Abstract
Con il contratto di agenzia l’agente assume stabilmente l’obbligo di promuovere la conclusione di contratti nell’interesse del preponente, a fronte della corresponsione di una provvigione pecuniaria. La disciplina contenuta nel c.c. è in larga misura composta da disposizioni attuative della dir. 86/653/Cee, molte delle quali pattiziamente inderogabili in senso sfavorevole all’agente, ed è integrata dalle regole fissate da accordi economici collettivi applicabili alla quasi totalità dei rapporti contrattuali di agenzia. L’art. 74 del d.lgs. 26.3.2010, n. 59, ha soppresso il ruolo degli agenti, i quali sono oggi tenuti soltanto a presentare alla Camera di commercio di una segnalazione certificata di inizio di attività. Elementi caratterizzanti del rapporto contrattuale sono l’obbligo del preponente di corrispondere la provvigione e l’obbligo dell’agente di attivarsi per promuovere la conclusione di contratti nell’interesse del preponente e il cd. obbligo di esclusiva.
Stando alla definizione che ne fornisce il co.1 dell’art. 1742 c.c., l’agenzia è il contratto con il quale una parte (l’agente) assume «stabilmente» verso l’altra (il preponente) l’obbligo di promuovere, per conto e nell’interesse di quest’ultima, la conclusione di contratti in una zona determinata, verso un corrispettivo pecuniario.
Quella assunta dall’agente è dunque un’obbligazione di facere, avente ad oggetto lo svolgimento di un’attività rivolta a stimolare la formulazione, da parte di terzi, di offerte contrattuali indirizzate al preponente e destinate a condurre, in caso di accettazione da parte di quest’ultimo, alla conclusione di contratti (fra il preponente stesso ed il terzo): un’attività che si sostanzia nel contattare i terzi (potenziali controparti del preponente), rivolgendo loro un’invitatio ad offerendum (eventualmente accompagnata o preceduta da un’attività propagandistica delle caratteristiche e delle qualità dei beni o dei servizi offerti sul mercato dal preponente) ed inducendoli ad (accettare di) emettere una proposta dai contenuti predeterminati dallo stesso preponente o comunque conformi alle istruzioni preventivamente fornite all’agente dal preponente stesso. Proprio la natura meramente promozionale dell’attività che l’agente si obbliga a svolgere distingue il contratto d’agenzia rispetto al contratto di mandato, con il quale il mandatario si obbliga a compiere atti giuridici nell’interesse del mandante.
Affinché sussista un contratto di agenzia, l’incarico deve essere stato assunto «stabilmente»: di agenzia può parlarsi soltanto se l’impegno promozionale viene assunto con riferimento alla possibile, futura emissione di una pluralità di proposte contrattuali (indirizzate al preponente) da parte di una pluralità di clienti diversi, o anche di un solo cliente, purché l’attività che l’agente si incarica di svolgere sia destinata a protrarsi nel tempo (onde l’agenzia costituisce senz’altro un contratto di durata) e a non esaurirsi in un intervento isolato ed occasionale.
Quanto al luogo nel quale tale attività è destinata ad essere esercitata, non è indispensabile che si tratti di un’area circoscritta e limitata, necessario essendo soltanto che nel contratto venga “determinata”, id est specificata, la zona geografica all’interno della quale l’agente si impegna ad operare, fermo restando che l’individuazione dell’ampiezza e della estensione di tale zona è rimessa alla piena autonomia dei contraenti.
Per parte sua, il preponente assume l’obbligo di versare all’agente, a titolo di corrispettivo, una somma di denaro, detta provvigione. Essendo l’agenzia un contratto necessariamente a titolo oneroso, tale obbligazione costituisce una componente essenziale del tipo contrattuale: il relativo diritto di credito, tuttavia, non sorge in capo all’agente per il solo fatto di aver svolto l’attività promozionale promessa, ma soltanto se ed in quanto l’affare con riferimento al quale tale attività è stata espletata venga effettivamente concluso (dal terzo con il preponente) ed eseguito (art. 1748 c.c.).
Il quadro delle fonti che concorrono a disciplinare i rapporti contrattuali di agenzia è assai articolato.
In primo luogo, viene in rilievo la dir. 86/653/Cee del Consiglio del 18.12.1986, che persegue l’obiettivo di armonizzare le disposizioni che negli Stati membri regolamentano i rapporti intercorrenti fra gli agenti commerciali e i loro preponenti.
In secondo luogo, vengono in considerazione le disposizioni specificamente riguardanti il contratto di agenzia inserite negli artt. 1742ss. c.c.. Di queste, soltanto il co. 1 dell’art. 1742, gli artt. 1743-1745, il co. 2 dell’art. 1746 (recante il divieto del cd. star del credere), l’art. 1747, il co. 2 dell’art. 1751 bis (concernente l’indennità spettante all’agente che abbia stipulato un patto di non concorrenza) e gli artt. 1752-1753 contengono precetti autonomamente elaborati dal legislatore italiano. Le altre disposizioni (co. 1 dell’art. 1742; co. 1 dell’art. 1746; artt. 1748-1751 e co. 1 dell’art. 1751 bis) contengono invece norme attuative di corrispondenti precetti della dir.86/653/Cee.
In terzo luogo, va menzionato l’art. 74 del d.lgs. 26.3.2010, n. 59, attuativo della dir. 2006/123/Ce relativa ai servizi nel mercato interno, che ha soppresso il ruolo degli agenti contemplato dalla l. 3.5.1985, n. 204, recante «Disciplina dell’attività di agente e rappresentante di commercio» (la quale aveva abrogato e sostituito la l. 12.3.1968, n. 316, che tale ruolo aveva creato) e ha imposto ai soggetti intenzionati a svolgere l’attività di agente l’obbligo (presidiato da una sanzione amministrativa pecuniaria) di presentare alla Camera di commercio una Segnalazione certificata di inizio di attività, a fronte della quale le Camere di Commercio - verificata la sussistenza dei presupposti cui la legge subordina l’esercizio dell’attività di agente - procedono ad iscrivere il soggetto che l’abbia presentata nel registro delle imprese (qualora l’attività sia destinata ad essere svolta in forma di impresa) ovvero in un’apposita sezione del R.E.A. (qualora la segnalazione sia stata effettuata da “soggetti diversi dalle imprese”).
Rimane fermo in proposito quanto la giurisprudenza italiana - sulla scorta delle pronunce della Corte di Giustizia CE (C. giust., sez. I, 30.4.1998, C-215/97, Bellone c. Yokohama s.p.a.; C. giust., sez. I, 13.7.2000, C-456/98, Centrosteel s.r.l. c. Adipol GmbH; C. giust. Ce, sez. V, 6.3.2003, C-485/01, Caprini c. CCIAA) - ha riconosciuto con riguardo al ruolo degli agenti ora soppresso, e cioè che la validità e l’efficacia del contratto di agenzia non sono inficiate dalla circostanza che l’agente che lo abbia concluso, all’epoca della stipulazione, non fosse iscritto nel ruolo (ora soppresso): nessun dubbio può esservi pertanto in merito alla piena validità ed efficacia del contratto di agenzia stipulato da una società o da una persona fisica che non sia stata iscritta nel registro delle imprese o nell’apposita sezione del R.e.a. presso la Camera di commercio.
I rapporti contrattuali di agenzia sono infine disciplinati anche da appositi accordi economici collettivi (tra i più importanti meritano di essere ricordati l’Accordo economico collettivo – di seguito, A.e.c. - per la disciplina del rapporto di agenzia e rappresentanza commerciale nel settore del commercio – A.com. - del 16.2.2009 e l’Accordo economico collettivo del 30.7.2014 recante la disciplina del rapporto di agenzia e rappresentanza commerciale nei settori industriali e della cooperazione – A.ind.), i quali trovano applicazione tutte le volte in cui le parti abbiano manifestato la volontà di assoggettarvi il rapporto contrattuale fra di esse instaurato - attraverso l’inserimento di un espresso richiamo in un’apposita clausola del regolamento negoziale o anche solo attraverso un inequivoco comportamento concludente – ovvero, anche in mancanza di una manifestazione di volontà siffatta, tutte le volte in cui le parti siano entrambe iscritte ad una delle associazioni di categoria aderenti alle Federazioni firmatarie dell’accordo economico collettivo.
La libertà delle parti di derogare alle disposizioni del codice civile concernenti il contratto di agenzia, escludendone l’operatività dei relativi precetti ovvero modificandone i contenuti, è sottoposta a penetranti e significative limitazioni.
Alcune disposizioni sono infatti assolutamente inderogabili, nel senso che alle parti è preclusa la possibilità di apportarvi qualsivoglia deroga o modificazione mediante clausole inserite nel contratto di agenzia (non importa se in senso favorevole all’agente o al preponente). Altre disposizioni sono invece pattiziamente derogabili, ma soltanto in senso favorevole all’agente.
A ciò si aggiunga che ai sensi del co. 3 dell’art. 1746 c.c., il patto (cd. dello “star del credere”) che ponga a carico dell’agente una responsabilità, anche solo parziale, per l’adempimento del terzo è vietato, se non presenta le peculiari caratteristiche di contenuto individuate nella medesima disposizione, in presenza delle quali esso è “eccezionalmente” ammesso. È invece consentita, ma soltanto a condizione che vengano rispettati i requisiti di forma e contenuto imperativamente imposti dall’art. 1751 bis c.c., la stipulazione di un patto di non concorrenza che limiti la possibilità, per l’agente, di svolgere attività in concorrenza con il preponente posteriormente allo scioglimento del rapporto contrattuale.
L’eventuale superamento delle limitazioni così poste all’autonomia privata ha sempre, inevitabilmente, come conseguenza la radicale nullità della pattuizione che apporti una deroga inammissibile ad una delle citate disposizioni del c.c. ovvero non rispetti i requisiti sanciti dagli artt. 1746 e 1751 bis c.c.
Quando poi al rapporto contrattuale trovi applicazione un accordo economico collettivo, ai sopra descritti limiti di fonte legislativa si aggiunge un limite ulteriore, di fonte convenzionale, rappresentato dalla preclusione della possibilità di inserire nel contratto clausole recanti precetti più sfavorevoli per l’agente rispetto a quelli contenuti nell’A.e.c. Le pattuizioni individuali che intercorrano fra l’agente ed il preponente per regolamentare aspetti o profili del rapporto che siano disciplinati da apposite clausole contenute nell’A.e.c. prevalgono infatti su queste ultime (per espressa statuizione dell’art. 17 A.ind. e dell’art 16 dell’A.com.) soltanto se risultano “più favorevoli” per l’agente o per il rappresentante.
Allo scopo di estendere agli agenti presuntivamente più deboli alcune forme speciali di tutela riconosciute ai lavoratori subordinati, il legislatore ha incluso nell’ambito di applicazione di una serie di disposizioni dettate per i rapporti di lavoro subordinato a tutti e soltanto i rapporti contrattuali di agenzia aventi ad oggetto l’esecuzione di prestazioni “a carattere prevalentemente personale”.
Le controversie inerenti ai citati rapporti contrattuali di agenzia vengono così annoverate, dall’art. 409, n. 3, c.p.c. fra le controversie assoggettate alla speciale disciplina del rito del lavoro (art. 410 ss. c.p.c.) e attribuite dall’art. 413, co. 4, c.p.c. alla competenza territoriale (esclusiva e pattiziamente inderogabile) del giudice nella cui circoscrizione si trova il domicilio dell’agente.
Poiché l’art. 2113 c.c. trova applicazione ai diritti derivanti da disposizioni inderogabili della legge o di accordi economici collettivi concernenti tutti rapporti di cui all’art. 409 c.p.c., e quindi anche ai rapporti contrattuali di agenzia di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c., i negozi rinunciativi o transattivi aventi ad oggetto diritti attribuiti all’agente dalle sopra elencate norme inderogabili, che l’agente ponga in essere dopo essere divenuto titolare dei diritti in questione, sono impugnabili a norma dei co. 2-3 dell’art. 2113 c.c., salvo che l’agente li abbia compiuti nell’ambito di una conciliazione intervenuta ai sensi degli artt. 185, 410, 411, 412 ter e 412 quater c.p.c.
Quando invece il rapporto contrattuale sia stato instaurato con il preponente da un agente che si sia obbligato a svolgere l’attività promozionale con un lavoro non suscettibile di essere qualificato «prevalentemente personale» ai sensi dell’art. 409, n. 3, c.p.c., non trova applicazione l’art. 2113 c.c. (onde la possibilità per l’agente di disporre validamente dei diritti di cui sia divenuto titolare non è soggetta a limitazione alcuna), le controversie inerenti al rapporto sono devolute alla competenza funzionale del giudice ordinario, sono attribuite al giudice territorialmente competente secondo i principi generali del c.p.c. (artt. 18 e 20) e sono soggette al rito ordinario di cognizione.
Secondo la giurisprudenza, laddove la posizione contrattuale di agente sia stata assunta da una società, tale circostanza vale di per sé sola ad escludere che il rapporto contrattuale così instaurato possa rientrare fra quelli contemplati dall’art. 409, n. 3, c.p.c., e ciò in base alla considerazione che la società costituisce comunque un centro autonomo d'imputazione di rapporti giuridici, onde l'eventuale attività svolta personalmente del singolo socio viene comunque mediata dalla società e perde pertanto il carattere della personalità nei confronti del preponente. Quando invece la controparte del preponente sia una persona fisica, la riconducibilità del rapporto all’art. 409, n. 3, c.p.c. viene esclusa tutte le volte in cui l’agente, per adempiere alle obbligazioni contrattuali, si avvalga di una struttura organizzativa autonoma, onde la sua attività finisce in sostanza per esaurirsi nell'organizzazione e nel coordinamento dei propri collaboratori e dell’espletamento dei servizi forniti dalla propria impresa (Cass., 19.4.2011, n. 8940).
Una ulteriore discriminazione fra agente-società (di capitali) e agente persona fisica è legata alla interpretazione restrittiva dell’art. 2751 bis, n. 3, c.c. (che munisce di privilegio generale sui beni mobili del preponente i crediti spettanti all’agente per le provvigioni dovute per l’ultimo anno di attività nonché per l’indennità di fine rapporto) accolta dalla Corte Costituzionale (sent. 7.1.2000, n. 1) e dalle S.U. della Cassazione (sent. 16.12.2013, n. 27986), secondo la quale l’agente che abbia la forma della società di capitali non è ammesso a beneficiare del suddetto privilegio, dovendo tale privilegio ritenersi riservato in via esclusiva all’agente persona fisica (ancorché non assolva alle sue obbligazioni contrattuali con lavoro prevalentemente personale) e all’agente società di persone (purché in quest’ultimo caso l’attività sia svolta direttamente dagli agenti-soci e sempre che il lavoro abbia funzione preminente sul capitale: Cass. 10.5.2016, n. 9462).
A ciò si aggiunga che il co. 2 dell’art. 1751 bis c.c., che fissa i parametri di quantificazione dell’indennità spettante all’agente che abbia stipulato un patto di non concorrenza, non trova applicazione (per espressa previsione del co. 2 dell’art. 23 della l. 29.12.2000, n. 422, che ha introdotto tale comma nell’art. 1751 bis c.c.) agli agenti che abbiano la forma giuridica di società di capitali (salvo che si tratti di società con un unico socio ovvero, qualora lo prevedano gli accordi economici collettivi, di società di capitali costituite prevalentemente o esclusivamente da agenti commerciali).
Per il contratto d’agenzia l’art. 1742, co. 2, c.c. richiede la forma scritta ad probationem, attribuendo a ciascuna delle parti il diritto (irrinunciabile e suscettibile di esser fatto valere in qualsiasi momento) di pretendere dall’altra la consegna di un documento, sottoscritto da quest’ultima, nel quale siano riprodotte tutte le clausole del regolamento negoziale adottato per la disciplina del rapporto contrattuale: l’eventuale violazione di tale diritto, perpetrata dalla parte che ingiustificatamente si rifiuti di mettere a disposizione siffatto documento, costituisce senz’altro una giusta causa di recesso dal rapporto contrattuale.
In linea di principio, le parti debbono concordare almeno il quantum della provvigione e i parametri per la sua quantificazione, la zona nella quale l’agente è incaricato di operare, il tipo di contratti che questi si impegna a promuovere e la natura dei beni e/o dei servizi cui tali contratti si riferiscono, nonché il termine finale se intendono concludere un contratto a tempo determinato.
Tali elementi, una volta decisi concordemente dalle parti in occasione dell’instaurazione del rapporto, non possono a rigore essere modificati nel corso della sua esecuzione se non con il consenso di entrambe. Gli accordi economici collettivi prevedono tuttavia che il preponente possa apportare unilateralmente variazioni alla zona di operatività dell’agente (territorio, tipologia di beni, identità della clientela) o all’ammontare delle provvigioni, dandone preventivamente comunicazione scritta all’agente, il quale, ricevuta notizia delle variazioni così introdotte, può manifestare la volontà di non accettarle con una comunicazione inviata in tal senso al preponente che, se effettuata, assume il valore di preavviso per la cessazione del rapporto contrattuale.
Oltre alla fondamentale obbligazione di promuovere la conclusione di contratti nell’interesse del preponente, che costituisce la prestazione essenziale e caratterizzante del tipo contrattuale, sull’agente potrebbero gravare, qualora le parti lo prevedano con apposite pattuizioni, anche obbligazioni aventi ad oggetto prestazioni aggiuntive ed ulteriori.
È in primo luogo possibile che il contratto imponga all’agente di non limitarsi all’attività meramente promozionale e di provvedere direttamente e personalmente a concludere con i terzi i contratti rispondenti all’interesse del proponente, spendendo il nome di quest’ultimo nell’esercizio di poteri rappresentativi a tal fine appositamente conferiti. In questo caso l’arricchimento del contenuto delle prestazioni contrattualmente dovute dall’agente (che oltre ad un facere materiale è tenuto a compiere atti giuridici negoziali) non incide sulla qualificazione del contratto, che è e rimane un (unico ed unitario) contratto di agenzia (v. art. 1752 c.c.): ad esso troveranno tuttavia applicazione, oltre alle disposizioni specificamente concernenti l’agenzia, anche le disposizioni riguardanti il mandato, in quanto compatibili con queste ultime.
L’agente è poi tenuto - ex art. 1743 c.c. - ad astenersi dal promuovere e trattare, nell’interesse di imprenditori che siano in concorrenza con l’imprenditore preponente, la conclusione di contratti aventi ad oggetto i medesimi beni o servizi che è stato incaricato di promuovere, e all’interno della medesima zona geografica che nel contratto di agenzia gli è stata assegnata. Tale obbligo di esclusiva sorge in capo all’agente come effetto naturale del contratto, per effetto della stipulazione di quest’ultimo, senza che si renda a tal fine necessaria una pattuizione ad hoc. Proprio perché costituisce un effetto naturale del contratto, l’obbligo di esclusiva potrebbe essere dalle parti, con apposite clausole, del tutto escluso, ovvero ridotto o persino ampliato nei suoi contenuti. Così, le parti ben potrebbero pattuire che l’agente sia legittimato a promuovere contratti per conto di imprenditori concorrenti presso alcuni clienti; ma potrebbero altresì imporre all’agente di astenersi dal promuovere qualsivoglia bene o servizio, in qualsivoglia zona geografica, e per conto di qualsivoglia imprenditore (anche non in concorrenza con il suo preponente), nel qual caso suol parlarsi di agente “monomandatario”.
L’agente è tenuto, in sede di esecuzione dell’incarico conferitogli dal preponente, a tutelarne gli interessi e ad agire con buona fede e lealtà. (art. 1746, co. 1, c.c.) e più specificamente è obbligato ad attenersi, nell’esecuzione dell’incarico che gli è stato affidato, alle istruzioni a tal fine impartitegli dal preponente nel corso dello svolgimento del rapporto, a trasmettere al proponente le informazioni riguardanti le condizioni del mercato nella zona geografica di sua competenza delle quali entri in possesso (ed eventualmente ad attivarsi per procurarsele a tal fine) nonché a comunicare al preponente ogni altra informazione potenzialmente utile per consentirgli di valutare l’opportunità e la convenienza dei contratti dei quali il terzo, a seguito dell’attività promozionale svolta dall’agente, gli proponga la conclusione (art. 1746, co. 1, c.c.) .
L’agente, inoltre, tutte le volte in cui si trovi impossibilitato o comunque impedito ad eseguire l’incarico che gli è stato affidato, deve darne immediatamente avviso al preponente, onde consentire a quest’ultimo di affidare ad altri – in via definitiva o temporanea – l’incarico con la tempestività necessaria per evitare di perdere la (potenziale) clientela presso la quale l’agente è impossibilitato ad operare (art. 1747 c.c.).
L’agente che non esegua, ovvero esegua in modo inesatto o tardivo, le prestazioni cui è tenuto in forza delle descritte norme di legge o delle pattuizioni ad hoc inserite nel contratto si rende responsabile di un inadempimento che legittima il preponente a pretendere, ex art. 1218 c.c., il risarcimento dei danni che gliene siano derivati nonché, tutte le volte in cui tale inadempimento sia connotato da una gravità tale da compromettere irreversibilmente il rapporto fiduciario, a recedere con effetto immediato (id est senza concessione del preavviso) dal contratto a tempo indeterminato ovvero a recedere ante tempus da un contratto a tempo determinato, nell’uno e nell’altro caso senza essere tenuto al pagamento dell’indennità per la cessazione del rapporto di cui all’art. 1751 c.c.
Nell’ipotesi in cui il terzo non adempia o adempia in modo inesatto alle obbligazioni assunte nei confronti del preponente con il contratto concluso grazie all’attività promozionale svolta dall’agente, quest’ultimo non è obbligato a risarcire i danni che ne siano derivati al preponente. Né tale responsabilità risarcitoria può essere validamente posta a suo carico da una pattuizione inserita nel contratto di agenzia: il 3° co. dell’art. 1746 c.c. sancisce infatti la nullità di pattuizioni siffatte (il c.d. “star del credere”), ammettendo soltanto che le parti possano pattuire, nel rispetto di puntuali e rigorose condizioni ivi individuate, la concessione di un’apposita garanzia da parte dell’agente.
L’obbligazione fondamentale gravante sul preponente è quella di versare all’agente un corrispettivo per le prestazioni da questi eseguite nel suo interesse, in attuazione dell’incarico conferitogli.
Di norma, le parti pattuiscono che la retribuzione dell’agente avvenga mediante la corresponsione di una provvigione, e cioè di una somma di denaro di ammontare corrispondente ad una percentuale – fissata nel contratto - del valore dell’affare che il preponente abbia concluso con il terzo grazie al (e per effetto del) decisivo intervento “promozionale” dell’agente .
Il c.c. si limita a fissare i presupposti in presenza dei quali sorge in capo all’agente il diritto (di credito) alla provvigione e a regolamentare i tempi dell’adempimento del relativo debito, omettendo di individuare i parametri di calcolo e quantificazione della provvigione, la cui determinazione è pertanto interamente rimessa all’autonomia negoziale dei contraenti.
Merita in proposito di essere sottolineato che il diritto alla provvigione non sorge in capo all’agente per effetto del mero svolgimento dell’attività promozionale, né in virtù della mera circostanza che il terzo, accogliendo l’invitatio ad offerendum rivoltagli dall’agente, abbia formulato la proposta contrattuale indirizzata al preponente, dovendo per contro ricorrere a tal fine due ulteriori presupposti.
In primo luogo, è necessario che l’affare che l’agente è incaricato di promuovere presso il terzo sia stato effettivamente concluso (id est che il terzo abbia formulato la relativa proposta contrattuale e che quest’ultima sia stata accettata da parte del preponente), che tale conclusione possa dirsi avvenuta «per effetto dell’intervento dell’agente» e che essa si sia verificata prima della cessazione del rapporto contrattuale di agenzia.
In secondo luogo, è indispensabile che la prestazione che il preponente è tenuto ad effettuare in base al contratto stipulato con il terzo sia stata effettivamente eseguita o comunque sia scaduto il termine entro il quale essa avrebbe dovuto essere eseguita, salvo che le parti abbiano preferito fare riferimento alla prestazione dovuta dal terzo, nel qual caso, affinché sorga il diritto dell’agente alla provvigione, è necessario che il terzo abbia effettivamente eseguito la prestazione contrattualmente promessa al preponente ovvero si sia legittimamente rifiutato di eseguirla ex art. 1460 c.c. come reazione all’inadempimento del quale il preponente si sia reso responsabile nei suoi confronti (co. 3 dell’art. 1748 c.c.).
Il diritto dell’agente alla corresponsione della provvigione si prescrive in cinque anni (ex art. 2948, n. 4, c.c.), decorrenti dalla data in cui il relativo debito è divenuto esigibile, e cioè «al più tardi l’ultimo giorno del mese successivo al trimestre nel corso del quale il diritto in questione è maturato» (id est si è verificato il secondo dei presupposti - sopra descritti - cui è subordinata l’insorgenza del diritto alla provvigione).
Merita infine di essere rilevato che il preponente, salvo diversa pattuizione, non è gravato dall’obbligazione di rimborsare all’agente le “spese di agenzia”, e cioè le spese che l’agente abbia sostenuto per organizzare ed espletare l’attività promozionale di cui il preponente l’abbia incaricato.
Oltre all’obbligo di pagare la provvigione, gravano sul preponente ulteriori obbligazioni, contemplate dal c.c. come effetti ora semplicemente naturali, ora essenziali ed inderogabili del contratto di agenzia.
In primo luogo, a norma dell’art. 1743 c.c. il preponente è tenuto ad astenersi dal giovarsi contemporaneamente dell’operato di una pluralità di agenti per promuovere gli stessi beni o servizi all’interno della medesima area geografica, essendo in linea di principio tenuto ad avvalersi di un agente solo «nella stessa zona e per lo stesso ramo di attività» (cd. obbligo di esclusiva).
Questa obbligazione “di esclusiva” sorge in capo al preponente per effetto della stipulazione del contratto anche se le parti non l’hanno specificamente concordata, ma può essere validamente esclusa o limitata da apposite clausole inserite nel regolamento negoziale. È possibile che le parti convengano di escludere sia l’obbligazione di esclusiva gravante sul preponente, sia l’obbligazione di esclusiva gravante ex lege sull’agente, ma nulla vieta che esse pattiziamente convengano di escludere (o limitare) l’una senza intaccare l’altra.
Sul preponente grava inoltre, ex art. 1749 c.c., l’obbligo di agire con lealtà e buona fede nei rapporti con l’agente. L’obbligo in questione costituisce specificazione del generale obbligo di cui all’art. 1375 c.c. e deve considerarsi violato tutte le volte in cui il preponente si rifiuti ingiustificatamente di accettare le proposte contrattuali che il terzo abbia formulato a seguito dell’attività promozionale svolta dall’agente e che quest’ultimo abbia trasmesso al proponente medesimo: il rifiuto deve, in linea di principio, considerarsi ingiustificato tutte le volte in cui le proposte contrattuali siano state formulate nel rispetto delle istruzioni preventivamente impartite all’agente e appaiano convenienti, nel senso che non sussistono ragioni né elementi tali da indurre a dubitare che il contratto sia destinato ad essere correttamente eseguito dal cliente “procurato” dall’agente.
Ulteriori, più dettagliate obbligazioni vengono poste a carico del preponente dai primi tre commi dell’art. 1749, che recano disposizioni pattiziamente inderogabili (v. co. 4): l’obbligo di mettere a disposizione dell’agente la necessaria documentazione inerente ai beni o ai servizi che è stato incaricato di trattare, di fornire tutte le informazioni necessarie per l’esecuzione del contratto e di comunicare l’avvenuta o la mancata accettazione di una proposta contrattuale formulata dal terzo e trasmessa dall’agente; l’obbligo di rendere noto all’agente che un contratto stipulato per il tramite del suo intervento non è stato eseguito dal terzo; l’obbligo di consegnare all’agente un estratto conto delle provvigioni dovute, al più tardi entro la fine del mese successivo al trimestre nel corso del quale esse sono maturate; l’obbligo di fornire tutte le informazioni di cui l’agente abbisogna per verificare l’importo delle provvigioni liquidate; l’obbligo di rendere noti all’agente, entro un termine ragionevole, gli eventi e i fattori che rendono ragionevolmente prevedibile una consistente riduzione del volume degli affari atteso.
Il mancato, tardivo o inesatto adempimento di una di queste obbligazioni legittima senz’altro l’agente, ex art. 1218 c.c., a pretendere il risarcimento dei danni che gliene siano derivati e nel contempo, quando risulti di gravità tale da compromettere irreversibilmente la possibilità di proseguire il rapporto, integra gli estremi di una giusta causa di recesso dell’agente dal contratto.
L’agenzia è un contratto di durata, che in mancanza di diverse pattuizioni contrattuali deve ritenersi stipulato a tempo indeterminato.
Le parti potrebbero tuttavia apporre al rapporto fra di esse instaurato un termine finale: in tale ipotesi, alla scadenza del termine il rapporto cessa automaticamente ed immediatamente, salvo che le parti continuino a darvi esecuzione, nel qual caso esso si trasforma in un rapporto a tempo determinato (co. 1 dell’art. 1750 c.c.).
Se il contratto è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti è legittimata in qualsiasi momento, e senza che si renda a tal fine indispensabile la sussistenza di una giusta causa, a scioglierlo con un atto unilaterale di recesso.
In linea di principio, la parte che recede da un contratto a tempo indeterminato è tuttavia obbligata a concedere all’altra un preavviso, e cioè ad apporre al negozio unilaterale di recesso un termine iniziale che ne sospenda l’efficacia per un periodo la cui durata varia in relazione a diversi parametri, individuati dai co. 3-5 dell’art. 1750 c.c., dagli accordi economici collettivi e delle eventuali pattuizioni integrativo-derogatorie concluse dalle parti (soltanto se più favorevoli all’agente).
La concessione del preavviso non è tuttavia dovuta quando il recesso sia motivato da una giusta causa, in presenza della quale l’agente o il preponente sono legittimati a sciogliere il contratto con un atto di recesso (cd. in tronco) che produce effetto immediatamente, non appena giunge a conoscenza della controparte.
Va rilevato peraltro che anche quando non sussista una giusta causa il contraente - se vuole - può comunque efficacemente recedere in tronco dal contratto di agenzia, senza concedere il preavviso contemplato dalla legge o dagli accordi economici collettivi: in questo caso, tuttavia, sarà obbligato a versare alla controparte una indennità per la mancata concessione del (dovuto) preavviso.
Per contro, quando il contratto di agenzia sia a tempo determinato, nessuna delle parti è a rigore legittimata a recedere prima della scadenza del termine. Il c.c. nulla dispone in merito alla eventuale possibilità, per le parti, di recedere ante tempus con effetto immediato laddove prima del decorso del termine si verifichino eventi e situazioni incompatibili con la prosecuzione del rapporto: dottrina e giurisprudenza, tuttavia, lo ammettono pacificamente.
Quanto al concetto di giusta causa, esso ricomprende, secondo la giurisprudenza, non soltanto inadempimenti di obbligazioni contrattuali dell’agente connotati da un livello di gravità tale da giustificare lo scioglimento del contratto, ma anche comportamenti non qualificabili come inadempimenti in senso stretto, che tuttavia risultino incompatibili con la prosecuzione del rapporto.
Rimane infine fermo che al contratto di agenzia, in quanto contratto a prestazioni corrispettive, trovano applicazione (anche) gli artt. 1453ss. c.c.: ne deriva che, laddove una parte si renda responsabile di un inadempimento di non scarsa importanza, l’altra è senz’altro legittimata a richiedere in giudizio la risoluzione del contratto (ex art. 1453 c.c.) ovvero ad intimare la diffida ad adempiere in vista della risoluzione stragiudiziale del contratto ex art. 1454 c.c.; ne deriva altresì che le parti ben potrebbero inserire nel contratto una clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c., che autorizzi una di esse a risolvere il contratto con una dichiarazione unilaterale a fronte del verificarsi dell’inadempimento contemplato dalla clausola medesima.
In assenza di una delle cause impeditive contemplate dal co. 2 dell’art. 1751 c.c. ed in presenza dei presupposti (positivi) individuati dal co. 1 dell’art. 1751 c.c., nel momento dello scioglimento del rapporto contrattuale sorge ex lege in capo all’agente il diritto (non suscettibile di essere limitato o escluso con pattuizioni stipulate in occasione dell’instaurazione del rapporto ovvero durante la sua esecuzione: v. il co. 6 dell’art. 1751 c.c.) alla corresponsione di una indennità (la cd. indennità di cessazione del rapporto), che non ha natura previdenziale né risarcitoria (tant’è che può ad essa aggiungersi il risarcimento dei danni eventualmente subiti dall’agente: co. 4 dell’art. 1751 c.c.), bensì squisitamente retributiva: tale indennità costituisce il compenso per i vantaggi e le utilità di cui il preponente beneficia in modo stabile e durevole posteriormente alla cessazione del rapporto contrattuale di agenzia grazie all’attività svolta dall’agente nel corso dell’esecuzione dello stesso.
L’agente intenzionato ad esercitare tale diritto ha l’onere di darne comunicazione al proponente (con qualsivoglia atto, anche stragiudiziale), a pena di decadenza, entro un anno dalla data dello scioglimento del rapporto ed ha altresì l’onere di compiere un idoneo atto interruttivo entro il termine (ordinario) di dieci anni, pena la prescrizione del relativo diritto.
Le cause impeditive in presenza delle quali è a priori escluso che possa sorgere in capo all’agente il diritto all’indennità di cessazione del rapporto sono: la circostanza che il rapporto sia stato sciolto dal preponente (con un atto di recesso o con una risoluzione stragiudiziale o giudiziale) per un inadempimento imputabile all’agente che, per la sua gravità, non abbia consentito la prosecuzione del rapporto; la circostanza che il rapporto sia stato sciolto dall’agente con un atto di recesso non giustificato da “circostanze attribuibili al preponente” (id est da inadempimenti di cui il preponente si sia reso responsabile) né da circostanze attinenti alla persona dell’agente (ad es. infermità o malattia, invalidità permanente e totale, raggiungimento dell’età pensionabile) che abbiano reso ragionevolmente inesigibile la prosecuzione del rapporto; l’intervenuta cessione ad un terzo, da parte dell’agente, dei diritti e degli obblighi scaturenti dal contratto di agenzia.
Ne deriva che il diritto all’indennità può sorgere in capo all’agente soltanto nelle ipotesi in cui il rapporto contrattuale si scioglie: per scadenza del termine (nel caso di contratti a tempo determinato), per recesso del preponente non motivato da inadempimenti dell’agente così gravi da risultare incompatibili con la prosecuzione del rapporto; per recesso dell’agente giustificato da “circostanze” imputabili al preponente o all’agente stesso che precludano la possibilità di pretendere ragionevolmente la prosecuzione del rapporto; per morte dell’agente (co. 7 dell’art. 1751).
In tutte queste ipotesi, l’insorgenza del diritto in capo all’agente è comunque subordinata ad un duplice presupposto positivo: in primo luogo è necessario che l’agente, durante lo svolgimento del rapporto contrattuale, abbia procurato nuovi clienti al preponente e/o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti già esistenti; in secondo luogo è necessario che, posteriormente allo scioglimento del rapporto e con un sufficiente grado di stabilità e durevolezza, il preponente continui a giovarsi dei risultati utili dell’attività a suo tempo svolta dall’agente, ricevendo “vantaggi sostanziali” dagli affari conclusi con i clienti che quest’ultimo gli aveva procurato o dei quali aveva sensibilmente incrementato il volume di ordinativi .
Presenti questi presupposti, l’agente ha sicuramente diritto all’indennità la cui quantificazione - stando alla previsione dell’art. 1751 (e alle corrispondenti statuizioni dell’art. 17, § 2, della dir. 86/653/Cee) - dovrebbe a rigore sempre essere effettuata attraverso una valutazione “in concreto” di natura equitativa, condotta tenendo conto di tutte le circostanze del caso, in primis delle provvigioni che l’agente (a causa dello scioglimento del rapporto) perde la possibilità di percepire in correlazione agli affari conclusi con i clienti con i quali trattava per conto del preponente, fermo restando che in ogni caso l’ammontare dell’indennità non può superare il limite quantitativo massimo fissato dal co.3 dell’art. 1751 c.c.
Occorre peraltro rilevare che gli A.e.c. del 2014 del settore industria e del 2009 del settore commercio disciplinano i presupposti e i parametri di quantificazione dell’indennità di cessazione del rapporto con modalità assai più complesse, puntuali ed analitiche rispetto a quanto previsto dal comma 2 dell’art. 1751 c.c., modalità la cui piena compatibilità con il dettato della dir. 86/653/Cee è tuttora dubbia, anche alla luce di quanto la Corte di Giustizia ha affermato, seppure con riferimento al precedente A.e.c. del commercio del 1992, nella sent. 23.3.2006, C465/04, Honyvem Informazioni Commerciali s.r.l. c. De Zotti, la quale ha escluso che una indennità di cessazione del rapporto quantificata in applicazione dei criteri di cui all’art. 17, n. 2, della direttiva (recepito dal co. 2 dell’art. 1751 c.c.) possa essere sostituita da un’indennità determinata secondo criteri diversi (contemplati da un accordo economico collettivo) da quelli fissati da quest’ultima disposizione, a meno che non venga provato che l’applicazione di tali diversi criteri garantisce, in ogni caso, all’agente commerciale un’indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall’applicazione dei criteri dettati dalla norma europea.
In linea di principio, una volta cessato il rapporto contrattuale, l’agente riacquista piena libertà di iniziativa economica ed è pertanto legittimato a promuovere, nell’interesse di imprenditori concorrenti del suo originario preponente, la conclusione di contratti aventi ad oggetto beni o servizi dello stesso tipo di quelli offerti da quest’ultimo, rivolgendo le relative invitationes ad offerendum alla medesima clientela e/o operando nell’ambito della medesima zona geografica cui si riferiva l’incarico originariamente ricevuto.
È possibile tuttavia che le parti, in occasione dell’instaurazione (o nel corso dell’esecuzione) del rapporto contrattuale di agenzia, concludano un patto di non concorrenza, attraverso il quale l’agente, a fronte della corresponsione di una apposita indennità, si impegna ad astenersi dallo svolgere (per contro proprio o nell’interesse di altri imprenditori) attività concorrenziali con l’attività dell’originario preponente. Tale patto è ammesso dall’art. 1751 bis, co. 1, c.c., che ne subordina tuttavia la validità a precisi requisiti di forma e contenuto.
Innanzitutto, il patto deve rivestire la forma scritta a pena di nullità.
In secondo luogo, il patto può limitare la libertà di iniziativa economica dell’agente soltanto con riguardo alla medesima clientela e zona geografica che risultavano assegnate all’agente nel momento della cessazione del rapporto contrattuale, nonché alla medesima tipologia di beni o servizi che in tale momento l’agente era incaricato di promuovere.
Infine, la durata della limitazione imposta dal patto alla libertà imprenditoriale dell’agente non può essere superiore a due anni: anche in questo caso, laddove le parti concordassero una durata superiore, la relativa clausola verrebbe ridotta ex lege al limite massimo biennale contemplato dall’art. 1751 bis, co. 1, c.c.
Il patto di non concorrenza è a titolo oneroso (salvo che le parti ne abbiano espressamente convenuto la gratuità): l’agente che abbia accettato di stipularlo ha pertanto diritto ad una indennità il cui importo - se non è stato determinato dalle parti del contratto e non può essere determinato applicando i criteri contemplati dagli A.e.c. (perché ad es. il rapporto non è soggetto ad alcun A.e.c.) - può e deve essere fissato dall’autorità giudiziaria in via equitativa, facendo riferimento ai parametri indicati dal co. 2 dell’art. 1751bis c.c.
Artt. 1742-1753, 2113, 2751 bis, n. 3, art. 2948, n. 4. c.c.; art. 409, n. 3 c.p.c.; dir. 86/653/Cee; art. 74 d.lgs. 26.3.2010, n. 59.
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