Contratto di governo
Il 1° giugno 2018 ha preso vita il primo Governo della Repubblica italiana il cui programma è oggetto di un contratto, reso pubblico, redatto in forma scritta e stipulato tra le due forze politiche emerse in modo più prepotente dai risultati elettorali. È questo il Contratto per il governo del cambiamento adottato dal Movimento5Stelle e dalla Lega Nord: il documento sancisce i termini della reciproca intesa, orienta l’attività di governo a livello di principi generali ed elenca le tematiche da affrontare, offrendo talvolta spunti che anticipano i dettagli dei futuri atti normativi. La stipula del “contratto di governo” risente del sistema elettorale vigente e attinge alle esperienze internazionali piuttosto che ai “precedenti” italiani. Consapevoli della novità, i contraenti hanno previsto meccanismi di garanzia che tuttavia, nell’immediato, non consentono di superare alcune importanti criticità di ordine costituzionale.
Il voto del 4 marzo 2018 ha osservato i dettami della l. elettorale 3.11.2017, n. 165 (cd. Rosatellum), che prevede un sistema misto con prevalenza del criterio proporzionale su quello maggioritario. Come intuibile, i risultati elettorali incerti hanno condotto ad una lunga fase di stallo, portata avanti tra consultazioni, pre-incarichi, mandati esplorativi e conclusasi con l’individuazione della Lega Nord e del Movimento5Stelle quali forze politiche in grado di costituire il nuovo esecutivo. Dopo una serie di bozze riviste e corrette, i contraenti, ossia i leader delle due compagini nonché – di lì a breve – Vicepresidenti del Consiglio dei ministri (attesa la terzietà del Premier prescelto), hanno presentato il testo definitivo del nuovo contratto di governo il 18 maggio 2018, sottoponendolo, con esito favorevole, ai rispettivi elettori. Il documento è composto da 58 pagine ed è articolato in 30 punti. Se il primo punto riveste un ruolo strategico a livello tecnico, essendo dedicato al Funzionamento del Governo e dei Gruppi Parlamentari, i punti successivi affrontano una serie di problematiche che, a giudizio delle parti, meritano di essere affrontate in maniera pianificata e congiunta. Talora il testo presenta criteri di indirizzo che tuttavia permangono a livello di mero orientamento politico, in virtù di un contenuto astratto e generale, il quale necessita di un’ulteriore specificazione in fase attuativa. Esempi in tal senso si rinvengono nelle dichiarazioni di principio rese in tema di tutela dell’ambiente, politica estera e università. In altri casi, il contratto pone indicazioni di tipo immediatamente prescrittivo, volte a fissare, sin dal momento della loro redazione, alcuni elementi che, nella loro traduzione positiva in atti normativi, dovranno essere rispettati in maniera fedele. Emblematico il punto 11, inteso ad innovare il sistema impositivo con la cd. flat tax: è lo stesso contratto a prevedere la cifra corrispondente all’ammontare delle aliquote. In considerazione del grado di vincolatività derivante da una disposizione così precisa, l’atto di rango primario che introdurrà tale sistema dovrà dunque rispettare il paramento indicato. Il Contratto per il governo del cambiamento è quindi un documento programmatico che, superando concetti pregressi assimilabili al più semplice “programma di governo” ovvero “all’accordo di coalizione”, da un lato impegna le parti dettando delle linee-guida orientative, dall’altro, ove possibile, anticipa il contenuto precettivo dei futuri atti normativi.
La formazione dell’esecutivo in esito alle elezioni dipende strettamente dal sistema di voto vigente. Infatti, rispetto alle coalizioni e agli accordi di governo eventualmente stipulabili, è agevole notare come un dato di tendenza emerga con forza: qualora sia vigente un sistema elettorale di stampo maggioritario, le forze politiche, consapevoli dell’importanza di conquistare l’eventuale premio di maggioranza, andranno a coalizzarsi tra loro, in base alla vicinanza politica e al grado di condivisone del programma da attuare. Oltre al ruolo della legge elettorale, si darà conto delle più significative esperienza sul tema e di alcuni meccanismi su cui si basa il contratto.
Il sistema maggioritario, in Italia affermatosi con le l. 4.8.1993, nn. 276 e 277, implica la formazione di un’intesa convenzionale in un momento anteriore allo svolgimento delle elezioni. I termini di un accordo di coalizione stretto tra le forze politiche sono noti all’elettorato prima del momento del voto, come del resto è – in genere – reso conoscibile anche il programma comune (non necessariamente redatto secondo il tipo contrattuale) su cui l’accordo verte. In tal caso la battaglia politica viene combattuta e spesso si esaurisce in campagna elettorale, poiché la fase successiva al voto, attesa la sostanziale indicazione, emergente dalle suggestioni elettorali, del nome del futuro Premier (il quale non è altro che il leader della coalizione vittoriosa), non pone particolari problemi e rappresenta soltanto la presa d’atto della volontà popolare, espressasi non solo nell’ottica della composizione delle Camere, ma altresì nei presupposti della creazione del nuovo esecutivo. Al contrario, un sistema caratterizzato dal criterio proporzionale (si pensi alla legge elettorale del 1946 o alla l. 21.12.2005, n. 270, pur con i previsti aggiustamenti maggioritari), che per sua stessa natura e tradizione assicura una più fedele rappresentazione dell’espressione popolare sacrificando la stabilità dell’azione di governo, non si confà alla prassi delle previe coalizioni tra partiti. Eventuali accordi troveranno sede soltanto in un momento successivo alle elezioni, poiché prima del voto non sarà possibile conoscere, con sufficiente grado di certezza, quali forze politiche prevarranno ed in quale misura1. È il caso del nuovo contratto di governo: il sistema elettorale vigente, in prevalenza proporzionale, ha restituito risultati che non hanno certificato un vincitore assoluto. Solo a seguito di lunghe consultazioni, le due forze politiche in quel momento più solide hanno individuato il tipo contrattuale quale strumento più idoneo, da un lato, a sancire la nuova alleanza, dall’altro, ad obbligarsi reciprocamente per raggiungere gli scopi fissati.
Il contratto in esame si differenzia dalle convenzioni precedentemente stipulate in Italia e prende invece spunto da esperienze transalpine più consolidate. In ordine ai “precedenti” nazionali, sovviene inesorabile il tema del “compromesso storico”, inteso quale tendenza ad un forte avvicinamento, più politico che ideologico, tra i due principali partiti italiani del dopoguerra, quali erano la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano. Il compromesso ha assunto le sembianze di un innovativo indirizzo politico condiviso, ma non ha implicato, stante il mancato superamento della cd. conventio ad excludendum (con cui i partiti centristi, sin dal 1948, avevano escluso un’alleanza con le forze di sinistra) né un accordo programmatico pubblicamente redatto, né – ancor prima – il coinvolgimento del P.C.I. in una coalizione di governo con la D.C. Significativa altresì l’esperienza del cd. Pentapartito, sorto nel 1981 con il “patto del camper” (o “patto CAF”, dai nomi dei protagonisti Craxi, Andreotti e Forlani), con cui la formazione centrista avrebbe dominato la scena per un decennio. Si è trattato pur sempre di un’intesa politico-strategica (era prevista l’alternanza al governo dei partiti coinvolti) e solo parzialmente programmatica. In un contesto più recente, per la necessità di fronteggiare situazioni di grave crisi economica e politica, hanno avuto un ruolo di primaria importanza i governi “di larghe intese”. L’esempio più rilevante è rappresentato dal Governo Letta, formatosi nel 2013 e “condiviso” tra varie forze politiche. Il programma, volto all’adozione di misure anticrisi e alla stabilità di governo, non è comunque stato oggetto di un accordo scritto vincolante per le forze coinvolte.2 Non trovando spunti significativi nella storia repubblicana, il contratto si è ispirato, per affermazione dei firmatari, al contratto di governo “alla tedesca”. L’ultimo accordo di coalizione (Koalitionvertrag) tedesco risale al 12 marzo 2018 ed è stato stipulato tra Cdu-Csu (conservatori) e Spd (socialdemocratici), con la creazione della nota Grosse Koalition posta a base del IV Governo Merkel. L’accordo, con il nome di Una nuova partenza per l’Europa, è composto da 177 pagine ed è considerato perlopiù un manifesto delle volontà politiche dei contraenti, ampio per materia ma non sempre dettagliato nelle singole discipline. Si tratta di uno strumento che in Germania trova origine addirittura nel 1961 ed ha spesso caratterizzato la storia politica del Paese, soprattutto nei casi di relativo insuccesso elettorale delle maggiori forze politiche. Interessante è altresì l’esperienza britannica. Quando i risultati elettorali sono incerti, il Monarca può insistere per un Governo che includa forze minori: nel 2010 i conservatori guidati da Cameron avviarono intense trattative con i liberaldemocratici di Clegg, siglando in breve un accordo di coalizione. Il testo prevedeva una complessa rete di reciproche concessioni e garanzie che, riconoscendo il ruolo minoritario ma potenzialmente eversivo dei liberaldemocratici, erano volte a tutelare uno «strong and stable government»3. Con questo “statuto interno di coalizione”, si individuavano da subito le aree di contrasto, le ipotesi di rottura automatica del patto e le forme di limitato dissenso, in particolare da parte dei liberaldemocratici, cui i conservatori offrivano dunque una forma di pari dignità attenuata.
In maniera analoga all’accordo britannico, il contratto di governo italiano prevede una forma di autoregolazione, con annesse garanzie, al fine di affrontare i momenti di incomprensione politica tra le parti. Il punto 1 definisce il periodo di validità del contratto italiano, esteso a tutta la durata della XVIII legislatura. Per una concreta realizzazione degli oneri assunti, le parti si scambiano «reciprocamente ulteriori impegni metodologici», che anticipano la necessità di completare il programma e verificarne medio tempore l’effettiva esecuzione. Significativa appare la promessa di «tradurre questo contratto in una pratica di governo», condividendo paritariamente la responsabilità della politica dell’esecutivo e del mancato raggiungimento degli obiettivi. I principi di lealtà, buona fede e collaborazione assurgono a linee-guida fondamentali per raggiungere scopi non previsti dall’accordo (si fa cenno ad uno scambio di informazioni e al tentativo di raggiungere un’eventuale intesa, senza «mettere in minoranza l’altra parte in questioni che per essa sono di fondamentale importanza»). Tali principi si consolidano anche e soprattutto «qualora nel corso dell’azione di governo emergano divergenze per quanto concerne l’interpretazione e l’applicazione del presente accordo». Subentra in tal caso il sistema di garanzie previsto dal piano di crisi: le parti si impegnano dapprima ad una discussione collaborativa e, solo in caso di esito infruttuoso, convocano il Comitato di conciliazione. Tale organo, composto dal Presidente del Consiglio dei ministri, dai leader contraenti, dai Presidenti dei gruppi parlamentari delle due forze politiche e dal Ministro competente per materia, ha il triplice scopo di dirimere le controversie (a guisa di collegio arbitrale), individuare una posizione comune in ordine a problematiche estranee al contratto o comunque urgenti e/o imprevedibili al momento della sottoscrizione, pronunciarsi a richiesta di uno dei contraenti per esaminare questioni reputate fondamentali. Il Comitato, di cui è regolamentato anche il quorum deliberativo, sembra dunque rappresentare l’organo di garanzia e di chiusura per l’efficace funzionamento del contratto. Il punto 1 si conclude con la regolamentazione, invero scarna, dell’attività dei gruppi parlamentari in ordine alla presentazione delle iniziative legislative finalizzate all’attuazione del programma e con l’impostazione dei rapporti che devono consentire all’Italia di “fronteggiare” l’Europa. Segue la formulazione di un codice etico in nuce e l’apposizione di una clausola di salvaguardia a tutela delle divergenze politiche tra gli stessi contraenti: nelle varie competizioni elettorali, oltre alla correttezza reciproca, è garantito il rispetto dell’appartenenza ai diversi gruppi. In merito infine all’azione politica già avviata dalle forze contraenti nelle amministrazioni territoriali, il contratto non esplica alcuna efficacia.
La stipulazione del contratto di governo suggerisce di dedicare brevi cenni ad alcune criticità di carattere costituzionale. In primo luogo, la volontà di porre un vincolo contrattuale all’azione esecutiva potrebbe porsi in contrasto con l’art. 67 Cost., che, come noto, sancisce il divieto di mandato imperativo: né rispetto al gruppo di apparenza, né rispetto all’elettore, il parlamentare può dirsi vincolato nell’esercizio delle sue funzioni. Tale disposizione, attesa a garantire l’indipendenza politica dell’eletto, è suscettibile di essere violata dal contratto sia in maniera diretta che indiretta. In maniera diretta, poiché il testo sembra inteso a vincolare l’azione, perlomeno, del parlamentare appartenente ad una delle due forze contraenti: in caso di disobbedienza del singolo rispetto al contratto, si dovrà necessariamente verificare in che maniera reagirà il gruppo di riferimento, poiché solo azioni ritorsive (attualmente non prevedibili) potrebbero in concreto violare il divieto di mandato imperativo. In maniera indiretta, si nota come sia lo stesso punto 20 del contratto a prevedere l’introduzione di «forme di vincolo di mandato per i parlamentari, per contrastare il sempre crescente fenomeno del trasformismo». Vengono citati, a titolo di esempio, l’art. 160 della Costituzione portoghese e la disciplina dei gruppi parlamentari in Spagna4. A quel punto, l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale dovrà necessariamente convergere sull’atto che introdurrà in concreto i vincoli prospettati, ammesso che, con queste premesse, i contraenti non intervengano direttamente sulla revisione dello stesso art. 67.
Altra problematica si può cogliere in riferimento all’art. 94, co. 3, Cost., il quale prevede che, dopo il giuramento, il Governo debba presentarsi alle Camere per ottenerne la fiducia. La Costituzione nulla dice rispetto all’oggetto su cui deve ricadere la fiducia, ma l’art. 5 l. 23.8.1988, n. 400 e la consuetudine prevedono che esso coincida con le dichiarazioni di indirizzo politico e programmatico rese dal Premier. Nel caso di specie, questi è stato individuato dai firmatari dell’accordo, ma formalmente non è un contraente né la sua figura è disciplinata dal contratto. Per scongiurare una pericolosa divergenza, occorrerebbe verificare se le dichiarazioni su cui è stata accordata la fiducia coincidano con i contenuti del contratto5. Nel discorso tenuto dinanzi al Senato il 5 giugno 2018, il termine «contratto» è stato citato undici volte, rivestendo un ruolo primario nel monologo: il Premier si è detto garante dell’attuazione del documento, riconoscendo nel testo la presenza sia di misure immediate che di riforme strutturali più profonde. Il tema del cambiamento, fulcro del discorso preliminare, ha lasciato spazio all’analisi dei temi previsti dal contratto (dal lavoro all’ambiente, dalla giustizia alla sanità), rispetto ai quali il Premier ha precisato le intenzioni del Governo e i termini del proprio apporto. Da questo punto di vista, sembra che il senso dell’art. 94 Cost. sia stato rispettato, poiché la fiducia è stata ottenuta su dichiarazioni che riflettono il contenuto del contratto di governo. Restano aperte molte problematiche, come, ad esempio, l’esame del ruolo del Premier nell’esecuzione del contratto. Data la sua terzietà politica e estraneità alla firma, atteso tuttavia il suo compito primario, può parlarsi di un contratto a favore di terzo a rilievo costituzionale? Al Premier inadempiente può imputarsi una forma di responsabilità, pur non prevista ex ante dal contratto? L’eventuale incostituzionalità del contratto può fermarsi ad un livello di valutazione meramente politica o la si può dichiarare solo sulla base di atti oggetto del giudizio della Corte? Si tratta di temi che, pur di grande importanza, troveranno una definizione solo nel corso del tempo, come accade in tutti i casi in cui un istituto del tutto innovativo fa il proprio ingresso in un dato ordinamento.
1 Sull’analisi dei diversi sistemi elettorali, anche in merito al momento di formazione dell’accordo, si rinvia a Chiara, G., Il Governo, in Istituzioni di diritto pubblico, a cura di L. Arcidiacono-A. Carullo-E. Castorina, II ed., Padova, 2016, 209 e ss., nonché a Barile, P.Cheli, E.Grassi, S., Istituzioni di diritto pubblico, XVI ed., Padova, 2017, 170 e ss.
2 Per un compiuto esame del ruolo svolto dal programma di governo e dal relativo accordo politico, si legga Martines, T., Diritto Costituzionale, XIV ed., Milano, 2017, 372 e ss.
3 Si veda sul punto Fusaro, C., Regno Unito: l’accordo conservatori-liberaldemocratici alla base del governo Cameron. Qualche spunto d’interesse costituzionale, in www.forumcostituzionale.it, 2010.
4 Per alcuni spunti comparativi si rinvia ad Orrù, R., Divieto di mandato imperativo ed antidefection laws: spunti di diritto comparato, in Dir. pubbl. comp. eur., IV, Bologna, 2015, 1097 e ss.
5 Sulla legittimazione costituzionale delle dichiarazioni programmatiche, anche in relazione all’art. 49 Cost., si veda Rolla, G., Il sistema costituzionale italiano, I, V ed., Milano, 2014, 347.