CONTE (dal lat. comes)
Nella sua accezione comune la parola latina comes ha il significato di compagno e come tale fu infatti, nel periodo repubblicano romano, l'appellativo dato a quei giovani che accompagnavano i magistrati preposti al governo delle provincie per assisterli e consigliarli nell'amministrazione di queste. Similmente hanno comites più tardi gl'imperatori quando si devono recare per una spedizione fuori d'Italia; comites Augusti questi che, per essere vicino all'imperatore, ebbero certo ben altra importanza dei precedenti, d'altro lato presto scomparsi; la loro fu senza dubbio funzione ambitissima. L'insieme dei comites costituiva la comitiva.
Ma è solo con Costantino (306-337) che il termine comes assume un significato molto più vasto. I comites degl'imperatori, spesso in viaggio, dovevano essere diventati, all'inizio del sec. IV, tanto numerosi da rendere ormai impossibile all'Augusto di compensarne l'opera con l'affidare loro un effettivo incarico nel governo dello stato; è forse questo il motivo che spinse Costantino ad istituire vicino ai comites con ufficio nell'amministrazione dell'impero, altri comites, così detti soltanto a titolo onorifico in premio dei meriti acquisiti. Furono questi i comites primi, secundi et tertii ordinis, distinti così a seconda dei loro meriti in tre gradi, ad ognuno dei quali corrisponderanno particolari privilegi e onori. Comites sono perciò chiamati da Costantino in poi non pochi ufficiali dello stato e riesce spesso non facile intendere se l'appellativo di conti è dato loro a titolo di onore o ad indicare l'ufficio che occupano. A partire dal sec. IV, secondo la testimonianza della Notitia dignitatum, si hanno numerosi comites nell'amministrazione dell'Impero, o presso la corte imperiale o nell'amministrazione civile o in quella militare.
Erano presso l'imperatore il comes vestis sacrae, con la mansione della custodia delle vesti imperiali, i comites stabuli preposti alle scuderie di corte, e primi fra tutti i comites consistoriani, cioè facenti parte del consistorium principis, che erano i consiglieri del sovrano. Fra questi ultimi importantissimi sono i due comites posti a capo della parte finanziaria dell'amministrazione centrale, e cioè il comes sacrarum largitionum e il comes rerum privatarum, l'uno per amministrare le rendite dell'aerarium o tesoro dello stato, l'altro i beni del fiscus o tesoro privato dell'imperatore. Hanno il titolo di comites anche molti degli alti ufficiali sparsi nelle provincie a rappresentare le due amministrazioni. All'amministrazione affidata al comes rerum privatarum verranno poi sulla fine del sec. V lasciati soltanto i beni della corona e distolti invece quelli affatto privati del principe, cui saranno preposti due nuovi ufficiali aventi più o meno le stesse mansioni: l'uno per l'Oriente e l'altro per l'Occidente. Altri comites ancora, e questi residenti nelle diocesi e nelle provincie, sono i comites vice sacra iudicantes, detti così perché è loro consentito di pronunziare la sentenza d'appello da un magistrato loro inferiore in luogo del principe. Compaiono per la prima volta nel 317 d. C., e tali sono il prefetto del pretorio, la cui sentenza è inappellabile, i proconsoli e i varî comites delle diocesi. Sennonché questi ultimi dopo il 332 o si trasformano in comites rei militari o scompaiono, salvo il comes orientis che resta ancora per molti anni ufficiale civile vice sacra iudicans. Anche l'amministrazione militare romana ebbe i suoi comites. Due comites domesticorum si trovano dopo Costantino al comando delle truppe cui è affidata la custodia della persona dell'imperatore; comites pure sono chiamati spesso, fin dal sec. IV, i magistri militum degli eserciti imperiali, forse a titolo di onore; comites rei militari infine vengono detti i comandanti militari nelle provincie di confine, forse dopo Costantino quando viene loro affidato quel potere militare fin allora tenuto dai comites vice sacra iudicantes, i quali infatti, sostituiti pure nelle funzioni civili dai vicarii, scompaiono, come si è detto. Sicché passa a quelli anche il titolo di comites provinciarum già proprio di questi ultimi. Conti infine con speciale carattere ebbe pure l'amministrazione dell'Urbs, quali il comes formarum da cui dipende dopo il sec. IV la cura degli acquedotti, il comes riparum et alvei Tiberis, il comes cloacarum.
La caduta dell'Impero d'occidente nel 476 e l'arrivo in Italia di Odoacre prima, di Teodorico poi, non mutarono, com'è noto, in modo sensibile il precedente ordinamento di governo nella penisola. I varî comites restarono al loro posto e fu anche specialmente in questo periodo che si cominciarono a trovare con particolare frequenza i cosiddetti comites civitatis inviati a rappresentare il governo centrale nelle varie città. Anzi pure un nuovo conte, con figura sua propria, venne introdotto dagli Ostrogoti nelle terre occupate, quello che fu chiamato il comes Gothorum, che, risiedendo nelle varie provincie, era capo militare e giudice insieme nelle cause tra Goti e in quelle miste tra Goti e Romani: fu abolito da Giustiniano nel 553.
Una vera rivoluzione nella costituzione politica italiana porta l'invasione longobarda. E invero dopo il 568 non sappiamo bene quanto possa essere rimasto degli antichi comites romani nell'Italia longobarda; ma li ritroviamo invece chiaramente ancora in quella parte d'Italia che permane bizantina. Sennonché con la riforma amministrativa dei temi, decretata da Bisanzio nel sec. VII, spariscono anche qui i varî comites presso il governo centrale e il termine non resta a designare che alcuni ufficiali inferiori dell'amministrazione civile e dell'esercito quali il tribunus, comandante le milizie nelle città, che assume, con le funzioni militari, anche il titolo di comes. Ma un ordinamento precisamente determinato di conti e di contee dà all'Italia l'avvento dei Franchi nella seconda metà del sec. VIII; essi non fanno che sovrapporre all'ordinamento politico longobardo quegli ordini di governo già esistenti nelle loro terre.
I Franchi e gli altri popoli di stirpe germanica nell'invadere la Gallia romana vi avevano trovato i varî comites romani e in non poche città il comes civitatis; e poiché l'istituzione dei conti trovava perfetta rispondenza nell'istituzione germanica dei Grafen, l'invasione barbarica aveva provocato un generalizzarsi e un moltiplicarsi di questi conti o graphii, come anche furono chiamati, sia istituiti regolarmente dal sovrano franco al governo delle provincie, sia presso il governo centrale. Di questi ultimi ebbero particolare importanza alla corte del re franco i cosiddetti comites palatii o alti funzionarî di corte costituenti la comitiva del re, che dall'ufficio di consiglieri del sovrano in materia giudiziaria nel periodo merovingico passarono sotto i Carolingi ad essere i veri capi dell'amministrazione civile e militare del regno.
Simili conti istituiscono i Franchi in Italia e nel governo centrale e in quello provinciale. E infatti molto probabilmente di origine franca il comes palatii, che risiede presso la corte centrale del regno italico a Pavia dopo l'808 d. C. Egli, preposto all'amministrazione della giustizia nel regno, rappresentante in questa funzione del re e da lui nominato, dapprima forse a tempo, poi a vita, è il più alto funzionario del palatium d'Italia; ufficiale della stessa natura in fondo degli altri conti palatini che si trovano in questo periodo e più tardi a Roma, in Romagna e, fuori d'Italia, ad esempio, nei regni di Aquitania, di Borgogna, di Germania. Ad assisterlo e a rappresentarlo è spesso presso di lui un vicecomes palatii. Anche nelle provincie primo atto di Carlomagno è di sostituire conti franchi ai duchi longobardi. Questi comites, nominati dal re e direttamente da lui dipendenti, posti a capo delle provincie in luogo di quei duchi spesso concorrenti o ribelli al potere centrale, portano con sé un forte accentramento di potere nel sovrano. L'Italia resta così tutta divisa in contee. Nel comitatus il conte è giudice e supremo tutore della pace. Egli presiede le assemblee giudiziarie (placitum), impone ammende (bannum) a chi trasgredisce i suoi ordini, esige le imposte, amministra i beni dello stato, è a capo delle milizie. Varî ufficiali gli sono vicini ad aiutarlo in queste mansioni oltre agli scabini o iudices che lo assistono nell'amministrare la giustizia. Un vicecomes lo sostituisce nella città, talora in tutte le sue funzioni, talora soltanto nell'amministrazione del fisco al posto dell'antico gastaldo; altri vicecomites lo rappresentano spesso nelle campagne.
Il feudalismo viene però presto a mutare il carattere e la natura giuridica del potere comitale. Le funzioni proprie del conte passano man mano ad essere considerate null'altro che un accessorio di quel beneficium territoriale che già veniva concesso al conte a titolo di semplice compenso alla sua opera; e per tale via si giunge rapidamente alla feudalizzazione della contea. Il conte non è più un funzionario del governo centrale nella provincia, ma piuttosto un vassallo regio, al quale è stato infeudato insieme col beneficio anche il potere politico nella contea. L'affermarsi di tale concetto porterà poi più tardi con l'ereditarietà del feudo anche l'ereditarietà della carica di conte, sebbene in verità forse non ancora sulla fine del sec. IX, come si è creduto da alcuni. Sennonché con l'allentarsi del vincolo che unisce i conti al sovrano s'inizia anche, e prosegue poi rapidamente nei secoli X e XI, la decadenza del loro potere politico attaccato da ogni lato dai feudatarî che sorgono numerosi in questo periodo. Ed è spesso anzi lo stesso potere centrale che non trovando più l'effettiva rappresentanza dei suoi interessi nei conti, ormai grandi feudatarî aspiranti con l'ereditarietà della carica a una sempre maggiore autonomia, cerca appoggio invece nei signori minori, accordando loro privilegi di ogni sorta ed esautorando in tal modo la ribelle autorità comitale.
Tra i primi a muoversi contro i conti sono i vescovi nelle città. Già esenti fin dal periodo carolingio dalla giurisdizione del conte per il privilegio di immunità loro concesso dal sovrano, poi considerati spesso più tardi quali missi dominici per sorvegliare addirittura l'opera del conte onde riferirne al sovrano, i vescovi si lanciano ora nel periodo feudale alla diretta conquista del potere comitale nelle loro città. E l'una dopo l'altra non sono poche queste città vescovili nelle quali l'imperatore, per procacciarsi degli alleati fedeli, riconosce l'autorità comitale allo stesso vescovo. Si hanno così i vescovi conti. Il comitato degli antichi conti resta ridotto alle campagne circostanti la città ed è appunto in questo momento che comincia a sorgere il moderno significato della parola contado.
Contemporaneamente a questo movimento vescovile, larghi privilegi d'immunità e di esercizio di diritti regali vengono ottenendo gli altri numerosi signori ecclesiastici e laici, abbazie, monasteri, chiese, piccoli feudatarî, tutti a detrimento dei poteri del conte. Aumenta sempre più la schiera infinita dei cosiddetti conti rurali e si riduce ogni giorno maggiormente l'autorità degli antichi conti. Ma il colpo di grazia al potere comitale è dato dalle nuove autonomie comunali che rapidamente si affermano tra il secolo XI e il XII. Nella riscossa delle popolazioni cittadine contro il feudalesimo, ogni potere, sia si vescovi conti, sia di contri laici è presto definitivamente allontanato dalle città; scompare perfino il primo dei conti d'Italia, il conte palatino del Palatium di Pavia dopo che la sua residenza era stata distrutta nel 1024 da una sollevazione popolare. Il nuovo comune vuol essere solo e unico sovrano entro la cerchia delle mura cittadine. I conti potranno conservare il loro potere nei centri minori e nei castelli delle campagne. Ma pure qui ancora per pochi anni, poiché, affermata e organizzata meglio l'autonomia cittadina, non tarda molto il comune ad iniziare anche la conquista della campagna: conti e feudatarî in genere sono costretti a cedere le armi e a farsi vassalli e cittadini del comune. Non tutti però, ché resteranno ancora per varî secoli non pochi di questi signori, specie nell'Italia centrale e meridionale, che uniranno al titolo di conte l'esercizio di veri diritti di sovranità.
Sarà molto frequente tuttavia dopo il sec. XI il caso di conti cui non resta altro che l'antico titolo, e da questo momento il termine conte passa a indicare per lo più solo un titolo nobiliare trasmissibile ereditariamente di padre in figlio (v. nobiltà; araldica), come una volta il feudo e il potere corrispondente; e similmente solo titolo nobiliare resta quello di conte palatino concesso spesso da imperatori e da papi fino ai tempi moderni.
Bibl.: F. Grossi-Gondi, voce Comes, in E. De Ruggiero, Dizionario epigrafico, Roma 1900; G. Tamassia, Alcune osservazioni intorno al Comes Gothorum, in Arch. stor. lombardo, Milano 1884; C. Baudi di Vesme, L'origine romana del comitato longobardo e franco, in Atti del Congresso stor. internaz., Roma 1904; A. Pernice, voce Graf, in Ersch e Gruber, Enzyclopädie der Wiss.; Sickel, Das fränkische Vicecomitat, 1908; S. Egged, Das Ungarische Komitat, in Ungar, Jahrbücher, X (1930), pp. 365-376.