CONTRAPPUNTO (med. lat. contrapunctus, da punctus contra punctum: fr. contrepoint; sp. contrapunto; ted. Kontrapunkt; ingl. counterpoint)
Termine usato per la prima volta da Giovanni de Muris nel'300 (dall'atto di combinare i suoni indicati dalle note: punto contro punto) e che oggi vale: arte di combinare con una data melodia (canto dato) una o più altre melodie contemporanee più o meno indipendenti, che si dicono contrappunti al canto dato. Per es.:
Sopra il tema A di Giovanni Legrenzi, G. S. Bach ha contrappvntato il tema B per farne una fuga a due temi, per organo.
Il contrappunto è doppio quando le melodie sono tali da potersene invertire la posizione reciproca, cioè portare all'acuto la voce grave e viceversa, come nella coppia di temi citata or ora, e come nel seguente esempio (risposta al tema e contrassoggetto) d'una fuga tratta dalle 12 Sonate d'intavolatura di Cembalo o d'Organo di G. B. Martini.
Il contrappunto doppio si dice all'8ª, alla 10ª, alla 12ª, secondo che lo spostamento può essere fatto all'uno o all'altro degl'intervalli indicati, ed è artificio di grande importanza, perché permette di adoperare le varie melodie contrappuntate con diverse disposizioni di voci e di strumenti (perciò, soggetto e contrassoggetto della fuga devono essere in contrappunto doppio).
Fino a tutto il sec. XVI il contrappunto fu la base di tutta la musica artistica, che, nell'intenzione dei compositori, era sovrapposizione e intreccio di melodie, senza deliberate intenzioni d'ordine armonistico (il concetto d'armonia maturò soltanto fra il Cinque e il Seicento). In questo primo periodo le voci si componevano l'una dopo l'altra, con quella che oggi si dice visione orizzontale (cioè in prevalenza lineare) della musica. Col sec. XVII si concretò il criterio dell'armonia e dell'accordo, e il contrappunto passò, in un secondo periodo, in condizioni nuove e ormai inevitabili: il canto dato (melodia di base) si considera nel suo significato armonico (cioè nel suo pieno valore musicale), e il contrappunto che vi s'intesse attorno è condizionato alle combinazioni e alla logica dell'armonia (visione verticale). Quindi le voci si scrivono tutte assieme, con deliberate intenzioni armoniche. Nell'arte odierna, nonostante il grande sviluppo (artistico e teorico) dell'armonia, il contrappunto non solo continua a essere parte vitale della musica, ma viene di nuovo concepito in senso lineare, quale sovrapposizione e intreccio di melodie anche tra loro estranee, sia dal lato melodico, sia dall'armonico.
In realtà contrappunto e armonia sono inseparabili. Difatti, benché nel primo periodo (fino al '500) fosse preciso scopo combinare belle linee melodiche indipendenti, già allora non si poteva non considerare gl'intervalli risultanti della coincidenza delle varie voci, distinguendo, almeno fino dal sec. XII, l'importanza delle combinazioni situate in tempo forte da quelle in tempo debole. Sicché, pur senza avere ancora il concetto dell'armonia, il contrappunto non poteva non fondarsi su rapporti armonici, condizionatamente al ritmo; ciò che confessa l'inseparabilità di tutti gli elementi costitutivi della musica.
L'evoluzione del contrappunto fino a tutto il Cinquecento si può dire un continuo sviluppo del valore dell'armonia nell'intreccio delle melodie formanti il contrappunto. Esso è, per quanto si sa, d'origine vocale (finora sono ignoti i rapporti fra il sorgere della polifonia medievale e l'eterofonia greca: v. grecia), e successivannente, attraverso i secoli, quasi tutte le forme di contrappunto passano dalle voci agli strumenti. Prima origine è l'abitudine (non si sa quanto antica) d'eseguire a più voci il canto gregoriano; difatti l'organum, che Guido d'Arezzo (morto nel 1050?) diceva già antico, conteneva ormai i germi del contrappunto, che esisteva di fatto in quello che fino a tutto il 1200 si diceva discanto (v.), e fu per secoli arte di cantori che l'improvvisavano di volta in volta. Tale tradizione durò, sotto il nome di contrappunto alla mente, fino a tutto il '500, cioè fino alla massima perfezione del contrappunto vocale, estinguendosi poi in una tradizione d'ornamenti; tradizione sopravvissuta nella Cappella Sistina del Vaticano fin verso la fine del 1800. Nella prima fase d'evoluzione il contrappunto era appoggiato, come abbarbicato, a un frammento di canto gregoriano, che, eseguito a lunghe note, si diceva cantus firmus (v. canto: Canto fermo) oppure a un frammento (clausula) d'altra melodia composta o comunque scelta dal polifonista. Questa base preesistente (che si assegnava allora alla voce più grave: il tenor) era il fondamento del pezzo e ne fissava l'andamento tonale, mentre, per il ritmo, i modi ritmici pare che reggessero con leggi rigorose il moto delle varie voci; voci così indipendenti tra loro che, per es., nel mottetto non solo non avevano nessun rapporto di stile col canto fermo o con la clausola del tenore, ma erano di proposito tra loro contrastanti e con testi diversi. La base armonica consisteva in intervalli di 8ª e di 5ª (consonanze perfette), in cui dovevano coincidere sul tempo forte del ritmo le varie voci. Di esse si curavano i rapporti a due a due, anche se le voci erano di più, senza speciale cura della pienezza di sonorità dell'insieme; bastava evitare gli urti più aspri. Queste polifonie forse venivano eseguite anche con strumenti, e anche da questi soli. Tale prima fase del contrappunto (discanto) - fase che fu poi detta dell'ars antiqua - si trova diffusa in tutti i paesi civili d'Europa, ma pare abbia avuto come centri principali di fioritura prima Limoges, poi la scuola di Notre-Dame a Parigi, tra il sec. XII e il XIII. Forme principali a noi note sono il mottetto e il condotto, il rondello (polifonico), la copula e il singhiozzo (hoquetus, dal fr. hoquet). Tutte queste forme sono fondate su giochi sonori così artificiosi, da esigere già un buon grado di perfezione tecnica. Di ciò fanno fede i saggi pervenuti fino a noi delle opere, per esempio, dei due massimi maestri di quel tempo, Leonino e Perotino il grande.
Già nel '200 era corrente, nella musica popolaresca, l'uso del canone, cioè la continua e rigorosa imitazione, a intervalli dati, tra voce e voce. È celebre il canto Sumer is icumen in del monaco Giov. Fornsete della badia di Reading in Inghilterra, databile dal 1240 (a 6 voci, di cui quattro a una battuta di distanza cantano la stessa melodia, mentre altre 2 ripetono un breve ritornello ostinato: sing cuccu). Anche questo è maggio perfetto, così da implicare un lungo periodo di preparazione nella storia del contrappunto in genere, e del canone in specie. Intanto nel volgere dello stesso secolo il contrappunto andava liberandosi dai legami dei modi ritmici e le voci diventavano più agili, a vantaggio del complesso polifonico.
Nel '300, le musiche profane, specialmente in Italia, incominciavano a reggersi senza l'appoggio di clausole melodiche preesistenti, iniziando un periodo stilistico che sembra essere stato propriamente italiano, e che in ogni caso si volge contro al contrappunto su canto dato: la melodia principale è affidata alla parte superiore anziché al basso. La base armonica del contrappunto (che cominciava a chiamarsi proprio così) era costituita da intervalli di 3ª e di 6ª (consonanze imperfette, allora ritenute dissonanze) e si evitavano ormai le 8e e le 5e parallele (il primo teorico presso il quale se ne trova il divieto è Filippo di Vitry). In complesso le varie melodie combinate, specie la superiore, si svolgevano con agilità e libertà così nuove, che Filippo di Vitry intitolò appunto Ars nova il trattato nel quale la tecnica di questa fase viene teorizzata ed esposta. Intanto il canone passava dalla musica popolaresca nell'artistica con la caccia (v.).
Artifici, questi, che sottintendono una già notevole evoluzione della tecnica del contrappunto.
Il quale nel '400 andava maturando in una maggiore organicità di rapporti tra le voci così che la polifonia si faceva sempre più naturale ed espressiva. Finché, nel 1460, Giovanni Ockeghem mise a base dello stile fiammingo quella imitazione (v.) che doveva poi rimanere fondamento delle forme contrappuntistiche per secoli. Cioè non l'imitazione stretta e sistematica, quasi canonica, da un capo all'altro del pezzo; sibbene il libero dialogo delle varie voci su uno stesso frammento melodico. (Ed è anzi opportuno notare fin d'ora la legittima discendenza da questo dialogo della polivocalità quattrocentesca, attraverso lo stile cosiddetto legato, della scrittura praticata nelle forme strumentali del periodo classico). Erano dunque raggiunte un'assoluta omogeneità nell'insieme della polifonia e una razionale logica nei rapporti melodici fra le singole voci. Omogeneità e logica che talvolta toccano perfino l'eccesso, quando le melodie che s'intrecciano non sono che un mosaico di elementi tratti dal canto fermo. Per esempio:
Qui tutto nasce dall'elemento la sol la si do si la sol la del canto gregoriano. Ma a sostegno di questo già così solido edificio sonoro il tenore o qualche altra voce eseguiva spesso a lunghe note un canto fermo (detto anche canto fratto) o una canzone profana o altro, che non soltanto forniva coi suoi frammenti i motivi delle imitazioni, ma anche tracciava l'itinerario tonale della composizione.
In molte polifonie di questo periodo è notevole l'andamento lento della voce grave, in rapporto con quello, più agile, delle voci superiori. Esso s'incontra spesso anche in canti a due sole voci, ed è un preannuncio di quel basso continuo che si doveva sviluppare parimenti in Italia, a Firenze, oltre due secoli più tardi, tra la fine del sec. XVI e il successivo. D'altro lato avviene non di rado che, mentre una voce esegue una melodia a lunghe note, un'altra (vocale o strumentale?) vi ricama attorno una melodia che segue i passi della prima, ornandola, "colorandola" (v. color).
Segno, questo, del passaggio degli ornamenti, dalla mutevole improvvisazione dell'esecutore, nella musica fissata dalla scrittura, e perciò nella sostanza più concreta della composizione. Difatti l'ornamentazione nel '4-500 si trova ormai assunta a elemento caratteristico del contrappunto nei varî paesi, in due correnti: una di verosimile origine italiana, che orna con motivi più o meno agili le note d'una melodia di base, e che si crede abbia determinato, attraverso alla scuola borgognona, lo stile della prima scuola fiamminga (Dufay-Binchois); un'altra corrente un po' più tardiva, di verosimile origine inglese, la quale con i motivi d'una melodia di base costruisce una melodia nuova. Nella musica per liuto, organo, cembalo, la scrittura di tali elementi di coloratura prende aspetti e andamenti legati al carattere dei varî strumenti e delle risorse proprie.
Intanto l'esercizio del canone, con le più elaborate combinazioni portava tra il Quattro e il Cinquecento l'arte del contrappunto ai limiti delle sue tecniche possibilità. Tale altissima padronanza preparava, per opera dei maestri franco-fiamminghi, futuri sviluppi perché aveva reso duttile e pronto il mezzo tecnico; e già gli stessi maestri non componevano sempre mere esercitazioni ma vere e proprie opere d'arte in una polifonia chiara ed espressiva. Forme proprie di tale fase furono la messa, il mottetto (già incontrato assai prima d'allora, ma in diversa scrittura polimelodica) e la canzone francese vocale.
Nel Cinquecento il contrappunto vocale raggiunse il suo sommo valore estetico nelle opere dei maestri italiani o d'influenza italiana. Presso musicisti come G. Pierluigi da Palestrina, Orlando di Lasso, Andrea e Giovanni Gabrieli, T. Ludovico da Vittoria, Guglielmo Byrd, ecc., e in genere presso tutti i grandi madrigalisti del Cinquecento, il contrappunto non si fa notare più come artificio, ma è ormai tramutato in arte.
Le due grandi scuole italiane del Cinquecento, quelle di Roma e di Venezia, trattano il contrappunto ognuna secondo il suo proprio carattere: a Roma il contrappunto vocale tocca il vertice di perfezione e spiritualità col Palestrina e poi continua, con austera tradizione conservatrice, fino ad arrivare alla metà dell'Ottocento (Pietro Raimondi) in stato che potremo dire di mummificazione. Invece a Venezia il contrappunto, concepito tanto per voci quanto per istrumenti già coi due Gabrieli e poi anche con Claudio Monteverdi, evolve verso la sua trasformazione, e in seguito s'avvia alla dissoluzione, vinto dalla monodia.
Il contrappunto armonistico.
Ancora durante il '400 il contrappunto andava prendendo in sempre maggiore considerazione i rapporti armonici, e, benché le voci si continuassero a comporre l'una dopo l'altra (tenendosi sempre stretti alla melodicità delle singole parti), in realtà si andavano sempre eliminando nuovi urti (segno di graduale evoluzione armonica dell'orecchio), e il complesso della polifonia andava formando un'armonia già espressiva in sé; così che, già alla metà del sec. XVI, spesso raggiunge mirabile bellezza. Difatti, ormai si componevano tutte le voci assieme, quindi si curava il risultato armonico del complesso polifonico. Poi, col cromatismo caro alla scuola veneta, l'armonia venne ad acquistare il sopravvento sul contrappunto. Forme vocali di tale periodo furono, oltre alla messa, al mottetto e alla canzone francese, la frottola, il madrigale, la villanella, la canzonetta. Mentre si svolgevano queste fasi, fin dal Trecento si trovano tracce del passaggio dello stile di contrappunto (con una flora di ornamenti e figurazioni lasciata alla libera improvvisazione degli esecutori o anche fissata con la scrittura) dalla musica vocale a quella strumentale per organo, liuto, clavicordo, clavicembalo: e, specie a Venezia, anche per gruppi di strumenti a fiato e a corda. Forme principali: dal mottetto il ricercare, la fantasia, e, in Spagna, il tiento; dalla canzone francese vocale quella strumentale, la toccata, il capriccio.
Nel Cinquecento musicisti tedeschi studiarono a Venezia e portarono nei loro paesi lo stile contrappuntistico veneto, che si sviluppò specialmente nella musica protestante allora in pieno svolgimento. In tale fase il contrappunto, ormai inseparabile dall'armonia, ebbe un compito nuovo: l'elaborazione delle melodie corali che (derivate da fonti preesistenti) erano divenute base della musica liturgica protestante. Esteriormente il corale (v.) aveva funzione simile a quella del canto fermo nella polifonia cattolica, ma l'essenza era intimamente diversa. Il contrappunto serviva ormai a intessere intorno al corale un vero commento che, al culmine della nuova fase d'evoluzione, toccò mirabili altezze. Così elaborato, il corale si disse figurato, ed ebbe importanza grandissima nella musica dei popoli protestanti, sia per voci sia per strumenti, fino al Settecento di G. S. Bach e di G. F. Hendel.
Ma i reciproci vincoli imposti dalla contemporaneità limitano non poco la libertà d'andamento delle singole linee melodiche; mentre invece, per un complesso di cause e di tendenze generali, già nel tardo Cinquecento s'era diffuso, specie in Italia, un vivo desiderio di canto immediatamente nato dalla parola, in una sorta di declamazione o di melodica intonazione.
Ebbe luogo dunque una vera rivoluzione contro il contrappunto, la più grande rivoluzione che la storia della musica abbia registrato, la quale maturò a Firenze, negli ultimi anni del 1500, con la nascita dello stile recitativo, detto anche melodia accompagnata. In Italia da allora in poi nessuno veramente ebbe più a cuore altro che la melodia, e il contrappunto, pure continuando per secoli nella pratica, specie della chiesa e della scuola, andò gradatamente disseccandosi, dove non sparì del tutto. Invece nei paesi tedeschi continuò a prosperare fino alla metà del sec. XVIII, specie nell'arte protestante, sia nel campo vocale, sia in quello strumentale (organo, cembalo).
Difatti in Italia, mentre tramontava la polifonia liturgica, il madrigale si liberava a gradi dal contrappunto animandosi di spirito sempre più drammatico fino a confondersi col dramma stesso (Monteverdi); la canzone francese strumentale, aumentata di proporzioni, scacciava il contrappunto da taluni dei suoi grandi periodi alternati (ormai fattisi ampî, ben distinti, e detti tempi), e ne sorgeva la sonata da chiesa, che, avvicendata e confusa con quella da camera, andava gradualmente dissolvendo il suo stile in sempre più libera melodia, anche nei tempi rapidi, che in teoria dovevano essere fugati. In tali forme il contrappunto, poggiato su di un basso continuo numerato, era ormai sempre più condizionato e costretto dall'armonia, con le formule cadenzali fattesi ormai imperiose. Intanto in questo stesso periodo dalla canzone francese e dal ricercare si maturava la fuga (v.), la più organica tra le forme contrappuntistiche, quella che segna il vertice della polifonia imitativa, e che poi passò dagli strumenti alle voci.
Nella seconda metà del sec. XVIII sotto la spinta dello stile teatrale italiano, il contrappunto si rarefaceva, nella sonata e in tutta la musica strumentale. Era la nascita dello stile elegante o espressivo, che, in certo modo, compiva quell'instaurazione della monodia che s'era iniziata, un secolo e mezzo prima, a Firenze; ma neanche questa volta sparì totalmente lo stile in cui la musica s'era espressa per tanti secoli. Ecco dunque elementi contrappuntistici spesso mirabili riapparire già in molti lavori di Haydn e di Mozart, finché, nel primo quarto del sec. XIX, con Beethoven si compì un deciso e possente ritorno del contrappunto imitativo, fugato, nella sinfonia, nel quartetto, nella sonata, con palese ispirazione da Bach e da Haendel. Da allora in poi, specialmente in Germania, lo stile contrappuntistico andò riacquistando sempre maggior valore, e le opere dei suoi grandi cultori, soprattutto quelle di G. S. Bach, diventarono oggetto di studio e di diffusione crescenti, influendo profondamente sullo stile dei moderni compositori. Da un altro lato, la musica sacra cattolica tentava ritornare alla polifonia che aveva culminato col Palestrina, e si cominciò a eseguire e ristampare opere di polifonia vocale cinquecentesca. Per diverse vie, dunque, si tornava a riconoscere nel contrappunto uno dei mezzi più nobili ed efficaci d'espressione musicale. Difatti esso ha parte capitale, per es., nello stile di R. Wagner (palese in modo particolare nei Maestri Cantori di Norimberga, ove il contrappunto evoca la tradizione tedesca, quale alta e preziosa eredità nazionale, non senza arguta parodia del pedantismo scolastico) e continua ad affermarsi, anche con caratteri più nettamente tradizionali, per es., nelle opere di C. Franck in Francia e di Max Reger in Germania, quale chiaro ritorno alla tradizione di G. S. Bach, modernamente ripensata.
Nel primo quarto del secolo XX, dopo una fase d'intensa prevalenza armonica in tutta la musica, s'incominciò a ritornare al contrappunto, ma senza rinunciare alla novissima libertà conquistata liberando il contrappunto dall'armonia. Intendimento nuovo è stato quello di riallacciarsi alla polifonia anteriore al '500, nella quale non erano ancora sviluppati lo stile imitativo né il senso dell'armonia. Ma, mentre quella fase era caratterizzata dalla visione orizzontale del contrappunto per difetto di visione verticale e armonica, quella dei nostri giorni dovrebbe ritornare a quella visione orizzontale stessa per reazione contro l'eccesso di visione verticale. Ognun vede come si tratti di due condizioni opposte, che non possono non recare frutti assai diversi. Difatti, l'evoluzione compiuta dalla sensibilità e pertanto dall'arte durante secoli di travaglio non può essere eliminata d'arbitrio. Ora, all'inizio del secondo quarto del sec. XX, il contrappunto si pratica più che mai, ma a base armonica, per quanto larga. Per esempio:
Notevolissime prove del contrappuntismo moderno si hanno oltre che presso I. Stravinskij, presso A. Honegger, P. Hindemith, I. Pizzetti, G. F. Malipiero, A. Casella e altri.
Carattere della novissima fase contrappuntistica che si sta svolgendo, è che, nelle intenzioni di alcuni compositori, il contrappunto dovrebbe essere scopo a sé, puro gioco sonoro e non mezzo d'espressione. Per quanto si può giudicare dei fatti che si svolgono sotto i nostri occhi, malgrado e contro tali intenzioni, chi ha vita interiore e capacità d'esprimerla, ha anche oggi nel contrappunto un efficace mezzo espressivo, che fa comunicare ad altri quella emozione che è la vita stessa dell'arte.
Didattica. - Fino al Seicento studio del contrappunto e studio della composizione musicale erano la stessa cosa. Assurta l'armonia a elemento distinto, s' incominciò con lo studiare l'accompagnamento sul basso numerato, dal quale studio si sviluppò quello dell'armonia (v.) e poi del contrappunto, come si continua a fare di solito anche ai giorni nostri. Ne risulta che, una volta impostata la formazione musicale sulle formule armoniche, resta fortemente menomata la facoltà di concepire la struttura melodica lineare della musica. Perciò, già nel 1888 H. Riemann proponeva di ritornare alla pratica, abbandonata fin dal Cinquecento, di comporre le voci successivamente per assicurare loro maggiore indipendenza. Forse la via migliore consisterebbe nel far svolgere gli studî di armonia e di contrappunto contemporaneamente, così che la visione della musica si sviluppasse parallelamente nei due sensi: orizzontale e verticale. Per giungere a tal scopo bisognerebbe, naturalmente, regolare in maniera opportuna il corso di ambedue questi studî della composizione, mentre ancora oggi, specie in Italia, continua la tradizione scolastica di quel contrappunto osservato che gl'inglesi dicono "modale" (modal counterpoint) e che, nel suo metodo a progressive combinazioni di valori di durata, mostra la derivazione dai modi ritmici del discanto pre-trecentesco. D'altro lato, la tradizione contrappuntistica attuale non risponde più al contrappunto, che diremo palestriniano (del periodo prearmonico), sibbene al periodo armonico moderno con le più chiare influenze del basso numerato. Essa, dunque, mentre è antiquata da un lato, contraddice da un altro lato alla realtà della musica vivente fino alla metà del Settecento.
Bibl.: Le principali opere teoriche di contrappunto dopo il discanto sono: N. Vicentino, L'antica musica ridotta alla moderna prattica, Roma 1555; G. Zarlino, Istituzioni armoniche, Venezia 1558, libro che servì si può dire da codice del contrappunto; J. J. Fux, Gradus ad Parnassum, trad. ital., Carpi 1761; G. B. Martini, Esemplare ossia saggio fondamentale pratico di contrappunto, Bologna 1774-75; J. G. Albrechtsberger, Gründliche Anweisung zur Komposition, 1790; L. Cherubini, Cours de Contrepoint et de Fugue, 1835, dedotto dai quaderni di studio degli allievi ma pubblicato dal maestro stesso, il quale, allievo di G. Sarti, trapiantò al conservatorio di Parigi la tradizione bolognese, mantenutasi più o meno pura fino a che André Gedalge si riallacciò a Bach col suo grande Traité de la Fugue; F. J. Fétis, Traité de la Fugue et du Contrepoint, Parigi 1825; J. G. H. Bellermann, Kontrapunkt, Berlino 1862; M. Haller, Kompositionslehre für den polyphonen Kirchengesang, Ratisbona 1891 (in italiano Trattato della composizione musicale sacra, trad. da G. Pagella, Torino 1908), libro che raccoglie i precetti della scuola di musica sacra di Ratisbona, ispirato alla rinascita della polifonia vocale palestriniana. Tutti questi libri trattano il contrappunto dal punto di vista melodico, così indipendente dal concetto e dal senso armonico, com'era possibile alle rispettive età delle singole opere.
I libri seguenti: E. F. Richter, Lehrb. der Harmonie, Lipsia 1853; id., Lehrb. des einfachen und doppelten Kontrapunkts, Lipsia 1872; id., Lehrb. der Fuge, Lipsia 1859; S. Jadassohn, Lehrb. des einfachen, doppelten, drei- und vierfachen Contrapunkts, Lipsia 1884; H. Riemann, Lehrb. des einfachen, doppelten und imit. Kontrapunkts, Lipsia 1914; C. De Sanctis, La polifonia nell'arte mod., Roma 1886, che raccoglie gli ultimi avanzi della tradizione romana; Th. Dubois, Traité de Contrepoint et de Fugue, Parigi 1900, insegnano tutti un contrappunto così imbevuto d'armonia, da potersi dire armonia figurata ed elaborata melodicamente. In senso di ritorno al concetto essenziale del contrappunto: E. Kurth, Grundlagen des linearen Kontrapunkts, Berna 1917.