; e) risparmio, prestiti, patrimoni liquidi e ricchezza. 3. L'influenza degli atteggiamenti e delle aspettative dei consumatori. 4. Il consumatore moderno. 5. Limiti allo sviluppo? □ Bibliografia.
1. Il mutato ruolo del consumatore
Il maggior dizionario americano definisce il consumo come l'atto del consumare e offre di tale verbo le seguenti quattro definizioni: a) distruggere o sopprimere completamente; lasciar andare in totale rovina; b) dissipare, sperperare; c) esaurire; d) utilizzare per la soddisfazione dei bisogni (Webster's third new international dictionary, s. v. Consume, 1, 2a, 2b e 2c).
Le prime tre definizioni danno al consumo un connotato negativo, e anche la quarta (che ci fornisce il significato del termine nella scienza economica) non rende giustizia alle funzioni, grandemente mutate, assolte dal consumo nell'economia odierna. Attualmente le spese dei consumatori rappresentano un fattore attivo e autonomo che, specialmente nelle società opulente, influenza - e in qualche misura determina - l'andamento dell'economia, il suo tasso di crescita e le fasi negative e positive della congiuntura.
La tesi di Adam Smith per cui il fine della produzione è il consumo, o il detto, largamente diffuso nel XIX secolo, per cui il consumatore è sovrano, hanno avuto scarsa influenza sul lavoro degli economisti, anche se alla vecchia dottrina della sovranità del consumatore si rende tuttora un ipocrita omaggio nei capitoli introduttivi di molti manuali. Per più di un secolo l'analisi economica è andata avanti attribuendo il ruolo chiave nella determinazione del corso degli eventi economici agli imprenditori o alle aziende commerciali o anche, in una fase successiva, alle scelte politiche dei governi.
Sotto questo profilo l'introduzione del concetto di Prodotto Nazionale Lordo (PNL), avvenuta nel nostro secolo, ha mutato ben poco le cose. Dei tre settori che contribuiscono a formare il PNL soltanto due - imprese e governo - venivano considerati attivi nella creazione del reddito. Il terzo settore - famiglie o consumatori - era considerato come sprovvisto di una qualsiasi autonoma influenza. I consumatori, nella stragrande maggioranza dei casi, ricevono il loro reddito dalle imprese o dal governo e si riteneva che ne spendessero una aliquota praticamente fissa, o che questa aliquota di spesa mutasse in funzione esclusiva di un incremento o di un decremento del reddito percepito.
È ancora frequente l'affermazione che il consumo è una funzione del reddito, simbolicamente C=f(Y). Le oscillazioni della funzione-consumo - vale a dire della quota del reddito spesa dai consumatori nel breve periodo - sono state trascurate oppure se ne è tenuto conto introducendo termini correttivi di ordine superiore nell'equazione di base. Una tale correzione si ottiene includendo nell'equazione originaria i mutamenti dei prezzi (e la conseguente definizione del reddito come reddito reale) o anche considerando la ricchezza come fattore addizionale che influenza il livello delle spese dei consumatori. Una ridefinizione del reddito mediante il concetto di reddito relativo (vale a dire la posizione dell'individuo nella scala dei redditi) o di tendenze del reddito (il livello più alto raggiunto dal reddito in passato) è anch'essa largamente insufficiente. Anche la distinzione fra un reddito permanente e un reddito transitorio e l'attribuzione a queste due forme di reddito di effetti diversi sul consumo sono inadeguate a rispecchiare l'importanza dei due principali sviluppi intervenuti, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, nelle società relativamente opulente.
1. Le spese dei consumatori non consistono soltanto nel denaro speso in cibo, vestiario, affitto e in altri beni e servizi che ‛si esauriscono' nel breve periodo. I consumatori spendono somme crescenti nell'acquisto di case (i due terzi degli Americani vivono in case unifamiliari di loro proprietà) e di beni di consumo durevoli come le automobili o beni di uso domestico, la cui durata è assai più ampia dei redditi trimestrali o annuali ai quali le spese dei consumatori vengono rapportate. Molte delle spese summenzionate (e svariate altre, come ad esempio il denaro speso in vacanze o nell'impiego del tempo libero) sono discrezionali. Esse soddisfano bisogni e desideri piuttosto che necessità immediate. Possono essere posposte o raggruppate in particolari momenti. Nel corso degli anni cinquanta, sessanta e settanta, la quota delle spese discrezionali sul totale delle spese è andata grandemente aumentando (dapprima negli Stati Uniti e poi anche in numerosi altri paesi).
Si è tentato di mantenere in piedi il vecchio sistema di analisi definendo una gran parte della spesa in beni durevoli in termini di investimento anziché di spesa (in tale quadro soltanto il deprezzamento dei beni durevoli viene visto come spesa). Ma così facendo rimane irrisolto il problema di spiegare l'investimento di consumo, e si lascia nell'ombra il principale dei nuovi fenomeni, vale a dire la grande libertà di manovra acquisita dai consumatori per quanto concerne l'accelerazione o il rallentamento del ritmo dei loro esborsi monetari totali (va aggiunto, cosa che vedremo più oltre, che le spese discrezionali non si limitano all'acquisto dei beni durevoli). Poiché un numero crescente di consumatori dispone di una qualche forma di fondi liquidi (depositi bancari, titoli) ed è in grado di prendere a prestito denaro per le grandi spese (provvedendovi con acquisti rateali), il consumo è oggi meno dipendente dal livello del reddito di quanto avvenisse in passato. Le spese discrezionali sono venute a dipendere piuttosto da considerazioni psicologiche, vale a dire dal modo in cui i consumatori percepiscono la loro situazione e le loro prospettive, nonché dalle loro aspettative circa le prospettive economiche generali.
In breve, le spese discrezionali sono una funzione da un lato del potere di acquisto (derivante innanzi tutto dal reddito, ma anche dalla situazione patrimoniale e dalle possibilità di credito) e dall'altro della propensione ad acquistare (derivante dagli atteggiamenti e dalle prospettive dei consumatori). Sono cioè fattori determinanti sia il reddito sia la fiducia (v. Katona, 1960). I mutamenti nella propensione ad acquistare non riflettono fattori inafferrabili o impalpabili, tali che le loro fluttuazioni siano irrazionali o incomprensibili. Né è lecito affermare che i mutamenti in fatto di fiducia o di ottimismo, se incidono a livello individuale, si elidono e scompaiono a livello globale. È vero al contrario che le ondate di pessimismo o di ottimismo toccano contemporaneamente grandi masse di persone, e che i singoli atteggiamenti individuali si rafforzano reciprocamente e influenzano la domanda aggregata. È divenuto possibile misurare i mutamenti nella propensione ad acquistare mediante inchieste condotte su campioni rappresentativi della popolazione. Inchieste del genere furono avviate negli Stati Uniti nei primi anni cinquanta e vengono ora condotte in molti paesi ad intervalli di tempo abbastanza ravvicinati. Esse forniscono dati sui mutamenti negli atteggiamenti e nelle aspettative che ci mettono in grado, come mostra l'esperienza, di fare previsioni sull'andamento delle spese discrezionali dei consumatori.
2. Il margine di manovra e di scelta dei consumatori, lungi dal riguardare soltanto le loro spese, si estende in misura crescente al loro reddito. Molte famiglie sono in grado di incrementare il proprio reddito o lavorando di più o attraverso un secondo impiego o attraverso un'occupazione remunerata della donna. La ricerca di un reddito più alto può assumere la forma del passaggio da un lavoro ad un altro o anche dell'acquisizione di nuovi titoli di studio o di nuove capacità professionali. Quando, come avviene in numerose società opulente (almeno nei periodi non caratterizzati da recessioni), è in generale abbastanza facile trovar lavoro, gli sforzi si orientano nel senso della ricerca di un posto migliore. Le caratteristiche in base alle quali un impiego è considerato migliore di un altro possono essere o la riduzione dell'orario di lavoro, la sicurezza e i benefici marginali, oppure l'idoneità della nuova occupazione a fornire occasioni di avanzamento e di realizzazione delle proprie capacità. Che la gente abbia o no una motivazione a perseguire un avanzamento è cosa che dipende, almeno in una certa misura, dalle necessità di consumo che avverte. Chi ha una forte spinta verso un miglioramento del proprio tenore di vita trova in genere il modo di accrescere il proprio reddito. Ci sono quindi ragioni a sufficienza per rovesciare l'equazione tradizionale: non già le spese sono una funzione del reddito, ma il reddito diviene una funzione delle necessità e delle aspirazioni di consumo (v. Katona e altri, 1971).
Tutto ciò non sarebbe vero se nelle società opulente la gente si sentisse ricca, se ritenesse cioè di avere tutto ciò che desidera e si considerasse pienamente soddisfatta. Ma indagini condotte nel paese che possiede il più alto tenore di vita gli Stati Uniti - mostrano che anche quanti dispongono di un reddito relativamente alto, e notevolmente aumentato rispetto al passato, trovano difficile far quadrare il bilancio. Nello stesso momento in cui le loro proprietà e i beni e i servizi che possono permettersi si accrescono grandemente, le necessità e le aspirazioni salgono a un livello ancora più alto. La prosperità - vale a dire la soddisfazione di un gran numero di bisogni per vaste masse di persone - non è bastata ad esaurire i bisogni della gente. Naturalmente lo schema per cui i livelli delle aspirazioni salgono con il successo e si abbassano con le delusioni e le frustrazioni (v. Lewin e altri, 1944) non vale per tutti gli individui in tutti i paesi. Ma esso possiede una sufficiente validità, come mostrano le rilevazioni che ne indicano il prevalere negli Stati Uniti presso la maggioranza della popolazione giovane e in età lavorativa; rappresenta insomma una forza potente che modella il ruolo del consumatore in un gran numero di economie.
2. Dati statistici
In che cosa la gente spende il proprio denaro? Come il consumatore ha modificato le sue spese nel XX secolo? Quali gruppi di consumatori spendono molto e quali poco? Per rispondere a queste importanti domande disponiamo di abbondanti dati statistici, specialmente per quanto concerne i paesi altamente sviluppati. Il nostro interesse va innanzi tutto al consumatore moderno, perché la struttura della sua spesa riflette gli elementi di novità e indica le tendenze destinate ragionevolmente ad affermarsi in futuro. Pertanto i dati statistici presentati in questo capitolo saranno altamente selettivi, e in massima parte limitati ai soli Stati Uniti, vale a dire al paese in cui l'economia dei consumi ha registrato il maggiore sviluppo. Il nostro scopo è di attirare l'attenzione su alcune tendenze fondamentali piuttosto che di esporre dati storici esaurienti sulle spese dei consumatori. Nelle ‛economie opulente' diverse dagli Stati Uniti - e specialmente nell'Europa occidentale e settentrionale, nel Canada e in Australia - gli sviluppi in corso assomigliano, nonostante alcune rilevanti differenze, a quelli americani. Quanto alla Russia sovietica e ai suoi vicini (come pure la Cina), essi saranno lasciati da parte, non soltanto perché i dati statistici disponibili per questi paesi sono meno completi, ma anche perché in queste parti del mondo la scelta e la discrezionalità del consumatore sono assai più ristrette che nell'Europa occidentale e in Nordamerica. Infine, i paesi in via di sviluppo del Sudamerica, dell'Africa e dell'Asia meridionale lasciano anch'essi intravedere le più rilevanti tendenze proprie delle economie opulente, ma il loro cammino è stato relativamente lento a causa di problemi particolari che non saranno discussi qui.
a) Ripartizione del PNL e delle spese dei consumatori
Il PNL, vale a dire l'ammontare totale del valore di tutti i beni e servizi prodotti, viene solitamente suddiviso in tre componenti: le spese di consumo privato, l'investimento privato lordo e gli acquisti governativi di beni e servizi. Ciascuna componente riflette il contributo netto dei tre settori (famiglie, imprese e governo). Negli Stati Uniti nel 1970 le spese di consumo personale raggiungevano quasi i due terzi del PNL (una proporzione che non risultava gran che mutata rispetto agli anni cinquanta e sessanta).
Le spese di consumo privato sono solitamente suddivise in spese in beni durevoli, spese in beni non durevoli e spese in servizi. Nel 1970 le spese in beni durevoli raggiungevano negli Stati Uniti quasi il 16% del totale (il resto era ripartito pressoché alla pari tra i beni non durevoli e i servizi). Le spese in beni di consumo durevoli rappresentano quindi poco più del 10% del PNL. Ma questo dato statistico dà un'impressione alquanto fuorviante del ruolo svolto dai beni durevoli, e specialmente dalle spese discrezionali rivolte al futuro, nell'economia odierna.
A spiegare la debole percentuale delle spese in beni durevoli contribuiscono considerazioni puramente statistiche: l'edilizia residenziale è inclusa nell'investimento privato lordo, sebbene gli acquisti di nuove case unifamiliari e le spese per la manutenzione e il miglioramento degli alloggi costituiscano per i bilanci familiari un'uscita fondamentale, mirante a raggiungere obiettivi di lungo termine. Inoltre, il denaro speso nell'acquisto di case vecchie e di automobili usate viene in massima parte escluso dal PNL, in quanto si tratta di semplici trasferimenti anziché dell'acquisto di beni di nuova produzione. E tuttavia dal punto di vista del consumatore individuale tali acquisti costituiscono decisioni di vasta portata, che richiedono grosse somme di denaro. Ma un'importanza maggiore di queste considerazioni statistiche hanno alcune osservazioni di carattere generale che ci apprestiamo ora ad esporre.
b) Le spese discrezionali
Nel corso degli ultimi decenni le spese dei consumatori in beni durevoli sono notevolmente aumentate. Va inoltre rilevato ch'esse hanno conosciuto fluttuazioni maggiori degli altri tipi di spesa. Le spese in beni non durevoli - essenzialmente cibo, vestiario e accessori - hanno rappresentato, in ciascun anno del secondo dopoguerra, una quota approssimativamente costante del reddito, crescendo proporzionalmente (se si assume come costante il valore del dollaro). Le spese in servizi sono cresciute con ritmo regolare in una misura ancora maggiore. Invece i mutamenti registrati trimestralmente e annualmente nelle spese in beni durevoli sono stati considerevoli: in alcuni periodi assistiamo a rilevanti incrementi, in altri ad incrementi modesti, e in alcuni periodi addirittura ad un declino.
L'andamento dei mutamenti nelle spese in beni durevoli verificatisi negli ultimi anni negli Stati Uniti può essere illustrato dalla tabella.
Gli acquisti di beni durevoli costituiscono una parte notevole delle spese discrezionali dei consumatori, ma le due voci sono lungi dal coincidere. Innanzi tutto una parte del denaro speso in beni durevoli costituisce una spesa non discrezionale ma necessaria, essendo dovuta per esempio all'acquisto di un'automobile o di un apparecchio domestico rotto o usurato. Inoltre certi piccoli apparecchi si acquistano, di solito, senza preoccuparsi di valutare il momento opportuno per la spesa. In secondo luogo - e si tratta della cosa più importante - molte spese incluse nella voce dei beni non durevoli o dei servizi hanno carattere discrezionale. È questo il caso non soltanto di certi articoli di lusso che vengono acquistati occasionalmente, ma anche, e soprattutto, delle spese connesse all'impiego del tempo libero. Il moderno consumatore annette un'importanza sempre crescente alle attività del tempo libero, e spende somme sempre maggiori in ciò che fa di sera, nei fine-settimana e durante le ferie. Alcune di tali spese vanno in beni durevoli (si pensi all'acquisto di un'automobile o di un'imbarcazione), altre in beni semidurevoli (per es., valigie e simili), altre ancora in cibo (pasti fuori casa) e benzina, altre infine in servizi (spese di viaggio, manutenzione dell'automobile, ecc.). Ebbene, una buona parte di queste spese ha carattere discrezionale e sia la loro entità sia la loro distribuzione nel tempo dipendono dagli atteggiamenti e dalle aspettative della gente.
Le spese discrezionali soddisfano desideri piuttosto che necessità impellenti. Le spese in beni durevoli importanti assomigliano agli investimenti in nuovo macchinario: le une e gli altri sono dovuti essenzialmente all'attrazione esercitata dal nuovo prodotto assai più che al rendimento insoddisfacente del prodotto che già si possiede. La maggior parte degli Americani cambia la sua vecchia automobile con una automobile nuova anche se sa benissimo che la prima è ancora in condizioni soddisfacenti: lo fa perché desidera avere una macchina migliore e più nuova. Ciò che in ciascun momento la gente desidera e considera come appropriato fluttua in funzione delle condizioni dell'offerta, ma anche degli atteggiamenti e delle aspettative prevalenti.
Purtroppo non disponiamo di dati statistici attendibili sull'ammontare totale delle spese discrezionali, sulla loro crescita e le loro fluttuazioni. Tutto ciò che sappiamo è che le spese discrezionali totali sono assai maggiori delle spese in beni durevoli, e che negli ultimissimi decenni sono cresciute ad un ritmo più serrato e hanno registrato fluttuazioni più ampie.
Circa tre famiglie americane su quattro spendono ogni anno una certa somma in beni durevoli. Se si prende in considerazione un periodo di due o tre anni la percentuale sale ancora. Più elevato è il reddito, maggiore è la quota di coloro che acquistano nuove automobili e nuove apparecchiature domestiche (la percentuale di quanti acquistano automobili usate è invece pressoché stabile lungo l'intera scala del reddito). Qualora si consideri la spesa in beni durevoli in termini di percentuale sul reddito, si vedrà che le differenze tra le famiglie con reddito rispettivamente basso, medio e alto sono ridottissime (Morgan). Ciò non è probabilmente più vero quando si passi all'insieme delle spese discrezionali, alle quali i gruppi a reddito alto dedicano una quota delle loro entrate superiore a quella dei gruppi a reddito basso. La legge stabilita da E. Engel nel XIX secolo, per cui la quota delle spese familiari in cibo decresce con il crescere del reddito, rimane valida (v. Ferber, 1962). E tuttavia il fatto che tutti i gruppi di popolazione dedichino una quota crescente del loro reddito ad una gamma di spese diverse dal cibo riduce oggi l'incidenza della legge rispetto al passato.
Il rilevante e costante aumento delle spese in servizi verificatosi nei venticinque anni successivi alla seconda guerra mondiale ha indotto alcuni osservatori a parlare del passaggio da un'economia fondata sulla produzione ad un'economia fondata sui servizi (v. Fuchs, 1968). Negli anni sessanta la maggioranza della forza di lavoro americana era costituita da persone che prestavano servizi anziché produrre beni (e, al tempo stesso, da ‛colletti bianchi' anziché da ‛colletti blu'). Un'analisi della forza di lavoro rivela che tra i cosiddetti lavoratori dei servizi il gruppo maggiore - e quello che ha registrato il maggior incremento - è costituito dai dipendenti pubblici e particolarmente dagli insegnanti. Questo aumento del numero delle persone impegnate nel lavoro educativo sembra giustificare la definizione dell'economia odierna come un'economia del sapere piuttosto che un'economia di servizi. Ad avvalorare tale definizione contribuisce anche il fatto che, mentre il numero dei lavoratori impegnati nell'agricoltura, nelle miniere e nella produzione industriale diminuisce, aumenta il personale addetto a mansioni di ricerca e sviluppo cui soprattutto si devono i grossi aumenti della produttività. Oltreché dei dipendenti pubblici e degli occupati nei laboratori e nella ricerca, è pure grandemente aumentato il numero degli individui impiegati negli istituti finanziari, nelle organizzazioni commerciali, nell'assistenza e nella manutenzione dei beni durevoli. Tali mutamenti sono derivati in massima parte dalle modificazioni intervenute nello stile di vita dei consumatori e dall'accresciuta opulenza. L'interesse e la possibilità della gente di procurarsi istruzione, assistenza medica, strumenti per risparmiare lavoro, comfort e attività per il tempo libero spiega in buona parte l'incremento delle spese in servizi. (Tale incremento è anche in parte dovuto al crescere delle somme sborsate dai consumatori in pagamento di interessi, all'aumento dei canoni di affitto da parte dei proprietari di case e al fatto che i prezzi dei servizi sono aumentati in misura maggiore rispetto ai prezzi delle merci).
c) Mutamenti nella distribuzione del reddito
Tra tutti i mutamenti nel reddito individuale relativo percepito da vari gruppi di popolazione, verificatisi nel venticinquennio seguito alla seconda guerra mondiale, il più cospicuo è l'ampliamento della fascia delle famiglie con reddito medio e medio-superiore. La quota delle famiglie con reddito discrezionale, cioè che dispongono di un reddito che va oltre la soddisfazione delle necessità vitali, è aumentata in misura sostanziale. Quali livelli di reddito debbano essere considerati come minimi perché si possa parlare di reddito discrezionale, è ovviamente un fatto in certa misura arbitrario. Nel 1970 negli Stati Uniti pressappoco una metà di tutte le unità familiari - famiglie e individui che vivono soli - percepiva un reddito annuo (al lordo delle tasse) superiore a 7.500 dollari e inferiore a 20.000 dollari, complessivamente pari a più della metà dell'ammontare totale dei redditi individuali. Nel periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale le unità familiari provviste di un potere d'acquisto paragonabile al caso precedente (il reddito monetario era assai più modesto, così come erano più bassi i prezzi) superavano appena il 25% del totale (v. Katona, 1964). Questo gruppo di popolazione costituisce la spina dorsale della società dei consumi, ed è ad esso che risale essenzialmente la forte incidenza delle spese in beni di consumo sull'economia.
L'analisi della distribuzione del reddito e dei suoi mutamenti fornisce ulteriori lumi, che contribuiscono a far intendere i mutamenti intervenuti nelle spese dei consumatori. Possiamo distinguere tre altri gruppi di popolazione. Il primo è quello formato da coloro che possiamo chiamare i ricchi. Ad esso appartengono (si tenga presente il limite fissato sopra) le famiglie che nel 1970 percepivano un reddito annuo superiore ai 20.000 dollari. Queste famiglie rappresentano una percentuale modesta sul totale delle unità familiari, ma la loro quota di reddito sul reddito totale è assai maggiore. Ambedue queste percentuali sembrano aver subito scarse variazioni nel corso del venticinquennio considerato (naturalmente il limite inferiore della fascia di reddito va spostato in proporzione alle variazioni dei prezzi). Se, come si fa spesso, si utilizza come misura delle diseguaglianze di reddito la quota del reddito totale del 5 o 10% dei maggiori percettori, risulta che, nel quarto di secolo successivo alla seconda guerra mondiale, il grado di diseguaglianza ha subito scarse variazioni (v. Kuznets, 1953; v. Miller, 1971).
I gruppi a reddito più basso meritano un'attenzione speciale, in quanto costituiscono la ‛fascia della povertà'. Le dimensioni di questa fascia variano a seconda della definizione che si dà della povertà. La definizione più largamente usata, proposta dal governo degli Stati Uniti e che tiene conto, oltre che del livello del reddito, anche del numero degli adulti e dei bambini a carico di chi percepisce tale reddito, fissa la misura della fascia della povertà in qualcosa di meno di un sesto del totale delle unità familiari (1970). Ma, quale che sia la definizione adottata, non c'è dubbio che nel corso degli anni sessanta la fascia della povertà sia andata restringendosi. E tuttavia anche queste dimensioni piu ridotte hanno dato luogo, giustamente, a grandi preoccupazioni. L'alienazione del povero che non partecipa ai benefici del tenore di vita goduto dalla maggioranza può in effetti essere addirittura cresciuta, giacché il povero è divenuto sempre più consapevole delle differenze esistenti tra la sua condizione e quella della maggioranza. La progressiva eliminazione della povertà rimane uno dei compiti più urgenti dell'America. Mentre scriviamo sono oggetto di ampi dibattiti i tentativi di rivedere il sistema dei versamenti per la sicurezza sociale o di introdurre un reddito minimo garantito, ma sinora non ne è sortito alcun progresso di rilievo. Va però detto che l'aumento delle somme versate ai pensionati a titolo di assicurazione sulla vecchiaia ha alleviato la povertà tra i vecchi.
Oltre ai vecchi, possiamo individuare altri due gruppi demografici tra cui la povertà è relativamente diffusa. Si tratta delle famiglie sprovviste di capofamiglia maschio (spesso vedove e donne nubili con figli) e dei non-bianchi. Più in generale, negli Stati Uniti la povertà è caratterizzata dall'assenza di capacità professionali o di istruzione (v. Morgan e altri, 1962). Nella società moderna il possesso di una specializzazione è un requisito necessario per far carriera. Coloro che ne sono sprovvisti guadagnano poco e sono periodicamente soggetti alla disoccupazione.
Esiste poi un quarto gruppo di popolazione, di considerevoli dimensioni, che si situa al di sopra del livello di povertà ma al di sotto del limite inferiore che definisce i percettori di un reddito discrezionale. Questo gruppo comprende un'enorme percentuale di giovani. Per poter capire tale situazione occorre tenere presente un mutamento (di importanza fondamentale) intervenuto nella curva dei guadagni lungo il corso del ciclo vitale. Quando - come all'inizio del XX secolo - la maggioranza della popolazione attiva è costituita da agricoltori e da lavoratori non specializzati o semispecializzati, il livello più alto del reddito durante una vita di lavoro viene raggiunto relativamente presto (e il declino comincia già intorno ai quarant'anni). Quando invece - come all'inizio degli anni settanta - la maggioranza della popolazione attiva è costituita da ‛colletti bianchi' forniti di istruzione medio-superiore (e magari universitaria), l'andamento delle carriere presenta una situazione di bassi stipendi in partenza, appena lasciata la scuola, e il massimo livello di reddito viene raggiunto dopo i cinquant'anni, se non addirittura subito prima della pensione. L'età media alla quale gli Americani raggiungono il più alto livello di reddito di tutta la loro vita è considerevolmente salita nell'ultimo mezzo secolo. Ne segue che un gran numero di giovani ha buone possibilità di entrare a far parte, col tempo, del gruppo che gode di un reddito discrezionale. Le considerazioni appena esposte giovano anche a spiegare in larga misura perché presso un grandissimo numero di giovani si riscontrino aspettative ottimistiche riguardo al reddito futuro.
d) Le spese del consumatore durante il ciclo vitale
L'analisi della distribuzione del reddito si rivela efficace quando è applicata ai modelli di spesa delle famiglie nelle varie fasi del ciclo vitale. I bilanci di famiglie rispettivamente giovani o anziane, con figli piccoli, con figli adolescenti che vivono a casa o i cui figli si sono resi autonomi, presentano differenze considerevolissime. La seguente succinta esposizione degli schemi di comportamento delle famiglie nelle varie fasi del ciclo vitale vale per il comportamento tipico delle famiglie americane negli anni sessanta. Non occorre dire che le famiglie che presentano una struttura di spese non tipica sono numerose.
1. Le famiglie giovani nei primi anni dopo il matrimonio vivono mediamente in alloggi d'affitto di livello relativamente modesto. La proprietà di un'automobile è cosa assai frequente, ma si tratta di solito di automobili usate. L'ammontare dei risparmi di queste famiglie è insignificante, anche quando non ci sono ancora figli, e marito e moglie lavorano entrambi.
2. Le famiglie con figli piccoli sono sempre più interessate ad acquisire la proprietà delle case che abitano, spesso situate a grande distanza dal centro della città. L'acquisto di una casa unifamiliare e della sua attrezzatura (mobilio, frigorifero, lavatrice, ecc.) assorbe una grossa quota del reddito, anche quando la casa viene comprata su base ipotecaria e i beni durevoli a rate. Anche in questo caso il risparmio finanziario - vale a dire il denaro messo in banca o trasformato in titoli - rimane su valori insignificanti.
3. Le famiglie con figli adolescenti a casa trovano anch'esse grandi difficoltà a far quadrare il bilancio. Anche se in questo gruppo d'età è normale che il reddito salga, le necessità crescono in misura ancora maggiore. Tra queste figurano l'aspirazione ad una casa più grande e migliore, nonché spese discrezionali di varia natura. L'acquisto a rate rimane frequente e il risparmio finanziario assai limitato, finché i genitori non raggiungano più o meno i quarant'anni. Se i figli vanno al college (negli Stati Uniti è il caso di più del 40% dei giovani compresi tra i 18 e i 20 anni di età), si rendono spesso necessarie cospicue spese addizionali.
4. Le famiglie in cui i genitori abbiano superato i quarant'anni e i figli siano in tutto o in parte autosufficienti e abbiano abbandonato la casa paterna, vanno incontro ad una crescente opulenza. Spesso la moglie torna a lavorare. Tra i 45 e i 55 anni d'età sia il livello del reddito che quello del risparmio in depositi bancari e titoli raggiungono la loro punta massima. Parecchi anni prima della pensione alcune famiglie si trasferiscono in case più piccole.
5. Quando arriva il momento della pensione (nel caso tipico a 65 anni, ma sempre più spesso a 60), in parecchi casi si registra una riduzione delle spese. Dopo il pensionamento molte famiglie si trasferiscono in zone con clima più mite. Una parte dei pensionati se la passa bene: oltre alla pensione dispone di risparmi considerevoli, accumulati negli anni precedenti. Ma un numero molto maggiore vive con la pensione, la quale per solito non basta a mantenere il vecchio tenore di vita. Va anche aggiunto che nel 1970 c'erano ancora casi di persone anziane sprovviste di assicurazione sulla vecchiaia e quindi dipendenti totalmente dai contributi dell'assistenza pubblica.
e) Risparmio, prestiti, patrimoni liquidi e ricchezza
Si usa distinguere due forme fondamentali di impiego del reddito, secondo la seguente equazione di base, che rappresenta il settore del consumo: reddito personale disponibile=consumi+risparmi.
Il più delle volte il denaro speso nell'acquisto di una casa è considerato risparmio, il denaro speso nell'acquisto di beni durevoli come consumo e i debiti contratti in ambedue i casi come risparmio negativo.
Dati statistici aggregati che riflettono il comportamento di tutti i consumatori hanno indotto numerosi economisti a concludere che la percentuale del reddito disponibile (cioè al netto delle tasse) che viene spesa è pressoché stabile. Negli Stati Uniti, per esempio, durante periodi abbastanza lunghi (eccettuati gli anni delle guerre mondiali e la fase più acuta della depressione nel quarto decennio del secolo) le spese dei consumatori hanno rappresentato in ciascun anno una quota del reddito disponibile compresa tra il 91 e il 94%. L'ampiezza di queste oscillazioni è spesso stata considerata trascurabile; ma si tratta di una conclusione che appare assai meno giustificata quando gli stessi dati vengano guardati dal punto di vista dei risparmi. Fluttuazioni nel tasso di risparmio che vanno dal 6 al 9%. del reddito disponibile possono difficilmente essere considerate come trascurabili, giacché sono suscettibili di condurre, nel caso limite, a un tasso di incremento del risparmio da un anno all'anno successivo pari al 50%. Anche un incremento - o decremento - pari ad un solo punto percentuale equivale ad una variazione nelle somme risparmiate - o consumate - pari, nel caso del 1970, a sette miliardi e mezzo di dollari. Come si vede, si tratta di una differenza considerevole dal punto di vista dell'attività economica.
Conviene sviluppare ulteriormente l'equazione di base, poiché le somme che vengono spese o risparmiate non provengono esclusivamente dal reddito percepito. Specialmente negli Stati Uniti (ma sempre più spesso anche negli altri paesi altamente sviluppati) le famiglie possono finanziare le loro spese in tre modi diversi: attingendo al reddito, attingendo ai patrimoni liquidi e ricorrendo al prestito. L'ammontare dei risparmi è ovviamente sempre considerato al netto, vale a dire come la differenza tra le somme risparmiate (incluso il rimborso dei debiti) e le somme prelevate (inclusi i nuovi debiti contratti). Da un punto di vista comportamentistico possono essere distinte parecchie principali forme di risparmio.
Innanzi tutto troviamo il risparmio ‛contrattuale'. Esso consiste, in parte, di detrazioni a favore di fondi per pensioni, ai quali si sia obbligati a partecipare. Comprende inoltre il rimborso del debito ipotecario e rateale, e anche una parte dei premi dell'assicurazione sulla vita; Soggettivamente, la maggior parte della gente non considera il rimborso dei debiti come risparmio. Chi vive in una casa di sua proprietà considera i pagamenti effettuati in riscatto dell'ipoteca come una spesa equivalente alla pigione pagata da coloro che vivono in case in affitto. Gli esborsi effettuati in pagamento degli acquisti rateali sono visti come il costo del funzionamento dell'automobile o delle apparecchiature domestiche, le quali vengono così pagate mentre le si usa, anziché mediante risparmi accumulati prima dell'acquisto. Di fronte a questi pagamenti non c'è possibilità di scelta o di manovra: si potrebbe certo rimanere insolventi, ma, ci si avvierebbe ad una catastrofe e ciò in effetti accade molto di rado. La decisione del consumatore viene presa al momento dell'acquisto e non al momento del rimborso del debito. Si tratta quindi di una decisione (un'importante decisione) di consumo piuttosto che di risparmio.
Il risparmio finanziario, vale a dire il valore netto in depositi presso banche o istituti di risparmio e in titoli obbligazionari o azionari, può essere suddiviso in risparmio attivo e risparmio residuale. Quest'ultimo consiste nell'accumulazione di risorse finanziarie dovuta a spese non fatte. La decisione di posporre certe spese viene presa, ad esempio, perché il prezzo sembra troppo alto, o perché le aspettative circa il futuro sono incerte. Il risultato è un incremento delle somme risparmiate. Molta gente annette un gran valore al risparmio, desidera accumulare in risparmi o fondi di riserva e deliberatamente dedica una parte del reddito ad accrescere il proprio patrimonio finanziario. Sono queste le forme di risparmio che richiedono un esame ulteriore.
Perché si risparmia? Sono stati distinti parecchi scopi principali del risparmio, il più importante dei quali è radicato nella convinzione che il futuro è incerto, che possono emergere circostanze avverse che esigano spese eccezionali, che possono arrivare i ‛ neri'. Questo tipo di motivazione al risparmio è dominante presso moltissime persone.
In secondo luogo si risparmia perché si pensa alla vecchiaia e al proprio benessere economico dopo il pensionamento. Negli Stati Uniti si sono riscontrate precise preoccupazioni di risparmio per l'età della pensione già tra i quarantenni. Il diffondersi dei meccanismi di sicurezza collettiva a vantaggio della vecchiaia attraverso sistemi pensionistici sia statali che privati non ha inciso sul risparmio individuale in vista del ritiro dal lavoro.
In terzo luogo dev'essere menzionato il risparmio mirante a consentire spese di consumo future. Negli Stati Uniti, dove il pagamento a rate rappresenta un modo generalmente accettato di finanziare l'acquisto di un'automobile o di un grosso apparecchio domestico, questa forma di risparmio ha un'importanza relativamente modesta. Ma in diversi altri paesi - per esempio la Repubblica Federale Tedesca - dove le vendite rateali occupano un posto insignificante, il risparmio a fini di consumo o per l'acquisto di una casa o di un appartamento in un tempo sucessivo è fenomeno comunissimo (v. Katona e altri, 1971).
In quarto e ultimo luogo, gli uomini risparmiano per provvedere ai propri figli. Nel XX secolo l'accumulazione di ricchezza al fine di trasmetterla ai propri eredi è divenuta un fenomeno relativamente trascurabile. Ma la preoccupazione per l'istruzione dei figli e per la necessità di aiutarli nei primi passi della carriera costituisce un potente motivo di risparmio.
La questione che ora si pone - chi sia a risparmiare - è già stata discussa nel paragrafo precedente di questo capitolo. Reddito ed età o la fase del ciclo vitale: ecco i più importanti fattori che determinano il risparmio. Nella maggior parte dei casi il reddito raggiunge il livello massimo dopo i 40 o i 45 anni, ed è questo il momento in cui le necessità di consumo cedono la priorità alle necessità di risparmio. Negli Stati Uniti i gruppi di età sotto i 35 anni accumulano risparmi finanziari in una misura inferiore alla media generale, quelli compresi tra i 35 e i 45 anni sono attestati sui valori medi, e quelli tra i 45 e i 60 vanno oltre la media. Nei paesi in cui è diffuso il risparmio a fini di consumo il risparmio finanziario da parte di individui giovani sembra essere più frequente che in America (ma, come si è già visto, i giovani americani ‛risparmiano' molto rimborsando i debiti). Le aggiunte nette al patrimonio liquido sono effettuate nella stragrande maggioranza dei casi dai gruppi collocati ai livelli superiori, se non addirittura al vertice, della scala del reddito. Si è riscontrato che gli uomini d'affari risparmiano una quota del loro reddito maggiore rispetto agli impiegati e agli operai.
Mentre il risparmio positivo dipende strettamente dal reddito, non così avviene per il suo contrario. Negli Stati Uniti la percentuale delle famiglie che in un qualsiasi anno dato riducono il proprio patrimonio liquido e la percentuale di quelle che ricorrono a prestiti sembrano mantenersi abbastanza stabili lungo l'intera scala del reddito. Questo fatto va collegato all'altro, già riferito, per cui la quota del reddito spesa in beni durevoli non aumenta con l'aumentare del reddito. Inoltre, mentre le famiglie a basso reddito intaccano i propri risparmi (o fanno debiti) a causa di situazioni d'emergenza (disoccupazione o malattie) più spesso delle famiglie a reddito elevato, queste ultime attingono con maggiore frequenza al proprio patrimonio liquido per finanziare una varietà di grosse spese.
Negli Stati Uniti circa una metà di tutte le unità familiari ha avuto in bilancio debiti conseguenti ad acquisti rateali in ciascun anno del decennio 1960-1970, e la percentuale di quelle indebitate in una qualche maniera (inclusi i mutui ipotecari) si è avvicinata ai tre quarti. Una situazione di così generale accettazione del ricorso al prestito non si riscontra in alcun altro paese.
Quando si passa invece a considerare i patrimoni liquidi delle famiglie nei vari paesi, le differenze si riducono di molto. La quota di coloro che posseggono un qualche patrimonio liquido (in qualsiasi forma) è considerevolmente cresciuta, nel venticinquennio successivo alla seconda guerra mondiale, in tutti i paesi altamente sviluppati. Nel 1970 più del 70% delle famiglie statunitensi disponeva di riserve in libretti di risparmio, conti correnti bancari, obbligazioni o azioni. In alcuni paesi dell'Europa occidentale la percentuale è ancora più alta. Il grosso di questi patrimoni liquidi, e specialmente in titoli, è nelle mani dei gruppi di reddito elevato e delle famiglie di mezz'età o anziane. Negli Stati Uniti la distribuzione delle riserve finanziarie è nettamente diseguale, assai più di quanto avvenga per la distribuzione del reddito.
E tuttavia se si guarda al maggiore dei beni patrimoniali posseduti dalle famiglie americane - la casa -, tale diseguaglianza è considerevolmente meno pronunciata. La differenza nel valore delle case unifamiliari occupate dal proprietario è assai minore, passando dagli alti ai bassi redditi, della differenza in fatto di patrimoni liquidi. In ogni ceto ci si è avvantaggiati, nel lungo periodo, dell'incremento di valore delle case, mentre contemporaneamente l'inflazione diminuiva il carico del mutuo ipotecario.
Nel passato la ricchezza di un paese è stata spesso vista come il valore totale delle sue risorse produttive, vale a dire degli investimenti in fabbriche, miniere, magazzini al dettaglio, ecc. Oggi i beni patrimoniali immobili di proprietà pubblica, così come i beni patrimoniali di proprietà dei consumatori (per es., le case unifamiliari), debbono essere inclusi nella ricchezza nazionale. Inoltre una parte sostanziale della ricchezza nazionale è costituita da quello che viene chiamato il capitale umano, vale a dire il valore delle capacità professionali, dell'istruzione, dell'addestramento e della salute della popolazione. Come si vede, nelle economie imperniate sui consumi il concetto di ricchezza ha subito grandi modificazioni.
3. L'influenza degli atteggiamenti e delle aspettative dei consumatori
L'esame dei fattori che influenzano le spese dei consumatori si è limitato finora alla considerazione del livello del reddito e di fattori demografici come l'età e la fase del ciclo vitale. Tra gli elementi tralasciati figura innanzi tutto l'influenza delle variazioni di reddito. Nel 1936 J. M. Keynes collocò questo problema al centro della sua teoria e propose, al fine di spiegare l'effetto delle variazioni di reddito sulle spese dei consumatori, un principio di ordine psicologico. Detto in termini semplici e non tecnici, Keynes affermò che le abitudini che governano una parte sostanziale delle spese dei consumatori sono notevolmente rigide. Ne segue che la reazione a un incremento o a un decremento del reddito non è, nel breve periodo, nè immediata nè completa. In seguito a un incremento del reddito le spese dei consumatori aumentano, ma in misura proporzionalmente inferiore; e lo stesso avviene nel caso di un decremento.
Alcuni aspetti di questa teoria sono stati confermati dall'esperienza degli ultimi decenni, specialmente per quanto concerne l'impatto delle diminuzioni di reddito e le variazioni delle spese quotidiane. Ma Keynes mancò di prendere in considerazione le aspettative di reddito e trascurò (cosa comprensibile ai suoi tempi) i beni di consumo durevoli e le spese discrezionali in generale. Specialmente nelle società opulente, i consumatori sono in grado di modificare le proprie spese secondo modi diversi da quelli postulati da Keynes. Ci volgeremo quindi ora ad esaminare un approccio nuovo, quello dell'economia psicologica o comportamentistica (Katona, Schmölders). Tale approccio suppone che le spese dei consumatori siano influenzate dalla percezione che gli interessati hanno delle tendenze passate e dalle loro aspettative in fatto di tendenze future, nonché dal collegamento da essi operato tra tali tendenze e la loro personale situazione finanziaria da un lato e lo sviluppo economico in generale dall'altro.
Nella prima parte di questo capitolo sarà discussa l'influenza di breve periodo degli atteggiamenti e delle aspettative sulle spese dei consumatori: in altre parole, il ruolo dei consumatori nel ciclo economico. Nella seconda parte esamineremo le influenze di lungo periodo e allargheremo l'analisi ad una discussione delle teorie concernenti l'incidenza sul consumo del reddito totale percepito nel corso della vita e delle variazioni di ricchezza.
Lo strumento più semplice per misurare i mutamenti che intervengono nei fattori psicologici consiste nel porre domande appropriate in sondaggi estesi a campioni rappresentativi della popolazione. Si chiederà cioè alla gente se ritiene di stare meglio o peggio che nel passato, e se si aspetta di stare meglio o peggio nel futuro. Le risposte a tali quesiti possono differire da quelle date alle domande sulle variazioni del reddito percepito, a causa innanzi tutto dell'inflazione. Dopo la seconda guerra mondiale nella maggior parte dei paesi altamente sviluppati la maggioranza delle famiglie ha registrato un aumento dei redditi, ma ciononostante in certi momenti una parte notevole di esse ha avuto la sensazione che la propria situazione finanziaria non migliorasse. La consapevolezza dell'aumento dei prezzi ha indotto molta gente a pensare che gli incrementi di reddito non servissero ad altro che a conservare intatta la posizione precedente e talvolta che non bastassero neppure ad arrestare un deterioramento della propria situazione finanziaria.
Va inoltre rilevato che la soddisfazione o l'insoddisfazione circa le passate variazioni del reddito dipendono anche dalle aspettative. Quando gli incrementi sono visti come meno rapidi o meno sostanziali di quanto si fosse atteso, o di quanto è toccato ad altre persone con cui ci si confronta, la gente è insoddisfatta. Domande su come si valuta la situazione in atto e se ci si attende che migliori servono ad ottenere informazioni su come gli interessati sentono l'evoluzione della propria posizione economica.
Dati raccolti su un gran numero di anni mettono in evidenza l'importanza di queste considerazioni. Quando dividiamo un campione rappresentativo tra quelli che rispondono ‟stiamo meglio di un anno fa" e quelli che rispondono diversamente, constatiamo sistematicamente che negli Stati Uniti il primo gruppo ha acquistato più automobili e beni durevoli del secondo. Lo stesso vale quando si mettano a confronto le spese discrezionali totali dei due gruppi che hanno o non hanno aspettative ottimistiche.
Il modo di vedere la propria situazione finanziaria e le aspettative al riguardo incidono sui mutamenti della propensione ad acquistare, ma non bastano a render conto dei mutamenti stessi. Nella società odierna la gente sente che la propria situazione dipende anche da quello che succede agli altri (al proprio datore di lavoro, alla propria comunità), nonché dalle condizioni economiche dell'intero paese. Essa considera rilevanti per se stessa le tendenze passate (e quelle ch'è ragionevole attendersi per il futuro) dell'economia nazionale, anche nel caso in cui le tendenze personali siano viste come più favorevoli della prospettiva economica generale. Per esempio, quando appare imminente la minaccia di una recessione, anche chi è convinto che la cosa non inciderà sul proprio reddito ne è disturbato ed esita a dar corso alle spese discrezionali desiderate.
Al fine di misurare i mutamenti nella propensione dei consumatori ad acquistare, il Survey Research Center della Università del Michigan elaborò all'inizio degli anni cinquanta un ‛Indice dell'atteggiamento del consumatore', e da allora ha fornito dati trimestrali di aggiornamento dell'Indice medesimo, indicando anche le ragioni principali dei mutamenti intervenuti (v. Katona, 1960; v. Survey Research Center, 1960-1970). L'Indice è costruito sulla base di tre serie di dati: a) i mutamenti nella percezione della situazione finanziaria personale e delle aspettative al riguardo; b) i mutamenti d'opinione sulla prospettiva economica generale; c) i mutamenti nella valutazione della situazione dell'offerta e dei prezzi. Misurazioni analoghe, anche se differenti in numerosi punti particolari, sono state condotte in parecchi altri paesi (ad es., in Canada, Repubblica Federale Tedesca e Inghilterra; v. Strumpel e altri, 1970). Inoltre in vari paesi si procede alla raccolta di dati sulle variazioni di frequenza dei propositi dichiarati di acquisto di autoveicoli, di apparecchiature domestiche e così via. Studi siffatti sugli atteggiamenti e sulle aspettative dei consumatori contribuiscono alla comprensione dei mutamenti nella domanda dei beni di consumo e aiutano a prevederne i probabili mutamenti futuri.
Prove a sostegno di questa conclusione sono state fornite in tempi diversi in vari paesi. È sufficiente fare riferimento alla più ampia esperienza disponibile, quella statunitense. Durante il periodo 1955-1970 le ‛equazioni di regressione' davano risultati altamente soddisfacenti quando si adottavano le spese in beni durevoli quale variabile da spiegare, e il reddito (capacità d'acquisto) insieme con l'Indice dell'atteggiamento del consumatore (propensione ad acquistare) quali variabili esplicative: reddito e Indice venivano misurati con un anticipo variabile da sei a nove mesi sulle spese. Ancora più interessanti sono i risultati conseguiti dalla misurazione degli atteggiamenti e delle aspettative dei consumatori nei momenti di svolta del ciclo economico. Mentre nei periodi in cui le tendenze in atto appaiono costanti le proiezioni dell'evoluzione passata consentono predizioni corrette, è appunto nell'analisi dei momenti di svolta che può essere messa in luce la funzione unica assolta dai mutamenti della propensione ad acquistare.
Per illustrare il ruolo degli atteggiamenti e delle aspettative dei consumatori nei momenti di più accentuato movimento del ciclo economico, giova passare rapidamente in rassegna alcuni dati americani raccolti prima, durante e dopo la recessione del 1970. Secondo le statistiche concernenti il PNL e le sue principali componenti, il 1969 fu una buona annata. Le attività discrezionali dei consumatori - spese in automobili d'uso privato, ricorso all'acquisto rateale, ecc. - non mostrarono alcuna debolezza neppure nel quarto trimestre dell'anno, ma caddero bruscamente nel primo trimestre del 1970 e nei successivi. Ebbene, l'Indice dell'atteggiamento del consumatore aveva invece registrato le prime flessioni già nel maggio 1969, per cadere bruscamente nel corso dell'estate e dell'autunno (l'Indice aveva un valore di 95,1 nel febbraio 1969, di 91,6 in maggio, di 86,4 in agosto e di 79,7 in novembre; il punto più basso fu raggiunto con il valore di 75,4 nel maggio 1970). La flessione dell'Indice nel 1969, verificatasi in un momento di incremento (per quanto lento) dei redditi personali, rese possibile mettere in guardia con anticipo sulla recessione in arrivo, e sul finire dell'anno di prevedere la recessione ormai imminente.
Al tempo stesso il Survey Research Center poté individuare le ragioni del deterioramento della propensione dei consumatori ad acquistare e pertanto i fattori responsabili dell'inizio della recessione. Mentre nel 1968 l'atteggiamento dei consumatori era stato favorevolmente influenzato dalla cessazione dei bombardamenti sul Vietnam del Nord, dall'avvio delle conversazioni di pace a Parigi e dall'elezione di un nuovo presidente, nel 1969 le speranze di una rapida conclusione della guerra vietnamita e di una politica di rafforzamento dell'economia da parte della nuova amministrazione si dissolsero. Contemporaneamente gli Americani divennero consapevoli di una cospicua accelerazione del processo inflazionistico. Nella seconda metà del 1969 il programma governativo di lotta contro l'inflazione rese attenta la gente alla possibilità di una recessione e di un aggravamento della disoccupazione. Stando così le cose, i timori concernenti i problemi di lungo periodo della società americana balzarono in primo piano. I conflitti razziali, la questione urbana, la permanente povertà di una minoranza e il deterioramento dell'ambiente e della qualità dei beni e dei servizi intaccarono la propensione dei consumatori ad acquistare. E il mutamento intervenuto nel clima psicologico produsse a sua volta, nel giro di pochi mesi, una brusca riduzione delle spese discrezionali.
Da ciò che è avvenuto in America nel biennio 1969-1970 (ma anche da altre vicende verificatesi in altri paesi e in momenti diversi) segue: a) che gli atteggiamenti e le aspettative possono avere effetti sostanziali sulle spese dei consumatori; b) che un mutamento in tali atteggiamenti e aspettative può aver luogo anche in assenza di precedenti modificazioni della posizione finanziaria dei consumatori medesimi. Risulta inoltre chiaro che l'atteggiamento generale del consumatore può essere influenzato da fattori sia di mercato (prezzi, redditi, tassi d'interesse) che estranei al mercato (eventi politici e sociali).
Mentre prima della recessione il deterioramento dell'atteggiamento generale del consumatore era stato rapido, la sua ripresa fu lenta e graduale. Le cattive notizie ebbero nel 1971 un'incidenza minore rispetto al periodo 1969- 1970, per la ragione che le medesime notizie, ripetendosi per un lungo periodo e perdendo il carattere della novità, hanno sulla gente un'influenza minore (tale fenomeno psicologico è stato chiamato ‛assuefazione'). L'Indice dell'atteggiamento del consumatore non registrò progressi considerevoli prima del 1972.
La recessione del 1970 fu caratterizzata a un tempo da una contrazione delle spese discrezionali e da quote di risparmio privato insolitamente alte. Il grosso del nuovo risparmio andò a costituire depositi bancari di varia natura (libretti di risparmio, ecc.). La consapevolezza dell'inflazione in corso e la previsione di un suo aggravarsi non distrusse la fiducia della gente nelle banche (anche se la maggior parte degli Americani si rendeva conto che l'aumento dei prezzi incideva negativamente sul valore dei depositi bancari). Di nuovo emerge l'importanza del fattore atteggiamenti: le indagini hanno rivelato che la maggior parte degli Americani si aspettava un aumento dei prezzi lento e graduale anziché rapido e massiccio, il che ci consente di spiegare il comportamento dei risparmiatori.
Dall'esperienza del biennio 1970-1971 non si desume che alti tassi di risparmio siano un fenomeno legato in modo esclusivo alle situazioni di recessione. È ovvio che basse quote di spese discrezionali sono associate con alte quote di risparmio, ma non è questo l'unico fattore che influenza il risparmio. Accanto ad esso figura il tasso degli incrementi di reddito (giacché molta gente impiega il proprio reddito aggiuntivo in parte per elevare il livello del consumo e in parte per accrescere i propri risparmi); e va tenuto presente che nei periodi di alta congiuntura gli incrementi di reddito sono più diffusi che non nei periodi di recessione. Una seconda considerazione pertinente riguarda gli atteggiamenti verso la necessità del risparmio. Di solito l'esperienza di una recessione ha effetti che si prolungano per vari anni nel senso di accrescere le preoccupazioni della gente riguardo alla possibilità che sopravvengano tempi avversi. Ne deriva che il bisogno soggettivo di risparmio può rimanere considerevolmente pronunciato anche dopo l'avvio di una fase di ripresa economica.
La considerazione del comportamento dei risparmiatori mette in evidenza gli effetti di lungo periodo degli atteggiamenti e delle aspettative. Ma molto rimane ancora da dire contro l'idea che i fattori psicologici siano bensì importanti nel breve periodo, ma possano invece essere trascurati nel lungo periodo. In realtà le aspettative della gente si estendono a periodi più lunghi di un certo numero di mesi o di un anno - queste erano le aspettative prese in esame nell'analisi del ciclo economico - e si è constatato che la domanda dei beni di consumo viene influenzata anche dalle aspettative riguardanti ciò che avverrà nel giro degli anni immediatamente successivi. Negli Stati Uniti è stato possibile individuare quel considerevole gruppo di popolazione che sperimenta un progresso (si mostra ad esempio convinto che la sua situazione finanziaria è migliore che non quattro o cinque anni prima) e contemporaneamente si attende un progresso ulteriore (ritiene cioè che nel giro dei quattro o cinque anni successivi starà ancora meglio). Si è constatato che le famiglie caratterizzate da un siffatto atteggiamento spendono in beni durevoli e nella casa una quota relativamente grande del loro reddito, contraggono debiti in misura considerevole e si danno da fare per ottenere un reddito più elevato (v. Katona e altri, 1971).
Ma in linea generale si è rilevato che la gente non ha aspettative definite con precisione riguardo a periodi lunghi o addirittura all'intero arco della propria vita in materia di situazione finanziaria personale o di andamento generale dell'economia. Una conclusione del genere non può sorprendere, se si pensa alla varietà di importanti mutamenti e di gravi crisi che un gran numero di persone ha sperimentato in passato. E tuttavia alcune recenti teorie del consumo sembrano postulare appunto l'esistenza di aspettative del genere. Ciò può essere o non essere vero nel caso dell'ipotesi del reddito permanente (v. Friedman, 1957), ma risulta chiarissimo nell'ipotesi del reddito globale dell'intero ciclo vitale. F. Modigliani postula che il consumo di una famiglia tipica su un qualsiasi breve periodo di tempo, arbitrariamente scelto, ad esempio un anno o un trimestre, rifletta la tendenza più o meno consapevole di raggiungere la distribuzione del consumo preferita lungo l'intero arco del ciclo vitale (v. Modigliani, 1971).
Per formulare il nucleo essenziale dell'ipotesi del ciclo vitale non è necessario postulare l'esistenza di aspettative riguardanti l'intera vita, ma basterà supporre che i consumatori si sforzino di mantenere ad un livello uniforme le loro spese di consumo, indipendentemente dalle fluttuazioni del reddito che percepiscono. Nel capitolo precedente abbiamo menzionato alcuni elementi che confortano questa ipotesi. Ricordiamo le risultanze sull'alta frequenza del ricorso al prestito (ipoteche, acquisti rateali) presso i giovani e sul risparmio in vista del pensionamento nella fase del ciclo vitale in cui il reddito è massimo. E tuttavia la spiegazione fondamentale del comportamento delle famiglie giovani con figli piccoli va ricercata da un lato nelle loro urgenti necessità in fatto di alloggio e di beni durevoli e dall'altro nella natura ottimistica delle loro aspettative, che li induce a non posporre la gratificazione dei loro bisogni a quando possano permettersi di pagare in contanti e a scegliere, piuttosto, di pagare i beni desiderati mentre li usano. Analogamente il risparmio in vista del pensionamento - e anzi il risparmio in generale - riflette innanzi tutto le priorità prevalenti in momenti specifici, piuttosto che una considerazione dell'evoluzione del reddito nel futuro remoto. Le spese in beni durevoli (che i teorici del ciclo vitale considerano come investimenti anziché come consumi) e le spese discrezionali in generale non seguono un corso uniforme lungo un gran numero di anni, ma sono concentrate in certi particolari anni (ed è caratteristico che fluttuino più ampiamente di quanto facciano i redditi). Tali spese dipendono in effetti dalle aspirazioni, dalla percezione di un progresso in corso o dalla sua assenza, come anche dalle idee che la gente si fa della prospettiva economica generale e delle tendenze dei prezzi.
Mentre alcune delle considerazioni che sottostanno all'ipotesi del ciclo vitale appaiono realistiche, non così avviene della forma in cui l'ipotesi medesima è stata applicata ai dati del consumo. Modigliani sostituisce al reddito previsto la media ponderata del reddito disponibile del triennio precedente (v. Modigliani, 1971). In questo modo le aspettative e gli altri fattori psicologici risultano tagliati fuori. La teoria basata sulla sostituzione delle aspettative - talvolta impiegata, ad esempio, sostituendo i passati mutamenti dei prezzi alle aspettative riguardo ai medesimi - trascura sia l'incidenza sulle spese dei consumatori dei mutamenti nelle aspettative di breve periodo, sia la differenza tra le spese delle famiglie che hanno una visione ottimistica e le spese delle famiglie pessimiste e incerte.
Messo da parte il fattore aspettative, diviene possibile per alcuni teorici formulare ipotesi nel cui quadro i tradizionali fattori di mercato sono visti come le sole determinanti del consumo. In tal modo i fattori esplicativi sono individuati nell'offerta del denaro, nella ricchezza e nei tassi d'interesse. È opportuno qui svolgere una breve discussione della concezione monetaria (v. Sprinkel, 1971; v. Federal Reserve Bank of Boston, 1971), dalla quale risulterà che le percezioni, gli atteggiamenti e le aspettative del pubblico non possono essere trascurati in sede di esame dell'influenza dei fattori monetari sulle spese dei consumatori.
Sono state esibite correlazioni tra variazioni della liquidità e variazioni delle spese in consumi individuali. I dati empirici disponibili sono lungi dall'essere conclusivi. In generale sono individuabili coefficienti di correlazione abbastanza consistenti, ma in certi momenti cruciali le variazioni del tasso di crescita delle spese dei consumatori non corrispondono alle variazioni nell'offerta di moneta. Inoltre, per rifarci all'esempio esposto sopra, nel periodo immediatamente precedente l'inizio della recessione del 1970 l'atteggiamento generale dei consumatori cominciò a deteriorarsi prima che emergessero restrizioni nell'offerta di moneta. Il problema di maggior rilievo riguarda il nesso tra le variazioni nell'offerta di moneta e il comportamento del consumatore. A questo proposito sono state presentate due ipotesi. Si è sostenuto innanzi tutto che un incremento o una contrazione dell'offerta di moneta influenza il mercato azionario e che l'aumento o la diminuzione dei corsi dei titoli influenza a sua volta le spese dei consumatori. Oppure il nesso in questione è stato visto nelle variazioni dei patrimoni liquidi delle famiglie: un incremento di tali patrimoni farebbe aumentare le spese, mentre una flessione le farebbe diminuire. (Se si prende in considerazione l'intera ricchezza delle famiglie, incluso il valore delle loro proprietà azionarie, questa seconda ipotesi coincide con la prima).
Nel corso dei venticinque anni seguiti alla seconda guerra mondiale si sono avuti negli Stati Uniti numerosi casi in cui variazioni rilevanti nei corsi dei titoli sono state seguite da variazioni corrispondenti nelle spese dei consumatori e casi altrettanto numerosi in cui ciò non è avvenuto. Quanto al passato più remoto, basti sottolineare che persino il crollo in borsa del 1929 ebbe apparentemente solo effetti di portata minore sulle spese dei consumatori (v. Federal Reserve Bank of Boston, 1971). È possibile trovare elementi a sostegno sia della tesi per cui i mutamenti nell'atteggiamento generale dei consumatori influenzano il mercato azionario sia della tesi inversa (in effetti sia l'una che l'altra sono lontane da una sicura conferma). Ma l'osservazione più importante di tutte riguarda il fatto che gli acquisti e le vendite di titoli ordinari effettuati da istituti hanno dimensioni assai maggiori delle transazioni effettuate dalle famiglie e che gli atteggiamenti e le aspettative della ristretta cerchia di persone che ha la responsabilità delle transazioni degli istituti non coincidono necessariamente con quelli dei consumatori in generale. Anche se fosse vero che le spese di consumo dei ‛ricchi' sono direttamente influenzate dalle fluttuazioni nei corsi dei titoli, l'ipotesi per cui le variazioni nelle spese dei gruppi a reddito elevato si portino appresso variazioni corrispondenti presso la vasta fascia di reddito medio rimarrebbe assai dubbia. In ceffe circostanze il fenomeno psicologico che è stato chiamato ‛generalizzazione della reazione' (v. Katona, 1964) può esercitare un'influenza tale che, ad esempio, un tracollo in borsa provoca un'ondata di pessimismo generale. Ma in circostanze diverse si è constatato che la maggioranza dei capifamiglia si è mostrata convinta che ciò che avveniva in borsa non avesse conseguenze sull'andamento degli affari.
Le disponibilità liquide delle famiglie costituiscono una capacità potenziale di spesa e una loro variazione sostanziale può certo influenzare il tasso delle spese dei consumatori. Ma vi sono altre relazioni possibili tra il crescere della disponibilità liquida e il tasso di spesa o di risparmio. Come abbiamo già osservato, il risparmio rappresenta un obiettivo altamente apprezzato per la maggioranza degli Americani e il riuscire ad accrescere le proprie riserve è visto come un risultato di grande importanza. Si è constatato che il successo in questo campo, esattamente come i progressi in fatto di miglioramento del tenore di vita, ha in molti casi l'effetto di elevare il livello delle aspirazioni: un incremento della disponibilità liquida induce cioè a risparmiare ancora di più in futuro. Risultanze empiriche indicano che la tesi per cui un aumento del conto in banca induce la gente a spendere di più non è sempre vera (v. Katona, 1964). Quanto poi agli incrementi dei saggi d'interesse, si è constatato che la loro influenza sugli acquisti rateali è piuttosto modesta. Va però precisato che un aumento dei dei tassi ipotecari e specialmente una carenza accentuata di fondi disponibili incidono sugli acquisti di case unifamiliari.
La teoria monetaria trascura il margine discrezionale del consumatore nella spesa come nel risparmio e non presta alcuna attenzione alla varia gamma di mutevoli condizioni che influenzano il modo in cui egli fa uso della sua libertà di manovra. Le teorie monetarie ipotizzano principi immutabili, mentre la teoria delle aspettative e della loro influenza è basata sull'osservazione del comportamento umano. Pertanto le generalizzazioni presentate in questo capitolo (derivate dalle risultanze empiriche riguardanti la psicologia dei consumatori americani) non sono necessariamente valide per tendenze lontane nel tempo, passate o future che siano, in altri paesi o negli stessi Stati Uniti. L'economia comportamentista non postula principi validi per tutti i tempi e per tutti i sistemi economici; essa si avvale piuttosto di osservazioni ripetute, in un gran numero di paesi e in circostanze diverse, e modifica le sue conclusioni in conformità appunto a tali osservazioni.
4. Il consumatore moderno
Le idee presentate in questo articolo sul margine discrezionale del consumatore non sono universalmente accettate. Il concetto del consumatore come mera pedina in balìa di forze a lui esterne è implicito in numerose teorie e non soltanto in quella, già accennata, secondo la quale il comportamento del consumatore è una funzione del reddito o del reddito permanente o del reddito globale dell'intera vita e del patrimonio. Al fine di intendere la figura del consumatore moderno si impone l'esame di alcune altre concezioni. Questo esame offrirà l'occasione di parlare di problemi sinora trascurati, connessi alla scelta da parte del consumatore di articoli o marche particolari (e non di categorie di prodotti, come ad esempio le automobili o i generi alimentari).
Il comportamento ha carattere normalmente abitudinario presso tutti i ceti sociali. Disponiamo di ampio materiale a sostegno della tesi per cui il modo migliore di predire ciò che la gente farà è di scoprire come ha agito in passato in circostanze analoghe. I bilanci familiari, formali o informali che siano, tendono a mantenersi stabili su lunghi periodi e gli acquisti quotidiani della massaia sono spesso governati dalle abitudini. Le ricerche di mercato hanno stabilito la grande frequenza della fedeltà ad una data marca o ad un dato negozio. Molto spesso nel consumatore sono assenti i momenti della deliberazione e della scelta: se si debba o non si debba comprare un certo prodotto, dove comprano e quale marca preferire.
E tuttavia da ciò non segue che il consumatore sia necessariamente un abitudinario e non disponga di alcun margine di discrezionalità, ma soltanto che un autentico processo decisionale, fondato sulla deliberazione e sulla scelta, è lungi dall'essere universalmente presente: esso ha luogo soltanto quando la spesa in questione ha per il consumatore una precisa importanza. È questo il caso innanzi tutto di spese cospicue e relativamente rare come l'acquisto di una casa o di un'automobile, ma anche di una vasta gamma di spese discrezionali. Tali spese possono essere caratterizzate come deviazioni dal comportamento abituale e quindi come un comportamento nuovo e diverso da quello usuale.
Va inoltre tenuto presente che smettere abitudini consolidate è in generale cosa difficile e penosa. Ma deviare dal corso abituale del comportamento nel senso di una spesa maggiore del solito in prodotti addizionali e migliori è invece agevole (di conseguenza, per riferirci alla teoria di Keynes, l'incidenza sul consumo delle variazioni di reddito può esser diversa a seconda che si tratti di un aumento o di una diminuzione). Nelle società opulente la capacità di acquistare è cresciuta perché nel corso del secondo dopoguerra la situazione finanziaria di vaste masse di persone è stata caratterizzata da un'ascesa dei redditi reali. E la crescita della capacità di acquistare ha indotto molte famiglie ad elevare il livello delle proprie abitudini di spesa. Ora, la misura di tale modificazione e le decisioni su quanto spendere e quanto risparmiare degli incrementi di reddito (e su che cosa comprare e in che modo risparmiare i nuovi fondi) di rado sono governate dalle abitudini.
C'è chi ha sottolineato l'importanza, in termini di deviazione dagli schemi di spesa abituali, degli acquisti impulsivi. Certo capita che qualcuno ogni tanto spenda una certa somma di denaro d'impulso, in conformità al capriccio o allo stato d'animo del momento, acquistando cose che non rientrano nelle sue abitudini di spesa. Ma la misura degli acquisti impulsivi e la loro importanza per la comprensione del comportamento del consumatore appaiono enormemente inferiori alla misura e all'importanza delle spese discrezionali deliberate.
Considerazioni analoghe valgono per il ruolo attribuito all'imitazione. Le abitudini in fatto di bilancio domestico e i modelli di spesa della giovane massaia sono indubbiamente influenzati da ciò che essa ha appreso nella famiglia d'origine e i gruppi di persone che essa ritiene di pari condizione influenzano le sue attività. Ma le giovani massaie d'oggi sono meglio istruite delle loro madri e dispongono di maggiori informazioni. Avendo figli piccoli e nessun aiuto domestico, sono costrette a dedicarsi interamente alla casa e ai figli. E molte di esse sono spinte fortemente a svolgere un buon lavoro in quella che la necessità gli ha imposto come attività fondamentale, anziché conformarsi meccanicamente alle abitudini altrui.
I consumatori fanno piani di spesa? La risposta a questa domanda è: sì, occasionalmente. L'idea di una previdenza assoluta lungo periodi di molti anni e di una pianificazione attenta di tutte le spese è già stata criticata. Ma, come pure abbiamo già osservato, quando una spesa presenta una notevole importanza interviene di solito una qualche forma di pianificazione anticipata. Va peraltro ancora detto che anche nel caso di certe spese discrezionali il tempo intercorrente tra la prima idea di un acquisto e l'effettiva conclusione dell'affare può essere assai breve e il relativo processo di pianificazione e deliberazione alquanto rudimentale.
Un'altra forma in cui si esprime la natura abitudinaria del comportamento è la persistenza di vecchi stereotipi. Indagini sulla reazione del pubblico americano a importanti fatti economici come l'inflazione, la modificazione delle imposte sul reddito e altri aspetti della politica governativa hanno rivelato che le antiche convinzioni per cui l'inflazione o i deficit di bilancio sono ‛un male' hanno tenacemente influenzato gli orientamenti di giudizio, anche quando non sembravano applicabili al caso concreto. D'altronde è stata anche accertata l'esistenza di un ‛apprendimento sociale'. Si è riscontrato cioè che in certe circostanze le opinioni e gli atteggiamenti di un grandissimo numero di persone mutano in risposta a eventi nuovi. Ad esempio, nel 1964 i consumatori americani impararono che una riduzione sostanziale delle imposte sul reddito non solo andava a beneficio dei singoli contribuenti, ma aveva anche effetti di stimolo sull'intera economia, senza per questo determinare un deficit di rilievo nel bilancio federale. A quanto si è visto, un siffatto apprendimento sociale è lento e graduale.
Che significato hanno queste osservazioni nei confronti del vecchio assunto del comportamento razionale del con- sumatore? Nel XIX secolo la razionalità era postulata come la forma tipica di comportamento dell'homo oeconomicus. Se l'ipotesi è intesa nel senso che il consumatore procede di regola compilando una lista di tutti i possibili modi di azione alternativi per poi scegliere quello ottimale, essa appare difficilmente applicabile alla figura del consumatore moderno. Il comportamento abitudinario è quello corrente ed esclude la presa in considerazione delle alternative. Inoltre l'ottimizzazione o la massimizzazione dei benefici rispetto ai costi è spesso assente, giacché molte scelte dei consumatori vengono fatte seguendo quello che appare vantaggioso, senza che ciò implichi la ricerca del modo di agire migliore. È probabile che nella formazione delle decisioni le scorciatoie siano più frequenti dell'attenta valutazione delle varie possibilità in gioco.
D'altro canto la tesi per cui il comportamento del consumatore è irrazionale deve anch'essa essere contrastata. L'idea che il comportamento del consumatore sia incomprensibile in quanto tipico risultato di un intreccio di stati d'animo, di impulsi e di idiosincrasie, non trova alcun appoggio nell'analisi del comportamento del consumatore moderno. Le principali decisioni relative al consumo sono intenzionali e sono intelligibili nel senso preciso che poggiano solidamente da un lato sui fattori di mercato e dall'altro sugli atteggiamenti e le aspettative.
Queste considerazioni e conclusioni richiedono un esame ulteriore. La tesi dell'autonomia del consumatore è stata negata da alcune concezioni, largamente diffuse, di cui non abbiamo ancora fatto cenno. V. Packard e altri hanno proclamato che il consumatore è un burattino nelle mani del potere economico, manovrato da esperti di marketing e di pubblicità, e spesso da ‛persuasori occulti', in conformità agli interessi di questi ultimi. J. K. Galbraith ha negato la tesi tradizionale della sovranità del consumatore sostenendo che il condizionamento viene effettuato dalle grandi imprese, che foggiano e modellano le attitudini e il comportamento del consumatore, mentre di solito non avviene l'inverso.
L'una e l'altra concezione sembrano unilaterali e insoddisfacenti. Il processo dell'apprendimento e del condizionamento è un processo a doppio senso. Sono importanti sia chi ‛insegna' - radio, televisione, carta stampata (annunci pubblicitari compresi) - sia chi ‛apprende' - il consumatore con i suoi precisi interessi; e in realtà i due poli si influenzano reciprocamente. Il consumatore si attiene ai suggerimenti del commesso o della pubblicità soprattutto quando la scelta in gioco non gli importa davvero. Quando è convinto che le diverse marche o i diversi magazzini differiscano ben poco tra loro è facile che sia la pubblicità a dirigerne il comportamento. Ma in certe circostanze il consumatore ‛si ferma, si guarda attorno e ascolta'; e in tal caso può resistere alle suggestioni messe in opera dall'esperto di marketing e scegliere in conformità al proprio discernimento. Quanto alla politica delle imprese, anche le grandi società ben di rado scelgono linee di azione miranti a modificare il comportamento del consumatore secondo i propri fini. Più frequentemente esse si limitano a studiare il consumatore e a prendere le loro decisioni in conformità ai suoi bisogni e alle sue necessità. È insomma evidente che nè il consumatore nè la grande impresa sono sovrani. Essi sono piuttosto reciprocamente interdipendenti.
Un'analisi dell'andamento del ciclo economico negli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale smentisce la vecchia tesi per cui gli investimenti produttivi - spese in impianti e macchinario - costituirebbero in linea generale il fattore guida. In effetti si è più volte constatato che le variazioni nel tasso degli investimenti produttivi, anziché dare esse il via agli alti e bassi della congiuntura, non fanno in realtà che seguire le variazioni nella domanda dei beni di consumo. In questo senso appare fondato parlare di un potere del consumatore. Ma, per quanto concerne la scelta degli specifici prodotti e marche, si tratta di un potere rigorosamente limitato. La mancanza d'informazioni e l'incapacità di operare distinzioni qualitative tra prodotti diversi restringono la scelta del consumatore, e anche troppo spesso egli finisce col trovarsi alla mercé di venditori senza scrupoli. Il fatto è che in molti casi il consumatore non è in grado di cavarsela di fronte a beni o servizi insoddisfacenti, e neppure di decidere se siano migliori il prodotto o il servizio offerti a prezzo più alto o quelli offerti a prezzo più basso. Questi rilievi ci portano a discutere brevemente quel moderno fenomeno che viene designato col nome di ‛consumerismo'.
Le conoscenze e le informazioni disponibili al consumatore medio appaiono insufficienti a consentirgli una scelta pienamente ragionata. Si è constatato (per es. negli Stati Uniti) che chi vuole stipulare una polizza di assicurazione sulla vita o contrarre un prestito si trova posto dinanzi a una grande varietà di prezzi e di qualità; ciò gli rende difficile, se non addirittura impossibile, valutare vantaggi e svantaggi dei servizi offerti (v., ad es., Maynes, 1972). Può quindi accadere che anche i compratori attenti seguano il consiglio di un commesso o acquistino un titolo in base ai suggerimenti di un agente di cambio, senza dedicare alla faccenda il tempo e gli sforzi che uno studio accurato del problema esigerebbe. Nella spesa quotidiana, per esempio nei supermercati, il compratore spesso rinuncia ad analizzare (o non è in grado di farlo) le differenze nella quantità, nella qualità e nei prezzi dei prodotti esposti. Egli acquista ciò che ha già acquistato in passato, o sceglie marche largamente pubblicizzate che gli sono divenute familiari. Tutto ciò ha reso difficile l'entrata nel mercato di nuovi prodotti, anche se caratterizzati da precisi vantaggi di prezzo o di qualità. Inoltre, raggirare il consumatore è divenuto relativamente facile.
Stando così le cose, è chiaro che il consumatore ha bisogno di protezione, e in questo campo si è compiuto qualche modesto progresso. In vari paesi sono stati creati enti privati che vagliano i prodotti destinati al consumo e pubblicano informazioni sistematiche sui prezzi e la qualità (ad es. i Consumer reports pubblicati dalla Consumers Union negli Stati Uniti e Which in Inghilterra). Gli articoli e i libri consacrati alle pratiche industriali nocive dai difensori del consumatore (tra i quali il più noto è Ralph Nader) sono molto letti. In alcuni paesi sono stati costituiti enti governativi incaricati da un lato di indagare sui pericoli associati all'uso di certi prodotti alimentari o medicinali e dall'altro di offrire al consumatore la possibilità di protestare quando si senta truffato. In numerosi casi sono state approvate leggi miranti a rendere i prodotti più sicuri. Il diffondersi di movimenti a tutela del consumatore ha accresciuto la sua capacità di riconoscere i casi di deterioramento della qualità dei beni e dei servizi. E tuttavia il successo di questo movimento è limitato. In realtà si può dire che ciò ch'è stato fatto sino ad oggi per accrescere le conoscenze del consumatore e metterlo in grado di compiere una scelta intelligente è ancora di gran lunga troppo poco. La grande varietà dei prodotti e dei servizi offerti e la limitatezza del tempo di cui in molti casi i consumatori dispongono per fare i loro acquisti rendono tendenzialmente difficile risolvere i problemi creati dalla generale complessità dei mercati.
5. Limiti allo sviluppo?
Negli ultimi anni sono stati espressi dubbi sul valore di ulteriori incrementi nella produzione e nel volume dei beni di consumo, e addirittura di miglioramenti addizionali nel tenore di vita della popolazione. Si è sottolineato che redditi più alti e miglioramenti nel benessere economico sono lungi dal coincidere con maggiori soddisfazioni e maggiore felicità. La crescita del PNL non dovrebbe perciò essere considerata come un indice del progresso. Sembrerebbe insomma imporsi una revisione degli obiettivi dell'economia e della società.
Tale discorso può essere riassunto nell'affermazione che gli sforzi di avanzamento, la ‛funzione di miglioramento' (Boulding), assumono la forma di una curva ad S. Dopo una partenza lenta, nel tenore di vita di una collettività possono verificarsi miglioramenti rapidi e sostanziali, che producono importanti benefici. Ma al di là di una certa soglia i benefici derivati da incrementi addizionali divengono sempre minori e possono finire con l'annullarsi del tutto.
Un notevole elemento a sostegno di questo discorso, e dell'opinione che ad esempio gli Stati Uniti degli anni settanta abbiano raggiunto la soglia al di là della quale incrementi addizionali del tenore di vita producono scarsi benefici (se non addirittura nessun beneficio), è dato dalle conseguenze dello sviluppo produttivo sull'ambiente. La consapevolezza dell'inquinamento dell'aria e dell'acqua, della difficoltà di sbarazzarsi dei rifiuti solidi, e del sovraffollamento dell'ambiente, si è considerevolmente diffusa nel corso dell'ultimo decennio. Si ritiene che le conseguenze negative di un incremento nel volume dei beni di consumo siano destinate ad accelerarsi in futuro, e che presto supereranno largamente gli effetti positivi. La crescita del PNL, se rispecchia l'aumentata produzione, non serve invece a misurare i suoi effetti negativi. I costi di produzione - e quindi i prezzi al consumo - dovrebbero in realtà includere i notevoli esborsi richiesti dalla lotta contro l'inquinamento (ammesso che sia possibile arrestare il deterioramento dell'ambiente senza limitare la crescita produttiva.) In ogni caso - si sostiene - se i consumatori fossero costretti a pagare il prezzo ‛vero' della produzione, le economie dei paesi altamente sviluppati potrebbero realizzare solo una crescita assai limitata o addirittura nessuna.
Queste considerazioni sono rafforzate dall'osservazione di ciò ch'è accaduto negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni sessanta e all'inizio del decennio successivo, e soprattutto all'epoca della recessione del 1970, quando l'aumento della disoccupazione e l'accelerazione del processo inflazionistico incisero duramente sul benessere della popolazione. Nel corso di questo articolo abbiamo già avuto occasione di mettere in evidenza sintomi di timore e di disagio. La guerra in Vietnam e la presa di coscienza della degradazione dei centri urbani, della violenza crescente e dell'alienazione dei poveri e dei Negri hanno contribuito a creare un clima psicologico che riduce la soddisfazione derivante dalla prosperità materiale. Si è spesso sostenuto che questa situazione ha modificato i modi di vivere in America. Secondo alcuni sociologi gli Americani - e specialmente i giovani americani - hanno voltato le spalle all'economia dei consumi e non sono più interessati a procurarsi una grande varietà di beni e servizi. Inoltre, si è detto, i giovani non credono più alle virtù del duro lavoro. Da tutto ciò numerosi osservatori hanno tratto la conclusione che il produrre sempre di più appartiene al passato.
Ma il discorso sul mutamento radicale degli stili di vita non è confermato (diversamente da quello sull'aggravarsi dell'inquinamento e del sovraffollamento) dalle indagini empiriche. Gli stili di vita mutano continuamente, non c'è dubbio. Un aspetto del mutamento - la tendenza verso un modo di vita ‛trascurato' - è stato osservato da più di un ventennio a questa parte e il diffondersi della moda della trascuratezza ha prodotto effetti considerevoli sull'industria dell'abbigliamento. Un secondo aspetto - assai più rilevante - del mutamento intervenuto negli stili di vita ha riguardato l'importanza, sempre crescente, attribuita agli impieghi del tempo libero. Ora, tutto ciò che la gente fa di sera, nei week-ends e durante le ferie ha questa caratteristica essenziale: costa caro. Di conseguenza il fatto di preoccuparsi meno del lavoro e più del tempo libero difficilmente può indebolire il desiderio di un reddito alto e crescente. Inoltre, le sospirate attività del tempo libero richiedono una grande varietà di beni e servizi (oltre che uno sviluppo dell'industria dei viaggi e dello svago).
Inchieste condotte negli Stati Uniti all'inizio degli anni settanta mostrano che le aspirazioni e i desideri insoddisfatti hanno continuato a crescere. Si è anche constatato che i giovani, non appena entrano nella vita lavorativa e si formano una famiglia, manifestano (a differenza forse di certi studenti e adolescenti) aspirazioni di consumo non inferiori a quelle che hanno caratterizzato in passato il medesimo gruppo d'età. I dati delle inchieste indicano che la tendenza a considerare ‛ciò ch'è abbastanza buono oggi come non abbastanza buono domani' rimane all'inizio del decennio in corso altrettanto valida che dieci o venti anni fa. Sembra quindi più corretto parlare di una ‛rivoluzione delle aspirazioni crescenti' anziché di un declino dei bisogni e delle aspirazioni. I timori sono dovuti in parte appunto al fatto che troppa gente aspira a troppe cose e rimane delusa e frustrata quando non può realizzare i propri desideri.
Abbiamo affermato più sopra che gli Americani non si sentono nè ricchi nè appagati (anche se, confrontati con i loro genitori o con i loro nonni, o con la gente che vive in altre parti del mondo, possono certo essere qualificati come ricchi). Le remunerazioni materiali non sono l'unico stimolo, ma conservano una grande importanza, come si è constatato ad esempio studiando il comportamento del gran numero di madri che sono tornate a lavorare dopo che i loro figli avevano raggiunto l'età scolare. Stando così le cose, un problema cruciale è quello dei possibili effetti di una riduzione delle aspettative di miglioramento e di progresso sugli incentivi che muovono gli individui.
Prima di proseguire l'esame dei problemi psicologici connessi a una limitazione dello sviluppo, occorre rivolgere l'attenzione ad alcuni altri aspetti della questione. Il primo è il fatto che il cosiddetto alto tenore di vita americano è lungi dall'essere universalmente diffuso. Come abbiamo già visto, la riduzione o l'eliminazione della povertà costituisce uno dei compiti fondamentali degli Stati Uniti. E una ridistribuzione della ricchezza effettuata togliendo agli abbienti per dare ai poveri sembra una soluzione del problema della povertà molto meno promettente di un incremento generale nel volume dei beni e dei servizi. Una limitazione dello sviluppo rischia di colpire più le famiglie povere e a basso reddito che non quelle a reddito elevato.
C'è però un settore in cui una limitazione della crescita appare insieme necessaria e largamente accettata: quello demografico. I pericoli di una crescita demografica illimitata sono generalmente riconosciuti. L'obiettivo di una ‛crescita zero della popolazione' è concretamente perseguibile, e in alcuni paesi (tra cui gli Stati Uniti) sono stati compiuti in questo campo progressi considerevoli. Il problema più grave è quello costituito dalle tendenze in atto in numerosi paesi meno sviluppati, in cui la fecondità non è stata limitata. Una crescita zero della popolazione nei soli paesi sviluppati non inciderebbe sul carattere fortemente diseguale della distribuzione della ricchezza nel mondo.
Che cosa è possibile fare negli Stati Uniti e nell'Europa occidentale, oltre che limitare la crescita demografica, al fine di arrestare il deterioramento dell'ambiente e affrontare la minaccia del tutto reale di un'accelerazione degli effetti nocivi dell'inquinamento? L'interruzione o la brusca riduzione dello sviluppo materiale sono improponibili, giacché gli incentivi al miglioramento e al progresso debbono essere mantenuti. Se infatti lo scarto tra le aspirazioni della gente e le sue aspettative realistiche circa i risultati possibili dovesse allargarsi, la delusione e l'atteggiamento pessimistico che ne seguirebbero potrebbero comportare un declino economico tale da rendere improbabile perfino il mantenimento del livello attuale. Nè disporremmo più, verosimilmente, dei fondi necessari al controllo dell'inquinamento.
Come dunque è possibile mantenere gli incentivi derivanti da un'aspettativa di miglioramento e di progresso, e ciononostante arrestare il deterioramento della qualità dell'ambiente? Si impone chiaramente una ridefinizione del progresso, vale a dire un mutamento in ciò che la gente considera come un miglioramento e a cui aspira e per cui lotta.
Fortunatamente, una ridefinizione del progresso non rappresenta un compito interamente nuovo. Al contrario, tendenze importanti sviluppatesi negli ultimi due decenni la rispecchiano. Non è vero che la mentalità americana sia dominata dal gusto del gadget e che negli Stati Uniti il principale interesse della gente sia di procurarsi una quantità sempre crescente di beni il cui valore reale è spesso scarso. L'aspirazione a una migliore assistenza medica e a una migliore istruzione, per sé e per i propri figli, è divenuta centrale, e il progresso in questi campi è divenuto una parte generalmente riconosciuta del progresso personale. Quando le necessità elementari sono soddisfatte, la gente prende coscienza di bisogni più elevati, che includono una varietà di aspetti sociali e culturali. Le necessità dei consumatori si ampliano costantemente. In luogo dell'antica esclusiva preoccupazione del consumatore per i bisogni egoistici si possono percepire segni di una trasformazione dell'‛io' in un più ampio ‛noi', di una identificazione con i propri vicini, con la propria comunità, con il proprio ambiente.
Sviluppo e progresso rimangono i più importanti tra gli obiettivi economici. La strada che porta allo sviluppo non è stata agevole in passato e non appare rettilinea oggi. Ma è probabile che da un lato il progresso tecnologico e dall'altro l'adattabilità delle motivazioni e dei bisogni al mutare delle circostanze renderanno possibili incrementi ulteriori.
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