GILBERTO, conte di Gravina
Spagnolo di nobili natali, non si conoscono il luogo e la data di nascita; era cugino di Margherita, figlia del re García V di Navarra e moglie del sovrano normanno di Sicilia Guglielmo I. Non si hanno notizie di lui fino al suo arrivo in Italia, che dovette avvenire nel 1160 o poco prima. Egli è infatti menzionato da Ugo Falcando insieme con altri partecipanti alla congiura organizzata dal conte Roberto di Loritello, che condusse all'assassinio (10 nov. 1160) di Maione di Bari, grande ammiraglio del Regno. Nel ricordarne il nome, il cronista precisa inoltre che G. aveva da poco lasciato la Spagna, chiamato da Guglielmo I che gli aveva affidato la contea di Gravina in Puglia.
Il problema della formazione delle contee normanne e della loro struttura territoriale è ancora aperto. Il Catalogus baronum ne menziona 27 (fra le quali Andria, Gravina, Loritello, Manoppello, Tricarico), per la maggior parte create, a quanto sembra, dopo l'assemblea generale di Silva Marca del 1142; la prima di esse, quella di Conversano, sarebbe stata istituita in via sperimentale da re Ruggero nel 1133, e solo dopo il 1140 sarebbero state istituite le nuove contee nel Regno con lo scopo di rafforzare il controllo regio sull'esercito. In questo periodo il conte era un comandante militare che quasi sempre poteva vantare rapporti di parentela, più o meno stretti, con gli Altavilla, grazie ai quali poteva partecipare alla potestà regia, esercitando alcuni regalia e comandando in guerra i cavalieri che egli, come tutti i membri dell'aristocrazia feudale, era tenuto a fornire all'esercito. Ciascun comitatus, infatti, doveva all'esercito regio un contingente di soldati, il cui numero dipendeva dalla consistenza dei singoli beneficia e veniva stimato in un'assemblea pubblica, alla presenza dello stesso re.
Non è chiaro che ruolo avesse G. nel complotto, ma appare evidente che egli dovette immediatamente prendere le distanze dagli altri baroni. In compagnia forse di Boemondo di Tarsia, conte di Manoppello, G. si rifiutò infatti di aderire alla successiva sommossa che, guidata dallo stesso Roberto di Loritello, vide gran parte della nobiltà di Calabria, Sicilia, Puglia, Salerno e Capua ribellarsi all'autorità del re trovando alleanza in molte delle élites dei centri urbani più importanti. Anzi, nel 1161 il sovrano gli avrebbe affidato la guida dell'esercito inviato in Puglia per sedare la rivolta.
L'impegno armato di G. non si limitò al ripristino del controllo regio sulla regione. Quando, nel 1165, l'esercito dell'imperatore Federico I si spinse fino in Campania per far riconoscere come legittimo pontefice Pasquale III, candidato degli Hohenstaufen alla successione di Vittore IV, G. fu infatti posto a capo del contingente normanno che si mosse a salvaguardia dei confini del Regno.
Insieme con il comando militare G. ricevette da Guglielmo I anche alti incarichi territoriali di natura amministrativa e giurisdizionale. Nel dicembre 1162, in un documento di donazione a favore del monastero femminile pugliese di S. Benedetto di Polignano, egli si titolò infatti magnus comestabulus della Puglia e del Principato di Capua, mentre qualche anno dopo risulta aver agito in qualità di magister capitaneus dei medesimi distretti. In tale veste G., nel dicembre 1166, risolse alcune vertenze relative a diritti rivendicati dal monastero abruzzese di S. Clemente a Casauria.
Non è agevole cogliere nel dettaglio l'esatta natura di queste cariche e, soprattutto, che rapporto operativo avessero l'una con l'altra. L'ufficio capitaneale, a quanto sembra istituito nei primi anni del regno di Guglielmo I, aveva certamente ampie competenze e comportava il comando dell'esercito regio. Il magister comestabulus doveva invece con ogni probabilità coordinare l'operato dei singoli connestabili e garantire la regolare prestazione del servizio armato al sovrano, ma non pare avesse estese responsabilità di comando militare.
La morte di Guglielmo I (maggio 1166) e la minorità del suo legittimo successore, il figlio dodicenne Guglielmo II, resero necessaria la reggenza di Margherita. La regina era coadiuvata nel governo da tre familiares regis: il vescovo Riccardo di Siracusa, Matteo notaio e l'eunuco Pietro, uno schiavo musulmano affrancato forse originario dell'isola di Gerba, già attivi a corte durante il regno del sovrano defunto.
G. dovette ritenere le circostanze favorevoli a una propria ascesa ai vertici del potere. Facendo leva sui vincoli di consanguineità che lo legavano a Margherita e sull'appoggio che Riccardo di Siracusa gli aveva assicurato, egli si presentò come portavoce delle istanze della nobiltà, esclusa dal consiglio del re e in apparenza scandalizzata del fatto che a Palermo avesse tanto potere un personaggio di origine sociale inferiore come Pietro. G. tentò di farsi nominare da Margherita magister capitaneus totius Regni, ma la regina, preoccupata dalle ambizioni del cugino, si risolse a tenere fede alle ultime disposizioni di Guglielmo I. Offrì però a G. di rimanere a corte come familiaris, allo stesso titolo di Pietro; ma G. rifiutò e organizzò una rivolta generale nel tentativo di rovesciare il potere della regina.
Pietro cercò di aggirare la minaccia rappresentata da Gilberto. Egli infatti, da un lato, consigliò alla reggente di soddisfare la richiesta della nobiltà di avere un proprio rappresentante tra i familiares del sovrano. Dall'altro, però, fece sì che G. non traesse vantaggio da ciò: su sua indicazione la scelta di Margherita cadde infatti sul connestabile Riccardo di Mandra, cui venne inoltre affidata l'importante contea di Molise. Che questa fosse una strategia volta a limitare decisamente le aspirazioni di G. è testimoniato anche dal fatto che questi tentò di vendicarsi personalmente di Pietro, che fu costretto a fuggire trovando rifugio a Tunisi.
La regina decise allora di allontanare G. dalla corte. L'occasione fu data dal fatto che Federico I stava preparando una spedizione in Italia. Margherita diede incarico a G. di tornare in Puglia e di prendere il comando dell'armata regia. Con l'occasione gli confermò la carica di capitaneus di Puglia e Capua.
Le fonti non permettono di ricostruire i successivi avvenimenti di cui G. fu protagonista. A quanto sembra egli continuò a mantenere atteggiamenti ambigui, se non apertamente ostili, nei confronti del potere regio. E forse cadde definitivamente in disgrazia se, come pare (cfr. Romualdo Salernitano, p. 437), nel 1168 fu costretto a lasciare il Regno e a fuggire a Gerusalemme.
Non sono noti la data e il luogo della morte di Gilberto.
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