Contagio
Il contagio è il meccanismo per mezzo del quale gli agenti infettivi vengono trasmessi da una fonte di infezione - che può essere una persona, un oggetto che fa da veicolo (per es., l'aria, l'acqua, il suolo, gli alimenti ecc.) o un vettore animato (cioè un animale, generalmente un insetto) - a un soggetto recettivo. Questa definizione di contagio, ormai acquisita, è frutto di una lunga elaborazione culturale, nel corso della quale il concetto stesso e le sue implicazioni (cause, effetti ecc.) hanno subito una serie di modifiche e di aggiustamenti, spesso anche in assoluta contraddizione tra di loro.
Il concetto scientifico di contagio, ormai universalmente accettato, corrisponde a una serie di semplificazioni derivanti dall'affermarsi, nel 19° secolo, della medicina scientifica e in particolare della batteriologia. Storicamente, una definizione corretta di contagio è più complessa. Come lo stesso concetto di malattia, l'idea del contagio, la sua natura, le sue implicazioni, le cause e gli effetti, gli agenti che lo provocano, variano nel tempo, nelle diverse epoche: la definizione del concetto di contagio come lo intendiamo oggi è, dunque, un fenomeno squisitamente culturale. Le stesse connotazioni dei termini variano nel tempo: germi e virus, per es., significano cose molto diverse dal passato a oggi.
Nei tentativi di definizione del concetto di contagio o infezione, nel corso della storia si rintraccia sempre un'ambiguità di fondo, forse perché ogni autore, di fatto, si è riferito a determinate credenze e teorie. Oltre a ciò, occorre ricordare che il termine contagio è largamente usato anche in ambiti semantici non medici, dalla politica all'economia, dall'agricoltura a specifiche tecnologie. Nella parola poi è come sottinteso un giudizio morale, legato al sentire comune, alla responsabilità sociale e individuale. E tutto questo concorre ad aumentare la confusione.
In epoca classica i concetti di contagio e di infezione sono riferiti a un singolo individuo piuttosto che a un ambiente. Secondo Ippocrate (5°- 4° secolo a.C.), ogni malattia è 'unica' per ciascun individuo, legata a una specifica costituzione fisica, alla storia personale, all'ambiente in cui il malato vive. In caso di epidemia, si cercava piuttosto di individuare le differenze con cui la malattia si manifestava in ciascun individuo, piuttosto che i punti in comune. Dal verbo μιαίνω, che corrisponde al latino inficere, "avvelenare, macchiare, corrompere, contaminare", deriva il termine cui i greci ricorrevano per definire la causa della malattia, μίασμα, "miasma", che per lo stesso Ippocrate (Sui venti, Sulla natura dell'uomo) è un'impurità vagante nell'aria. Sofocle, nell'Edipo re, usa il medesimo termine con un significato religioso, di impurità dovuta al sangue versato. Si tratta di due opposte concezioni della malattia, una razionale, che si rifà all'ambiente fisico, alla dieta alimentare e alle condizioni geografiche, l'altra irrazionale, che ricorre all'idea della maledizione divina e rientra in una concezione puramente religiosa. Entrambe le concezioni, tuttavia, hanno in comune il concetto di impurità e implicano l'infrazione di un tabu o l'idea di contagio come macchia, contaminazione: esprimono cioè un contenuto morale.
Nel trattato Sulle arie, le acque e i luoghi del Corpus hippocraticum, tuttavia, la concezione religiosa delle epidemie viene esplicitamente criticata: sono i cambiamenti stagionali, piuttosto, le principali cause delle malattie. Tucidide (5° secolo a.C.) rifiuta sia le argomentazioni religiose sia quelle razionali e, non essendo condizionato da alcun preconcetto che gli impedisca di credere alla trasmissione di un'epidemia per contagio, concretamente nota come siano proprio i medici i più esposti a contrarre l'infezione. Nel primo libro della raccolta dei Problemi fisici pseudoaristotelici, dedicato alla medicina (probabilmente del 3° secolo a.C. ma tramandato a noi in un'edizione del 2° secolo d.C.), si parla di contagio in caso di pestilenze, e si afferma che queste malattie si diffondono perché sono comuni a tutti gli uomini. In contesti diversi da quello medico, in epoca greco-romana, quando si allude a possibilità di infezioni e contagio, ci si riferisce in particolare a 'luoghi pestilenziali'. Soprattutto in opere dedicate all'agricoltura si indicano i pericoli che possono derivare dagli insetti, dalle esalazioni delle paludi, dai vapori che emanano dalla terra. Nel 1° secolo a.C., Varrone Reatino parla di minuscoli animali invisibili che sono trasportati dall'aria e trasmettono malattie; nel 2° secolo d.C., Galeno, continuatore e sistematizzatore del pensiero medico ippocratico-aristotelico, pensa che sia l'atmosfera l'elemento determinante in un'epidemia: la costituzione dell'aria varia, secondo le stagioni e i climi, per la presenza di miasmi che vengono generati dalle paludi, dalla sporcizia, dalla putrefazione. Galeno parla anche, per la prima volta, di semi trasportati dall'aria e veicoli di malattie.
Con il consolidarsi del cristianesimo, durante il Medioevo, il concetto di contagio si carica del significato di peccato e l'idea del sorgere delle malattie viene collegata al peccato originale. Per i cristiani, però, la malattia non è soltanto il segno di una punizione, può anche essere mezzo di espiazione e quindi di grazia.Intorno al 10° secolo, il medico arabo ar-Rhazi consiglia di bruciare i vestiti degli ammalati di vaiolo; il suggerimento però gli viene dalla pratica: la teoria cui fa riferimento è sempre quella ippocratico-aristotelica degli umori, teoria che non considera la possibilità del contagio. Lo stesso Maometto nega il contagio, in quanto idea superstiziosa e quindi priva di fondamento. Un altro medico arabo, Ibn Khatima, vissuto nel 14° secolo, scrive invece che, per sua lunga esperienza, il contagio risulta da un contatto diretto con un soggetto affetto da una malattia trasmissibile. Un concetto simile viene sostenuto, nello stesso periodo, da Ibn-al-Khatib, che si chiede come si possa ammettere il contagio se la legge religiosa lo nega. Egli afferma che l'esistenza del contagio è invece provata dall'esperienza, dalla ricerca, dalla testimonianza dei sensi, e da rapporti d'indubbia veridicità. Khatib osserva che è sufficiente il contatto con un malato per contrarre la malattia, mentre l'isolamento offre una forma di difesa, e afferma inoltre che il contagio si può trasmettere anche attraverso i vestiti, gli orecchini o le stoviglie. Anche il traduttore cristiano Qusta ibn Luqa assimila il contagio a fenomeni comunicabili come gli sbadigli o il riso, e parla di una sorta di vapore che si propaga. Durante tutto il Medioevo, molte altre spiegazioni delle epidemie furono di tipo astrologico: si pensava talvolta addirittura a una predisposizione dei luoghi in relazione al loro ascendente.Il dilagare della peste del 1348-50, descritta come la più grande calamità mai sofferta dal genere umano, portò alla pubblicazione di un gran numero di trattati specialistici sulle malattie infettive. Persino la paura era considerata una delle cause di predisposizione al contagio, tanto che ai parenti veniva proibito di portare il lutto.
A prescindere comunque dalle elaborazioni teoriche, l'idea di contagio si era intanto fatta largo nella pratica, in quanto si era notato che le misure di isolamento e la quarantena per le navi e gli equipaggi sospettati di essere portatori di malattie funzionavano come freno al diffondersi delle stesse. È però soltanto alla fine del 15° secolo, dopo la scoperta dell'America, con il dilagare della prima epidemia conosciuta di sifilide, che l'Occidente prende coscienza chiaramente del fatto che una malattia può trasmettersi da un uomo a un altro, che almeno certi morbi sono contagiosi, e che l'infezione non si trasmette attraverso l'aria corrotta. Si è ormai superata la convinzione che Dio sia la causa diretta delle malattie; certo, tutto ancora dipende dalla sua somma volontà, ma il Creatore non agisce direttamente. Non il caso cieco, o l'incomprensibile collera divina, infliggono e diffondono i morbi: le cause sono naturali e spiegabili.
Il medico veronese G. Fracastoro, nel 16° secolo, fu il primo a rifiutare il concetto di uno sbilanciamento dei quattro umori come causa delle pestilenze; egli osserva infatti che anche persone sane, i cui umori, quindi, non hanno sofferto alcuna corruzione, contraggono la malattia soltanto entrando in contatto con gli appestati o con i loro vestiti, e conclude che i principi del contagio sono i germi stessi. L'uso del termine germi, o seminaria - come li definisce Fracastoro - ha fatto talvolta pensare al veronese come a un precursore delle teorie batteriologiche, ma Fracastoro in realtà non ha mai considerato i seminaria organismi viventi.Con il Seicento diventa normale ricercare le cause di un'epidemia, eppure ci vorrà ancora tempo perché si affermi una concezione scientifica. A Milano si incrimina il diavolo per la diffusione della peste: lo si vede addirittura coprire di grasso infetto alcune porte. In Tirolo il maligno circola sotto le specie del 'fantasma della peste'. A Londra, prima della comparsa della grande peste, si vede in cielo una grande spada fiammeggiante. Altre volte la colpa delle pestilenze è degli anni bisestili o delle eclissi, quando non si accusano ebrei, lebbrosi e zingari, spesso vittime innocenti della collera popolare.
L'utilizzo e la messa a punto dei primi microscopi fra Seicento e Settecento fa compiere grandi progressi alle scienze della vita e alla medicina. A. van Leeuwenhoek e poi L. Spallanzani sono fra i pionieri che scoprono nel sangue e nello sperma minuscoli esseri viventi. Da queste osservazioni si elaborano teorie sulla generazione, ma anche sulle cause delle malattie. Lady M. Wortley Montagu, nella prima metà del 18° secolo, introduce in Europa occidentale una pratica popolare nel Medio Oriente: l'inoculazione contro il vaiolo. Sempre sulla base di osservazioni di pratiche popolari nelle campagne verrà messa a punto, nel secolo successivo, la vaccinazione per prevenire il contagio.
Tutte le malattie conosciute, infettive e non, furono classificate nel corso del 18° secolo (fra le varie classificazioni, ricordiamo quella di C. Linneo e quella semplificata per scopi didattici dallo scozzese W. Cullen). Le malattie venivano definite talvolta contagiose e talvolta no, sulla base di osservazioni ed esperienze. In particolare, ci si rifaceva alla putrefazione e all'inquinamento come fattori della malattia. Molti studi sperimentali furono compiuti fra Settecento e Ottocento sulla putrefazione e sulle sostanze 'antisettiche' che sembravano controllarla. Si identificarono, inoltre, alcuni ambienti dai quali potevano facilmente diffondersi pericolose epidemie: le galere spesso troppo affollate, le navi, le miniere, gli ospedali, le fabbriche. Si cominciò a praticare la disinfestazione e ad areare meglio i locali per prevenire il contagio.
Nell'Ottocento, le generalizzazioni statistiche e il metodo numerico, come viene chiamato dai francesi che sono i primi a metterlo in atto, dominano anche gli studi sulle malattie. Viene messo in rilievo che esse si diffondono più velocemente e più frequentemente tra i meno abbienti, a causa delle condizioni igienico-sanitarie in cui vivono. Si intensificano gli studi sulle malattie endemiche, come il vaiolo, il tifo, vari tipi di febbri: talune di esse, come la tubercolosi, vengono considerate contagiose. Se in generale si ritiene che le malattie possano derivare da molti fattori, in pratica la ricerca si concentra ancora per molti anni sui fenomeni della putrefazione, soprattutto su quella derivata da prodotti di origine animale. Nei primi decenni del 19° secolo si sviluppa una corrente di pensiero definita 'anticontagionista', che tende alla localizzazione geografica delle malattie: è una conseguenza del forte sviluppo del commercio internazionale e del colonialismo sia civile sia militare. Un dato morbo è considerato peculiare di una certa località, e si sostiene che le misure isolazioniste non servono per controllare una malattia, danneggiano il commercio, sono contrarie al liberismo economico. Il concetto di contagio non sarebbe altro che una credenza popolare, propria di uno stadio primitivo della società, pericolosa perché abbassa il livello di responsabilità sociale. Le malattie considerate dubbie, cioè probabilmente infettive, come la peste, la febbre gialla, il colera, l'influenza, vengono classificate come molto simili alle febbri intermittenti e da qui al designarle come specifiche di certe località, il passo è breve. Il movimento anticontagionista non prese mai veramente piede, contribuì tuttavia ad accrescere la confusione propria dei dibattiti di quegli anni sulle malattie, sul concetto di vivente, sulla medicina più in generale.
Negli anni in cui si compie prima un'importante rivoluzione biologica e quindi un radicale cambiamento della medicina che vuole essere sempre più scientifica, sono complessi anche i rapporti fra scienza e politica, e sorge un primo vero movimento di salute pubblica. Lo studio della fermentazione e dei vari fenomeni della putrefazione permettono al tedesco J. von Liebig, nel corso del 19° secolo, di giungere a una spiegazione chimica della patologia e della fisiologia. Liebig ridefinisce le relazioni fra il mondo organico e quello inorganico, sostenendo che esiste una base molecolare di continuità attraverso la quale i due mondi possono comunicare. Per spiegare una malattia, dunque, ci si può riferire ai rapporti fra il corpo e l'ambiente in cui esso vive: la dimostrazione chimica della catalisi serve anche per spiegare il processo di crescita della materia malata dentro o fuori dal corpo. Intanto si è stabilito, senza ombra di dubbio, che i gas non possono essere considerati responsabili della trasmissione delle malattie infettive: lo si era ritenuto probabile per molto tempo, anche per la maniera diretta, tramite i polmoni, con cui un gas penetra nel corpo. Intorno alla metà del secolo si ritiene che responsabile del contagio non possa essere alcuna sostanza semplice, ma siano piuttosto delle particelle di materia altamente organizzate, qualcosa come il polline dei fiori; l'influenza della chimica fa pensare che ci possa essere un'azione contagiosa a livello molecolare, una vera e propria trasformazione patologica delle molecole.
A identificare per la prima volta un agente infettivo è l'italiano A. Bassi nel 1835. Studiando la malattia dei bachi da seta, Bassi individua al microscopio un fungo, il parassita responsabile del morbo. La teoria che egli elaborò sulle modalità in cui il contagio potesse provenire da organismi viventi non ebbe però alcuna fortuna. Nella seconda metà dell'Ottocento, le ricerche del chimico L. Pasteur sui fenomeni della fermentazione e sui 'funghi' (una malattia che colpiva alcune piante come la vite) portano all'elaborazione della teoria dei germi. Per spiegare la varietà delle fermentazioni, Pasteur suggeriva la presenza di microrganismi nell'aria e una specifica relazione fra il microrganismo e la fermentazione, fenomeno che non può verificarsi in assenza di specifici organismi viventi: i germi. Pasteur, però, considerava i microrganismi come agenti di trasformazione chimica, non come fonte delle malattie.
Le basi della batteriologia erano state poste qualche anno prima da un giovane ufficiale sanitario tedesco, R. Koch, che aveva inoculato dei microrganismi della 'malattia del carbone' in alcuni topi e aveva osservato come i bacilli portassero l'infezione nel sangue e si moltiplicassero, e come potessero sopravvivere al di fuori degli animali sotto forma di spore molto resistenti, che, se reinoculate, si ritrasformavano in bacilli: era stato individuato il ciclo di una malattia infettiva. Le ricerche di Koch servirono come modello a molti scienziati e i suoi postulati portarono, nel corso degli anni Settanta e Ottanta del 19° secolo, a numerose significative scoperte, che nel loro complesso verranno definite come la 'rivoluzione batteriologica': l'evento morboso è causato da un organismo specifico che può essere isolato, coltivato e riprodotto sperimentalmente in laboratorio.
Negli anni Sessanta, la teoria dei germi aveva avuto immediate ripercussioni cliniche con i metodi antisepsi del chirurgo scozzese J. Lister, ma soltanto verso la fine del 19° secolo verranno adottate nuove misure di asepsi, come quelle indicate da Pasteur. Si era intanto affermata una nuova visione cellulare e chimica della patologia, in base alla quale vengono riconosciute qualità indipendenti di vita a tutti i più piccoli costituenti del corpo. Con la batteriologia la medicina guadagna un'importante fonte di autorevolezza scientifica e consegue indubbi risultati pratici, sia nella prevenzione sia nella cura delle malattie. Da quel momento cambia radicalmente, di nuovo, il concetto di contagio.
Il contagio è la causa del diffondersi di malattie infettive che ancora oggi costituiscono un capitolo molto importante della medicina e della sanità pubblica, in quanto, se la loro mortalità è in continua diminuzione, la morbosità è sempre molto elevata; è stato dimostrato, inoltre, che appena gli interventi di prevenzione nei loro confronti divengono meno incisivi, esse riemergono con estrema rapidità. I meccanismi con cui si determina il contagio, poi, sono oggi ritornati di grande attualità per la scoperta di 'nuove' malattie infettive (AIDS, alcune forme di epatite virale, legionellosi, enterobatteri di tipi finora sconosciuti), per l'adeguata prevenzione delle quali la conoscenza di questi meccanismi è assolutamente necessaria.Il contagio presuppone che nel soggetto recettivo l'agente infettivo cominci a moltiplicarsi a livello degli organi bersaglio; senza tale moltiplicazione non si può parlare di contagio, ma di semplice contaminazione. Perché si determini il contagio, sono necessari alcuni anelli della catena di trasmissione delle malattie infettive, che possono essere così elencati: caratteristiche degli agenti infettivi; presenza delle sorgenti di infezione; presenza di sistemi intermediari; presenza di soggetti umani recettivi.
1.
Le caratteristiche biologiche possono avere una notevole importanza ai fini della diffusibilità degli agenti infettivi, potendone a volte condizionare il sistema di trasmissione. Tra esse ricordiamo per es. quelle di resistenza alle sollecitazioni ambientali che, se presenti (come nel caso del bacillo di Koch o del virus dell'epatite A), costituiscono il presupposto per una trasmissione della malattia anche per contagio indiretto, se assenti (come nel meningococco), fanno acquisire maggiore e a volte esclusiva importanza al contagio diretto. Altre caratteristiche rilevanti sono quelle riferite in particolare agli agenti batterici, quali la carica, la tossicità e la virulenza. È noto per es. che, perché la salmonellosi si possa trasmettere, è necessaria un'adeguata carica batterica, senza la quale l'infezione non avviene; così pure, se un agente batterico è poco o per niente virulento, il contagio è più difficile e può verificarsi la sola contaminazione. Per quanto riguarda gli agenti virali, poiché essi sono dei parassiti obbligati intracellulari che possono rapidamente moltiplicarsi all'interno delle cellule viventi, si ritiene che anche pochissime particelle siano in grado, una volta verificatosi il contagio, di determinare l'episodio infettivo; nel caso degli agenti virali assumono invece un ruolo più importante le caratteristiche di resistenza alle sollecitazioni ambientali e ai presidi di disinfezione.
2.
Le sorgenti di infezione sono costituite dall'uomo malato o portatore e dall'animale; sebbene sia la sorgente di infezione umana quella più importante ai fini del contagio, sono note molte malattie dell'uomo trasmesse dagli animali, quali, per es., la rabbia, la toxoplasmosi e la tubercolosi. Dal punto di vista epidemiologico, il contagio tra una sorgente di infezione e il soggetto recettivo è facilitato se a trasmetterlo è il portatore. Si definisce con questo termine quella sorgente di infezione che elimina l'agente infettivo ed è capace di trasmetterlo senza mostrare in quel momento i sintomi della malattia. È evidente che i portatori sono più pericolosi dei malati perché vivono e lavorano nella comunità.Esistono diverse categorie di portatori. I portatori convalescenti eliminano l'agente infettivo dopo la scomparsa dei sintomi clinici; in genere è abbastanza agevole il loro controllo, che va effettuato per un periodo di norma non lungo, fino alla guarigione completa. I portatori cronici eliminano l'agente infettivo per periodi molto lunghi dopo la scomparsa dei sintomi clinici; a volte accade che questi ultimi non vengano neanche rilevati e tuttavia si instauri lo stato di portatore cronico: un esempio tipico è costituito dal portatore cronico di salmonellosi, che può eliminare l'enterobatterio anche dopo vent'anni; tale tipo di portatore è ovviamente difficilmente controllabile a causa del notevole lasso di tempo che può intercorrere da quando la malattia si manifesta a quando può verificarsi il nuovo contagio. I portatori precoci sono quelle fonti di infezione che eliminano l'agente infettivo durante il periodo di incubazione della malattia; è questo il portatore più pericoloso dal punto di vista epidemiologico, perché non è possibile prevedere in nessun caso l'insorgenza del sintomo e durante tale periodo di incubazione, nel normale svolgersi della vita di relazione e lavorativa del portatore, possono crearsi innumerevoli occasioni di contagio; importanti esempi di questa categoria sono costituiti dai portatori del virus dell'epatite A e dei virus responsabili delle principali malattie esantematiche.
3.
Le malattie infettive, dalla sorgente di infezione al soggetto recettivo, possono propagarsi mediante il cosiddetto contagio interumano diretto, quando cioè non esistono sistemi intermedi che favoriscono il trasporto dell'agente patogeno. Tale tipo di contagio è possibile per tutte le malattie infettive ed è essenziale per quelle sostenute da agenti patogeni dotati di scarsa resistenza alle sollecitazioni ambientali, che quindi non sopravviverebbero a lungo al di fuori della sorgente di infezione. Tipici esempi di contagio interumano diretto sono costituiti dalle malattie a trasmissione sessuale (AIDS, sifilide, gonorrea, epatite B, clamidie ecc.) o dalle infezioni sostenute dalla Neisseria meningitidis. Quando però gli agenti patogeni sono resistenti all'ambiente, allora è possibile ed è anche molto frequente il cosiddetto contagio interumano indiretto; ciò sta a significare che tra la sorgente di infezione e il soggetto recettivo può esistere un sistema di trasmissione intermediario, che dal punto di vista epidemiologico ha notevole importanza perché permette la diffusione dell'infezione anche a notevole distanza dal luogo di emissione. Il contagio indiretto può avvenire mediante l'ausilio di veicoli e di vettori di agenti patogeni. Mentre i veicoli sono in genere costituiti da oggetti inanimati (aria, acqua, suolo, alimenti ecc.), i vettori sono intermediari animati (essenzialmente insetti), che a loro volta si distinguono in vettori meccanici o facoltativi, e vettori obbligati. La differenza consiste nella circostanza che i vettori meccanici possono anche essere importantissimi ai fini della diffusione del contagio (per es. le mosche), però non sono indispensabili, nel senso che anche senza il loro apporto la malattia, sia pure con minore intensità, può propagarsi ugualmente. I vettori obbligati invece sono quelli nei quali si compie parte o tutto il ciclo biologico dell'agente patogeno; senza di essi, in definitiva, non esisterebbe la malattia. Un esempio tipico è costituito dalla malaria, malattia sostenuta dal parassita del genere Plasmodium il cui ciclo asessuato si svolge nella zanzara Anopheles e quello sessuato nell'uomo. Senza la zanzara non può verificarsi lo sviluppo della malaria; sulla base di questo principio sono state condotte nel passato le campagne di bonifica che hanno portato all'eradicazione della malattia in diverse zone dove era endemica.
Di seguito si elencano ed esaminano i principali veicoli di trasmissione del contagio.
a) Aria. L'aria costituisce un importante veicolo di infezione soprattutto all'interno degli ambienti confinati; durante molteplici atti, come parlare, tossire, starnutire ecc., vengono emesse in maniera involontaria delle goccioline d'acqua che possono veicolare muco, leucociti, emazie e anche batteri e virus patogeni. Tali goccioline sono di grandezza variabile da 100 a 500 μm di diametro; le più pesanti tendono a depositarsi sul pavimento, le più leggere rimangono sospese nell'aria, sono veicolate dalle correnti aeree e possono essere trasportate anche a notevole distanza dal luogo di emissione; durante il loro tragitto esse subiscono il fenomeno dell'evaporazione, che è lesivo anche della vitalità degli agenti patogeni per cui rimangono attivi solo quelli più resistenti, quali per es. quello della tubercolosi. Il contagio per via aerea è molto frequente per le malattie virali respiratorie: l'esempio tipico è costituito dalla diffusione dell'influenza. La trasmissione aerea degli agenti infettivi, inoltre, è molto importante in quei tipici ambienti confinati che sono costituiti dagli ospedali dove, come è noto, si verificano annualmente un numero molto elevato di infezioni cosiddette nosocomiali, la cui patogenesi è certamente complessa ma che trovano comunque nell'aria uno dei principali veicoli di diffusione.
b) Acqua. L'acqua costituisce il classico veicolo di trasmissione del contagio a distanza per moltissimi agenti batterici e virali; in genere questi hanno tutti la caratteristica di essere eliminati dalle sorgenti di infezioni attraverso le deiezioni fecali e urinarie, che raggiungono per via diretta o indiretta le acque superficiali, ove gli agenti sono facilmente reperibili anche se vengono organizzati i sistemi di depurazione dei liquami. La via idrica costituisce un'importante occasione di contagio sia perché le acque sono utilizzate per l'irrorazione di verdure, per l'alimentazione e per la balneazione, sia perché, nelle società moderne, il crescente fabbisogno idrico, accanto al depauperamento delle risorse, fa sì che si debba ricorrere con sempre maggior frequenza all'uso di acque superficiali depurate per il fabbisogno potabile dell'uomo; importanti esperienze hanno dimostrato che i sistemi di depurazione non sono sempre sufficienti a garantire che l'acqua così trattata sia priva di pericoli di contagio per l'uomo da parte di agenti patogeni sopravvissuti. Anche per quanto riguarda le acque di falda profonda, o le acque condottate, vi è sempre il pericolo di una loro contaminazione da parte di scoli fognari, soprattutto nel caso in cui la rete idrica non sia sottoposta a processi regolari di manutenzione; si ricorda che nel passato moltissime epidemie di epatite e di salmonellosi hanno avuto un'origine idrica.
c) Alimenti. Gli alimenti costituiscono un importantissimo veicolo di contagio e occorre tener presente che attualmente tali pericoli si sono accentuati a causa dei sistemi di conservazione (refrigerazione, liofilizzazione), che paradossalmente conservano sì l'alimento ma anche gli eventuali agenti patogeni in esso presenti. Gli alimenti rappresentano inoltre un ottimo pabulum per la crescita di molti germi e sotto questo punto di vista è classica la distinzione tra alimenti favorenti, indifferenti e ostacolanti la popolazione microbica. Alimenti favorenti sono quelli ricchi di sostanze proteiche e zuccherine nei quali, in determinate condizioni di temperatura, la moltiplicazione microbica avviene in maniera estremamente rapida. Alimenti indifferenti sono quelli che non favoriscono la crescita degli agenti infettivi; gli alimenti, in genere, sono indifferenti per tutti gli agenti virali che non possono moltiplicarsi all'interno dell'alimento essendo dei parassiti obbligati. Ostacolanti sono generalmente gli alimenti ricchi di sostanze saline o acide, che creano un ambiente poco adatto alla crescita di microrganismi; è noto anzi che, su questa base, sono stati elaborati fin dall'antichità sistemi di conservazione degli alimenti (per es. la salamoia). Un particolare tipo di alimento favorente è costituito dai frutti di mare che, soggiornando in acque contaminate, sono in grado di filtrare circa 8 l d'acqua in un'ora, concentrando al loro interno gli agenti infettivi: i frutti di mare rappresentano infatti, specialmente nel nostro paese, un'importante occasione di contagio e gli studi epidemiologici hanno dimostrato che il loro consumo rappresenta in Italia il primo fattore di rischio per l'epatite da virus A.
4.
Ultimo aspetto della catena del contagio è rappresentato dal soggetto umano recettivo, cioè in grado di acquisire l'infezione dopo il contagio e diventare a sua volta sorgente di infezione. Per quanto riguarda gli agenti batterici, il contagio può avvenire anche più volte nel corso della vita, perché difficilmente si instaura un sistema di difese immunitarie tali da impedire una successiva infezione quando se ne presenti l'occasione; invece, per gli agenti virali, il contagio avviene a causa della mancanza di difese specifiche da parte del soggetto recettivo e si instaura quasi sempre una risposta immunitaria che serve a impedire una successiva infezione con il medesimo agente. Nei paesi che presentano carenti condizioni igienico-sanitarie, la popolazione è naturalmente immunizzata fin dall'età giovanile nei confronti di molte malattie infettive, mentre in Italia attualmente si assiste a un progressivo declino di molti indici di incidenza e prevalenza di fenomeni morbosi, per cui il pericolo di contagio con agenti infettivi largamente presenti nell'ambiente è paradossalmente aumentato.
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