CONSUMO (XI, p. 224)
Teoria del consumo. - Il c. di una collettività viene usualmente definito come la parte del reddito nazionale non risparmiata.
Lo studio delle motivazioni che portano a consumare costituisce uno dei capitoli centrali della teoria economica da sempre, ma certamente alla trattazione fattane da J. M. Keynes nella Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta (pubblicata nel 1936) si deve il rinnovato interesse per l'argomento, come emerge dalla copiosa letteratura di questi ultimi anni.
C'è da premettere che l'analisi di Keynes si caratterizza innanzitutto nel metodo: piuttosto che far riferimento alle scelte individuali e alle loro conseguenze sui singoli piani di spesa (metodo, per questo motivo, detto microeconomico, utilizzato dalla preesistente teoria dell'utilità), essa si fonda sulle scelte collettive e sugli effetti ad esse conseguenti; l'attenzione, cioè, è rivolta ai grandi aggregati della spesa nazionale, c. e investimenti, intesi come il risultato dei comportamenti di tutti coloro che nel sistema economico acquistano beni di c. e beni strumentali.
Per analizzare la spesa in beni di c. e il suo variare, Keynes fa uso del concetto di funzione del consumo, vista come semplice relazione causale fra il reddito nazionale e la spesa per il c., il primo considerato variabile indipendente, la determinante, e il secondo variabile dipendente. Ed è proprio a questo concetto che il dibattito post-keynesiano sopra richiamato ha dato ampio spazio e sviluppo e ciò si può ritenere sia avvenuto per almeno due motivi.
Il primo di questi motivi riguarda il ruolo che la funzione del c. assume nella teoria keynesiana della determinazione del reddito e dell'occupazione. Essendo, infatti, il c. - secondo Keynes - una delle due componenti della domanda aggregata - l'altra è l'investimento -, ed essendo il livello di utilizzazione della capacità produttiva dipendente dalla domanda stessa, ne segue che dal livello del c., ceteris paribus, dipende il livello della produzione e, in ragione di dati coefficienti tecnici, il livello dell'occupazione. Una diminuzione della spesa in beni di c. da parte della collettività può, cioè, comportare una riduzione della produzione ove all'accresciuta quota di reddito risparmiato non corrisponda un altrettanto accresciuto livello d'investimento.
Dal triangolo c.-risparmio-investimento, Keynes fa quindi dipendere il grado d'impiego delle risorse produttive di una collettività, attribuendo fra queste particolare rilievo al lavoro. La proiezione dell'analisi del c. in un quadro di inter-relazioni con le altre grandezze macroeconomiche è perciò automatica, e l'individuazione dei fattori che su di esso agiscono non ha, di conseguenza, solo valore in sé, ma ha valore anche nei confronti del sistema economico nel suo complesso; una volta individuate le grandezze che influiscono sul c., si ha una delle chiavi per capire come il processo economico sottostante alla determinazione del reddito e dell'occupazione ne possa essere influenzato.
L'altro motivo che può spiegare l'interesse degli studiosi per la funzione keynesiana del c. lo si può far risalire all'affermazione più volte fatta da Keynes, che la relazione reddito-c. è una relazione stabile. Mentre l'investimento - dice Keynes - è sottoposto a più facili cambiamenti in virtù delle alterazioni cui sono soggette le aspettative di profitto imprenditoriali, così non è per il consumo. Questo è ancorato saldamente al reddito secondo un rapporto che dipende dalla psicologia dei membri di una collettività, e poiché questa non muta in brevi periodi di tempo, a meno che non intervengano fatti eccezionali, come per es. una carestia o una guerra, va da sé che il suddetto rapporto, non essendo variabile, può essere utilizzato come strumento di previsione ciclica, come strumento, cioè, da utilizzarsi per prevedere i cambiamenti del reddito stesso: se, infatti, si conosce la quota del reddito nazionale che viene consumata, si può calcolare di quanto varia il c. ogni qualvolta il reddito varia, sollecitato per es., a sua volta, da variazioni dell'investimento. In altre parole, preso in considerazione, per es., un aumento della domanda aggregata in una delle sue componenti che non dipendono dal reddito, si tratti dell'investimento pubblico o privato, oppure della domanda estera, è possibile calcolare quale sarà l'effetto complessivo sul reddito se si conosce in che rapporto sta questo con il c. (v. oltre). Ne segue che il ruolo del c. ne viene in questo modo ulteriormente rinforzato: se, ceteris paribus, dal suo livello dipende il livello di attività del sistema, è dalla stabilità del suo rapporto con il reddito che dipende la dinamica del sistema stesso e la possibilità di prevederla.
Su questi aspetti della teoria keynesiana del c. ci si soffermerà nelle pagine che seguono con maggiore dettaglio, come premessa alla considerazione del dibattito e degli sviluppi che da essa hanno avuto origine.
La funzione keynesiana del consumo. - Keynes nel cap. VIII della Teoria generale presenta la funzione del c. come la relazione fra il c., C, e il reddito nazionale, Y, cioè C = f(Y).
Su questa relazione - dice Keynes - influiscono più fattori, di carattere soggettivo e di carattere oggettivo. I primi, i fattori soggettivi, dipendono dagli atteggiamenti psicologici prevalenti negli individui appartenenti a una collettività e anche dalla sua struttura istituzionale e influiscono sulla propensione a consumare che è direttamente connessa alla propensione a risparmiare. Va da sé infatti che tutto ciò che incentiva il c., disincentiva il risparmio e viceversa. Motivi individuali che influiscono sulla scelta c.-risparmio sono - dice Keynes - tra gli altri:
a) il desiderio di avere a disposizione in futuro somme per far fronte a esigenze non previste;
b) il desiderio di far fronte a un rapporto futuro fra il reddito e i bisogni dell'individuo o della sua famiglia che si prevede diverso da quello attuale;
c) il desiderio di godere di un interesse per le somme risparmiate;
d) il desiderio di godere di una spesa progressivamente crescente;
e) il desiderio di ottenere un senso d'indipendenza e di rafforzare il potere di agire;
f) il desiderio di disporre di fondi per esigenze speculative e commerciali;
g) il desiderio di lasciare in eredità un patrimonio;
h) il desiderio di reprimere gli atti di spesa come tali.
Motivi che influiscono sulle scelte di enti e di organizzazioni pubbliche e private, sono invece:
a) il movente dell'iniziativa: assicurarsi i mezzi per ulteriori investimenti di capitali;
b) il movente della liquidità: disporre di riserve liquide per far fronte a emergenze;
c) il movente del miglioramento: assicurarsi un reddito progressivamente crescente che ponga gli amministratori al riparo da critiche sulle capacità accumulatrici dell'impresa che amministrano e altri;
d) il movente della prudenza finanziaria: fare accantonamenti finanziari in eccedenza all'effettivo valore dell'ammortamento.
L'insieme di questi moventi - osserva Keynes - è da considerarsi lento a mutare, salvo eventi eccezionali, nel senso che tutto ciò che può incidere sulle decisioni di risparmio-c. sia attraverso la psicologia individuale che attraverso i comportamenti di organizzazioni o istituti, si realizza nel corso di lunghi periodi di tempo, quando gusti e preferenze, istituti e organizzazioni sotto l'impulso della dinamica sociale si adattano e si modificano. Nel tempo breve, tali strutture e tali atteggiamenti vanno invece presi come dati.
I fattori oggettivi che Keynes richiama sono anch'essi molteplici e si sostanziano:
a) nelle variazioni dell'unità di salario che incidendo sul reddito individuale influiscono sul c.;
b) nelle variazioni del reddito netto, dei valori capitali, del tasso d'interesse, del sistema fiscale e del rapporto previsto fra reddito presente e reddito futuro, che singolarmente e nell'insieme possono provocare variazioni nella propensione al consumo.
Riguardo al punto a), c'è da rilevare che misurando il reddito in unità di salario, se questa varia, osserva Keynes, varierà anche il consumo. Si assisterebbe infatti in questo caso a una variazione del reddito reale, che porterebbe a una variazione del c. reale. Se al contrario i prezzi variano in proporzione all'unità di salario, il c. da un punto di vista reale non varierebbe, mentre la sua espressione monetaria si adatterebbe in proporzione, anche se pur sempre la redistribuzione del reddito che l'aumento dei prezzi comporta può avere qualche influenza sul c. reale. Indicando l'unità salario con W, la funzione del c. andrebbe scritta C/W = f(Y/W). Aumentando W e i prezzi nella stessa proporzione, C crescerà anch'esso in proporzione, rimanendo immutato il suo rapporto con W.
Riguardo al punto b), Keynes fa rilevare che fintanto che si suppone esservi un legame di proporzionalità fra reddito lordo e ammortamenti nella funzione del c. si può fare riferimento al primo. È evidente invece che è necessario fare riferimento al reddito netto quando tale legame viene a mancare: un aumento degli accantonamenti finanziari per ammortamenti infatti non favorisce certamente il consumo.
La propensione al c. può inoltre subire cambiamenti nel periodo breve se si modifica il valore della ricchezza finanziaria. Sembra infatti ragionevole supporre che coloro che possiedono attività finanziarie possano sentirsi stimolati ad aumentare i propri c. in seguito a un imprevisto aumento del loro valore, così come possono essere indotti a ridurlo se questo dovesse diminuire.
Anche il tasso d'interesse potrebbe influire sul c. sebbene, almeno nel periodo breve, tale influenza sia considerarata piuttosto modesta. Solo sue variazioni sensibili e durature possono avere qualche influenza sulla propensione al c., dato che una sua riduzione per es. dal 5% al 4% non avrà effetti sul comportamento dei consumatori, se il loro reddito è rimasto immutato e se tale variazione è temporanea.
Cambiamenti nella politica fiscale e nel rapporto fra reddito futuro e reddito presente possono infine avere qualche peso sulle decisioni di c., soprattutto i primi se sono diretti a realizzare una più equa ripartizione del reddito nazionale.
Pur tenendo conto di tutte queste influenze (che trasformerebbero la funzione del c. in una funzione a più variabili) - così come si avrà occasione di far rilevare più avanti verrà fatto dalla letteratura successiva - tuttavia Keynes insiste nel sottolineare come sia il reddito nel breve periodo la variabile a cui bisogna guardare per darsi conto delle variazioni del c., non avendo le altre variabili summenzionate un'incidenza continua su di esso e tale da alterarne la stabilità nel suo rapporto col reddito.
In particolare, si legge nella Teoria generale che il c. aumenta all'aumentare del reddito; vi è cioè una relazione diretta fra queste due variabili, relazione che viene precisata ulteriormente dal requisito che un aumento del reddito può dare luogo o a un incremento costante o a un incremento decrescente del consumo. Se ne deducono quindi tre forme che può assumere la C = f(Y).
La prima è C = aY, in cui il c. dipende interamente dal reddito e cresce al crescere di questo in proporzione costante pari ad a, sicché, in simboli, a = C/Y = dC/dY dove C/Y indica la propensione media e dC/dY indica la propensione marginale al c. e cioè rispettivamente quanta parte in media del reddito nazionale viene consumata, e quanta parte dell'incremento del reddito stesso viene utilizzata per incrementare i consumi. In questo caso perciò propensione media e marginale al c. sono uguali, costanti e positive, maggiori di zero quindi, e, se si suppone che non tutto il reddito venga consumato, minori dell'unità.
La seconda forma, sempre lineare, in cui può essere espressa la C = f(Y), è C = b + aY, in cui b è una costante positiva e sta a indicare come una parte del c. non dipenda dal reddito. Ne segue che mentre la propensione marginale al c. è costante, dC/dY = a, la propensione media è decrescente visto che C/Y = b/Y + a, in cui essendo b e a costanti, per aumenti di Y, il rapporto fra C e Y tende a ridursi. Detto in altri termini, per livelli crescenti del reddito, l'incidenza media del c. su di esso diviene progressivamente più piccola per via di quella parte espressa dal valore di b che, restando costante, non si adegua alla crescita del reddito stesso.
La terza forma, infine, dev'essere tale da far risultare una propensione marginale al c. decrescente. Il c. si può quindi esprimere in questo modo:
da cui risulta, definiti b e a come sopra, che
Osservando la 1) si nota come la propensione marginale al c. vada diminuendo per valori crescenti di Y visto che l'inverso di un numero sempre più grande è un numero sempre più piccolo.
Le tre forme di C = f(Y) ora espresse possono essere rappresentate graficamente. Posto C, il c., sull'asse delle ordinate, e Y, il reddito nazionale, sull'asse delle ascisse, nelle figg. 1 e 2 sono presentate le due forme lineari della funzione considerata, mentre nella fig. 3 viene presentata la versione curvilinea.
In ciascuno dei casi illustrati dalle fig. 2 e 3 appare chiaramente che la propensione media è decrescente al crescere di Y. Infatti passando dal punto B al punto D risulta δ 〈b: si è perciò in presenza di una diminuzione del rapporto C/Y. Nel caso, invece, della fig. 1, C/Y è ovviamente costante. La propensione marginale al c. a sua volta, è costante per la funzione espressa nella fig. 1 e per la funzione espressa dalla fig. 2. Il valore di dC/dY, la variazione del c. dC rispetto alla variazione del reddito dY, è espressa infatti dal valore dell'angolo che le due rette OC (fig.1) e CC (fig. 2) formano con l'asse delle ascisse. Poiché tale angolo a non varia al variare di Y, se ne deduce che nei primi due casi la propensione marginale al c. è costante. Risulta invece decrescente nel terzo caso (fig. 3), visto che per incrementi costanti di Y si leggono sulla curva incrementi sempre più piccoli di C. Tale risultato è confermato dai valori decrescenti degli angoli formati dalle rette tangenti a ogni punto della CC con l'asse delle ascisse, per valori di Y crescenti.
Nelle tre versioni presentate della C = f(Y) si passa quindi da un caso di propensione media e marginale al c. costante al caso di entrambe decrescenti. Keynes sembra più favorevole ad accettare quest'ultima versione, sebbene, com'è stato fatto rilevare dal Di Nardi, una tale ipotesi non trovi una sua giustificazione generale nella teoria delle scelte del consumatore, e sia da un punto di vista empirico discutibile, come si avrà occasione di far rilevare più avanti.
Utilizzando la seconda funzione, C = b + aY, si può mettere in evidenza il ruolo che il c. svolge nella determinazione del reddito nazionale, secondo l'intendimento keynesiano.
Posta come condizione di equilibrio del sistema economico che il reddito prodotto, Y, deve eguagliarsi al reddito speso considerato nelle due componenti, c. e investimenti, cioè Y = C + I, sostituendo in questa espressione C, si ha Y = b + aY + I che si può trasformare in Y = (b + I)/(1 − a). Poiché a è uguale alla propensione marginale al c. dC/dY ne segue che il livello del reddito dipende in modo diretto dal suo valore, una volta noto il volume degl'investimenti: tanto più elevato infatti è il valore di a tanto più elevato risulterà il valore della frazione 1/(1 − a) che Keynes, riprendendola da R. F. Kahn (The Relation of Home Investment to Unemployment, Economic Journal 1931), chiama moltiplicatore.
In altri termini, considerato un incremento degl'investimenti ΔI, il reddito nazionale aumenterà non soltanto nella misura di tale incremento, ma in una misura superiore, determinata dal valore del moltiplicatore. Dato che questo dipende dal valore di dC/dY, è evidente che quanto più elevata è la quota del reddito aggiuntivo che verrà consumata, tanto più aumenterà il reddito; quanto più invece elevata è la quota del reddito risparmiata, tanto minore risulterà l'aumento del reddito stesso.
Questo punto può essere messo in evidenza anche in altro modo, considerando che 1 − a altro non è che la quota risparmiata dell'incremento del reddito. Infatti se il reddito prodotto si distribuisce fra c. e risparmio, Y = C + S, dove S è il risparmio, prendendo in considerazione un incremento del reddito si avrà ΔY = ΔC + ΔS, dividendo entrambi i membri di questa espressione per ΔY si ottiene: ΔY/ΔY = ΔC/ΔY + ΔS/ΔY da cui si ricava che 1 - ΔC/ΔY = ΔS/ΔY. Poiché ΔC/ΔY = a si giunge alla conclusione che 1 − a = ΔS/ΔY. Indicando con quest'ultimo termine la propensione marginale al risparmio, il valore del moltiplicatore risulterà pari al suo inverso, cioè 1/s, ponendo s = ΔS/ΔY. Quanto più elevata è quindi la propensione al c. a tanto più ridotta risulterà la propensione al risparmio s = 1 − a e tanto più elevato sarà di conseguenza il valore del moltiplicatore.
Questa conclusione può essere ulteriormente chiarita ricorrendo a una presentazione grafica.
Nella fig. 4, sull'asse delle ascisse è indicato il reddito prodotto, Yp mentre sull'asse delle ordinate è indicato il reddito speso, Yg = C + I. La semiretta che, partendo dall'origine, divide in due angoli uguali (e perciò di 45°) il quadrante cartesiano, incontra la retta dei consumi CC in un punto F. Tale punto è l'unico della retta CC per il quale risulta Yp = Ys, ossia il reddito prodotto è uguale al reddito speso (posizione di equilibrio). Infatti a sinistra del punto F, il c. è superiore al reddito prodotto e si può supporre che venga finanziato attingendo alla ricchezza: a destra del punto F il c. è inferiore al reddito prodotto (e si può supporre che questa differenza venga coperta dall'altra voce della spesa nazionale che è l'investimento). Nel punto F, invece, Ys = C = Yp, sicché C/Y = 1.
Supponiamo ora che al c. uguale al reddito prodotto Yp0 si aggiunga la spesa per investimenti pari a I0. Sul grafico si vede come tale spesa aggiuntiva al consumo C0 faccia aumentare la spesa complessiva del tratto I0. Il reddito speso perciò aumenterà a Ys1 = C0 + I0. Questo nuovo livello della spesa a sua volta avrà come conseguenza un accrescimento del livello del c. pari a C1, come si può leggere sulla retta CC. Per via di questo aumento del c. quindi il reddito speso si porterà a Ys2 = C1 + I0. Si aprirà così un nuovo ciclo: la spesa a Ys2 spingerà ancora verso l'alto il c. portandolo a C2; a sua volta questo nuovo aumento di C porterà la spesa a Ys3 e così via. Il processo di crescita del reddito dovuto a questa interazione fra aumento del reddito e aumento del c. avrà termine quando si giungerà al punto K cui corrisponde un reddito speso Ysk = Ck + I0 = Ypk uguale al reddito prodotto, quando cioè la spesa nazionale data da Ck + I0 sarà uguale al reddito nazionale Ypk e gli eccessi di spesa corrispondenti ai livelli di reddito precedenti - come si vede dalle linee tratteggiate del grafico - sono stati riassorbiti.
Osservando il grafico si rileva come l'aumento del reddito, indicato sull'asse delle ascisse dal tratto Yp0 a Ypk è maggiore del tratto indicato da IO sull'asse delle ordinate. Ciò evidentemente sta a indicare come l'aumento della spesa iniziale ha fatto aumentare il reddito in una misura superiore, misura che dipende dall'inclinazione della retta CC. Se infatti questa si accentua, come messo in evidenza nella fig. 4b, avvicinandosi al valore di 45°, si nota come per un eguale aumento di spesa pari a IO l'aumento del reddito è maggiore rispetto al caso della fig. 4a, come denotano i tratti di ascissa corrispondenti a Yp′0 Yp′k > Yp0 Ypk. Poiché, come più volte richiamato, l'inclinazione della retta CC è espressa dalla propensione marginale al c., si può ribadire la conclusione già presentata sopra che il moltiplicatore aumenta all'aumentare della propensione marginale al consumo.
Sviluppi post-keynesiani della teoria del consumo. - Le ipotesi avanzate da Keynes sulla forma e sulla stabilità della funzione del c. nel periodo post-bellico sono state oggetto di numerose verifiche empiriche.
I primi tests hanno riguardato i dati relativi al periodo 1929-41 e al periodo 1869-1938. Per il 1929-41 sono stati messi a confronto i dati dell'aggregato della spesa annuale per c. negli Stati Uniti espresso in miliardi di dollari 1954 e dell'aggregato del reddito annuale disponibile, anche questo espresso in miliardi di dollari 1954. Ne è stata ricavata una retta di regressione, la cui equazione è C = 26,5 + 0,75DI, dove C e DI indicano rispettivamente il c. e il reddito disponibile. Come si può rilevare da questa equazione - la cui rappresentazione grafica corrisponde al tipo espresso nel grafico n. 2, - i dati sembrerebbero dar ragione a Keynes: infatti non solo il c. risulta strettamente dipendente dal reddito nella misura di 0,75, ma una sua parte, misurata dal coefficiente 26,5, risulta indipendente da esso, con la conseguenza che il suo rapporto col reddito - la propensione media al c. - all'aumentare di questo tende a decrescere. Ciò significa che se questa relazione fosse confermata per periodi di tempo più lunghi, com'è stato fatto rilevare in precedenza, il minore peso relativo del c. rispetto al reddito dovrebbe essere accompagnato dall'aumento progressivo degl'investimenti privati o della spesa pubblica per impedire la caduta della domanda globale e con essa gli effetti recessivi sul reddito e sull'occupazione conseguenti.
Sotto questo profilo, perciò, i calcolì basati sui dati relativi al periodo 1869-1938 risultano di estremo interesse.
Tali calcoli sono stati fatti da S. Kuznets che ha ricostruito le serie storiche del reddito nazionale e del c. degli Stati Uniti considerando 12 decadi così distribuite:
Come si può osservare, da questi dati la propensione al c. risulta relativamente stabile per quasi tutto il periodo di tempo considerato, compresa fra 0,84 e 0,89, e ciò contrasta con quanto rilevato dalle stime sui dati del periodo 1929-41: mentre per questi ultimi anni, come già detto, è decrescente, per le decadi considerate da Kuznets non lo è. Se anche per questi dati si calcolasse l'equazione di regressione si otterrebbe una propensione marginale al c. costante e minore dell'unità come nel primo caso, ma contrariamente a questo, uguale alla propensione media.
A questa evidente contrapposizione di risultati hanno dedicato la loro attenzione molti studiosi. Il problema a cui hanno cercato di dare una risposta è il seguente: quale spiegazione teoricamente valida si può dare del fatto che mentre nel periodo lungo la propensione media al c. è costante, nel periodo medio decresce?
Si sono distinti nell'approfondimento di questo argomento gli economisti americani e in particolare A. Smithies, J. Duesenberry, M. Friedman e F. Modigliani.
A. Smithies ritiene che la tendenza di lungo periodo riscontrata da Kuznets del c. a crescere in proporzione al reddito sia dovuta a spostamenti verso l'alto della funzione del c. di periodo più breve. In altri termini, mentre la funzione del c. di lungo periodo verrebbe espressa da una retta uscente dall'origine degli assi, le funzioni di periodo più breve (le decadi di Kuznets) avrebbero un'intercetta positiva sull'asse delle ordinate con una posizione sempre più elevata al progredire dei periodi di tempo considerati. Tali rette taglierebbero la funzione del c. di lungo periodo i cui punti rappresenterebbero perciò i balzi verso l'alto compiuti dalle funzioni del c. di periodo più breve. Tali sbalzi verso l'alto sarebbero dovuti a due fatti che hanno interessato gli Stati Uniti come anche altre economie interessate da processi di sviluppo: 1) il fenomeno dell'inurbamento della popolazione che ha spinto verso maggiori c. a parità di reddito come dimostrano le statistiche; 2) la produzione di nuovi beni di c. che di per sé ha creato le premesse per una allargamento dei consumi. Entrambi questi fattori evolutivi avrebbero determinato un trend ascendente nei c. dell'economia americana proporzionato al reddito, di cui Smithies tiene conto nello stimare la sua equazione di regressione sulla base dei dati del periodo 1923-40.
Anche Duesenberry al pari di Smithies sostiene la tesi del rapporto di proporzionalità fra c. e reddito, ma con argomentazioni sostanzialmente diverse da quelle di quest'ultimo autore.
Prendendo come punto di partenza la teoria delle scelte del consumatore, osserva come questa teoria non tenga nella dovuta considerazione il processo di formazione delle preferenze individuali, assumendole date. Essa, cioè, suppone che ogni individuo abbia delle preferenze relativamente ai beni da acquistare indipendentemente determinate, e, in base al principio del 'minimo mezzo', enuncia come ciascuno cerchi di soddisfarle. Come tali preferenze nascono, quale evoluzione subiscano nel corso del tempo, a quali condizionamenti siano soggette, sono argomenti di cui non tiene conto, di fatto rinunziando ad essi e lasciandoli all'ambito di osservazione di altre discipline come la psicologia e la sociologia.
Questo modo di procedere se può giustificarsi ricordando come la suddetta teoria miri a dare primariamente una spiegazione di come si formano i valori dei beni in un contesto economico atemporale, in un contesto cioè in cui il principale oggetto di osservazione sono i comportamenti individuali che scaturiscono da dati gusti, e non la genesi di questi, certamente non si può accettare quando oggetto di osservazione divengono i suddetti comportamenti visti nel tempo. È evidente che in tal caso non si può ipotizzare che le preferenze individuali sono indipendenti fra loro, come se ciascun individuo non risentisse di alcuna sollecitazione di carattere esterno. Al contrario, poiché ogni individuo vive il suo tempo, le sue preferenze sono funzione oltre che di necessità fisiche personali, della sua cultura e dei valori della società in cui opera. Non vi è dubbio, sotto questo aspetto, che nella nostra società uno dei principali obiettivi sociali è il raggiungimento di un alto tenore di vita, obiettivo che spinge verso più elevati livelli di consumo. Il processo si può spiegare in questo modo. Ciascun individuo, qualunque sia il suo status sociale, "è portato a fare confronti fra il suo standard di vita e quello degli altri componenti la collettività cui appartiene che hanno una posizione di status superiore o inferiore alla sua. Ogni confronto di questo tipo sfavorevole fa sì che si manifesti un impulso ad acquistare merci che aumenteranno la qualità dello standard di vita ed elimineranno il confronto sfavorevole". In altri termini ciascun individuo è portato a misurare il suo c. in termini dei c. altrui, e ad adattarlo fino a che non abbia raggiunto un rapporto con essi considerato psicologicamente soddisfacente. Se, ceteris paribus, il suo reddito aumenta vi sarà un aumento nei suoi c. ma anche un aumento del suo risparmio. Ulteriori aumenti di reddito favoriranno più l'aumento del risparmio che del c., venendo meno in queste condizioni di stazionarietà degli altri redditi e quindi dei c. che ne scaturiscono i motivi di confronto sociale e rafforzandosi invece quelli che spingono a una maggiore cautela nella spesa presente per poter usufruire di un maggiore flusso di spesa in futuro. Se al contrario, ceteris paribus, l'aumento del reddito è generalizzato, ciascun individuo si troverà di fronte a c. altrui crescenti e di conseguenza sarà spinto ad adeguare i propri a scapito del risparmio in modo da mantenere costante il rapporto fra il suo consumo e quello altrui. Il processo avrà termine quando ciascuno per preservare la posizione relativa del suo standard di vita avrà aumentato il suo c. in proporzione al reddito.
Con queste argomentazioni a carattere esclusivamente deduttivo fondate su motivi di psicologia sociale Duesenberry controbatte l'ipotesi della propensione al c. decrescente e per converso della propensione al risparmio crescente che secondo Smithies, come visto sopra, sarebbe verificata se non intervenissero i fattori di trend a ricondurre c. e reddito in un rapporto di proporzionalità. A smentire l'importanza empirica di fattori quali l'inurbamento crescente e l'introduzione di nuovi prodotti, Duesenberry dedica il IV capitolo del suo volume, sostenendo: 1) che l'inurbamento può avere provocato una diminuzione nella propensione al risparmio contenuta nell'1,5%; 2) che non c'è sufficiente evidenza statistica a favore della proposizione che i nuovi prodotti abbiano causato un forte trend ascendente nei consumi. Aggiunge inoltre che altri fattori di trend, come la distribuzione per età della popolazione, la distribuzione del reddito, il tasso di sviluppo del reddito, i tassi d'interesse e le aspettative appaiono avere avuto scarso peso sulla propensione al risparmio.
Se pertanto non è ai fattori di trend che bisogna guardare per darsi conto del rapporto fra c. e risparmio nel lungo periodo, quanto piuttosto alle tendenze insite nei rapporti sociali che spingono i suddetti aggregati verso una relazione di proporzionalità, ciò non toglie che restino da spiegare gli allontanamenti da tale regola che si registrano nel periodo breve. A questo proposito Duesenberry introduce un'ulteriore ipotesi nel comportamento del consumatore che definisce della 'irreversibilità'. Se un individuo vede aumentare il suo reddito, così argomenta, aumenterà il c. e il risparmio; se tuttavia in un periodo successivo il suo reddito dovesse diminuire, i suoi c. non ritorneranno al livello iniziale, ma si manterranno al livello più elevato già raggiunto. Questo effetto di freno alla diminuzione dei c. che chiama ratchet effect e che trova una motivazione nel desiderio del consumatore di non abbandonare lo standard di vita raggiunto agisce perciò direttamente sul risparmio che ne viene in proporzione ridotto. Di conseguenza la propensione al risparmio viene a dipendere dal rapporto che intercorre fra il reddito corrente e il reddito più elevato precedentemente raggiunto. Indicando con St/Yt la propensione al risparmio del periodo corrente t, e con Yt/Y0 il rapporto fra il reddito corrente e il reddito precedente più elevato, Duesenberry propone la seguente relazione: St/Yt = a(Yt/Y0) + b. Come si può osservare per valori superiori all'unità e crescenti di Yt/Y0, St/Yt è crescente; viceversa per valori minori dell'unità St/Yt è decrescente. Ciò significa che quando il reddito cresce a tassi crescenti la propensione al risparmio è crescente; se il reddito corrente cade al di sotto del livello precedente sicché Yt/Y0 è minore dell'unità la propensione al risparmio decresce, e quindi aumenta quella al consumo. Può quindi succedere che mentre in un periodo di rapida espansione del reddito la propensione al c. decresce, in un periodo di depressione aumenta. Ciò non toglie tuttavia che una volta esaurite le spinte cicliche, quando cioè il rapporto Yt/Y0 diviene nuovamente maggiore di 1, se il reddito cresce a tasso costante, sicché il rapporto Yt/Y0 non muta, il consumo e il risparmio tendano a riassestarsi sui valori di lungo periodo con St/Yt costante.
Un ulteriore tentativo di motivare a priori la relazione di proporzionalità fra reddito e c. è stato fatto da M. Friedman con la sua teoria del reddito permanente.
Per ("reddito permanente" secondo Friedman deve intendersi quel reddito che può essere consumato senza alterare le fonti di ricchezza che lo producono. Per calcolare il valore della ricchezza non c'è dubbio che bisogna prendere in considerazione non solo le entrate presenti ma anche le entrate future, dal momento che lo stesso c. presente - è un dato osservato - è collegato con esse. Sulla base perciò delle entrate presenti e future, previste nel proprio orizzonte temporale, ogni individuo può calcolare il valore della ricchezza attuale, scontando tali entrate future al tasso d'interesse corrente. In tali circostanze, desiderando ciascun individuo mantenere il valore della propria ricchezza inalterato, qualora le sue entrate correnti fossero superiori al reddito che scaturisce dalla sua ricchezza, supposto un orizzonte temporale di due anni, la differenza dovrebbe accantonarla per far sì che la ricchezza del secondo anno non sia più bassa di quella del primo; analogamente, se le sue entrate nel primo anno fossero inferiori al reddito determinato dalla sua ricchezza, potrebbe prendere a prestito la differenza senza per questo che la sua ricchezza il secondo anno diventi inferiore a quella del primo. Ne segue perciò che il c. di ciascun anno è programmato in ragione del reddito che scaturisce dal livello della ricchezza.
Chiamando tale c. programmato consumo permanente, Cp e indicando il reddito permanente sopra definito con Yp la funzione del c. si può scrivere nel seguente modo: Cp = f(Yp, i) dove Yp = iW esprimendo i il tasso d'interesse e W il valore della ricchezza.
Come si può osservare, Cp dipende anche dal tasso d'interesse i. Ciò non solo perché il tasso d'interesse influenza il valore della ricchezza, ma anche perché dal suo livello dipende la scelta del consumatore fra c. presente e c. futuro. È evidente infatti che quanto più un consumatore richiede in futuro per rinunziare a 100 lire di c. corrente, tanto più elevato dev'essere il tasso d'interesse perché tale rinunzia abbia luogo; il contrario avviene quando il consumatore per rinunziare a 100 lire di c. presente chiede poco più di c. futuro. Ne segue quindi che il tasso al quale il consumatore è disposto a sostituire il c. presente con il c. futuro dipende dal rapporto dei c. nei due periodi, stabilito in base alle sue preferenze. Se per es. il c. presente raddoppia, l'entità del c. richiesto in futuro in più per rinunciare a 100 lire di c. presente diminuirà, data la diminuzione dell'urgenza di questo; se al contrario il c. raddoppia nei due periodi aumenterà l'entità del c. richiesto in più in futuro, dato che diminuendo l'urgenza del c. futuro, rispetto a quello presente si richiederà un'entità maggiore di c. attuali per rinunciare a un'unità di questo. Non vi è perciò nessuna ragione a priori, sostiene Friedman, perché il primo effetto debba avere una prevalenza sistematica sul secondo, come si sostiene quando si afferma che il rapporto c./reddito va diminuendo nel tempo. Se è vero che un aumento del reddito corrente, spingendo a un maggiore c. corrente, attenua la spinta per un maggiore c. futuro, è anche vero che un aumento del reddito che si mantenesse costante nel tempo annullerebbe l'effetto precedente perché comporterebbe una maggiore richiesta di c. futuro per rinunciare a una parte del c. presente. In generale si può supporre che i due effetti si compensino nelle preferenze dell'individuo sicché il rapporto fra c. presente e c. futuro può essere assunto costante per un flusso di reddito che si mantiene nel tempo permanentemente. In tal modo si può esplicitare la funzione del c. sopra indicata in tal modo: Cp1 = k(i, u)Yp1 equazione che sta a indicare come il c. permanente nel periodo 1 Cp rappresenti una porzione k del reddito permanente Yp nello stesso periodo, porzione che dipende dal livello del tasso d'interesse i e dalle preferenze del consumatore, u.
Questa assunta relazione di proporzionalità fra reddito e c. è stata sottoposta da Friedman a numerosi test empirici.
Friedman propone di distinguere fra "componenti permanenti" e "componenti transitorie" sia nel reddito che nel c. misurato. Le componenti permanenti del reddito sono da considerarsi il riflesso di tutti quegli elementi che contribuiscono a formare la ricchezza di un individuo, quali la sua personalità e la sua capacità professionale, il tipo di lavoro svolto, la collocazione della sua attività economica, le attività finanziarie e immobiliari possedute, ecc. Le componenti transitorie del reddito a loro volta sono quelle dall'individuo considerate accidentali, e in quanto tali non dipendenti dai fattori sopra elencati, per es. una malattia che allontanando dal lavoro induce una riduzione del reddito, oppure un'improvvisa situazione favorevole nell'attività svolta che fa aumentare il reddito stesso. Le componenti transitorie del c. sono anch'esse di tipo accidentale, per es. condizioni particolarmente favorevoli per l'acquisto di certi beni, che stimolano il loro c., un tempo eccezionalmente caldo o freddo, che porta a consumare certi beni al posto di altri, ecc. Tra componenti permanenti e componenti transitorie sia del reddito che del c. è supposta non esservi alcuna correlazione come anche tra componenti transitorie fra loro.
Fatte queste ipotesi, Friedman argomenta così. Si supponga che sulla base dei c. e dei redditi misurati dai dati di bilancio delle famiglie si rilevi una funzione del c. del tipo C = a + bY, rappresentata nella fig. 5, e che una retta uscente dall'origine degli assi, sottostante quella a 45°, esprima la relazione fra reddito permanente e c. permanente. Si supponga ancora che il reddito medio misurato per tali famiglie sia quello corrispondente al punto D. Giacendo questo punto sulla retta OCp le famiglie con questo reddito medio misurato hanno componenti transitorie pari in media a zero, sicché tale reddito è anche il loro reddito permanente. Ciò significa che nel gruppo vi sono alcune famiglie con un reddito permanente più basso di quello misurato, e perciò con componenti transitorie positive, e famiglie con un reddito permanente più alto di quello misurato e perciò con componenti transitorie negative. Tali componenti positive e negative tuttavia considerate insieme si annullano nella media, di modo che il reddito medio misurato corrisponde al reddito permanente, Y = Yp. Non altrettanto si può dire per le famiglie con redditi superiori o inferiori in media a Y. Nel gruppo di famiglie con redditi medi misurati maggiori di Y, indicati sulla destra nella fig. 5, prevalgono quelle con elementi transitori positivi, mentre nel gruppo di famiglie con redditi medi misurati inferiori a Y - a sinistra nella fig. 5 - prevalgono quelle con elementi transitori negativi. Prendendo in considerazione per esempio il reddito misurato Y0, si osserva come a questo livello di reddito corrisponda una componente transitoria positiva. Infatti, a questo reddito corrisponde il c. Y0K. Poiché tra le componenti transitorie del c. e del reddito non vi è alcuna correlazione, dovendosi considerare del tutto casuale un'eventuale relazione tra esse, si può supporre che in media le componenti transitorie del c. si annullino, sicché i loro valori osservati corrispondono ai valori permanenti. In tal caso, riportando. sulla retta OC il valore del c. Y0K, si nota come a questo, misurato dall'ordinaia Yp0 G, corrisponda un reddito permanente Yp0 inferiore al reddito misurato Y0. In questo reddito misurato c'è perciò una componente transitoria positiva: se infatti tale livello di reddito fosse considerato come reddito permanente, il c. che gli corrisponderebbe sarebbe pari a Y0E maggiore di Y0K. Analogamente, prendendo in considerazione il reddito misurato Y1, si nota come a questo reddito corrisponda una componente transitoria negativa. Infatti il c. che gli corrisponde è pari a Y1M che riportato sulla retta OC è uguale a Yp1H, dove Yp1, è maggiore di Y1. Il reddito permanente corrispondente al c. misurato Y1M è maggiore del reddito misurato, di modo che questo contiene una componente transitoria negativa.
In questo modo Friedman cerca di avallare la tesi che le verifiche fatte sulla base delle semplici relazioni di regressione fra c. annuali e redditi annuali in cui la PMC è decrescente, sono verifiche di periodo breve che non tengono conto delle tendenze basilari nel comportamento dei soggetti economici. Quando al contrario nelle stime si tiene conto di queste, la propensione media al c. resta costante. I suoi calcoli che abbracciano un arco di tempo che va dal 1905 al 1951 e che fanno uso del concetto di reddito permanente, statisticamente stimato rispetto all'anno corrente, applicando dei pesi sempre più piccoli ai redditi annuali precedenti, sembrano provarlo.
La teoria di Modigliani-Brumberg si avvicina nella sostanza alla teoria di Friedman anche se muove da un'ipotesi differente, l'ipotesi del "ciclo vitale".
Secondo Modigliani-Brumberg il consumo corrente di un individuo dipende non solo dal suo reddito corrente ma anche dal volume dei redditi che si attende di ricevere lungo tutto l'arco della sua vita produttiva, nonché dall'entità del valore netto della sua ricchezza. Ciò che va tenuto presente, cioè, è l'insieme delle risorse di cui un individuo ritiene di poter disporre non solo nell'anno in corso, ma anche negli anni successivi fino all'età del ritiro. Ne consegue che il suo tasso di c. annuale in una qualunque età t può essere maggiore o minore del suo reddito corrente in ragione dei suoi programmi di c. dipendenti dalle sue risorse.
Indicando con vt le risorse nell'età corrente t di un'individuo, si ha:
I simboli hanno il seguente significato: N, il numero degli anni produttivi; M, il numero degli anni del ritiro; L il numero degli anni d'importanza economica M + N; at il valore netto della ricchezza nel periodo corrente t; r il tasso d'interesse corrente.
L'espressione perciò dice che il valore attuale delle risorse di un individuo di età t è uguale alla somma di tutti i redditi previsti nel periodo produttivo N scontati al tasso d'interesse corrente r, più il valore netto della ricchezza nel periodo corrente t.
La funzione individuale del c. si può perciò scrivere nel modo seguente:
La 2) sta a indicare come il c. programmato da un individuo per tutti gli anni della vita τ a partire dall'età corrente t dipende proporzionalmente dalle risorse vt, in ragione del fattore γτt che esprime le sue preferenze. Il motivo per cui viene assunta una relazione di proporzionalità dipende dal fatto che una volta note le risorse non si riescono a individuare fattori sistematici che portino alla sua negazione. È più ragionevole cioè assumere che almeno per la media degl'individui qualunque aumento delle loro risorse alimenti il c. in proporzione lungo tutto l'arco della loro vita (dcτ/dvt = γ).
Supponendo per semplicità a) che gl'individui non desiderino lasciare eredità, e b) che il tasso d'interesse sia zero, la 1) assume la seguente forma:
dove
rappresenta il reddito medio atteso nel periodo produttivo, da cui segue che (N − t)yte esprime il volume complessivo dei redditi attesi per il tempo restante a partire dall'età t della vita produttiva.
Sostituendo la ia) nella 2), si ottiene:
la quale implica che
e sulla base dell'ipotesi a) fatta sopra implica pure che alla fine della vita la somma dei c. effettuati negli armi L deve eguagliarsi all'entità complessiva degli risorse possedute, cioè:
Dalla 4) e dalla 5) segue che
Posto inoltre che un individuo progetti di consumare sempre la stessa proporzione del suo reddito durante tutti gli anni della sua vita, allora si ha che a partire da t la somma dei γ è data da γt per tutti gli anni della vita: cioè
da cui si deriva che
e cioè che la proporzione del reddito consumato dipende dall'età.
Sostituendo nella 4) il valore di γ indicato nella 6a) si ottiene la seguente funzione del c.:
Tale relazione mette in evidenza come il c. dipenda dal reddito corrente y, dal reddito atteso ye, e dal valore netto della ricchezza a, in ragione di parametri dipendenti esclusivamente dall'età.
Se infine si suppone che il reddito atteso sia uguale al reddito attuale, y = ye, considerandosi il c. il primo anno della vita produttiva, t = 1, la 7) si riduce a:
ricordando che il primo anno della vita a = 0.
La 8) a sua volta comporta come funzione del risparmio
Sia la 8) che la 9) possono essere considerate le funzioni del c. e del risparmio di lungo periodo con propensioni medie e marginali coincidenti. In particolare per quanto riguarda la funzione del risparmio, c'è da aggiungere che s diviene negativo e uguale al volume del c. a partire dall'anno di ritiro e cioè N +1. In altri termini, un individuo accumula a tasso costante per tutti gli anni della sua vita produttiva per poter essere in grado, dopo il ritiro da questa, di avere sempre lo stesso tasso di consumo. Ogni anno che passa della sua vita produttiva accumula (M/L)y, per ogni anno del suo ritiro disaccumula − (N/L)y. Il risparmio quindi conosce una fase positiva pari al numero degli anni produttivi, e una fase negativa pari al numero degli anni del ritiro: se per N anni si accumula M/L, per M anni si disaccumula N/L, per cui N(M/L) − M(N/L) = 0.
Concludendo su questo punto, si può osservare che se il risparmio ha l'unica funzione di fare fronte ai bisogni della vita nell'età del ritiro, e non quello di essere trasmesso in eredità, allora il suo tasso di accumulazione, come quello del c., dipendono dal numero degli anni che compongono la vita complessiva L, dal numero degli anni produttivi N, dal numero degli anni del ritiro M.
Aggregando le singole funzioni del c. prima entro ciascun gruppo di età poi fra gruppi di età diversi si ottiene la funzione aggregata del c. con gli stessi parametri della 7).
Si può così individuare una funzione aggregata del c. di lungo periodo in cui coincidono propensione media e marginale. Allo stesso tempo, tenendo presente che si possono sempre verificare improvvise cadute o aumenti di reddito, vengono in evidenza funzioni del c. di periodo più breve, in cui alla sopraddetta tendenza di lungo periodo del c., se ne aggiunge una di periodo più breve. Quando infatti si verifica un improvviso aumento del reddito, la maggior parte di questo aumento va al risparmio, sia perché viene considerato transitorio, sia perché qualora fosse considerato permanente, il valore netto della ricchezza dovrebbe crescere per adattarsi al nuovo livello di reddito permanente. Quando tale adattamento si è compiuto, il c. ritornerà sui valori di lungo periodo.
Quest'ultimo punto si spiega ricordando che è la ricchezza, una volta cresciuta, a consentire livelli di c. più elevati.
Ciclo, consumo e fattori strutturali. - Oltre che nella prospettiva indicata nelle teorie di Duesenberry, Friedman e Modigliani, tendenti a conciliare il breve con il lungo periodo, il c. è stato studiato anche da altri punti di vista. Tra questi, particolare rilevanza assume la sua considerazione in rapporto al ciclo economico e la sua rispondenza a mutamenti di natura strutturale.
Il comportamento del c. nel corso del ciclo è stato affrontato sia in studi empirici sia in studi puramente teorici. Per quanto riguarda i primi, c'è da sottolineare come sulla base di dati trimestrali sia stata rilevata una consistente variabilità del c. non sempre in sintonia con il reddito. La conclusione che ne è scaturita è che i suoi cambiamenti vanno spiegati facendo ricorso a variabili diverse dal reddito, dato che nel breve periodo questo più che determinare, è determinato dal consumo.
Fra gli studi teorici particolare rilievo occupano quelli basati sulla relazione fra c. e ricchezza. Più specificamente, il c., oltre che da altre variabili, viene fatto dipendere dal valore reale della ricchezza. Assumendosi la variabilità dei prezzi, si argomenta in questo modo. Se i prezzi dei beni per es. aumentano, le componenti "reali" della ricchezza individuale, come gl'immobili, i terreni, le azioni, subiscono anch'esse un adeguamento verso l'alto nel loro valore, mentre non altrettanto avviene per le componenti finanziarie, come le obbligazioni e i fondi liquidi che subiscono una perdita in virtù del loro valore monetario fisso. A tale perdita è sensibile il c. che tende a restringersi. Tale effetto che va sotto il nome di "effetto-ricchezza" o "effetto-Pigou", perché introdotto da A. C. Pigou, è stato più recentemente riconsiderato da D. Patinkin che limitandosi ad analizzare l'effetto dei prezzi sulla capacità d'acquisto dei fondi liquidi, l'ha definito "effetto dovuto alla variazione del valore reale delle scorte monetarie" (real balance effect - RBE). Secondo il Patinkin, se i prezzi fossero liberi di variare e in particolare di diminuire, le crisi recessive dell'economia cui tanta attenzione ha dedicato Keynes potrebbero essere superate in virtù del suddetto meccanismo, che, operando automaticamente, farebbe aumentare la domanda. Un eccesso di offerta sulla domanda, o, detto altrimenti, una domanda di beni e servizi inferiore all'offerta, avrebbe infatti come conseguenza una diminuzione dei prezzi. Coloro che detengono scorte di moneta vedrebbero in tal modo aumentato il loro potere di acquisto e sarebbero spinti ad aumentare pertanto il loro c. fino a quando l'eccesso di offerta non sia stato riassorbito. Se da un punto di vista strettamente teorico non sembra discutibile quanto sostenuto da Patinkin, non altrettanto si può dire da un punto di vista empirico. Intanto come stabilizzatore automatico il RBE sembra poco operativo, data la nota rigidità dei prezzi verso il basso; inoltre qualora tale rigidità venisse meno, bisognerebbe pur sempre conoscere la misura della relazione fra valore reale delle scorte monetarie e consumo. In altre parole solo un'alta elasticità del c. rispetto al valore reale della liquidità potrebbe consentire all'RBE una qualche rilevanza pratica.
Tentativi di misurare l'influenza della liquidità sul c. sono stati fatti da alcuni economisti americani, e per quanto le loro conclusioni siano ad essa favorevoli, soprattutto per il periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale, c'è da tener presente 1) che tale influenza è quantitativamente molto limitata; 2) che non è strettamente associabile all'operare del RBE, dato che le stime si basano sulle serie temporali dei valori di tutte le attività che hanno un valore monetario fisso.
Un'altra variabile cui spesso si è guardato per analizzare l'andamento del c. nel periodo breve è la quantità di moneta. Questo approccio che è proprio di una teoria monetaria, la teoria quantitativa della moneta, si basa sull'ipotesi di un rapporto fisso fra le quantità di moneta e il livello della spesa, e implica che ogni qualvolta cresce nel sistema economico la liquidità, l'eccesso di questa di trasferisce direttamente nell'acquisto di beni e di servizi (v. monetarismo). Il c. come parte della spesa ne è perciò influenzato. La suddetta ipotesi è stata sottoposta a test empirico da M. Friedman e D. Meiselman sulla base di dati riguardanti l'economia degli Stati Uniti. Da tale test si rileva come il c. sia strettamente correlato con le quantiià di moneta per un periodo di tempo che va dal 1897 al 1958, con qualche attenuazione per gli anni della grande depressione.
Se pertanto in base alle ipotesi sulle relazioni fra c. e ricchezza o c. e quantità di moneta, si è cercato d'individuare quali variabili oltre al reddito influiscono sul comportamento di breve periodo del c. - e altre se ne potrebbero aggiungere come il tasso d'interesse - con le analisi sulla relazione fra distribuzione del reddito e c. si è cercato di mettere in rilievo l'importanza dei fattori strutturali. Che la propensione media al c. nelle fasce di reddito più elevate sia più grande della propensione media al c. nelle fasce di reddito più basse è un dato dimostrato dall'esperienza, ma da ciò non si può concludere che una redistribuzione del reddito farebbe comunque aumentare il consumo. Ciò si può verificare solo in presenza di propensioni marginali al c. differenti fra le varie categorie di reddito e nell'esperienza tali differenze sono molto meno sensibili da quelle riscontrate per le propensioni medie.
Un'ulteriore ipotesi di variazione del c. è stata fatta da N. Kaldor. Nel suo modello di sviluppo Kaldor fa dipendere il c. dalla distribuzione del reddito, assumendo che questo si suddivida fra salari W e profitti P. Posto che la propensione al c. dei lavoratori sia più elevata della propensione al c. dei 'capitalisti', la funzione del c. può essere scritta nel modo seguente:
Dando un valore ad a1 superiore al valore di a2, si può facilmente vedere come al crescere di P relativamente a W diminuisca la propensione media al c. C/Y. La verifica empirica sembra non smentire tale ipotesi.
Concludendo questa rassegna, non si può omettere di considerare l'incidenza di altri fattori sul c., incidenza che se anche meno studiata non per questo è meno importante.
Tra i fattori da richiamare, vi sono i cosiddetti fattori demografici, intendendosi per essi quelle caratteristiche associate alle popolazioni come l'ambiente in cui vivono, l'occupazione che svolgono, la razza cui appartengono, ecc., che possono far sì che esse risparmino di più o di meno. Così, a parità di reddito, un contadino risparmia più di un abitante di città, una famiglia con più figli consuma più di una famiglia senza figli, ecc. Questi aspetti non sono certamente significativi nel periodo breve, data la loro lentezza al mutamento, mentre possono avere rilevanza nel periodo lungo quando si possono avere sensibili cambiamenti nella struttura dell'occupazione, nella dislocazione geografica della popolazione, nelle sue preferenze, che certamente esercitano la loro influenza sul consumo.
Al contrario dei fattori demografici, i fattorì psicologici, quali le aspettative e la psicologia individuale, possono modificarsi anche nel periodo breve. Alla misura della loro incidenza sul c. hanno dedicato i loro studi G. Katona e altri. I loro sforzi sono stati rivolti a evidenziare le variazioni del c. sulla base di motivazioni che tendono a esplicitare dal "di dentro" il perché delle scelte dei consumatori, approccio senza dubbio corretto, ma difficile da seguire.
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Imposta di consumo. - L'imposta di c. è generalmente considerata un'i. indiretta reale che colpisce la ricchezza nel momento in cui la possibilità del c. comincia a manifestarsi in modo autonomo.
L'importanza di tale i. nel nostro sistema tributario si è grandemente ridotta con l'avvento della riforma tributaria. L'introduzione dell'i. sul valore aggiunto ha infatti portato, in attuazione delle direttive sancite nella legge delega sulla riforma tributaria 9 ottobre 1971, n. 825, all'abolizione delle i. erariali sul c. del gas, del sale e delle cartine e tubetti per sigarette, delle i. comunali di c. di cui al T.U. per la Finanza locale approvato con r.d. 14 settembre 1931, n. 1175, e al regolamento approvato con r.d. 30 aprile 1936, n. 1138, e successive modificazioni, nonché del diritto speciale sulle acque da tavola di cui alla l. 2 luglio 1952, n. 703, e successive modificazioni.
Così le principali i. di c. ancora in vigore sono rimaste quelle erariali sul caffè, sull'energia elettrica, sul cacao, sul gas metano e sulle banane.
Imposta erariale di consumo sul caffè. - Istituita nel 1917 per provvedere ai bisogni straordinari del Tesoro dipendenti dallo stato di guerra, questa i., di tipo doganale, colpisce il c. del caffè nella misura di L. 50.000 il quintale per quello naturale e di L. 69.000 per quello tostato. La tassa è riscossa all'atto dello sdoganamento del caffè per l'immissione in consumo.
La normativa dell'i. sul c. del caffè è completata da numerose disposizioni volte alla prevenzione e alla repressione del contrabbando del caffè.
Imposta erariale di consumo dell'energia elettrica. - L'i. di c. dell'energia elettrica è stabilita in misura diversa per ogni kWh di energia elettrica impiegata a seconda dell'uso (illuminazione, carica di accumulatori portatili, forza motrice, altre applicazioni elettriche). Chiunque intenda esercitare un'officina di produzione di energia elettrica deve farne denuncia al competente ufficio tecnico delle i. di fabbricazione e ottenere la licenza. Sono soggetti a questi obblighi e considerati fabbricanti: a) coloro che acquistano energia elettrica per farne rivendita; b) gli acquirenti di energia elettrica per uso proprio con impiego promiscuo, oltre una certa misura; c) gli acquirenti di energia elettrica per la carica di accumulatori o per azionare raddrizzatori di corrente, convertitori a motore dinamo, qualunque sia la potenza installata, eccetto il caso che l'acquisto avvenga per uso proprio e per impieghi colpiti da una stessa aliquota d'imposta.
La licenza di esercizio vale per la ditta, per l'anno solare, per l'officcina e per il comune o i comuni in essa indicati ed è soggetta a un diritto annuale, che dev'essere corrisposto nella quindicina precedente l'inizio dell'anno solare ovvero, per le officine di nuovo impianto o che cambiano titolare, prima del rilascio della licenza.
La liquidazione dell'i. è fatta dall'ufficio tecnico di finanza in base alla dichiarazione del fabbricante. Tale dichiarazione dev'essere presentata per il c. di un mese o di un bimestre entro i venti giorni successivi all'uno o all'altro di detti periodi.
L'i. è pagata dal fabbricante direttamente in tesoreria con diritto di rivalsa sui consumatori. Tale rivalsa è limitata alla parte eccedente i dieci centesimi per kWh quando trattasi di energia elettrica tassata, destinata ad uso d'illuminazione.
Imposta erariale di consumo sul cacao. - L'i. colpisce il c. del cacao, del burro di cacao e delle pellicole e bucce di cacao nelle seguenti misure, per quintale a peso netto: a) cacao in grani non torrefatto; bucce e pellicole di cacao, L. 18.000; b) cacao in grani torrefatto, non decorticato, L. 20.000; c) cacao torrefatto, decorticato, infranto, in pasta o in polvere, L. 22.500; d) burro di cacao, L. 28.000; e) polvere di cacao con contenuto di burro di cacao inferiore all'1%, L. 17.000.
Imposta erariale di consumo sul gas metano. - L'i. colpisce nella misura di una lira per ogni mc il gas metano erogato considerato alla temperatura di 15 centigradi e a pressione normale. Parallelamente all'introduzione di questa i. è stata istituita una sovrimposta di confine di pari entità per il metano importato di origine estera, dalla quale è esente il gas metano importato dall'estero allo stato liquido e destinato alla trasformazione in gas presso appositi stabilimenti posti sotto la vigilanza degli uffici tecnici delle i. di fabbricazione. Il gas metano soggetto a questa i. non è assoggettabile all'i. di c. sull'energia elettrica.
Chiunque intende estrarre gas metano dal sottosuolo nazionale o produrre comunque gas metano, deve farne preventiva denunzia all'ufficio tecnico delle i. di fabbricazione. Queste ditte devono munirsi di apposita licenza rilasciata dal medesimo ufficio e soggetta a un diritto annuale. La liquidazione dell'i. è fatta dall'ufficio tecnico delle i. di fabbricazione in base a dichiarazioni che le ditte devono presentare entro il mese successivo a quello cui si riferisce la dichiarazione. L'esercente deve quindi provvedere a versare l'i. corrispondente alle quantità dichiarate alla sezione di tesoreria provinciale entro il giorno quindici del secondo mese successivo a quello cui si riferisce la dichiarazione.
Imposta erariale di consumo sulle banane. - Con l. 9 ottobre 1964 è stato abolito il monopolio del trasporto marittimo delle banane, del commercio delle stesse e della loro lavorazione industriale, ed è stata introdotta un'i. erariale di c. sulle banane fresche e secche e sulle farine di banane. La misura dell'i. è stabilita in L. 70 per kg di banane fresche e in L. 350 per kg di banane secche e di farina di banane.
Per le banane di produzione nazionale l'i. è corrisposta dal produttore all'atto della vendita ed è accertata e riscossa, per conto dello stato, dagli uffici comunali delle i. di c. competenti per territorio. Per le banane provenienti dall'estero l'i. è corrisposta dall'importatore all'atto dell'importazione ed è accertata e riscossa dalle dogane.
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