contingenza
Carattere di ciò che può essere o non essere, o essere diverso da quello che è: l’opposto, quindi, della necessità, nei diversi modi in cui questa si può intendere.
Aristotele intende la c. come pura negazione della necessità, e la caratterizza in senso logico come la proprietà degli enunciati di cui è possibile tanto l’affermazione quanto la negazione, e in senso metafisico come la proprietà degli eventi determinati dalla scelta arbitraria del soggetto agente (De interpretatione, 12). Nel pensiero medievale la c. è il carattere delle creature, opposto a quello necessario di Dio. Filosofi come Duns Scoto e Guglielmo di Occam intendono la c. come prova della precarietà del creato, perché Dio ha creato il mondo per una decisione puramente arbitraria della sua volontà, e le stesse leggi naturali potrebbero venire da lui sospese in qualsiasi momento. Diversa è la posizione degli scolastici di scuola aristotelica, che riprendono da Avicenna la nozione di contingenza. Secondo Avicenna ciò che è possibile rimane sempre possibile in rapporto a sé stesso, ma gli può accadere di essere in modo necessario in virtù di una cosa diversa da sé (Metafisica, II, 2, 3). Da questo punto di vista l’essere delle creature, in sé non necessario, possiede un certo grado di necessità perché deriva dall’essere necessario di Dio e ne partecipa. Anche Tommaso definisce il contingente come possibile, ossia come ciò che può essere e non essere, ma riconosce che in esso si possono trovare elementi di necessità (Summa teologica, I, q. 86, a. 3).
Più decisamente Spinoza sostiene che possiamo parlare di c. solo per un difetto della nostra conoscenza, dal momento che in realtà la c. non esiste. Nella natura non c’è nulla di contingente, ossia suscettibile di esistere o di non esistere. Infatti ogni cosa è determinata dalla natura divina a essere e a operare in un certo modo, e le cose non potevano affatto essere prodotte da Dio in maniera e ordine diversi da quelli in cui sono state prodotte (Etica, I 29, II 33 scol. I). Leibniz distingue fra la c. propria delle verità di fatto (Cesare che attraversa il Rubicone), il cui contrario è pensabile e non implica contraddizione (➔), e la necessità propria delle verità di ragione (per es., che in ogni triangolo euclideo la somma degli angoli è uguale a 180°), il cui contrario è impensabile e contraddittorio.Tuttavia Leibniz sostiene anche che in Dio le due specie di verità vengono a coincidere. In Kant lecaratteristiche della c. e della necessità vengono discusse come categorie della modalità nell’analitica dei concetti. La visione panlogistica di Hegel non sembra offrire molto spazio alla contingenza. Hegel è convinto come Spinoza che siano solo i limiti di una visione intellettualistica delle cose a farci parlare di c.; in effetti l’esistenza attuale appare contingente nella sua radice solo a chi non crede che ogni cosa si realizzi per una necessità logica assoluta.
In partic., con l’espressione complessiva di filosofia della c. si designano alcune dottrine filosofiche sorte in Francia nella seconda metà dell’Ottocento, le quali in vari modi si oppongono all’assoluto determinismo allora propugnato dalle scienze della natura e dalle teorie materialistiche e positivistiche fondate su esse. Tali filosofie (che si collegano sia alle concezioni precedenti di Secrétan, Ravaisson e Renouvier, sia alle ricerche contemporanee di critica delle scienze) hanno per iniziatore Boutroux e tra i maggiori fautori Bergson e Milhaud. A partire dall’opera di Boutroux, La contingenza delle leggi di natura (1874), c. è diventata sinonimo di indeterminato, ossia di libero e imprevedibile: la c. designa soprattutto ciò che ha sede e agisce nel mondo naturale. Nello stesso senso il termine c. è adoperato nell’Evoluzione creatrice da Bergson, secondo il quale la c. assolve un ruolo preponderante nel processo evolutivo. Contingenti, il più delle volte, sono le forme adottate, o piuttosto inventate dall’evoluzione. Contingente, relativamente agli ostacoli incontrati in un certo luogo e in un certo momento, appare la dissociazione della tendenza primordiale in diverse tendenze complementari, così come affetti da c., appaiono gli arresti e i ritorni. Da questo punto di vista la c. si identifica con la libertà, ed entrambe si oppongono alla necessità.
L’orientamento generale del pensiero moderno è quello secondo il quale, se pure si ammette che tutti gli avvenimenti singoli siano sottoposti alla necessità del determinismo causale, si deve però riconoscere che è contingente il fatto che essi presentino certi particolari rapporti e che quindi siano dominati dalle leggi che la ricerca scientifica formula. Inoltre si è negata la necessità delle leggi dei fenomeni, affermando che, in tutto o in parte, questi sono contingenti: siccome però la causalità si può intendere principalmente come finale o come efficiente, si è chiamato contingente sia ciò che non appare rivolto al conseguimento di uno scopo, sia ciò che non si ritiene l’effetto necessario di fenomeni antecedenti. Alcune dottrine hanno sostenuto che bisogna ammettere inizi assoluti, contingenti, nelle serie dei fenomeni, o eccezioni al determinismo causale (una sorta di recupero della teoria epicurea del clinamen); altre hanno completamente negato la necessità delle leggi naturali. Le più recenti ricerche scientifiche tendono ad ammettere non soltanto la c. (razionale) delle condizioni iniziali dell’Universo, da cui sono derivate tutte le successive, e delle leggi fisiche, concepite come pure medie statistiche, risultanti da processi elementari svariatissimi che si verificano secondo i principi del calcolo delle probabilità, ma anche quella degli stessi moti degli elementi, che non appaiono dominati da un rigoroso determinismo causale. Nella storia del pensiero filosofico sono stati particolarmente numerosi i tentativi di sottrarre alla necessità gli atti della volontà umana (teoria del libero arbitrio): ammessa tale libertà, anche il corso della storia non appare come un nesso necessario di cause e di effetti e contiene perciò avvenimenti contingenti.