Contraddittorio e giusto procedimento
La questione del rilievo da attribuire al contraddittorio tra contribuente e amministrazione finanziaria nella fase del procedimento di accertamento è stata oggetto, nel corso del 2014, di un notevole e interessante approfondimento da parte della giurisprudenza della Corte di cassazione, a seguito della benefica spinta data all’argomento dalla sentenza delle Sezioni Unite 29.7.2013, n. 18184, la quale ha dato il via ad una ampia riflessione sul tema, di importanza fondamentale al fine di delineare un rapporto tra fisco e contribuente ispirato a quel giusto equilibrio che contemperi l’esigenza di far sì che ciascuno concorra alla spesa pubblica in ragione della propria capacità contributiva con quella della salvaguardia dei principi di civiltà giuridica che devono improntare i rapporti tra autorità e cittadino. Nel contributo che segue si dà conto dello stato della giurisprudenza e delle problematiche ancora non ben definite o non affrontate.
L’art. 12 l. 27.7.2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), rubricato «Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali», dispone, al co. 7, che: «Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impostori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza».
La questione sottoposta all’esame delle Sezioni Unite consisteva nello stabilire se l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento costituisca, nel silenzio della norma, una mera irregolarità sostanzialmente priva di conseguenze esterne, ovvero dia luogo, ad eccezione di casi di «particolare e motivata urgenza», ad un vizio di legittimità dell’atto emesso ante tempus, che può essere fatto valere dal contribuente al fine di ottenere, per ciò solo, in sede contenziosa, l’annullamento dell’atto.
Con la sentenza 29.7.2013, n. 181841, le Sezioni Unite sono pervenute alla seconda soluzione, sulla base dei seguenti passaggi argomentativi:
a) la norma è inserita nello Statuto dei diritti del contribuente, il cui art. 1, com’è noto, stabilisce, al co. 1, che «le disposizioni della presente legge, in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali»: anche se è consolidato il principio secondo il quale alle norme statutarie non può essere attribuito, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria, tuttavia alla specifica clausola rafforzativa di autoqualificazione delle disposizioni stesse come attuative delle norme costituzionali richiamate e come «principi generali dell’ordinamento tributario» non può non essere attribuito un preciso valore normativo, cioè il significato di «principi generali del diritto, dell’azione amministrativa e dell’ordinamento tributario», con riferimento, in primo luogo, a quelle disposizioni statutarie che dettano norme volte ad assicurare la trasparenza e il buon andamento dell’attività amministrativa e ad orientare in senso garantistico tutta la prospettiva costituzionale del diritto tributario;
b) nell’ambito delle norme statutarie, l’art. 12 assume una rilevanza del tutto peculiare, in ragione del suo oggetto (Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali) e delle finalità perseguite: l’incipit del co. 7, nel richiamare il «rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente», qualifica chiaramente la norma come espressiva dei principi di «collaborazione» e «buona fede», i quali, ai sensi del precedente art. 10, co. 1, devono improntare i rapporti tra contribuente e fisco e vanno considerati (analogamente al principio di tutela dell’affidamento, più specificamente contemplato nel co. 2 dello stesso art. 10) quali diretta applicazione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.), di capacità contributiva (art. 53) e di uguaglianza, intesa sotto il profilo della ragionevolezza (art. 3), e quindi, in definitiva, come fondamenti dello Stato di diritto e canoni di civiltà giuridica;
c) la norma introduce nell’ordinamento una particolare e concreta forma di «collaborazione» tra amministrazione e contribuente, attraverso la previsione di un termine dilatorio dalla chiusura delle operazioni di verifica, prima della cui scadenza, salvo «casi di particolare e motivata urgenza», l’atto impositivo «non può essere emanato»: tale intervallo temporale è destinato a favorire l’interlocuzione tra le parti anteriormente alla (eventuale) emissione del provvedimento, e cioè il contraddittorio procedimentale;
d) quest’ultimo è andato assumendo, in giurisprudenza, in dottrina e nella stessa legislazione, proprio con specifico riferimento alla materia tributaria, un valore sempre maggiore, quale strumento diretto non solo a garantire il contribuente,ma anche ad assicurare il migliore esercizio della potestà impositiva, il quale, nell’interesse anche dell’ente impositore, risulta tanto più efficace, quanto più si rivela conformato ed adeguato – proprio in virtù del dialogo tra le parti, ove possibile – alla situazione del contribuente, con riflessi positivi anche in termini di deflazione del contenzioso (o, ancor prima, nel senso di indurre l’amministrazione ad astenersi da pretese tributarie ritenute alfine infondate);
e) in ambito giurisprudenziale vanno ricordate, principalmente, la pronuncia della C. giust., 18.12.2008, C-349/07, Sopropè c. Fazenda Pública (con la quale, sia pure in materia di tributi doganali, ma con evidenti riflessi di ordine generale, è stato valorizzato il principio della partecipazione del contribuente – il quale «deve essere messo in condizione di far valere le proprie osservazioni» – a procedimenti in base ai quali l’amministrazione si proponga di adottare nei suoi confronti un atto di natura lesiva), e la sentenza della Cass., S.U., 18.12.2009, n. 26635 (con la quale, in tema di accertamento «standardizzato», è stato affermato che il contraddittorio deve ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa, con conseguente nullità – non esplicitamente comminata – degli avvisi di accertamento emessi con il metodo dei «parametri» o degli studi di settore, in assenza di previa attivazione del contraddittorio con il contribuente);
f) in conclusione, l’inosservanza del termine dilatorio in esame, in assenza di qualificate ragioni di urgenza, non può che determinare l’invalidità dell’avviso di accertamento emanato prematuramente, quale effetto del vizio del relativo procedimento, costituito dal non aver messo a disposizione del contribuente l’intero lasso di tempo previsto dalla legge per garantirgli la facoltà di partecipare al procedimento stesso, esprimendo le proprie osservazioni (che l’Ufficio è tenuto a valutare), cioè di attivare, e coltivare, il contraddittorio procedimentale: la «sanzione» della invalidità dell’atto conclusivo del procedimento, pur non espressamente prevista, deriva ineludibilmente dal sistema ordinamentale, comunitario e nazionale, nel quale la norma opera e, in particolare, dal rilievo che il vizio del procedimento si traduce, nella specie, in una divergenza dal modello normativo non certo innocua o di lieve entità, bensì di particolare gravità, in considerazione della rilevanza della funzione, di diretta derivazione da principi costituzionali, cui la norma stessa assolve e della forza impediente, rispetto al pieno svolgimento di tale funzione, che assume il fatto viziante.
Nel corso del 2014 sono intervenute alcune pronunce che hanno, da un lato, precisato l’ambito applicativo del co. 7 dell’art. 12, e, dall’altro, esaminato la possibilità di estendere il principio affermato dalle Sezioni Unite, e, quindi, la sanzione di invalidità dell’atto, a fattispecie diverse da quella contemplata da detta norma.
Altre pronunce hanno affrontato il tema – che fuoriesce tuttavia dall’oggetto del presente contributo – della individuazione delle ragioni di urgenza idonee ad esonerare l’amministrazione dal rispetto del termine dilatorio2.
2.1 L’ambito applicativo dell’art. 12, co. 7, dello Statuto
La prima questione che si è posta è quella relativa a cosa debba intendersi per «verbale di chiusura delle operazioni», dalla cui consegna decorre il termine dilatorio: se, cioè, occorra il rilascio di un «verbale di constatazione», con esito, cioè, positivo (ossia con rilievi a carico del contribuente), o se sia sufficiente la redazione di un verbale di mero accesso e acquisizione di documenti nei locali destinati all’esercizio dell’attività del contribuente.
La giurisprudenza si è orientata da subito nel secondo senso, con le sentenze 11.9.2013, n. 20770, e 5.2.2014, n. 2593: in entrambe si è precisato che nel processo verbale di accesso non devono necessariamente essere formulati rilievi o addebiti e pertanto la mancata redazione del verbale non è giustificata dal fatto che in sede di accesso sia stata svolta una mera richiesta di documentazione.
La trattazione del tema più approfondita è stata poi effettuata con le sentenze 7.3.2014, n. 5373 e n. 5374. La Corte ha osservato che l’ordinamento tributario conosce distinzioni tra diversi tipi di verbali, sia quello «di ogni accesso», da cui «risultino le ispezioni e le rilevazione eseguite» (art. 56 d.P.R. 26.10.1972, n. 633, in tema di IVA, richiamato, per le imposte sui redditi, dall’art. 33 d.P.R. 29.9.1973, n. 600, e, per l’imposta di registro, dall’art. 53 bis d.P.R. 26.4.1986, n. 131), sia il «verbale di constatazione», disciplinato sin dall’art. 24 l. 7.1.1929, n. 4, cioè di rilevazione obiettiva delle violazioni delle norme finanziarie. Ne ha tratto la conclusione che l’utilizzazione nell’art. 12 di una espressione generica e descrittiva, pur a fronte di più tipologie normative di verbali, è significativa della volontà di attribuire rilievo anche a verbali meramente istruttori che concludano le operazioni di accesso, ispezione o verifica nei locali suddetti, in conformità alla ratio della norma, volta a tutelare, già nella fase di indagine, l’interesse di entrambe le parti, attraverso un modulo partecipativo basato su un canone di lealtà reciproca.
L’altra questione su cui la Corte è stata chiamata a pronunciarsi è se la norma in discussione si applichi nei soli casi in cui si è verificato un accesso nei locali in cui il contribuente esercita la sua attività, oppure anche nelle ipotesi di verifiche o controlli eseguiti negli uffici (“a tavolino”), sulla base di documentazione trasmessa dal contribuente. L’orientamento, basato sul dato testuale, è nel primo senso. A parte un breve cenno nella sentenza 19.12.2013, n. 28390, la Corte, con la sentenza 2.4.2014, n. 7598, ha osservato che la ragione di tale limite applicativo sta nell’esigenza specifica di dare spazio al contraddittorio in funzione di contrappeso all’invasione della sfera del contribuente, nei luoghi di sua pertinenza.
Ha aggiunto che, quando il legislatore ha inteso estendere l’ambito del principio ai controlli effettuati direttamente in ufficio, l’ha espressamente stabilito, come avvenuto, in materia doganale, ad opera dell’art. 11, co. 4-bis, d.lgs. 8.11.1990, n. 374 (comma introdotto dall’art. 92 d.l. 24.1.2012, n. 1, conv.mod. l. 24.3.2012, n. 27).
L’indirizzo è stato ribadito con l’ordinanza 13.6.2014, n. 13588, nella quale si è puntualizzato che, mentre nell’ipotesi di controllo presso la sede del contribuente l’espansione della tutela del contraddittorio è massima al fine di bilanciare lo squilibrio derivante dall’assoggettamento del contribuente ai poteri ispettivi dell’Amministrazione, nel secondo caso, cioè di controllo “a tavolino”, la naturale vis espansiva dell’istituto del contraddittorio procedimentale non giunge fino al punto da imporre termini dilatori all’azione di accertamento.
2.2 I riflessi su altre norme procedimentali
La Corte si è poi trovata a risolvere questioni attinenti al valore e alla portata “esterna” del disposto dell’art. 12, co. 7, in esame, cioè a valutare se e in che misura esso costituisca espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario e possieda, quindi, una capacità estensiva idonea a condurre ad analoghe conclusioni in altre fattispecie di accertamento fiscale.
La risposta è stata negativa in materia di cd. accertamento standardizzato, basato sull’applicazione di parametri o studi di settore.
Con la sentenza 4.4.2014, n. 7960, la Corte, pur riconoscendo al principio affermato dalle Sezioni Unite una naturale forza espansiva, ha osservato che la procedura di accertamento standardizzato già prevede, anche in virtù di Cass., S.U., n. 26635/2009, una fase di contraddittorio procedimentale alla quale il contribuente deve essere obbligatoriamente invitato, a pena di nullità dell’accertamento, e della quale l’Ufficio deve dare conto – salvo che il contribuente non abbia aderito all’invito – nella motivazione dell’atto impositivo: la partecipazione e l’interlocuzione del contribuente nella fase anteriore all’emissione dell’atto è quindi già pienamente garantita e pretendere un ulteriore termine dilatorio tra la conclusione di detta fase e l’emanazione dell’atto non trova alcuna razionale giustificazione.
Di notevole interesse è la sentenza 4.7.2014, n. 15311. La Corte ha ritenuto che l’omissione della comunicazione dell’esito del controllo formale della dichiarazione dei redditi, con l’indicazione deimotivi che hanno dato luogo alla rettifica della dichiarazione stessa, comunicazione prescritta dall’art. 36 ter, co. 4, d.P.R. n. 600/1973 «per consentire anche la segnalazione di eventuali dati ed elementi non considerati o valutati erroneamente in sede di controllo formale entro i trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione», comporta la nullità della cartella di pagamento emessa all’esito del procedimento.
Ha osservato il Collegio che:
a) l’art. 6 dello Statuto dei diritti del contribuente prevede la nullità della cartella emessa a seguito della liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione, in assenza di previo invito al contribuente a fornire i chiarimenti necessari o a fornire i documenti mancanti, solo «qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti» della dichiarazione; tuttavia, l’attività di controllo formale disciplinata dal citato art. 36 ter è più incisiva e pregnante di quella, di pura liquidazione sulla base di un controllo cartolare “chiuso”, basato sui dati allegati dal contribuente, di cui al precedente art. 36 bis;
b) ne discende che la evidente e rilevante funzione di garanzia del contraddittorio svolta dalla comunicazione prevista nel co. 4 dell’art. 36 ter fa sì che, alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite, anche in questo caso la sanzione di invalidità dell’atto conclusivo del procedimento viziato da tale omissione, pur non espressamente comminata, deriva ineludibilmente dal sistema ordinamentale.
Di interesse ancor maggiore, per la autorevolezza della fonte, sono le sentenze delle Sezioni Unite 18.9.2014, n. 19667 e n. 19668.
Premesso che la pretesa tributaria trova legittimità nella formazione procedimentalizzata di una “decisione partecipata” mediante la promozione del contraddittorio tra amministrazione e contribuente anche nella fase “endoprocedimentale” e che il diritto al contraddittorio, ossia il diritto del destinatario del provvedimento ad essere sentito prima dell’emanazione di questo, realizza l’inalienabile diritto di difesa del cittadino e il buon andamento dell’amministrazione (artt. 24 e 97 Cost.), è stato affermato il principio in virtù del quale l’iscrizione ipotecaria di cui all’art. 77 d.P.R. 29.9.1973, n. 602 (atto impugnabile dinanzi al giudice tributario ai sensi dell’art. 19, co. 1, lett. e-bis, d.lgs. 31.12.1992, n. 546, nel testo modificato dal d.l. 4.7.2006, n. 223, conv. mod. dalla l. 4.8.2006, n. 248) deve essere preceduta, a pena di nullità, da una comunicazione al contribuente, concedendo a quest’ultimo un termine – che, per coerenza con altre analoghe previsioni normative, va individuato in trenta giorni – perché egli possa esercitare il proprio diritto di difesa, presentando osservazioni, o provvedere al pagamento del dovuto.
In ordine a queste ultime pronunce, sorge il dubbio se anche nelle fattispecie indicate non debba valere la clausola di salvaguardia consistente nell’esistenza di ragioni di particolare urgenza, prevista dall’art. 12, co. 7, cit.
Come s’è visto, il tema è in fase di evoluzione e tutto è reso più complicato dalla estrema e ben nota disomogeneità della normativa tributaria, caratterizzata quasi sempre da interventi di dettaglio privi di una visione d’insieme.
Ora, con la l. 11.3.2014, n. 23 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita), il legislatore sembra aver intrapreso la strada giusta, avendo previsto, tra i principi e criteri direttivi, la «tendenziale uniformità della disciplina riguardante le obbligazioni tributarie» e «dei poteri in materia tributaria e delle forme e modalità del loro esercizio, anche attraverso la definizione di una disciplina unitaria della struttura, efficacia ed invalidità degli atti dell’amministrazione finanziaria e dei contribuenti» (art. 1, co. 1, lett. a-c).
Per quanto concerne, poi, il tema in esame, la legge delega prevede il «fine di agevolare la comunicazione con l’amministrazione finanziaria in un quadro di reciproca e leale collaborazione, anche attraverso la previsione di forme di contraddittorio propedeutiche all’adozione degli atti di accertamento dei tributi» (art. 1, co. 1, lett. b) e, più specificamente, quello di «rafforzare il contraddittorio nella fase di indagine e la subordinazione dei successivi atti di accertamento e di liquidazione all’esaurimento del contraddittorio procedimentale» (art. 9, co. 1, lett. b; analogo principio direttivo è previsto nell’art. 5 in materia di disciplina dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale).
In attesa dell’approvazione dei decreti delegati, allo stato attuale della legislazione e della giurisprudenza si possono svolgere le seguenti brevi osservazioni.
Non v’è dubbio che l’intero sistema si va evolvendo nel senso di favorire e valorizzare sempre più, anche sul piano degli effetti, l’interlocuzione del contribuente nella fase anteriore alla emissione degli atti impositivi.
Senza presunzione di completezza, si possono innanzitutto riepilogare i casi in cui è prevista, dallo stesso legislatore o a seguito di intervento dell’interprete, la invalidità dell’atto in caso di violazione del contraddittorio procedimentale.
Lo Statuto dei diritti del contribuente commina espressamente la nullità per gli atti di liquidazione delle imposte in base alla dichiarazione «qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti» della dichiarazione, in assenza di invito al contribuente a fornire chiarimenti (art. 6, co. 5); e, in caso di accesso nei locali in cui il contribuente svolge la propria attività, è stabilito, come s’è visto, salvo ipotesi di urgenza, il rispetto di un termine di sessanta giorni prima dell’emissione dell’avviso, a pena di nullità, in virtù della citata Cass., S.U., n. 18184/2013 (art. 12, co. 7).
La mancata comunicazione al contribuente di cui all’art. 36 ter, co. 4, del d.P.R. n. 600/1973 comporta, secondo Cass., n. 15311/2014, la nullità della cartella di pagamento.
L’art. 37 bis del menzionato d.P.R. n. 600/1973, in tema di disposizioni antielusive, commina, al co. 4, la nullità dell’avviso di accertamento emanato senza previa richiesta di chiarimenti al contribuente, da inviare per iscritto entro sessanta giorni (la norma è stata oggetto, proprio nella parte in cui prevede la nullità
dell’avviso emesso senza invito, di questione di legittimità costituzionale: Cass., 5.11.2013, n. 24739).
In ipotesi di accertamento standardizzato, cioè effettuato mediante applicazione di parametri o studi di settore, l’attivazione del contraddittorio con il contribuente è stabilita a pena di nullità dell’avviso di accertamento, in virtù di Cass., S.U., n. 26635/2009.
In materia doganale, l’art. 11, co. 4-bis, d.lgs. n. 374/1990 (comma aggiunto dall’art. 92 d.l. n. 1/2012, conv. l. n. 27/2012) ha stabilito, in tema di procedura di revisione dell’accertamento e con espresso richiamo all’art. 12 dello Statuto del contribuente, un termine dilatorio di 30 giorni per consentire all’operatore interessato di comunicare osservazioni e richieste, che l’Ufficio deve valutare prima dell’emissione dell’avviso di rettifica, e ciò anche in caso di revisione “eseguita in ufficio” (e non sembra dubbio che la violazione del termine comporti nullità dell’accertamento, in base alla ratio di Cass., S.U., n. 18184/2013).
L’iscrizione ipotecaria di cui all’art. 77 d.P.R. n. 602/1973 deve essere preceduta, a pena di nullità, in virtù di Cass., S.U., nn. 19667 e 19668/2014, da una comunicazione al contribuente affinché quest’ultimo possa, entro trenta giorni, presentare osservazioni o provvedere al pagamento del dovuto.
Esistono poi altre norme che prevedono l’obbligo dell’Ufficio di instaurare il contraddittorio con il contribuente, senza tuttavia stabilire le conseguenze della violazione dell’obbligo medesimo.
È sufficiente ricordare l’art. 38 d.P.R. n. 600/1973, come modificato dal d.l. 31.5.2010, n. 78 (conv. mod. dalla l. 30.7.2010, n. 122), il quale prevede, in tema di determinazione sintetica del reddito, che l’Ufficio «ha l’obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento e, successivamente, di avviare il procedimento di accertamento con adesione ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218» (co. 7).
È da chiedersi, pertanto, in casi come questo, se tale assenza di sanzione in ipotesi d’inosservanza dell’obbligo posto a carico dell’Ufficio sia compatibile con il sistema e se, in caso negativo, la lacuna sia colmabile in via interpretativa.
Inoltre, vi sono varie disposizioni che prevedono solo la facoltà dell’amministrazione di informare o sentire il contribuente durante la fase di indagine (cfr., ad es., gli artt. 32 e 33 d.P.R. n. 600/1973 e l’art. 51 d.P.R. n. 633/1972, in materia di IVA).
È importante, infine, segnalare due recenti sentenze della Corte di giustizia UE.
Con la prima, del 22.10.2013, C-276/12, Jiří Sabou c. Finanční ředitelství pro hlavní město Prahu, in tema di assistenza reciproca tra le autorità degli Stati membri in materia di imposte dirette, la Corte, dopo aver ribadito che il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, che trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto lesivo, per cui tale soggetto deve essere messo in condizione di manifestare utilmente il suo punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione (punto 38), ha deciso che il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che esso non conferisce al contribuente di uno Stato membro il diritto di essere informato della richiesta di assistenza inoltrata da tale Stato a un altro Stato membro.
Ha precisato, al riguardo, che occorre distinguere, nell’ambito dei procedimenti di controllo fiscale, la fase d’indagine nel corso della quale vengono raccolte le informazioni e che comprende la richiesta d’informazioni da parte di un’amministrazione fiscale ad un’altra, dalla fase contraddittoria, tra l’amministrazione fiscale e il contribuente cui essa si rivolge, la quale inizia con l’invio a quest’ultimo di una proposta di rettifica (punto 40); e che l’amministrazione, quando procede alla raccolta d’informazioni, non è tenuta a informarne il contribuente né a conoscere il suo punto di vista (punto 41), fermo rimanendo, tuttavia, che nulla impedisce a uno Stato membro di estendere il diritto al contraddittorio ad altri momenti della fase d’indagine (punto 45).
È importante notare che la Corte individua comunque, oltre alla fase d’indagine, una fase contraddittoria, caratterizzata dall’invio al contribuente di una «proposta di rettifica».
La seconda pronuncia è del 3.7.2014, C-129/13 e C-130/13, in cause riunite Kamino eDetema c. Staatssecretaris van Financiën, in tema di recupero a posteriori di dazi doganali (citata dalle menzionate Cass., S.U., nn. 19667/2014 e 19668/2014). Si trattava di stabilire se il principio del rispetto del diritto per ogni persona di essere sentita prima dell’adozione di un provvedimento individuale lesivo deve essere interpretato nel senso che i diritti della difesa del destinatario di un’intimazione di pagamento emessa nell’ambito di un procedimento di recupero a posteriori di dazi doganali all’importazione, in applicazione del codice doganale, sono violati se questi non è stato sentito dall’amministrazione antecedentemente all’adozione della decisione, benché possa fare valere la sua posizione in una successiva fase di reclamo amministrativo.
La Corte, richiamati nuovamente i principi generali in tema di diritti fondamentali, quale il diritto di difesa durante il procedimento amministrativo e prima dell’adozione di qualsiasi decisione lesiva (punto 39), aggiunge che tuttavia, secondo una giurisprudenza parimenti costante, tali diritti fondamentali non appaiono come prerogative assolute, ma possono soggiacere a restrizioni, a condizione che queste rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti (punto 42).
Ciò posto, la Corte, preso atto della brevità dei termini stabiliti per la contabilizzazione dei dazi da riscuotere (di regola, due giorni) e l’impossibilità, per uno Stato membro, di non adempiere l’obbligo di accertare, entro i termini previsti dal diritto dell’Unione, i diritti di quest’ultima sulle risorse sue proprie, ha concluso nel senso che «il principio del rispetto dei diritti della difesa e, segnatamente, il diritto di ogni persona di essere sentita prima dell’adozione di un provvedimento individuale lesivo, devono essere interpretati nel senso che, quando il destinatario di un’intimazione di pagamento adottata a titolo di un procedimento di recupero a posteriori di dazi doganali all’importazione, in applicazione del codice doganale, non è stato sentito dall’amministrazione prima dell’adozione di tale decisione, i suoi diritti della difesa sono violati quand’anche abbia la possibilità di fare valere la sua posizione nel corso di una fase di reclamo amministrativo ulteriore, se la normativa nazionale non consente ai destinatari di siffatte intimazioni, in mancanza di una previa audizione, di ottenere la sospensione della loro esecuzione fino alla loro eventuale riforma. È quanto avviene, in ogni caso, se la procedura amministrativa nazionale che attua l’articolo 244, secondo comma, del codice doganale, limita la concessione di siffatta sospensione allorché vi sono motivi di dubitare della conformità della decisione impugnata alla normativa doganale, o si debba temere un danno irreparabile per l’interessato».
1 La sentenza è stata oggetto dei seguenti principali commenti: Azzoni, V., Sessanta e non più sessanta: la violazione del termine dilatorio dello Statuto dei diritti del contribuente costituisce un vizio invalidante dell’accertamento?, in Boll. trib., 2013, 1432 ss.; Del Torchio, F., Contraddittorio preventivo e ragioni di motivata urgenza, ibidem, 1434 ss.; Perrucci,U., La sanzione dell’invalidità dell’avviso di accertamento emesso anticipatamente rispetto al termine dilatorio di 60 giorni di cui all’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente alla luce della recente sentenza delle sezioni unite della Suprema Corte, ibidem, 1436 ss.; Carbone, V., a cura di, Statuto del contribuente. Diritti e garanzie di chi è sottoposto a verifiche fiscali, in Giur.it., 2013, 1727 ss.; Tabet, G., Spunti controcorrente sulla invalidità degli accertamenti ante tempus, in Riv. giur. trib., 2013, 843 ss.; Tesauro, F., In tema di invalidità dei provvedimenti impositivi e di avviso di accertamento notificato ante tempus, in Rass. trib., 2013, 1129 ss.; Tundo, F., Illegittimo l’atto impositivo emesso ante tempus: le sezioni unite chiudono davvero la questione?, in Corr. trib., 2013, 2825 ss.; Turis, P., Nullo accertamento emesso prima del decorso di sessanta giorni dalla consegna del p.v.c., in Il Fisco, 2013, 4980 ss.; Renda, A., Contraddittorio endoprocedimentale e invalidità dell’atto impositivo notificato ante tempus: le sezioni unite e la prospettiva del bilanciamento dei valori in campo, in Dir. prat. trib., 2014, II, 11 ss.
2 Cfr. es. Cass., 5.2.2014, n. 2587 e n. 2592; Cass., 30.4.2014, n. 9424; Cass., 2.7.2014, n. 15034. Per una panoramica complessiva della giurisprudenza di legittimità successiva alla pronuncia delle Sezioni Unite, cfr. Fransoni, G., L’art. 12 u.c. dello Statuto, la Cassazione e il tally-ho, in Rass. trib., 2014, 598 ss.