CONTENZIOSO TRIBUTARIO
. Sotto la denominazione di c. t. va ricompreso l'insieme dei rimedi che l'ordinamento positivo prevede al fine di assicurare la rispondenza dell'imposizione (e dei singoli atti in cui essa si comprende) alla legge e alla situazione di fatto che all'imposizione medesima ha dato origine.
Attualmente la materia è disciplinata organicamente nella sua quasi totalità dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, il quale, in attuazione dei criteri direttivi fissati dall'art. 10 n. 14 della legge delega sulla riforma tributaria 9 ottobre 1971, n. 825, ha previsto per la maggior parte delle imposte un sistema di c. che può definirsi misto. Secondo tale sistema il controllo si attua, infatti, attraverso due gradi di giurisdizione applicati da un giudice speciale - le commissioni tributarie di primo e secondo grado - e un terzo grado deferito alla competenza della Commissione centrale o alla Corte d'appello. Contro la decisione della prima è dato ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost. e contro la sentenza della seconda è esperibile il normale ricorso per Cassazione.
Questo tipo di c. amministrato dalle Commissioni t. e dalla Corte d'appello è previsto solo per le controversie in materia di imposte dirette (imposta sul reddito delle persone fisiche, imposta sul reddito delle persone giuridiche, imposta locale sui redditi), di imposte sul valore aggiunto, sulle assicurazioni, di registro, di successione e sulle donazioni, sull'incremento di valore degl'immobili, ipotecarie e catastali. Inoltre alle Commissioni è deferita anche la competenza sulle controversie promosse dai singoli possessori concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione, il classamento dei territori e la ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché sulle controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della rendita catastale.
La competenza territoriale delle Commissioni di primo grado coincide con quella dei tribunali anche per quanto attiene alla loro sede, mentre le commissioni di secondo grado hanno sede in ciascun capoluogo di provincia e sono competenti a conoscere delle impugnazioni proposte avverso le decisioni delle commissioni di primo grado con sede nel territorio della provincia. Ogni commissione è formata da una o più sezioni il cui numero è fissato e può essere variato con decreto presidenziale, di concerto col ministro della Giustizia, su proposta del ministro per le Finanze. I componenti le Commissioni t. hanno tutti identica funzione "indirizzata unicamente all'applicazione della legge in base all'obiettivo apprezzamento degli elementi di giudizio, esclusa ogni considerazione di interessi territoriali, di categoria o di parte". Quest'affermazione, contenuta nell'art. 10 del d.P.R. n. 636 citato, ribadisce l'indipendenza dei componenti le commissioni anche nei confronti degli organi o corpi che li hanno designati. Ed è proprio per garantire più pienamente tale autonomia che i membri delle Commissioni t. di primo e secondo grado sono scelti da organi dell'autorità giudiziaria ordinaria e cioè, per metà, rispettivamente dal presidente del Tribunale e della Corte di appello fra le persone designate dai consigli comunali o dai consigli provinciali e per l'altra metà tra le persone indicate in elenchi dell'amministrazione finanziaria ovvero forniti, su richiesta dei medesimi, dalle Camere di commercio, industria, agricoltura e artigianato e dai Consigli degli ordini professionali degli avvocati, ingegneri, dottori commercialisti e ragionieri. La nomina avviene poi, in conformità, mediante decreto del ministro per le Finanze.
All'inizio di ogni anno il presidente della Commissione, con suo provvedimento, determina la composizione delle sezioni. Il collegio giudicante decide con l'intervento del presidente o del vice presidente e di due membri. La Commissione t. centrale ha sede in Roma ed è composta dal presidente, dai presidenti di sezione e da sei membri per ogni sezione. Il numero delle sezioni è fissato e può essere variato, con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del ministro per le Finanze, di concerto con il ministro di Grazia e Giustizia.
Ciascuna sezione giudica con l'intervento del presidente e di quattro membri. Le sezioni unite sono presiedute dal presidente della Commissione centrale e sono composte dai presidenti delle sezioni. Alle sezioni unite sono assegnati dal presidente quei ricorsi la cui decisione comporti la soluzione di questioni di particolare importanza rispetto alle quali si sia verificato un contrasto giurisprudenziale.
I membri della Commissione centrale, nominati con decreto presidenziale previa deliberazione del Consiglio dei ministri su proposta del ministro per le Finanze, sono scelti fra le seguenti categorie, in servizio o a riposo; i magistrati della Cassazione, del Consiglio di stato, della Corte dei conti, i professori universitari di ruolo di materie giuridiche ed economiche non iscritti negli albi professionali, avvocati dello stato e impiegati dell'amministrazione finanziaria centrale con particolari qualifiche.
La competenza della Commissione centrale è ristretta alle violazioni di legge (sostanziale e processuale) e alle questioni di fatto "escluse quelle relative a valutazioni estimative e alla misura delle pene pecuniarie": per questioni di "valutazione estimativa" si devono intendere tutte quelle concernenti la misurazione della base imponibile, rispetto alle quali vengono in considerazione regole dell'esperienza tratte da altre branche del sapere estranee alla scienza giuridica, ma necessarie per quantificare l'imponibile e cioè per dare una dimensione alla base d'imposta.
La Commissione ha il potere di esaminare i documenti eventualmente presentati dalle parti per la prima volta "inerenti ai motivi dell'impugnazione o della difesa" insieme col ricorso principale, col ricorso incidentale o con le deduzioni della parte resistente. Se, in conseguenza dell'accoglimento del ricorso, ritiene necessario rinnovare il giudizio su questioni di valutazione estimativa e su quelle relative alla misura delle pene pecuniarie, la Commissione centrale rinvia ad altra sezione della Commissione di secondo grado che aveva già pronunciato o, in mancanza, ad altra commissione di secondo grado. Quando poi la Commissione rileva che nel giudizio di primo grado il contraddittorìo non si è costituito regolarmente o che il collegio è stato composto in modo illegittimo, allora rinvia davanti ad altra sezione della Commissione di primo grado che aveva già pronunciato o, in mancanza, ad altra commissione di primo grado. Contro la decisione della Commissione centrale è ammesso ricorso per cassazione, per violazione di legge.
Decorso inutilmente il termine di sessanta giorni per ricorrere alla Commissione centrale, la decisione della commissione t. di secondo grado può essere impugnata avanti la Corte di appello per violazione di legge e per questioni di fatto escluse quelle relative a valutazione estimativa e alla misura delle pene pecuniarie: il termine è di novanta giorni. Competente a conoscere del gravame è la Corte di appello nel cui distretto ha sede la commissione che ha emesso la decisione impugnata.
Il ricorso alla Corte si pone, pertanto, in alternativa con quello alla Commissione t. centrale e può essere proposto per gli stessi motivi che possono sorreggere il secondo. Questo ricorso non dà luogo a un prolungamento del giudizio di merito, come avviene normalmente per il processo civile, ma costituisce piuttosto un controllo relativo a determinati vizi, il che rende difficile l'applicazione, voluta dall'art. 40 del d.P.R. n. 636, delle norme del codice di procedura civile. Anche la Corte d'appello ha il potere d'emettere; in accoglimento dei ricorsi, pronunce di rinvio, analogamente a quanto si è detto per la Commissione centrale: contro le sue sentenze, come si è già detto, è ammesso l'ordinario ricorso per cassazione.
Un ultimo rimedio avverso le decisioni delle Commissioni t. è dato dalla revocazione. Essa è ammessa per i motivi di cui agli artt. 395 e 396 c.p.c. contro le decisioni delle commissioni di primo e secondo grado che non siano ulteriormente impugnabili o non siano state impugnate, che involgono accertamenti di fatto ed è proponibile avanti lo stesso giudice che ha pronunciato la decisione e cioè alla commissione di primo o secondo grado. Il relativo giudizio è però disciplinato sempre, in quanto siano applicabili, dalle disposizioni relative al giudizio di secondo grado. Nel giudizio avanti alle commissioni, il contribuente può agire personalmente o mediante procuratore speciale o generale. La rappresentanza tecnica di regola è facoltativa, ma il procuratore speciale che non sia il coniuge o un parente entro il quarto grado, deve necessariamente essere assistito da una persona iscritta negli albi degli avvocati, procuratori, dottori commercialisti, ingegneri, architetti, dottori in agraria, ragionieri, geometri, periti agrari, periti edili, periti industriali e di altre professioni tecniche o da ex funzionari delle imposte.
Il giudizio davanti alla Commissione di primo grado s'inizia con un ricorso che dev'essere proposto entro sessanta giorni dalla notificazione dell'avviso di accertamento, dell'ingiunzione, del ruolo, del provvedimento che irroga le sanzioni pecuniarie. Il ricorso contro l'ingiunzione o il ruolo è ammesso solo se tali atti non sono stati preceduti dalla notifica dell'avviso di accertamento o del provvedimento che irroga le sanzioni pecuniarie oppure per vizi propri agli atti medesimi. Nelle ipotesi in cui il pagamento del tributo abbia avuto luogo senza la notifica di alcuno di tali atti d'imposizione o nei casi in cui il contribuente affermi essere sopravvenuto il diritto al rimborso, il termine per ricorrere decorre dal rifiuto dell'amministrazione di restituire la somma pagata o dal suo silenzio che si protragga per novanta giorni dall'intimazione a provvedere notificata dal contribuente a mezzo lettera raccomandata con ricevuta di ritorno.
Il ricorso deve contenere l'indicazione della commissione adita, l'oggetto della domanda, l'indicazione dell'atto cui la controversia si riferisce, ovvero dell'ufficio nei confronti del quale è proposto il ricorso, i motivi, le indicazioni necessarie per individuare il ricorrente e, ove del caso, il suo legale rappresentante, nonché la residenza o l'eventuale domicilio eletto, la sottoscrizione del ricorrente o del suo legale rappresentante. Il ricorso è inammissibile se manca la sottoscrizione o è assolutamente incerto taluno degli altri elementi soggettivi od oggettivi indicati, necessari per l'individuazione del giudice adito, dell'oggetto della domanda e del contribuente. Il ricorso è presentato, insieme con una copia in carta semplice, alla commissione mediante consegna alla segreteria che ne rilascia ricevuta, ovvero mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Se la copia non è allegata, il ricorso è improcedibile e il processo si estingue decorso un anno dalla presentazione del ricorso senza che la copia sia stata consesegnata o spedita.
L'ufficio deve far pervenire alla Commissione, entro centoventi giorni dalla trasmissione della copia del ricorso, le proprie deduzioni in duplice copia, di cui una per il contribuente. Quindi il presidente fissa l'udienza di discussione e nomina il relatore; l'avviso di fissazione dell'udienza va comunicato alle parti almeno trenta giorni prima, e fino a dieci giorni prima dell'udienza le parti possono consultare gli atti presso la segreteria e depositare memorie e documenti che possono essere prodotti fino a dieci giorni prima dell'udienza. All'udienza il relatore espone i fatti e le questioni della controversia in presenza delle parti che sono poi ammesse alla discussione. La decisione è adottata in camera di consiglio subito dopo la discussione, salvo che il collegio ravvisi motivi per rinviarla di non oltre trenta giorni ed è resa pubblica mediante il deposito in segreteria entro trenta giorni dalla data della deliberazione. L'appello contro di essa è presentato alla segreteria della commissione che l'ha emessa con allegata una copia in carta semplice che verrà notificata a cura della segreteria stessa, all'altra parte per consentirle di proporre appello incidentale entro sessanta giorni da tale notificazione. Trascorso tale termine la segreteria trasmette alla Commissione di secondo grado l'atto di appello e l'eventuale appello incidentale nonché il fascicolo del giudizio di primo grado nel quale inserisce copia della decisione impugnata.
Il procedimento di secondo grado è disciplinato dalle stesse norme che regolano il procedimento dinanzi alle Commissioni di primo grado. È pertanto da ritenere che il giudizio avanti la Commissione di secondo grado costituisca la prosecuzione del processo di primo grado, senza alcuna preclusione per quanto concerne la presentazione di nuovi mezzi di prova, di nuove domande o di nuove eccezioni. Ai procedimenti dinanzi alle Commissioni t. si applicano, in quanto compatibili, le norme contenute nel libro I del codice di procedura civile, con esclusione degli artt. da 61 a 67, dell'art. 68 1° e 2° comma, degli artt. da 90 a 97 e dell'art. 128.
Accanto al c. davanti alle Commissioni t., disciplinato dal d.P.R. 26 ott. 1972, n. 636, sono previsti altri tipi, caratterizzati dalla previsione di una base amministrativa e da uno stadio giurisdizionale avanti il giudice ordinario e talora avanti a quello amministrativo.
a) Riguardo a un primo gruppo di tributi (bollo, concessioni amministrative, imposta comunale sulla pubblicità e diritti sulle pubbliche affissioni, imposta sugli spettacoli) è previsto un ricorso amministrativo, in primo grado, all'intendente e in secondo grado al ministro delle Finanze. Si tratta di un ricorso che si configura rispetto al bollo e alle concessioni governative e agli spettacoli come un ricorso gerarchico proprio, mentre nell'ipotesi dell'imposta sulla pubblicità è un rimedio amministrativo che spetta anche al comune - ente accertatore - contro la decisione intendentizia. Contro la decisione del ministro delle Finanze e contro quella dell'intendente non impugnata è data la revocazione contro lo stesso organo che ha emesso la decisione per errore di fatto o di calcolo o se sono stati trovati documenti decisivi o su prove riconosciute o dichiarate false (in questo caso il ricorso è proponibile entro sessanta giorni dalla data in cui è stata accertata la falsità o recuperato il documento). In talune disposizioni, concernenti quei tributi, è previsto che se l'intendente di finanza o il ministro delle Finanze non provvedono nel termine di 180 giorni dal ricorso (notificando la decisione), il ricorrente ha possibilità di ricorrere (rispettivamente) al ministro, se l'ammontare dell'imposta e delle sopratasse supera un certo importo (es. lire 150.000 per l'imposta sugli spettacoli; lire 100.000 per le concessioni governative), e all'autorità giudiziaria. Rispetto al bollo, invece, il silenzio dell'amministrazione dà diritto - se protratto per 180 giorni - alla proposizione dell'azione giudiziaria.
Non trovano pertanto applicazione, nella materia t., le disposizioni generali sui ricorsi amministrativi e sul cosiddetto silenzio rifiuto contenuto nel d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199.
b) Riguardo alle controversie doganali nascenti dalla qualificazione, il valore o l'origine della merce (v. dazio e dogana, in questa App.), esse sono portate in primo grado al capo del compartimento doganale che decide con provvedimento motivato, sentito il parere del collegio consultivo compartimentale dei periti doganali. Il capo del compartimento deve pronunciarsi entro quattro mesi e la sua decisione può essere impugnata avanti il ministro delle Finanze il quale, a sua volta, decide con provvedimento motivato sentito il parere del collegio consultivo centrale dei periti doganali; decisione che dovrebbe seguire nei sei mesi.
Se l'accertamento è divenuto definitivo, cioè se non è stato impugnato in via amministrativa o in tale sede è stata emessa decisione contraria al contribuente, quest'ultimo conserva i normali rimedi giurisdizionali, avanti il giudice civile o in sede di giurisdizione amministrativa (art. 76), a seconda che si tratti di diritti soggettivi o interessi legittimi.
c) Secondo l'art. 6 l. 16 maggio 1970, n. 281, rispetto ai tributi regionali (v. finanza regionale, in questa App.) il contribuente può scegliere la via del ricorso in via amministrativa al presidente della giunta regionale anziché quella eventualmente prevista per i corrispondenti tributi erariali e comunali. Contro la decisione amministrativa è proponibile l'azione giudiziaria avanti il giudice ordinario, entro sei mesi dalla notifica della decisione stessa.
Per i tributi comunali non soppressi, i cui accertamenti siano notificati a decorrere dal 10 gennaio 1974, è ammesso il ricorso all'intendente di finanza e al ministro delle Finanze con possibile esperimento successivo dell'azione giudiziaria avanti l'AGO.
Bibl.: E. Allorio, Diritto processuale tributario, Torino 1963; G. A. Micheli, Osservazioni sulla natura giuridica delle commissioni tributarie, in Giur. cost., 1969; F. Maffezzoni, Le intoccabili commissioni tributarie, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1972; P. Russo, Il nuovo processo tributario, Milano 1974; V. Milintern Vella, Il nuovo contenzioso tributario, Napoli 1974; G. A. Micheli, Corso di diritto tributario, 1974; B. Cocivera, La nuova disciplina del contenzioso tributario, Milano 1976.