contento (agg.)
Per " soddisfatto ", " accontentato " in un'attesa o desiderio, in Pg IX 120 e poscia con la [chiave] gialla / fece a la porta sì, ch'i' fu' contento (cfr. al v. 110 misericordia chiesi e ch'el m'aprisse); XV 58, XVIII 3, Pd I 97 Già contento requïevi / di grande ammirazion (la spiegazione datagli da Beatrice, che egli ormai sta ascendendo verso i cieli, soddisfa il desiderio di D. (v. 83) di conoscere la causa dell'armonia e della luce che lo hanno colpito dopo il suo trasumanare; cfr. vv. 67-84).
In Cv IV IV 4 li regi tenga contenti ne li termini de li regni, vale pure " soddisfatto ", ma nel senso di " privo di altri desideri " (l'azione pacificatrice dell'imperatore consiste infatti nella realizzazione di questa soddisfazione che elimina ogni ambizione e avidità). Con la medesima accezione c. qualifica colui che si accontenta del meno, come in Pg XXII 146 E le Romane antiche, per lor bere, / contente furon d'acqua (cfr. Val. Max. II I 3 e Tomm. Sum. theol. II II 149 4 3); XXVI 33 contente a brieve festa; Pd XV 116 vidi quel... e quel... / esser contenti a la pelle scoperta; oppure qualifica il desiderio o la richiesta soddisfatta, come in Pg XXVIII 58 e fece i prieghi miei esser contenti; Pd XI 136 in parte fia la tua voglia contenta; XVII 25 e XXII 30.
Significa una condizione di letizia o di felicità in rapporto alla soddisfazione di un desiderio o di una naturale aspirazione, in Pd VII 111 la divina bontà... / di proceder per tutte le sue vie, / a rilevarvi suso, fu contenta: la bontà divina fu lieta di attuarsi nella forma massima del sacrificio di Cristo (cfr. vv. 112-117); XVIII 112, XX 74, detto dell'allodetta che tace contenta / de l'ultima dolcezza che la sazia; XXVI 16; Rime LXXXIII 47 vanno spiacenti, / contenti che da lunga sian mirati; Cv III XV 3, e XV 5 s'acquista e[ssere] felice - [che] è essere contento (v. anche contenti variante di ardenti [Pd XXXI 142], in Petrocchi, Introduzione 253).
In Pd XXI 117 contento ne' pensier contemplativi, c. significa, in una con la condizione di letizia derivante dalla contemplazione, l'assenza di ogni altro desiderio; mentre in VI 15 credea, e di tal fede era contento, è significata unicamente l'accettazione che esclude ulteriori bisogni o desideri: Giustiniano credeva che Cristo avesse avuto la sola natura divina, e tale credenza lo soddisfaceva pienamente.
Altrove qualifica colui che, per una ragione espressa o sottintesa, è " lieto ", come in If I 118 e vederai color che son contenti / nel foco (ogni sofferenza degli spiriti del Purgatorio è confortata dalla speranza di pervenire quando che sia alla beatitudine: io dico pena, e dovria dir sollazzo: cfr. Pg XXIII 70-75), e XIX 122; si noti che queste due attestazioni sono le sole ricorrenti in Inferno, e che l'una si riferisce ai penitenti del Purgatorio, l'altra a Virgilio. La medesima accezione ha l'aggettivo in Pg II 116 parevan si contenti, / come a nessun toccasse altro la mente, e XXIV 26 e del nomar parean tutti contenti (contrariamente a quanto D. ha sperimentato nell'Inferno, gli spiriti purganti sono felici di essere nominati, perché sperano suffragi di preghiere a opera di D. o di altri. Dal contesto non sembra risultare che, come interpreta il Cesari, " qui le anime amanti della giustizia godono d'essere nominate e tocche ne' loro difetti ").
Vale piuttosto " felice ", in Pd VIII 42 fatti li avea di sé contenti e certi (" certi riguarda la mente; contenti, il cuore ", Scartazzini), e XXXII 134 Anna, / tanto contenta di mirar sua figlia; Rime LII 13 [vorrei] quivi ragionar sempre d'amore, / e ciascuna di lor fosse contenta; Rime dubbie XXVI 9, Detto 267 e 268 s'io... / del su' amor son contento, / i' sarò più contento / ... che s'io avesse Valenza (se al v. 267 non sia participio da ‛ contentare '); Cv I VIII 12 con ciò sia cosa che... lo fine de la vertù sia la nostra vita essere contenta. Ha valore fortemente ironico in Pg VI 127 Fiorenza mia, ben puoi esser contenta / di questa disgression che non ti tocca.
Le locuzioni ‛ esser c. ' e ‛ star c. ' significano " accontentarsi " oppure " accettare una condizione o limitazione ": così in Pg III 37 State contenti, umana gente, al quia (dove l'accettazione del limite posto alla conoscenza umana sancisce la fondamentale distinzione tra ragione e fede: la rivelazione è portatrice di verità che gli uomini da soli hanno cercate invano; cfr. vv. 38-44); Rime XCI 44 Io son servente, e quando penso a cui, / qual ch'ella sia, di tutto son contento, e CXVI 7 Tu vo' ch'io muoia, e io ne son contento (cfr. XCI 36-38 nullo amore è di cotanto peso, / quanto è quel che la morte / face piacer, per ben servire altrui); Cv I III 9 non solamente a la dilatazione de la prima [mente] sta contenta, e II II 2. In Pg X 103 Li occhi... a mirare eran contenti / per veder novitadi ond'e' son vaghi, significa quella sorta di tranquillità che deriva dalla soddisfazione di un desiderio: l'annunzio dell'arrivo dei penitenti sollecita gli occhi di D. (volgendosi ver' lui non furon lenti, v. 105) finora appagati dalla novità delle sculture.
La locuzione ‛ fare c. ' vale " accontentare ", " soddisfare ", in Pd IV 72 come disiri, ti farò contento (qui il dubbio di D. riguarda il ridursi del merito in chi è costretto con la violenza a non adempiere il proprio voto ma ne conserva la buona volontà: cfr. vv. 19-21).