DA MONTE, Conte (Conti, Pigatti, Montano, Montano Vicentino)
Nacque intorno al 1520 a Mason (Vicenza) da Francesco Pigatti, di condizione borghese, e da una nobildonna della famiglia Da Monte di Breganze (Vicenza), forse sorella di Girolamo, arciprete di Breganze. Mantenne il cognome Pigatti fino al conseguimento della laurea, poi assunse quello della madre e solo con esso firmò tutte le sue opere. La scelta fu dettata, quasi certamente, dalla necessità di evitare l'estinzione - del nobile casato e dovette essere favorita anche dalla morte di Francesco Pigatti, avvenuta prima del 1544.
Il suo nome di battesimo fu comunque sicuramente Conte, o Conti, e non Antonio come asseriscono gli studiosi della sua tragedia Antigono: nel documento di laurea egli si chiama infatti "Comes Pigatus Vincentinus" (cfr. Acta graduum academicorum ab anno 1538 ad annum 1550, a cura di E. Martellozzo Forin, Padova 1971, p. 175 n. 3020); inoltre nessuno dei suoi primi biografi fa riferimento ad altro nome se non Conte, e così pure G. Melzi, Dizionario d'opere anom . me e pseudonime di scrittori italiani, II, Milano 1852, p. 208 (dove è chiamato però ariche erroneamente Rigatti anziché Pigatti).
Compì i primi studi a Vicenza ed apprese anche il greco. Studiò poi a Padova e si laureò in arti e medicina il 19 marzo 1544. promotori Giovanni Battista Da Monte, Marcantonio Genoa, Oddo Oddi, Girolamo Stefanello, Paolo Grassi, Giulio Corradini, Francesco Frigimelica. Subito dopo la laurea esercitò la professione a Vicenza e divenne uno dei più autorevoli medici della città. Nel 1551 tornò a Padova come professore, chiamato a succedere a Bassiano Lando nella lettura di medicina teorica, straordinaria in secondo luogo, con stipendio annuo di 120 fiorini. L'anno successivo passò al primo luogo, ma dopo un triennio abbandonò l'insegnamento, in cui gli subentrò il bresciano Francesco Morsenti. Secondo il Facciolati la rinuncia fu causata da un mancato aumento dello stipendio. È pero probabile che il D. fosse distolto dalla vita accademica e da Padova da altri interessi: nel 1555 fu infatti tra i promotori dell'istituzione del Collegio medico di Vicenza, insieme coi colleghi Carpoforo Floriani e Alessandro Massaria, e collaborò a prepararne il primo statuto. Il Collegio rimase però inattivo per quasi cinque anni, durante i quali il D. e i colleghi si, preoccuparono di far approvare lo statuto anche, dal Senato veneziano. La prima adunanza ebbe luogo il 17 dic. 1561 e il nome del D. fu registrato tra quelli dei soci fondatori. Egli fu consigliere nel 1562 e priore nel '63, ma nel '66 si dimise, adducendo come motivo i troppi impegni professionali. Nel. 1556 si trasferì dunque definitivamente a Vicenza e il 19 dicembre chiese la civilitas, ossia l'iscrizione alla cittadinanza vicentina, ottenendola il giorno seguente. Nello stesso anno sposò Anna Polcastro, di nobilissima famiglia vicentina; non ebbero figli.
In pochi anni divenne il luminare della medicina a Vicenza. Nel 1562, durante un'epidemia di febbri pestilenziali, salvò il Massaria e tutta la sua famiglia applicando loro il salasso "per derivazione", ossia in luogo prossimo alla sede del morbo, secondo la tradizione ippocratica; con questa scelta terapeutica, subito divulgatissima in ambito veneto, si inserì autorevolmente nei dibattiti scientifici sul salasso, che vedevano come oppositori della "derivazione" i medici più conservatori, legati alla pratica arabistica della "rivulsione", ossia del salasso in parti lontane od opposte alla sede del morbo.
Come molti medici vicentini, il D. fu anche letterato. Compose una tragedia d'argomento biblico, Antigono, che fu messa in scena a Venezia dalla Compagnia della Calza degli Accesi durante il carnevale del 1565, per l'inaugurazione del teatro ligneo eretto per la Compagnia dal Palladio. L'Antigono fu molto apprezzata dai letterati vicentini e in particolare dal poeta dialettale Giovan Battista Magania, detto Magagnò, compare dell'autore. Subito dopo la messinscena il Magagnò ne ottenne il privilegio di stampa biennale e la affidò ai tipi di Comin da Trino, dedicando l'edizione (Venezia 1565) a Francesco Pisani.
Nel 1580 il D. pubblicò la sua opera più importante, De morbis ex Galeni sententia libri quinque (Venezia, Domenico Nicolini; riedita l'anno seguente, sempre a Venezia, da Giovanni Guerrigli), dedicata, al già vescovo di Vicenza Matteo Priuli.
Il D. si ricollegava alla tradizione di studi galeniani inaugurata a Ferrara dal vicentino Niccolò Leoniceno e divulgata in ambiente vicentino da Giangiorgio Trissino e Celio Rodigino. Come il Leoniceno aveva pubblicato il primo testo greco della Methodus medendi e tradotto dal greco altre opere rivedendole de verbo ad verbum, così il D. si preoccupò di salvaguardare le institutiones fisiologiche e patologiche galeniane dalla tendenza degli interpreti moderni a contaminarle con dottrine aristoteliche e ad emendarle alla luce delle nuove esperienze mediche. Suoi obbiettivi polemici furono soprattutto Jean Francois Fernel e Giovanni Argenterio; l'attacco si incentrò sulla difesa dei concetti galeniani di qualità, forma, parti similari, e sulla discussione di due punti fondamentali: la fisiologia pneumatica, che in Galeno si articolava sui tre spiriti: naturale, vitale e animale, siti nel fegato, nel cuore e nel cervello, mentre il Fernelio e l'Argenterio li riducevano ad un unico spirito vitale, costituito dal calore innato e sito nel sangue; il concetto di malattia, che Galeno intendeva essenzialmente come alterazione del temperamento tra qualita e umori, mentre i due medici teorizzavano anche morbi di singole parti dell'organismo (indipendentemente dal temperamento generale) e morbi totius substantiae, come gli avvelenamenti e i contagi, le cui cause non erano più inquadrabili nelle teorie qualitative.
In merito appunto al concetto di malattia, il D. discusse anche alcune opinioni del medico e filosofo svizzero Tommaso Erasto. Il De morbis fu segnalato ad Erasto, di passaggio per Francoforte, dal libraio veneziano Pietro Longo, e a prima lettura Erasto rimase impressionato dal tono eccessivo delle critiche. Per chiarire il proprio pensiero, ma soprattutto per demolire l'apparato delle accuse del D. all'antigalenismo, Erasto scrisse la Comitis Montani Vicentini novi medicorum censoris quinque librorum de morbis... viva Anatome (Basilea, Pietro Perna, 1581). Il D. replicò tre anni dopo - ma Erasto era morto nell'83 - con la Defensio librorum suorum de morbis adversus Thomam Erastum (Venezia, Francesco Ziletti, 1584). Articolata in sette punti, la Defensio rappresentò la summa dei galenismo vicentino: il D. vi rivendicava la distinzione di sanità e morbo dal concetto di moto; la definizione di temperamento come equilibrio delle qualità; la riduzione di malformazioni, tumori ed epilessia alla categoria della distempéries delle qualità; ed infine le due fondamentali affermazioni: che tutti i morbi si distinguono dall'essenza e non dagli effetti e che non è data discontinuità tra le parti similari. Il suo pensiero fu pienamente accolto, dai medici vicentini: il Massaria e Fabio Pace si onorarono di dirsi suoi discepoli e ribadirono la sua difesa dell'autentico pensiero di Galeno fino all'avanzato '600.
La devozione al verbo galeniano e lo sdegno controgli interpreti che andavano modificandolo non nascevano però nel D. da attitudini conservatrici. Al contrario, e paradossalmente, egli fu anche un aperto ammiratore di Paracelso: nel. De morbis espresse apprezzamento per le sue innovazioni terapeutiche e farmacologiche, suscitando anche per questo lo sdegno di Erasto, che gli era invece nemicissimo. Nella Defensio ribadì, perciò anche queste simpatie, esaltando appassionatamente l'empirismo di Paracelso contro il dogmatismo di Ersto. Proprio, il paracelsiamo del D. può concorrere a spiegare taluni complessi atteggiamenti di altri medici vicentini, soprattutto le critiche del Massaria alla teriaca, ai vescicanti e all'abuso dei purganti e la fama di novator che egli si creò tra i colleghi dello: Studio padovano nonostante la sua piena ortodossia galeniana.
La polemica con Erasto contribuì ad accrescere il prestigio dei D.: nel 1584 egli fu cooptato tra gli Accademici Olimpici ed eletto quasi subito, il 23 dicembre, protettore dell'Accademia.
Il D. fece testamento il 10 marzo 1587 nella sua casa in Borgo Pusterla; tra i testimoni figurava Silvestro Bon, speziale all'insegna dei Quattro Meloni in piazza dei Signori. Lasciò erede Bernardina Polcastro, figlia del fratello della moglie, la quale sposò poi un nobile Capra dei ramo Pusterla, portandogli in dote l'intera eredità e i busti mannorei del D. e della moglie. Il D. morì lo stesso giorno del testamento e Fabio Pace tenne la sua orazione funebre (Vicenza, Agostino Della Noce, 1587). Fu sepolto nella chiesa di S. Girolamo dei gesuati, all'altare della Resurrezione di Cristo. La tomba andò perduta durante il rifacimento settecentesco della chiesa e così pure l'epitaffio, in cui egli era ricordato come "grecae et latinae linguae scientissimus" e soprattutto come "Hippocraticae et Galenicae doctrinae acerrimus vipdex".
Fonti e Bibl.: G. Marzari, La historia. di Vicenza, Vicenza 1604, p. 207; I. Ph. Tomasini, Gymnasium Patavinum, Utini 1654, p. 310; P. F. Castelli, Notizie istoriche intorno alla vita e agli scritti di Conti Pigatti detto Conti di Monte, medico e poeta, in Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, a cura di A. Calogerà, L. Venezia 1754; I. Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, III, Patavii 1757, p. 363; Angiolgabriello di Santa Maria, Bibl. e storiadi... scritt. così della città come del terr. di Vicenza, IV,Vicenza 1778, pp. CXXVI-CXXXVI; S. De Renii, Storia della medicina in Italia, III, Napoli 1845, pp. 567 s.; G. B. Zanazzo, Lo statuto dei medici di Vicenza nell'anno 1555. Contributo alla storia della medicina, in Arch. veneto, s. 5, LXXII (1963), pp. 29-39 (lo studio dello stesso Zanazzo su C. D. nelle polemiche mediche del Seicento, di cui si annunciava l'imminente pubblicazione nel precedente articolo, rimase invece inedito); G. Mantese, Per una storia dell'arte medica in Vicenza alla fine del sec. XVI, Vicenza 1969, pp. 66-71; Id., Memoriestoriche della Chiesa vicentina, IV,2, Vicenza 1910-12; P. Ulvioni, Astrologia, pastronomiae medicina nella Repubblica Veneta traCinque e Seicento, in Studi trentini di scienze storiche, LXI (1982), pp. 47, 61; T. Pesenti, La cultura scientifica, medici, matematici, naturalisti, in Storia di Vicenza, II, Vicenza nell'età della Repubblica Veneta, 1404-1797, Vicenza 1986, in corso di stampa. Sull'Antigono cfr. G. G. Zorzi, Le ville e i teatri di Andrea Palladio, Venezia 1969, pp. 278 s., L. Puppi, Scrittorivicentini d'architettura dei secolo XVI, Vicenza 1973, pp. 61 s.; G. Padoan, Lacommedia rinascimentale a Venezia: dalla sperimentazione unuinistica alla commedia "regolare" in Storia della cultura veneta, 3, Dal primo quattrocento al Concilio di Trento, III, Vicenza 1981, pp. 464 s.