Continuita e trasformazioni: la Grecia nel IV secolo a.C.
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Sparta, uscita vincitrice dalla guerra del Peloponneso, non è in grado di esercitare l’egemonia: alla base delle sue difficoltà, una grande scarsezza di uomini e insanabili tensioni all’interno di una società una volta assai coesa. La guerra di Corinto (395-386 a.C.) le restituisce una leadership condizionata dall’influenza persiana; nel frattempo, si rianimano le ambizioni di Atene, tornata rapidamente alla democrazia e in grado di fondare una seconda lega navale (377 a.C.), mentre pochi anni dopo Tebe riesce per breve tempo (371-362 a.C.) a scalzare Sparta dal suo ruolo egemonico, grazie soprattutto alla vittoria di Epaminonda a Leuttra, che segna la fine dell’invincibilità spartana nelle battaglie terrestri.
Il “secolo breve” che va dalla fine della guerra del Peloponneso all’ascesa al trono di Alessandro Magno è un periodo di complesse e tortuose vicende politico-militari che segnano il ridimensionamento delle principali poleis a favore del rinnovato regno di Macedonia.
La minore forza di Sparta e di Atene favorisce una notevole instabilità nella vita politica e un clima di incertezza, al quale gli studiosi moderni hanno cercato di affiancare le prove di una decadenza economica, in modo da comporre un quadro complessivo di crisi, che si attaglierebbe alle vicende del IV secolo a.C. in Grecia. In realtà, la crisi economica è indimostrabile, e lo stesso concetto si adatta poco a una realtà frastagliata, in cui le dinamiche economiche avevano, in ogni caso, un’importanza minore rispetto al mondo contemporaneo; l’instabilità politica, cui si accompagna spesso una conflittualità militare, è un dato strutturale della polis in ogni epoca, che il dominio imperiale di Atene nel corso del V secolo a.C. aveva oscurato, ma non certo risolto.
A tutto ciò si accompagna una straordinaria vitalità, sia nella ricerca di nuove forme di aggregazione politica (stati federali, leghe), sia in un’eccezionale stagione culturale che, mentre propone per la prima volta il concetto di “classico”, per esempio rendendo tali i grandi tragediografi ateniesi con la pubblicazione “ufficiale” dei testi dei loro drammi, affronta, con la nascita delle grandi scuole filosofiche – l’Accademia platonica nel 387 a.C. e il Peripato aristotelico all’incirca cinquant’anni dopo –, una nuova riflessione sul mondo e sui destini dell’uomo.
Il concetto di crisi, anche se comodo, non è dunque adeguato per il IV secolo a.C.: più banale, ma anche più corretto, sarà parlare di mondo in rapida trasformazione, senza dimenticare che ogni realtà, in fondo, è sempre in movimento.
Gli anni immediatamente successivi alla fine della guerra del Peloponneso mostrano le grandi difficoltà che la vittoriosa Sparta ha nell’esercitare la sua egemonia sul mondo greco.
Alcune debolezze sono note già da tempo, in primo luogo la cronica scarsezza di uomini della città laconica, che in questi anni conta ormai non più di 3000 cittadini di pieno diritto. Altre sono forse nuove, ma già previste da chi, all’interno dell’élite dirigente della città, aveva messo in dubbio la bontà della scelta di affrontare la guerra con Atene: alludiamo soprattutto alle tensioni fortissime che una società tradizionalista e molto chiusa non può evitare con l’allargarsi dei suoi orizzonti, l’arricchimento di molti suoi elementi di spicco e l’inevitabile contatto con realtà diverse.
La congiura di un certo Cinadone (399 a.C. ca.), uno dei molti spartani di collocazione incerta, all’interno di una società molto più complessa di quanto la manualistica divisione in spartiati/perieci/iloti lasci a intendere, viene sventata all’ultimo momento, ma è un segno di allarme per Sparta, che prima di allora aveva mostrato un’invidiata stabilità al suo interno e la indiscussa capacità di controllare le classi inferiori.
Ancora più problematiche per gli equilibri interni della società spartana sono le ambizioni di personaggi come Lisandro, il principale autore della vittoria, gratificato da una sorta di culto della personalità in molte poleis liberate dal dominio ateniese, ma anche il più insofferente al mantenimento dello status quo all’interno di una comunità chiaramente avversa a qualsiasi spinta individualistica.
Ultimo fattore di debolezza sono i delicati rapporti con la Persia. Il ruolo di quest’ultima nella vittoria su Atene era ben noto a tutti e comportava un costo. Il pagamento, anche se nessuno lo affermava apertamente, consisteva necessariamente nell’abbandono della difesa a oltranza dell’indipendenza delle poleis dell’Asia Minore.
E a questo si giungerà, anche se con percorsi tortuosi. La mancata compattezza degli Spartani e le tensioni dei re con Lisandro, il quale, non facendo parte delle famiglie degli Agiadi o degli Euripontidi, non avrebbe mai potuto accedere alla regalità, viene evidenziata già nel 403 a.C., quando la politica della polis vincitrice nei confronti di Atene mostra chiaramente un contrasto che va tutto a favore della stessa Atene, in grado di recuperare quasi miracolosamente il suo assetto democratico a poco più di un anno dalla resa incondizionata.
Al di là del riconoscimento della vittoria di Sparta e del suo diritto a esercitare un ruolo di guida del mondo greco (ma tra i più insoddisfatti, nell’immediato dopoguerra, si segnalano proprio gli alleati tebani e corinzi), è chiaro che i 27 anni di lotta pressoché ininterrotta non hanno affatto stabilizzato i rapporti reciproci tra le poleis. I conflitti sono destinati a continuare, confermando che lo stato di guerra è, in qualche misura, parte del sistema di equilibrio del mondo greco classico. Non si spiegherebbe altrimenti il motivo per cui le attività belliche riprendano senza apparente soluzione di continuità.
Il maggiore focolaio di tensione è, come accennato, la situazione delle poleis dell’Asia Minore. Morto Ciro il Giovane nel tentativo di spodestare il fratello Artaserse II dal trono (battaglia di Cunaxa, 401 a.C.), viene a mancare l’interlocutore privilegiato di Sparta, e di Lisandro in particolare: quest’ultimo aveva infatti costruito un rapporto di fiducia e amicizia con Ciro. Gli Spartani, pressati da più parti, cercano allora di riprendere la funzione che spetta “storicamente” alle città egemoni: quella di difensori della grecità asiatica. Intraprendono dunque alcune spedizioni in Asia Minore, guidate prima da Tibrone, poi da Dercillida, modestissime nelle dimensioni e nel complesso di scarso impatto. Qualche successo più significativo viene ottenuto con l’arrivo in Asia del re spartano Agesilao, da poco salito al trono e destinato a diventare una delle grandi figure della Grecia del IV secolo a.C.
È a questo punto che i Persiani cercano di fomentare l’opposizione antispartana in Grecia, con la generosa distribuzione di denaro a personaggi influenti (se chiamarla o meno corruzione, è un problema che gli ambienti politici del tempo non si ponevano, o si ponevano solo di tanto in tanto, a seconda delle opportunità). L’incendio, d’altra parte, non era difficile da far scoppiare: alle comprensibili ambizioni ateniesi di recuperare un ruolo di rilievo nella politica greca si univano le forti insoddisfazioni degli ex alleati Tebe e Corinto, insieme alla mai sopita rivalità di Argo nei confronti della città che da sempre le contendeva con successo il primato nel Peloponneso.
Così, a meno di 10 anni dalla fine della guerra del Peloponneso, inizia un’altra guerra generale tra i Greci, che già le fonti antiche chiamano guerra di Corinto (395-386 a.C.), poiché è nel territorio di questa città che si svolge la maggior parte degli scontri. I Persiani ottengono subito lo scopo che si erano prefissi, infatti Agesilao viene precipitosamente richiamato dall’Asia; non altrettanto si può dire della coalizione antispartana, che nel corso del 394 a.C. viene sconfitta due volte di seguito in battaglie campali (a Nemea e a Coronea, quest’ultima ad opera dello stesso Agesilao, appena rientrato), sia pure in modo non decisivo. All’inizio dello stesso anno era intanto morto in uno scontro di poco conto nei pressi della città beotica di Aliarto il grande Lisandro, una morte probabilmente accolta con malcelata soddisfazione da molti spartani. Segue una lunghissima fase di stallo, nella quale nessuna delle forze combattenti ottiene risultati di rilievo.
La guerra di Corinto può però essere vista come terreno di sperimentazioni che avranno compiuta realizzazione solo molti anni dopo: così può essere interpretata la vittoria del giovanissimo comandante ateniese Ificrate contro un reparto di opliti spartani, grazie all’impiego dei peltasti, soldati armati alla leggera originari della Tracia (390 a.C.); o, in campo politico, può essere vista come prefigurazione di assetti futuri l’unione tra le poleis di Argo e Corinto, in un ambizioso e prematuro tentativo – presto rientrato – di dar vita a entità più articolate delle poleis.
Una guerra prolungata finisce per logorare i contendenti, in questo caso a tutto vantaggio dell’impero persiano, che nel 386 a.C. realizza il suo capolavoro diplomatico. Il Gran Re Artaserse II “detta” ai Greci le clausole di una pace generale, che affida nuovamente agli Spartani il ruolo egemone, ma sotto la tutela persiana: è la cosiddetta pace del Re, o di Antàlcida, dal nome dello spartiata che ne seguì più da vicino la stesura. Eccone il testo, quanto meno la versione assai abbreviata che ci riporta Senofonte: “Il re Artaserse ritiene giusto che le città dell’Asia gli appartengano, come pure le isole di Clazomene e di Cipro, e che le altre città greche, piccole e grandi, siano autonome a eccezione di Lemno, Imbro e Sciro, che continueranno ad appartenere ad Atene. A chiunque non accetterà queste condizioni di pace, io muoverò guerra insieme con coloro che invece vi avranno aderito, sia per terra sia per mare, con la mia flotta e con il mio denaro”. L’accordo, come si può notare, è basato sull’affermazione esplicita dell’autonomia delle poleis, un principio di cui si parla molto in quegli anni, soprattutto quando, molto spesso, esso viene calpestato dalle tendenze prevaricatrici delle poleis più importanti.
Sparta, chiamata a svolgere il ruolo di “cane da guardia”, è in realtà la prima a non rispettare il principio. Non manca comunque di immedesimarsi nella parte con notevole arroganza, riducendo alla ragione poleis riottose come Mantinea e Fliunte nel Peloponneso, e riuscendo addirittura, con un colpo di mano del tutto ingiustificabile dal punto di vista diplomatico, a instaurare (382 a.C.) un governo favorevole a Tebe, garantito e supportato da una guarnigione militare di stanza nella Cadmea, l’acropoli della città.
Anche se la pace del Re non la vede vincitrice, non c’è dubbio che i risultati ottenuti da Atene negli anni immediatamente successivi alla resa per fame nella primavera del 404 a.C. siano stupefacenti.
Della restaurata democrazia abbiamo parlato. Certo, dietro la facciata di “sacralità democratica” che nessuno osa più incrinare non mancano le divisioni e le tensioni: nel 399 a.C. il processo a Socrate, condannato a morte per reati che noi chiameremmo “di opinione” da una giuria di 501 cittadini, costituisce una testimonianza drammatica di come i nervi degli ateniesi, a cinque anni dalla fine della guerra, fossero ancora scoperti. Socrate, accusato di corrompere i giovani e di non riconoscere gli dèi della città, era, per molti ateniesi, il maestro di Alcibiade e di Crizia; era una voce “fuori dal coro”, e la sua condanna una dimostrazione di come il popolo ateniese ritenesse lecito, e doveroso, sindacare sulla condotta privata e persino sulle idee dei cittadini in materia religiosa ed educativa. Un quadro da un certo punto di vista inquietante, ma che deve essere inserito in un contesto che non è il nostro, e non soppesato secondo anacronistici metri di giudizio. Dal punto di vista militare, nel 393 a.C. si procede già alla ricostruzione, fondamentale dal punto di vista psicologico, delle Lunghe Mura che collegavano Atene al Pireo. Atene ottiene questo insperato risultato grazie ai buoni rapporti che uno dei suoi più noti generali, Conone, aveva intessuto con i Persiani, diventandone ammiraglio della flotta con la quale vengono sconfitti gli Spartani (la cui flotta era stata costruita anch’essa con il denaro persiano!) nella battaglia di Cnido (394 a.C.). In un clima di ritrovata fiducia, è inevitabile che risorgano ambizioni egemoniche in quella che era stata la più grande potenza del Mediterraneo durante il secolo precedente. Lo strumento politico di queste ritrovate velleità è la Lega fondata nel 377 a.C., a un secolo esatto di distanza dalla fondazione della Lega di Delo.
Atene, nel pieno rispetto delle clausole della pace del Re, propone un’alleanza di poleis su un piano paritario, facendo esplicito riferimento al divieto di prevaricare gli alleati. Le contribuzioni che ciascun membro della lega deve fornire vengono chiamate syntaxeis, termine che sostituisce il phoros del V secolo a.C., evocatore di scenari di subordinazione, a dimostrazione di come anche nella Grecia antica le parole tendano a usurarsi. Fatto sta che l’intelligenza diplomatica degli ambasciatori ateniesi, il timore e la delusione nei confronti di Sparta, nonché un’effettiva correttezza delle norme statutarie contenute nel decreto di fondazione, consentono alla lega di raccogliere, già nei primi anni, un buon numero di adesioni: ne faranno parte infatti tra 50 e 70 poleis.
Il vero problema che Atene deve affrontare è di natura economica. Armare una flotta, necessario strumento per riacquistare la superiorità militare, ha un costo enorme, che, non potendo essere sostenuto dagli alleati, implica un coinvolgimento delle classi abbienti ateniesi, risparmiate da ogni contribuzione nel secolo d’oro dell’impero. Le tassazioni sono formalmente volontarie, stante la repulsione di ogni polis antica per un sistema di tassazione diretta. Nondimeno, il peso per i plousioi, i ricchi, si fa presto gravoso. E molti di essi si chiedono se non sia più opportuno rinunciare a una politica imperialistica e aggressiva, i cui benefici ricadono sul popolo e i costi, appunto, sulle classi abbienti.
Le ambizioni ateniesi subiscono un durissimo colpo già prima dell’ascesa del regno di Macedonia sotto Filippo, con la cosiddetta guerra sociale (cioè dei socii, vale a dire degli alleati, 357-355 a.C.), quando i principali alleati facenti parte della lega si ribellano ai soprusi ateniesi, sempre più evidenti nonostante i buoni propositi iniziali, e sconfiggono la flotta ateniese a Embata (356 a.C.). La democrazia non ha più i mezzi per perseguire una politica ambiziosa; e, mentre l’intelligente Eubulo in quegli anni interpreta correttamente gli eventi, facendosi fautore di una politica non aggressiva, tendente a risanare le disastrate finanze, i tempi stanno per cambiare, molto più di quanto i contemporanei non immaginino.
Una delle chiavi di lettura del primo cinquantennio del IV secolo è la nozione di policentrismo, che si sostituisce al ben noto dualismo Sparta/Atene. Abbiamo già visto le ambizioni di Argo, di cui molti hanno letto l’unione con Corinto come un tentativo di inglobare la gloriosa città dell’istmo, allo scopo di realizzare uno stato veramente molto grande per gli standard dell’epoca (Argo era già, da sola, una delle più popolate poleis della Grecia, probabilmente la terza dopo Atene e Sparta: e ai problemi demografici di quest’ultima abbiamo già fatto cenno).
Ma la polis che ottiene i maggiori successi è proprio quella che gli altri Greci vedevano con grande sospetto, per il suo comportamento di tanto tempo prima, durante le guerre persiane: Tebe, la cui ascesa si realizza insieme a uno sforzo coerente e tutto sommato fortunato di realizzare un’unione federale di tutta la Beozia; un tentativo anch’esso di grande importanza, se visto nella prospettiva di un superamento dell’impasse politico della polis.
Tebe si libera rapidamente (nel 379 a.C.) della guarnigione spartana installata tre anni prima e mostra un notevole dinamismo grazie a un governo sostanzialmente democratico, ma legato strettamente a due figure di uomini politici e comandanti militari di grande spessore: Pelopida ed Epaminonda. L’ascesa di Tebe porta a un riavvicinamento tra Sparta e Atene. Numerosi sono i tentativi di pervenire alla pace generale (il concetto di koinè eirene, pace comune, è molto in voga in quegli anni, anche se più nella teoria che nella pratica); ma la pretesa da parte di Tebe di rappresentare anche le comunità della Beozia la pone decisamente in contrasto con Sparta e con le altre poleis (anche se, in realtà, nessuno contestava il diritto di Sparta di dominare sui Messeni e su buona parte del Peloponneso).
Durante un consesso riunito a Sparta nel 371 a.C. per cercare ancora una volta di rinnovare la pace del Re, la tensione sfocia finalmente in rottura aperta: Tebe pretende di firmare a nome della Lega beotica e Sparta decide di punirne una volta per tutte l’arroganza. Il re Cleombroto risale il Peloponneso, penetra in Beozia, ma viene clamorosamente sconfitto dall’esercito tebano guidato da Epaminonda, presso Leuttra.
È una vittoria che desta una sensazione di incredulità nel mondo greco, le cui comunità condividevano, quasi come un dogma religioso, la convinzione dell’invincibilità di Sparta nelle battaglie di terra. Inizia con Leuttra il breve periodo della cosiddetta egemonia tebana. Tebe, durante questi anni, ottiene il risultato di distruggere definitivamente le basi del dominio spartano: Epaminonda scende varie volte nel Peloponneso, giungendo a minacciare da vicino la città, i cui abitanti non avevano mai visto un esercito nemico calpestare il loro territorio. Gli Arcadi si dividono e, almeno in parte, si liberano della tutela spartana; e, soprattutto, i Messeni ritrovano la loro libertà, dopo una schiavitù plurisecolare: la fondazione della città di Messene (369 a.C.) è un evento – non solo simbolico – di enorme importanza, dopo il quale, in effetti, Sparta non si riprenderà più, anche se otterrà ancora qualche sporadico successo. Ma non altrettanto fortunato è il tentativo tebano di instaurare un’egemonia duratura. Mai amata dagli altri Greci, non “ideologizzata” (Tebe favoriva ora governi democratici ora oligarchici, in un’ambiguità figlia della sua stessa costituzione politica non chiaramente orientata), non ricca di risorse umane, la città si reggeva soprattutto sulla debolezza delle avversarie e sulle capacità militari dello stesso Epaminonda; quando, nel 362 a.C., nella piana di Mantinea, Spartani, Ateniesi e alleati si scontrano nuovamente con i Tebani e i loro alleati. Il condottiero tebano muore sul campo, mentre sta per cogliere una nuova vittoria. Finisce con lui il periodo d’oro della sua città; come dice Senofonte alla fine delle sue Elleniche, dopo la battaglia la confusione e il disordine furono più grandi di prima. Nuove forze, che avrebbero cambiato le regole del gioco, stavano per emergere.