Contrasto di un atto con il diritto europeo
Nel 2011 è tornata nuovamente a proporsi la questione del regime dei provvedimenti amministrativi nazionali assunti in violazione del diritto dell’Unione europea. Il giudice amministrativo ha ribadito che il contrasto di un atto amministrativo con il diritto europeo costituisce sempre e solo motivo di annullabilità e non di nullità, né tantomeno dà luogo a disapplicazione.
Nel 2011 il Consiglio di Stato è nuovamente intervenuto sulla questione della qualificazione dell’atto amministrativo nazionale in contrasto con la normativa europea. È del tutto pacifico che il contrasto tra un provvedimento amministrativo nazionale e il diritto dell’Unione europea debba generare qualche forma d’invalidità dell’atto in questione. Tuttavia è controverso quale sia questa forma d’invalidità, se la nullità o l’annullabilità, e non manca in dottrina chi propende per l’applicazione dell’istituto della disapplicazione. La sentenza 31.3.2011, n. 1983, della sez. VI del Consiglio di Stato ha affermato che l’atto amministrativo che viola il diritto dell’Unione europea è affetto da annullabilità per vizio di illegittimità sotto forma di violazione di legge e non da nullità. La pronuncia si fonda sull’argomentazione che l’art. 21 septies della l. 7.8.1990, n. 241, ha codificato in numero chiuso le ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo e tra queste ipotesi non rientra il contrasto con il diritto dell’Unione europea. Pertanto, sempre secondo il giudice amministrativo d’appello, la nullità è configurabile nella sola ipotesi in cui il provvedimento amministrativo nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna attributiva del potere incompatibile con il diritto europeo e quindi disapplicabile. La sentenza chiarisce poi che se la violazione del diritto europeo implica un vizio d’illegittimità con conseguente annullabilità dell’atto amministrativo con esso contrastante da ciò discende un duplice ordine di conseguenze: sul piano processuale l’onere dell’impugnazione del provvedimento contrastante con il diritto europeo davanti al giudice amministrativo entro il termine di decadenza di sessanta giorni, pena l’inoppugnabilità del provvedimento stesso; sul piano sostanziale, l’obbligo per l’amministrazione di dar corso all’applicazione dell’atto, fatto salvo l’esercizio del potere di autotutela.
Il contrasto tra un provvedimento amministrativo e il diritto dell’Unione europea può realizzarsi con due distinte modalità, vuoi perché l’atto amministrativo nazionale viola un atto normativo comunitario, quale un regolamento o una direttiva autoesecutiva dopo la scadenza del termine di recepimento, vuoi perché l’atto amministrativo nazionale viola un atto amministrativo comunitario, quale una decisione o una comunicazione. Tralasciando la seconda ipotesi, che qui non viene in linea di conto, con riferimento alla prima ipotesi si ritiene comunemente che il contrasto tra un provvedimento amministrativo nazionale e il diritto dell’Unione europea debba generare qualche forma d’invalidità dell’atto in questione. Ma non esiste concordia nell’inquadrare il regime di questa invalidità. In particolare si sono contrapposte due tesi: una, che attualmente è maggioritaria, favorevole a risolvere la questione facendo applicazione dei principi generali di diritto nazionale sull’invalidità degli atti amministrativi con l’unica differenza che cambia il parametro normativo di riferimento (non più atto normativo nazionale, bensì atto normativo europeo); l’altra propensa a introdurre un particolare regime di invalidità. La tesi favorevole a ritenere annullabile l’atto in questione si fonda sulla teoria dell’integrazione tra ordinamento europeo e ordinamento nazionale, in virtù della quale il diritto dell’Unione europea, proprio in quanto integrativo del diritto interno, costituisce parametro di legittimità dell’atto amministrativo1. Ulteriore argomentazione a favore dell’annullabilità è la circostanza che anche gli atti emanati da organi dell’Unione e contrastanti con il Trattato sono sottoposti a un regime di annullabilità analogo a quello introdotto dalla nostra normativa interna e che si basa sull’impugnabilità, sull’annullamento giurisdizionale, sulla previsione di un termine di decadenza e sulla conseguente eventuale inoppugnabilità2. Quest’ultimo rilievo permette di compiere un’altra osservazione. La qualificazione di un provvedimento amministrativo contrastante con il diritto dell’Unione europea in termini di annullabilità assume rilevanza perché essa porta con sé anche l’applicazione del relativo regime, sia sostanziale, sia processuale e quindi soprattutto l’osservanza dei tradizionali termini d’impugnativa davanti al giudice amministrativo e l’inoppugnabilità dell’atto ove non tempestivamente impugnato. L’opposta tesi che costruisce uno specifico regime d’invalidità per l’atto amministrativo contrastante con il diritto europeo si scompone al suo interno in due filoni: da un lato, vi è chi configura tale invalidità in termini di nullità, con conseguente applicazione del relativo regime (rilevabilità d’ufficio e da parte di chiunque; inidoneità dell’atto a produrre effetti senza alcun onere di impugnazione nei termini ristretti tradizionalmente previsti dal diritto nazionale); dall’altro, si parla di disapplicazione intesa come potere-dovere generale esercitabile nei confronti degli atti amministrativi nazionali in contrasto con qualsiasi atto europeo direttamente applicabile, al pari di quanto si verifica nel caso di contrasto tra atto normativo nazionale e diritto europeo. Mentre la tesi della disapplicazione è essenzialmente dottrinale3, la tesi della nullità era stata sostenuta da una giurisprudenza amministrativa risalente nel tempo, e cioè alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso4. Si era così affermato che «l’esistenza della norma costituisce il presupposto necessario ed ineliminabile dell’atto amministrativo che pretende di farne applicazione … se la norma che l’Amministrazione pretende di applicare non esiste o per qualunque motivo non produce effetti all’interno dell’ordinamento nel quale è destinata ad operare la pronuncia giurisdizionale, il giudice non può che accertare l’inesistenza del necessario parametro per la valutazione della legalità dell’azione amministrativa e, siccome non esiste attività amministrativa legibus soluta, egli non può che dare atto della radicale nullità dell’atto medesimo». Con l’ulteriore, importante conseguenza per cui il giudice amministrativo a far ciò «è legittimato d’ufficio, prescindendo dai motivi di ricorso, per una intima naturale esigenza della giurisdizione, cui non può essere estranea – pure in una giurisdizione di annullamento – la potestà di dichiarare inesistente ciò che costituisce applicazione di norme inesistenti o improduttive di effetti». Dato questo contesto generale, nel 2011 si è nuovamente profilata la questione se la violazione del diritto europeo comporti la nullità dell’atto amministrativo per contrasto con norme imperative, ai sensi dell’art. 1418 c.c., oppure la sua annullabilità per violazione di legge. La questione relativa al vizio del contrasto con il diritto dell’Unione europea è costantemente riproposta anche e soprattutto sulla scia di alcune posizioni che criticano la compatibilità del termine decadenziale per contestare gli atti amministrativi con le ipotesi di provvedimento viziato perché contrastante con le regole del diritto dell’Unione europea5 e che criticano la regola dell’annullabilità perché essa consentirebbe l’inoppugnabilità di atti in contrasto con il diritto europeo e quindi una violazione definitiva di quest’ultimo6. Nel caso di recente affrontato dalla giurisprudenza veniva in rilievo un provvedimento di diniego di valutazione di titoli didattici ai fini della formazione della graduatoria provinciale per le supplenze e si lamentava il mancato rispetto dell’art. 48 del Trattato che istituisce la Comunità europea (ora art. 45 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) sulla libera circolazione dei lavoratori, nonché del Reg. (CE) 68/1612/ del 15.10.1968, sempre relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità, per omessa valutazione di titoli di studio e di servizio maturati all’estero. La questione da risolvere riguardava il regime di impugnazione dell’atto in questione e soprattutto l’applicabilità o meno del termine di decadenza. Il ragionamento della sez. VI del Consiglio di Stato con la sentenza 31.3.2011, n. 1983, si scompone in più passaggi. Anzitutto si ritiene pacifico che l’omessa valutazione di titoli di servizio d’insegnamento presso le scuole francesi in un concorso per l’assunzione di personale docente nelle scuole italiane viola il principio di libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione: «la Repubblica italiana, non tenendo conto o, quantomeno, non tenendo conto in maniera identica, ai fini della partecipazione dei cittadini comunitari ai concorsi per l’assunzione di personale docente nella scuola pubblica italiana, dell’esperienza professione acquisita da questi cittadini nelle attività di insegnamento a seconda che queste attività siano state svolte nel territorio nazionale o in altri Stati membri, è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza delle pertinenti disposizioni del diritto comunitario primario e derivato». Sorge a questo punto il problema di stabilire se questa violazione del diritto europeo in materia di libera circolazione dei lavoratori dia luogo alla nullità delle relative graduatorie scolastiche per violazione di norme imperative di legge, ai sensi dell’art. 1418 c.c., oppure alla loro annullabilità. Logicamente da questa risposta dipende un diverso regime temporale per far valere la relativa azione, rispettivamente di nullità o di annullamento. A tal proposito va osservato che la controversia è disciplinata dalla normativa precedente al c.p.a., nel vigore della quale l’azione di nullità, nell’assoluto silenzio del legislatore, era proponibile sine die. Infatti l’art. 21 septies della l. n. 241/1990 aveva codificato la nullità provvedimentale, recependo i precedenti orientamenti del giudice amministrativo, secondo i quali la nullità di un atto amministrativo si realizzava solo se esso mancava degli elementi essenziali, o fosse stato emanato in assoluta carenza di potere, o in violazione o elusione con il giudicato, o, infine, nel caso di nullità testuali7. Tuttavia l’art. 21 septies aveva lasciato aperte numerose questioni interpretative, prima tra tutte l’individuazione del regime giuridico, sostanziale e processuale, applicabile all’atto amministrativo nullo. In merito era intervenuta la giurisprudenza amministrativa, secondo la quale l’azione di nullità era proponibile senza alcuna preclusione temporale, non essendo soggetta a termini decadenziali. In particolare, secondo il Consiglio di Stato, nel processo amministrativo trovava applicazione «la regola della imprescrittibilità dell’azione di nullità. La gravità delle patologie elencate dall’art. 21 septies comporta che l’atto sia, in radice, inidoneo a produrre effetti giuridici. Questa assoluta inidoneità strutturale dell’atto comporta che l’interessato possa fare accertarne la nullità, senza limitazioni temporali, ferma restando l’eventuale prescrizione delle connesse azioni di condanna»8. Ora, invece, è intervenuto l’art. 31, co. 4, c.p.a. ai sensi del quale «la domanda volta all’accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di centottanta giorni. La nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice». Con l’ulteriore precisazione contenuta nella seconda parte del comma 4, in base alla quale queste disposizioni non si applicano nell’ipotesi di nullità per violazione o elusione di giudicato, per le quali restano ferme le regole del processo di ottemperanza. Attualmente vi è dunque un termine di decadenza anche per far valere l’azione di nullità, pur più lungo rispetto a quello tradizionalmente previsto per l’azione di annullamento (180 anziché 60 giorni). Sta di fatto, invece, che la controversia che ha originato la sentenza in esame non era ancora sottoposta alla disciplina codicistica, con la conseguenza che la nullità dell’atto impugnato poteva essere sollevata senza alcuna preclusione di tipo temporale. Ma il Consiglio di Stato anche in quest’occasione non si è allontanato dai suoi precedenti ed è così tornato a ribadire che «la violazione del diritto comunitario implica solo un vizio di legittimità, con conseguente annullabilità dell’atto amministrativo»9. Infatti le ipotesi di nullità provvedimentali devono intendersi come numero chiuso e sono solo quelle specificamente codificate dall’art. 21 septies della l. n. 241/1990. La ragione è ravvisabile nel fatto che in diritto amministrativo la regola generale in caso di violazione di norme imperative è l’annullabilità dell’atto, a differenza del diritto civile dove vige la regola generale della nullità. A tal proposito molto chiara è la sentenza n. 1498 dello scorso anno della sez. V del Consiglio di Stato: la legge «non contempla la nullità dell’atto amministrativo per contrasto con norme imperative … e ciò … costituisce una soluzione di compromesso in considerazione del fatto che le norme riguardanti l’azione amministrativa, avendo carattere pubblicistico, sono sempre imperative e la comminazione della nullità per la loro violazione risulterebbe particolarmente pericolosa rispetto alle esigenze di certezza e di stabilità dell’azione amministrativa. Simili violazioni, pertanto, si convertono in cause di annullabilità del provvedimento, da farsi valere entro il breve termine di decadenza a tutela della stabilità del provvedimento amministrativo e di certezza dei rapporti giuridici»10. Non trovano dunque spazio in diritto amministrativo le cd. nullità virtuali, derivanti dalla violazione di norme imperative, con la conseguente inapplicabilità della regola generale di cui al co. 1 dell’art. 1418 c.c. («il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente »). Tuttavia il Consiglio di Stato non chiude del tutto la porta alla nullità provvedimentale per anticomunitarietà. Dice infatti la sentenza del 31.3.2011, n. 1983 che la nullità è configurabile nella sola, diversa, ipotesi in cui il provvedimento nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna attributiva del potere che sia incompatibile con il diritto europeo11. Quindi, pur dovendosi propendere in via generale per la regola dell’annullabilità dell’atto amministrativo anticomunitario, ricorre un’ipotesi di nullità allorché il provvedimento sia stato adottato in base a una norma interna incompatibile con il diritto dell’Unione europea, e, quindi, disapplicabile. Si avrebbe qui un’ipotesi di carenza di potere, dal momento che la normativa nazionale attributiva del potere andrebbe disapplicata e la sua disapplicazione genera non l’annullabilità, bensì la nullità del provvedimento perché viene meno il fondamento del potere di emanarlo. Importanti sono le conseguenze discendenti dalla qualificazione della violazione del diritto europeo come motivo di annullabilità, anziché di nullità. Tali conseguenze riguardano il piano sia sostanziale, sia processuale. Sul piano sostanziale sorge l’obbligo in capo all’amministrazione di dar corso all’applicazione dell’atto, fatta salva l’autotutela12. Sul piano processuale sussiste l’onere dell’impugnazione del provvedimento contrastante con il diritto europeo davanti al giudice amministrativo entro il termine decadenziale di legge di sessanta giorni. Se quindi il contrasto con il diritto europeo non è stato fatto valere a tempo debito, «l’atto, per quanto fosse annullabile, è ormai, per acquiescenza dello stesso A., divenuto inoppugnabile». Se non si tratta di nullità, non si può del resto neppure parlare di disapplicazione. Viene domandato al giudice amministrativo se il principio di primazia del diritto europeo, il principio di leale cooperazione e l’obbligo di garantire la diretta applicabilità di un regolamento europeo comportino anche l’obbligo per le amministrazioni e i giudici nazionali di procedere alla disapplicazione dell’atto interno contrastante con il diritto dell’Unione. Nel caso di risposta affermativa al quesito il giudice nazionale dovrebbe «disapplicare l’atto amministrativo nazionale che contrasta con il diritto comunitario ovvero disapplicare le disposizioni nazionali che sanciscono l’effetto dell’inoppugnabilità dell’atto quale conseguenza della mancata tempestiva impugnazione in sede giudiziale». Da ciò conseguirebbe «quanto meno … il riconoscimento del risarcimento del danno conseguente ad atti contrastanti con il diritto comunitario, … al fine di ripristinare l’ordine giuridico violato». In realtà il Consiglio di Stato ritiene che così la questione sia male impostata, non venendo tanto in rilievo il regime dell’atto amministrativo non rispettoso del diritto europeo, con conseguente obbligo di disapplicare l’atto stesso, quanto piuttosto il profilo della fissazione di ragionevoli termini decadenziali di ricorso. Pertanto, ci si deve chiedere se contrasti con il principio di leale cooperazione e di effettività del diritto europeo un sistema di tutela giurisdizionale che assoggetta all’ordinario termine decadenziale l’impugnazione dell’atto amministrativo nazionale contrastante con il diritto europeo, nonché se siffatto sistema renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione dello stesso diritto europeo. Ma, come emerge dalla consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia13, per il diritto europeo vi è autonomia degli Stati membri nell’approntare gli strumenti processuali di tutela giurisdizionale a fronte di posizioni giuridiche di matrice europea; le disposizioni di diritto interno volte ad assicurare la tutela processuale del diritto europeo sostanziale devono garantire che le modalità di tutela non siano meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi ricorsi di diritto interno (principio di equivalenza) e che gli strumenti processuali non siano tali da rendere in pratica impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico europeo (principio di effettività). Con riferimento specifico al caso di specie, il termine di decadenza per l’azione impugnatoria non viola i principi sui tempi dell’azione giudiziaria a tutela delle situazioni giuridiche soggettive originate dal diritto europeo. Il termine di sessanta giorni per impugnare «di suo non rendeva impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di azione» e «non era irragionevolmente limitativo della possibilità di domandare una tutela effettiva delle posizioni giuridiche oggetto di violazione». «Certamente va garantita la libertà di circolazione comunitaria, ma il fatto che il soggetto non abbia tempestivamente curato il suo interesse … è elemento che non ha a che vedere con la circolazione medesima, e che egli non può che imputare a se stesso e alla sua autoresponsabilità».
Problematica risulta la posizione assunta, sia pure incidentalmente, dal Consiglio di Stato con la sentenza del 31.3.2011, n. 1983 in base alla quale sussiste un’ipotesi, anche se del tutto eccezionale, di nullità per contrasto con la normativa europea quando il provvedimento amministrativo nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna attributiva del potere incompatibile con il diritto europeo e quindi disapplicabile. Infatti è stato giustamente osservato che la disapplicazione della norma interna non determina di regola una situazione di carenza di potere, «stante la presenza di atti normativi comunitari a monte di quelli nazionali disapplicati, che ritornano ad essere il diretto parametro di legittimità dei provvedimenti nazionali»; di conseguenza la nullità provvedimentale per anticomunitarietà potrà sussistere solamente nel caso, difficilmente verificabile «di un atto normativo italiano che senza potere si inserisca scorrettamente nel sistema comunitario in una parte priva di disciplina di tale fonte»14. Non condivisibile è dunque la tesi della nullità fatta propria dal Consiglio di Stato, per quanto in ipotesi del tutto eccezionali. Nel caso di provvedimenti amministrativi in contrasto con disposizioni europee non è configurabile una carenza di potere, né alcun altra delle ipotesi tipizzate di nullità provvedimentale. È principio consolidato della giurisprudenza quello del carattere del tutto residuale della categoria della nullità in diritto amministrativo per cui le diverse ipotesi di nullità provvedimentale devono essere intese in maniera assai rigorosa, da dar vita quasi «a casistica di scuola»15. Così sempre nel 2011 il giudice amministrativo ha ritenuto che non è nulla ma solo annullabile la graduatoria finale di un concorso per lamentato difetto di requisiti dei partecipanti e per mancanza di sottoscrizione di uno dei componenti della commissione di concorso e «in quanto tale soggetto al riscontro giurisdizionale soltanto su ricorso di parte, nei previsti termini decadenziali»16. Ancora, annullabile e non nullo per difetto assoluto di attribuzione è il provvedimento di proroga dei termini della dichiarazione di pubblica utilità adottato tardivamente e cioè dopo la scadenza del termine quinquennale fissato nell’atto dichiarativo17. Inoltre, che non sia mai condivisibile, neppure in ipotesi eccezionali, la tesi della nullità provvedimentale per anticomunitarietà deriva anche dal fatto, che, come già osservato al paragrafo precedente, pure gli atti emanati da organi dell’Unione europea in contrasto con il Trattato o con norme di diritto derivato sono ricondotti dalla Corte di giustizia al regime dell’annullabilità. Non sarebbe quindi chiara la ragione per delineare un diverso regime degli atti amministrativi emanati da uno Stato membro, sovvertendone oltretutto le regole interne18. Si ritiene così che l’atto amministrativo nazionale in contrasto con la norma comunitaria sia sempre soggetto al regime di annullabilità, perché presenta una patologia valutabile alla stregua dei consueti canoni d’illegittimità; dal punto di vista processuale ciò comporta l’onere di un’impugnazione dell’atto stesso entro sessanta giorni, pena la sua inoppugnabilità. Vi è comunque da osservare, su un piano di carattere molto più generale, che il c.p.a. ha provveduto ad assottigliare notevolmente la distanza che tradizionalmente ha separato il regime processuale del provvedimento nullo da quello del provvedimento annullabile, con il prevedere (art. 31, co. 4) che anche l’azione di nullità sia proponibile entro un termine di decadenza (180 giorni)19. Circostanza quest’ultima che probabilmente impone un ripensamento dell’intera problematica.
1 In tal senso, già da tempo, cfr. Greco, Fonti comunitarie e atti amministrativi italiani, in Riv.it.dir.pubbl.com., 1991, 38 ss.; e, in giurisprudenza, Cons. St., sez. IV, 29.9.1991, n. 864, in Foro amm., 1991, 2576; Cons. St., sez. V, 10.1.2003, n. 35, in Giust. civ., 2004, 525; Cons. St., sez. VI, 3.3.2006, n. 1023, in Foro amm.-Cons. St., 2006, 3, 918; Cons. St., sez.VI, 31.5.2008, n. 2623, in Foro amm.-Cons. St., 2008, 5, 1, 1582.
2 Falcon, La tutela giurisdizionale, in Tratt. Chiti-Greco, P. gen., t. II, II ed., Milano, 2007, 696 ss.
3 Favorevole alla disapplicazione è Chiti, Diritto amministrativo europeo, IV ed., Milano, 2011, 496 ss.
4 TAR Piemonte, sez. II, 8.2.1989, n. 34, in Dir. proc. amm., 1990, 281.
5 Cfr., riassuntivamente, Chieppa, sub art. 21 septies, in Codice dell’azione amministrativa, a cura di Sandulli, Milano, 2011, 928 ss., spec. 941 ss.
6 Chiti, Diritto amministrativo europeo, cit., 498.
7 Così, tra le tante, Cons. St., sez. V, 13.2.1998, n. 166, in Foro amm., 1998, 451.
8 Cons. St., sez. V, 9.6.2008, n. 2872, in Comuni Italia, 2008, 9, I, 84.
9Da ultimo cfr. Cons. St., sez. V, 19.5.2009, n. 3072, in Foro amm.-Cons. St., 2009, 5, 1286; Cons. St., sez. VI, 22.11.2006, n. 6831, in Foro amm.-Cons. St., 2006, 11, 3102; Cons. St., sez.VI, 31.5.2008, n. 2623, cit.
10 Cons. St., sez. IV, 23.8.2010, n. 5902, in Foro amm. - Cons. St., 2010, 1458; Cons.St., sez. V, 15.3.2010, n. 1498.
11In tal senso, già in precedenza, cfr. Cons. St., sez. V, 10.1.2003, n. 35, cit.; Cons. St., sez. IV, 21.2.2005, n. 579, in Foro amm.-Cons. St., 2005, 2, 381; Cons. St., sez. VI, 20.5.2005, n. 2566, in Foro amm.-Cons. St., 2005, 5, 1598; Cons. St., sez. V, 19.5.2009, n. 3072, in Foro amm.-Cons. St., 2009, 5, 1286.
12 Cons. St., sez. V, 8.9.2008, n. 4263, in Foro amm.- Cons. St., 2008, 9, 2410.
13 Sulla quale cfr. Galetta, L’autonomia procedurale degli Stati membri dell’Unione Europea: «Paradise Lost?», Torino, 2009.
14 Chiti, L’invalidità degli atti amministrativi per violazione di disposizioni comunitarie e il relativo regime processuale, in Dir.amm., 2003, 687 ss., 701.
15 In questo senso Sassani, Riflessioni sull’azione di nullità nel codice del processo, in Dir. proc. amm., 2011, 269 ss., 274.
16 TAR Lazio, sez. III, 5.1.2011, n. 40, in Foro amm.-TAR 2011, 1, 114.
17 Cons. St., sez. IV, 28.1.2011, n. 676, in Foro amm.-Cons. St., 2011, 1, 83.
18 Si tratta di un orientamento pacifico della C. giust. CE sin dalla sentenza 10.12.1957, C-1/57 e C-14/57.
19 Sul punto cfr. Ramajoli, Le tipologie delle sentenze del giudice amministrativo, in Il nuovo processo amministrativo, a cura di Caranta, Bologna, 2011, 573 ss., 610-611.