CONTINGENTAMENTO
. La politica doganale tendente a creare nell'ambito del mercato interno, a favore d'una o più attività produttive nazionali, una condizione di privilegio rispetto alle similari attività straniere ha avuto storicamente manifestazioni concrete diverse, secondo le finalità particolari che si intendeva conseguire e le condizioni dei mercati che i provvedimenti dovevano regolare (v. liberismo e protezionismo, XXI, p. 45 segg.). Naturalmente si prescinde qui dai fenomeni eccezionali cui ha dato luogo la guerra mondiale con le limitazioni nel commercio d'importazione o di esportazione.
Il protezionismo doganale dopo la guerra mondiale ha dovuto risolvere il difficile compito di equilibrare gli scambî mercantili d'ogni nazione entro brevissimi periodi, spesso di mesi, senza attendere che l'equilibrio fosse raggiunto automaticamente dai correttivi posti in essere dalle forze economiche in contrasto. Inoltre le necessità belliche avevano creato in ogni paese attrezzature produttive e dato luogo a investimenti di capitale che sarebbero stati distrutti dalla concorrenza delle produzioni eseguite in paesi tecnicamente e naturalmente meglio dotati, e quindi all'esinenza di equilibrare rapidamente gli sbilanci mercantili si è aggiunta la necessita di estendere la zona di protezione a molti altri campi di attività che prima ne erano esenti.
Ne è conseguita una trasformazione degli strumenti tecnici della politica doganale, la quale ha dovuto aggiungere alla tabella dei dazî il contingentamento della quantità delle princpali merci ammesse all'importazione. Se la determinazione della produzione e del consumo di ciascuna merce potesse essere fatta con sufficiente approssimazione, il correttivo della limitazione delle quantità da importare non avrebbe aggiunto alcuna efficacia protettiva al dazio, poiché è noto che ad ogni prezzo corrisponde una certa quantità di merce venduta e non altra. Quando fosse stato esattamente determinato il dazio e quindi il prezzo che ne risultava sul mercato interno, sarebbe stata anche determinata la quantità importata dall'estero e quella prodotta all'intern0, senza bisogno di ulteriori limitazioni. Ma la quantità importata sarebbe stata suddivisa fra i varî paesi produttori in modo da assicurare la maggiore quota a quelli che potevano fomire la merce a minor costo in denaro, così che la selezione dei fornitori sarebbe stata determinata dalla relativa efficienza produttiva di tutti i fabbricanti esteri senza distinzione di nazionalità. Invece, oltre a limitare la quantità complessivamente importata, le esigenze particolari degli scambî postbellici hanno spesso imposto ai vari paesi di predeterminare la quantità di ciascuna merce che era conveniente ottenere da ciascun paese fomnitore, in modo da tendere ad equilibrare le singole bilance commerciali, direttamente fra paese e paese, e non indirettamente fra la massa delle importazioni e quella delle esportazioni, senza preoccupazione dei paesi di provenienza e di quelli di destinazione. Instaurato il criterio delle compensazioni dirette e possibilmente reciproche, il sistema dei contingentamenti, che consiste nella determinazione delle quantità delle merci da importare o da esportare per ciascun paese, si è imposto come un'inderogabile necessità tecnica doganale. Questo sistema, che permette agli stati, sia importatori sia esportatori, di disciplinare e di scegliere i singoli commercianti e le singole industrie ammessi agli scambî, si è rapidamente diffuso nella pratica delle contrattazioni doganali con il crescente intervento statale nella vita economica. Mentre i primi notevoli esperimenti si trovano nel trattato di Versailles per i rapporti mercantili tra la Francia e la Germania, nello svolgersi della crisi mondiale iniziatasi nel 1929 si è andato praticamente generalizzando fino a far tramontare, di fatto, le tradizionali clausole dei trattati di commercio prebellici, come quella detta "della nazione più favorita" (con la quale il paese che la concedeva s'impegnava ad estendere ipso iure all'altro contraente ogni ulteriore concessione che sarebbe stata accordata, per le merci considerate, a qualsiasi altro paese). Il bloccamento della quantità esclude, razionalmente, la concessione di eventuali ulteriori riduzioni dei dazî.
Il metodo, che ha notevoli inconvenienti, quando sostituisca al libero giuoco delle forze economiche l'ingerenza e la regolamentazione statale non realizzate in un organico piano di economia controllata, potrà avere ulteriori sviluppi per quanto riguarda la cosiddetta politica degli "scambi bilanciati" cioè della compensazione delle bilance mercantili realizzata per singole coppie di paesi. Naturalmente questa tendenza potrà manifestarsi con più o meno forza a seconda della struttura che assumerà il mondo economico capitalistico dopo superata la crisi che lo travaglia. Comunque è certo che, allo stato odierno dei fatti, queste tendenze esprimono un'esigenza concreta delle compensazioni internazionali dirette che si cerca di ottenere anche mediante gli "accordi di valuta" fra stato e stato, attraverso le banche di emissione.
In Italia, in applicazione di questi principî, il decreto 16 febbraio 1935 ha limitato le quantità di molte merci importate. Il provvedimento, seguito da altri, è naturalmente sboccato in accordi bilaterali di contingentamento, in cui l'Italia potrà negoziare i proprî rifornimenti dall'estero assicurando un maggiore e più ampio assorbimento ai proprî prodotti. A questa realizzazione e alla costruzione di tutta una rete di accordi internazionali, del tutto nuova all'esperienza dei negoziati economici fra stati, le "sanzioni" economico-finanziarie irrogate all'Italia il 18 novembre 1935 dalla Società delle nazioni (v. sanzione, XXX, p. 806 seg.), hanno portato un contributo di decisiva importanza, in quanto hanno convinto anche coloro che erano contrarî a questa nuova forma di accordi, della sua necessità come sistema di tutela e di presidio alle possibilità di scambio, fuori dei confini, dei paesi privi di rifornimenti diretti e adeguati di materie prime.