contesto
Il contesto può essere definito in generale come l’insieme di circostanze in cui si verifica un atto comunicativo. Tali circostanze possono essere linguistiche o extra-linguistiche. Per riferirsi alle prime, nell’ambito della linguistica del testo si parla anche di co-testo (termine poco frequente diffuso in Italia da Petöfi: 1969). Più precisamente, il co-testo di una frase è costituito dall’insieme di frasi che la precedono o la seguono in uno stesso testo e nella stessa conversazione. Il co-testo è dunque una particolare componente del contesto d’uso linguistico.
Il contesto d’uso linguistico (d’ora in poi ‘contesto’ tout court) comprende la situazione fisica spaziale e temporale in cui avviene l’atto comunicativo, il suo co-testo (qui come sopra definito), la situazione socio-culturale entro la quale esso si definisce (status e ruolo degli interlocutori, formalità o informalità della comunicazione, ecc.), la situazione cognitiva degli interlocutori (le loro conoscenze circa l’argomento della comunicazione e altre situazioni comunicative pertinenti per quella in corso, l’immagine che ognuno ha dell’altro e delle sue conoscenze, ecc.), così come la loro situazione psico-affettiva.
In funzione delle prospettive di analisi, può essere privilegiato rispetto agli altri questo o quell’aspetto particolare del contesto.
(a) In ambito testuale, volto a definire la struttura del testo, vengono per es. focalizzate le relazioni di forma e di significato che un atto comunicativo intrattiene con il co-testo, con gli atti comunicativi che lo precedono o lo seguono (➔ testo, struttura del).
(b) In prospettiva sociolinguistica, vengono considerati gli aspetti contestuali cui è dovuta la ➔ variazione linguistica (Berruto 2004: 72-90). Ci sono per es. i dati geografici, con cui si spiega che lo stesso oggetto o lo stesso concetto possano essere designati da parole diverse nelle varie parti d’Italia (➔ geosinonimi). Ci sono, ancora, i dati relativi alla stratificazione sociale, che conducono per es. a dire che «una realizzazione come la penna che io scrivo è nera è caratteristica dell’italiano popolare, la varietà di lingua marcata come associata generalmente a parlanti incolti o poco colti [...], che hanno una cattiva padronanza della lingua standard» (Berruto 2004: 74; ➔ che polivalente).
(c) Nella prospettiva che riguarda le modalità di produzione e di interpretazione dell’atto linguistico, vengono in primo piano gli aspetti contestuali di carattere situazionale e cognitivo, che sono quelli sviluppati qui di seguito.
Non è possibile interpretare un atto comunicativo se non si conosce il contesto entro cui esso si produce: non solo non è possibile determinare i motivi e gli effetti della sua produzione, ma neppure cogliere il suo significato esplicito e suoi eventuali significati impliciti (Ducrot 1995: 631-634).
(a) La conoscenza del contesto è spesso indispensabile per identificare i referenti delle espressioni impiegate: non solo dei deittici come ora, qui, io (➔ deittici), ma anche dei nomi propri (che non hanno referente unico: di quale Francesca si parla?), dei sintagmi nominali con articolo definito (se dico ho incontrato il portinaio, il contesto permetterà di capire se parlo del portinaio di casa, della scuola di mio figlio, del palazzo della mia amica Francesca, ecc.), di parole che operano selezioni in un insieme (come il pronome indefinito tutto: ho messo a posto tutto: cosa? i piatti? i vestiti? il litigio con Francesca?) o il costrutto ho incontrato solo Francesca (rispetto a chi?).
(b) Il contesto è essenziale anche per scegliere una tra le possibili interpretazioni di espressioni ambigue: per es., nel caso dell’ambiguità lessicale, esso permette di decidere se nell’enunciato
(1) sono passato a prendere la vite
vite sta per «utensile» o per «pianta»; se esecuzione in:
(2) l’esecuzione sarà fra tre giorni
si riferisce alla realizzazione di un’opera o alla messa in atto della pena di morte.
(c) Il contesto contribuisce anche a completare il significato di un enunciato. Per sapere che sì equivale, in un determinato atto comunicativo, a sì, arrivo prima delle otto, è necessaria l’informazione contestuale riassunta in una domanda quale:
(3) arrivi prima delle otto?
(d) Si ricorre al contesto anche per identificare l’atto illocutivo (asserzione, domanda, promessa, ecc.) che un’enunciazione realizza (➔ illocutivi, tipi). Una frase quale:
(4) andrai a Roma domani
può essere, a seconda della situazione d’enunciazione, una semplice asserzione, una promessa (se l’interlocutore vuole andare a Roma e il suo viaggio dipende in qualche modo dal locutore), un ordine (se l’interlocutore non desidera fare quel viaggio) o una minaccia (qualora il parlante voglia ottenere qualcosa che l’interlocutore non gli concede).
(e) Il contesto è necessario inoltre per individuare il senso che un’enunciazione assume al di là del suo significato letterale, per cogliere cioè i valori impliciti che porta con sé. Si può capire cosa suggerisce un enunciato quale:
(5) Francesca ieri sera è tornata prima del solito
solo se si sa cosa faceva Francesca di solito e se si è in grado di costruire ipotesi sul senso del suo rientro prematuro.
Il contesto che si chiama in causa per definire l’atto di produzione / interpretazione linguistica non coincide con la realtà concreta (definita al § 2) in cui questo avviene. Ciò che conta è la rappresentazione mentale che se ne fanno gli interlocutori, nella misura in cui essa è da loro coscientemente condivisa e funzionale agli scopi comunicativi dell’atto linguistico. Più precisamente, la situazione può essere tratteggiata nei seguenti termini (in linea con la cosiddetta teoria della pertinenza proposta in Sperber & Wilson 1993, poi ripresa e applicata in molti studi successivi; per una presentazione generale, cfr. Bertuccelli Papi 1987 e Ducrot 1995).
(a) Ogni atto linguistico si iscrive in uno ‘sfondo cognitivo’ costituito dalle conoscenze potenzialmente disponibili per gli interlocutori. Tali conoscenze possono avere origine fisico-percettiva (nel qual caso sono estratte dalla concreta situazione d’enunciazione) o mnemonica (nel qual caso sono estratte dalla memoria degli interlocutori).
Per es., nell’ipotesi in cui locutore e interlocutore siano uno accanto all’altro, l’interpretazione di un enunciato quale:
(6) lui dovrebbe essere qui alle otto
ricorre a una conoscenza percettiva per dare un contenuto a qui e a una conoscenza mnemonica per attribuire un referente a lui, che coincide verosimilmente con la persona di cui si sta parlando.
(b) Le conoscenze che formano lo sfondo cognitivo dell’attività comunicativa non sono necessariamente dati di cui gli interlocutori siano certi; possono essere anche credenze di carattere generale o ipotesi che essi intrattengono con un grado di certezza più o meno forte.
Per es., se qualcuno dice:
(7) detesto le auto di lusso
l’interlocutore può interpretarne il contenuto come indiretta espressione di antipatia nei confronti di Francesca, che ha appena comprato una lussuosa Mercedes, basandosi sull’ipotesi, non verificata, che il locutore stia pensando a Francesca.
(c) Lo sfondo cognitivo non comprende solo conoscenze di cui gli interlocutori abbiano coscienza nel momento dell’enunciazione; ma anche conoscenze pregresse o conoscenze nuove che gli interlocutori mobilitano in funzione dei bisogni della comunicazione. Per capire cosa intende asserire un enunciato come:
(8) è molto graziosa, ma ha le lentiggini
l’interlocutore deve includere nello sfondo cognitivo il dato – certamente sprovvisto di validità generale – secondo cui per il parlante essere graziosa e avere lentiggini sono argomenti che portano a due conclusioni di carattere opposto, positiva la prima, negativa la seconda.
Lo sfondo cognitivo della comunicazione così definito coincide con l’insieme di conoscenze a partire dalle quali viene ritagliato il contesto in senso stretto. In questa prospettiva, il contesto è costituito più precisamente dall’insieme di conoscenze, estratte dallo sfondo cognitivo, che si rivelano necessarie per capire il significato letterale di un particolare discorso e le informazioni implicite che esso intende comunicare. Esso è dunque il presupposto stesso della comunicazione; è inoltre un’entità variabile dato che muta con l’evolvere della comunicazione e in funzione dei bisogni interpretativi, ed è considerato come condiviso dagli interlocutori: quando si compie un atto comunicativo, si può contare sulla mobilitazione di una conoscenza solo se si sa che l’interlocutore ha o può ricostruire quella conoscenza. Per es., si può contare sull’interpretazione di lei come «Francesca» se si sa che l’interlocutore sa che si sta parlando proprio di Francesca; o ancora, si può contare sulla ricostruzione dell’implicito «chi parla non vuole collaborare con Francesca» a partire da:
(9) è troppo irascibile
solo se si sa che l’interlocutore sa che chi parla «cerca qualcuno con cui collaborare» e «non vuole collaborare con persone (troppo) irascibili».
La costruzione del contesto avviene anzitutto sotto la guida della lingua, che offre un primo insieme di indicazioni riguardo al modo e alla misura in cui il significato veicolato esplicitamente va completato e arricchito. Per es., in (9) il soggetto sottinteso indica che occorre identificare il referente della predicazione è troppo irascibile. Ancora, l’enunciato
(10) Francesca è arrivata
chiede di capire di quale Francesca si stia parlando e di individuare il luogo in cui essa è arrivata.
L’operazione di costruzione del contesto attivata dalla lingua viene poi guidata e controllata dagli scopi dell’atto linguistico e da un insieme di principi comunicativi e cognitivi. Gli «scopi che il parlante si prefigge e che l’ascoltatore deve essere in grado di riconoscere per poter trarre dall’enunciato il massimo di informazioni» decidono quali, tra le conoscenze che fanno parte dello sfondo cognitivo degli interlocutori, vengano realmente a costituire il contesto, e quali invece vadano scartate o rielaborate (Bertuccelli Papi 1987: 84). Così, se lo scopo di un enunciato quale:
(11) sto bene qui
è rispondere a una domanda come tornerebbe in Italia? nella situazione in cui il parlante vive in Svizzera, allora il contesto selezionerà la conoscenza «il parlante è di origine italiana e vive in Svizzera», e l’avverbio qui varrà «in Svizzera». Se invece (11) reagisse a un invito quale vieni a fare un giro? rivolto a uno che si trova a casa propria, allora qui verrebbe interpretato come «qui a casa mia», che a seconda della situazione fisica d’enunciazione potrà indicare uno tra infiniti luoghi possibili.
Sullo sfondo dell’individuazione degli scopi comunicativi, il contesto viene ulteriormente precisato e arricchito in funzione di un vasto insieme di principi generali. Tra questi, occorre riconoscere anzitutto un principio di carattere conversazionale (➔ conversazione; ➔ pragmatica), il principio di cooperazione (fissato da Grice 1975). Tale principio si articola in un insieme di quattro massime che specificano il senso della cooperazione conversazionale riguardo: alla quantità di informazione fornita dal locutore; alla sua qualità (veridicità); alla sua relazione (pertinenza, coerenza) con quanto si sta dicendo; al modo (ordine delle informazioni, ecc.) in cui essa è espressa. Così, per es., all’interno di uno scambio come:
(12) A: non ho più benzina
B: c’è un distributore proprio qui all’angolo
il principio di cooperazione conversazionale, sulla base della massima di relazione, condurrà A a estrarre informazioni contestuali quali «il distributore è aperto», «si può trovare benzina», in modo che la sua richiesta di informazioni risulti soddisfatta.
Nella selezione del contesto, i principi conversazionali interagiscono con principi di altro tipo, come il principio psico-sociale della cortesia (Lakoff 1973; ➔ cortesia, linguaggio della), che conduce l’interlocutore a valutare gli atti linguistici che gli vengono rivolti sullo sfondo di dati contestuali quali per es. «il locutore non osa esprimere il suo giudizio negativo o la sua richiesta in modo diretto». È in questo senso che, rivolta dal padrone di casa al suo ospite alle due di mattina, l’asserzione:
(13) sono stanco morto
sarà normalmente interpretata come «gradirei che andassi via».
I principi conversazionali e psico-sociali si combinano a loro volta – in parte incrociandosi, in parte opponendosi, in parte sovrapponendosi – con principi che riguardano l’economia del processo interpretativo. Questi, fissati grazie al concetto di pertinenza (Sperber & Wilson: 1993), governano la selezione delle informazioni che fungono da contesto tendendo verso un bilanciamento tra ‘costo cognitivo’ del processo interpretativo e ‘guadagno’ in termini di acquisto qualitativo e quantativo di conoscenze. Così, ad avere maggiori probabilità di far parte del contesto saranno le conoscenze che nel momento dell’interpretazione sono già presenti all’attenzione dell’interlocutore: per es., se si sta parlando di Francesca, la soluzione più economica sarà attribuire al pronome la in (14) il referente «Francesca»:
(14) la stimo molto
Le conoscenze già presenti all’attenzione saranno invece ulteriormente arricchite nel caso di uno scambio tra vecchie amiche quale:
(15) A: come va con tua figlia Francesca?
B: come sai, è in piena adolescenza
La risposta di B, che esplicita un dato già pienamente noto a A, se presa letteralmente non offre infatti alcun guadagno di conoscenze. Perché tale risposta sia informativa, e possa comunicare qualcosa come «non va molto bene», «i rapporti sono difficili», A dovrà inserire nel suo contesto interpretativo le informazioni enciclopediche a lei note relative all’adolescenza e alle difficoltà relazionali che essa tipicamente comporta.
Come mostrano rispettivamente gli esempi (14) e (15) – e come già osservato indirettamente nel § 3 – il contesto interviene sia per precisare e completare il significato letterale dell’atto linguistico sia per attivare e controllare le eventuali informazioni implicite che esso veicola. Il significato letterale e le informazioni implicite associati a un particolare atto comunicativo diventano naturalmente candidati privilegiati per la rielaborazione del contesto su cui si iscrive l’atto comunicativo successivo. Se saranno o meno inseriti nel contesto, ciò dipenderà dalla natura dell’atto, dai suoi scopi comunicativi e dai principi generali (conversazionali, psico-sociali e cognitivi) che lo governano.
Berruto, Gaetano (2004), Prima lezione di sociolinguistica, Roma - Bari, Laterza.
Bertuccelli Papi, Marcella (1987), Sulla nozione di ‘contesto’ ovvero: degli ‘eccetera’ in linguistica, «Studi italiani di linguistica teorica e applicata» 16, pp. 73-92.
Ducrot, Oswald (1995), Situation de discours, in Id. & Schaeffer, Jean-Marie, Nouveau dictionnaire encyclopédique des sciences du langage, Paris, Editions du Seuil, pp. 631-640.
Graffi, Giorgio & Scalise, Sergio (2002), Le lingue e il linguaggio. Introduzione alla linguistica, Bologna, il Mulino.
Grice, Paul H. (1975), Logic and conversation, in Syntax and semantics, edited by P. Cole & J.L. Morgan, New York - London, Academic Press, vol. 3º (Speech acts), pp. 41-58 (trad. it. Logica e conversazione, in Gli atti linguistici. Aspetti e problemi di filosofia del linguaggio, a cura di M. Sbisà, Milano, Feltrinelli, 1978, pp. 199-219).
Lakoff, Robin (1973), The logic of politeness, in Papers from the IX regional meeting of the Chicago Linguistic Society (April 13-15, 1973), edited by C. Corum, Chicago, Chicago University Press, pp. 292-305.
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