Abstract
Il contratto di riporto, nato nella prassi borsistica e disciplinato dagli artt. 1548 ss. c.c., si caratterizza per lo scambio della temporanea disponibilità di titoli fungibili dal riportato al riportatore a fronte della disponibilità temporanea di danaro, a titolo di prezzo, corrisposto dal riportatore al riportato. Esso può consentire il perseguimento di interessi tanto del riportato quanto del riportatore. Infatti, il riporto si presta ad essere utilizzato per fornire una garanzia al riportatore, a fronte di un finanziamento erogato al riportato, ovvero può essere stipulato per consentire l’esercizio del diritto di voto da parte del riportatore, scollegato dalla ‘proprietà economica’ delle azioni per cui il voto viene esercitato (cd. empty voting). Ancora, ove il riporto risulti collegato alla conclusione di un contratto di borsa, il contratto può svolgere una finalità solutoria o speculativa. Non sempre, peraltro, le finalità perseguite dalle parti si riflettono sulla disciplina applicabile al contratto; esse rimangono sovente nel piano dei motivi non rilevanti sotto il profilo causale.
Il codice civile definisce il riporto all’art. 1548 c.c. come il contratto con il quale una parte (riportato) trasferisce in proprietà alla controparte (riportatore) titoli di credito di una data specie per un determinato prezzo e il riportatore assume l’obbligo di ritrasferire al riportato, alla scadenza stabilita, altrettanti titoli della stessa specie verso il rimborso del prezzo, che può essere aumentato o diminuito nella misura convenuta.
Il contratto di riporto nasce nella prassi borsistica e in questo contesto trova le sue più rilevanti applicazioni. Tuttavia, la duttilità dello strumento contrattuale consente alle parti di perseguire numerose e differenti finalità: dalla necessità di disporre di titoli azionari per esercitare i diritti sociali, alla necessità di procurarsi i titoli oggetto di un’operazione di borsa in precedenza effettuata allo scoperto, alla necessità di procurarsi una provvista finanziaria dietro trasferimento di titoli di credito in funzione di garanzia e altri ancora.
Queste diverse finalità possono essere comunque ricondotte a due categorie, a seconda che a) il riportato necessiti di danaro, e in tal caso il trasferimento dei titoli rappresenta la garanzia per il finanziamento (sub specie di prezzo) concesso dal riportatore; b) il riportatore necessiti dei titoli per un dato periodo di tempo, e in tal caso il prezzo rappresenta la garanzia del riportato. La distinzione tra le due categorie è data dalla comparazione dei prezzi fissati per i due trasferimenti: ove il corrispettivo pagato dal riportato per il riacquisto dei titoli sia superiore rispetto a quello corrisposto per il primo trasferimento, è evidente l’esistenza di un interesse finanziario del riportato ad ottenere la provvista da parte del riportante. Viceversa, ove il riportatore riceva un corrispettivo per il secondo trasferimento inferiore a quello corrisposto al momento del primo acquisto (cd. riporto con deporto), la differenza è da imputarsi al soddisfacimento dell’interesse del riportatore a poter disporre dei titoli nel tempo intercorrente tra i due trasferimenti.
La dottrina, seguendo una linea di pensiero non del tutto coincidente con quella sopra esposta, tradizionalmente distingue tra riporto cd. ‘di banca’ e riporto cd. ‘di borsa (si veda per tutti Cottino, G., Del riporto, della permuta (artt. 1548-1555), in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1966, 148 ss., la cui distinzione è normalmente ripresa dalla successiva dottrina). Il primo sarebbe concluso allo scopo di procurarsi temporaneamente danaro o la disponibilità di un determinato ammontare di titoli, concessi dalla banca nelle vesti rispettivamente di riportato e di riportatore. Il riporto di borsa, invece, è tradizionalmente definito come il contratto di riporto stipulato da due soggetti che hanno in precedenza concluso un contratto borsistico di vendita a termine di titoli, allo scopo di differirne il termine originariamente pattuito.
La distinzione proposta, tuttavia, è inadeguata sotto il profilo classificatorio, giacché possono ravvisarsi ipotesi di riporto non riconducibili ad alcuna delle due categorie sopra delineate, come nel caso di riporto con funzione di garanzia posto in essere da un soggetto differente da una banca, come nell’ipotesi disciplinata dall’art. 1, co. 6, lett. c), t.u.f., che qualifica come servizio di investimento accessorio la «concessione di finanziamenti agli investitori per consentire loro di effettuare un’operazione relativa a strumenti finanziari, nella quale interviene il soggetto che concede il finanziamento», integrato dall’art. 47, co. 2, regolamento Consob n. 11522/98, a mente del quale «configura concessione di finanziamenti l’effettuazione di operazioni di pronti contro termine, di riporto, di prestito titoli e di ogni altra analoga operazione finalizzata all’acquisizione da parte dell’investitore a titolo di provvista di somme di denaro o strumenti finanziari contro pagamento di un interesse».
Nel contempo, la distinzione non ha neppure rilevanza sotto il profilo della disciplina, là dove non coincide con la distinzione tra riporto ‘codicistico’ e riporto ‘di borsa’ prevista dall’art. 1551, co. 1, c.c. Nel caso disciplinato dalla norma ora richiamata, infatti, la disapplicazione degli artt. 1515 e 1516 c.c. a favore della legislazione speciale borsistica discenderebbe (salve le precisazioni svolte infra § 3.2) dalla circostanza che il contratto sia stato stipulato in borsa, ovvero tra soggetti che abbiano inteso – esplicitamente o implicitamente – riferirsi alle norme che regolano il mercato di borsa (Bianchi D’Espinosa, L., I contratti di borsa. Il riporto, in Tratt. Cicu-Messineo, XXXV, 2, Milano, 1969, 513 ss.). Conseguentemente, la natura delle parti e gli interessi sottesi alla stipula del contratto possono unicamente rilevare come indice per la qualificazione del contratto come ‘di borsa’, seppur stipulato fuori borsa, ma non assurgono ad elemento qualificante della fattispecie.
La natura polivalente dell’operazione economica sottesa al riporto ha così ingenerato un ampio dibattito in dottrina circa la definizione della causa del contratto. Deve tuttavia condividersi la posizione ormai dominante, secondo cui la causa è data dallo scambio reciproco della temporanea disponibilità di titoli fungibili dal riportato al riportatore a fronte della disponibilità temporanea del danaro, a titolo di prezzo, corrisposto dal riportatore al riportato. La causa tipica del riporto richiede anche la contestualità dell’impegno al doppio scambio, nell’ambito di un’operazione economica unitariamente configurata (cfr. Cass.civ., 21.01.2008, n. 1215; per un caso in cui, malgrado il nomen iuris di r., utilizzato dalle parti, il contratto è stato qualificato come mutuo con pegno irregolare, v. Trib. Milano, 10.05.1955, in Banca borsa tit. cred., 1955, II, 490); in mancanza di tale contestualità, non si applicherà la disciplina legale del riporto.
Gli scopi pratici sottesi allo scambio delle disponibilità temporanee, invece, non rientrano nella causa – che sotto questo profilo è neutra – ma si collocano nel piano dei motivi, di per sé irrilevanti fintanto che non vengano recepiti dalle parti nel testo contrattuale (in questo senso v. in primo luogo Dalmartello, A., Riporto, in Enc. giur. Treccani, XXVII, Roma, 1991, 5 ss.; cui adde Belli, F.-Rovini C., Riporto (contratto di), in Dig. comm., XII, Torino, 1996, 546 ss.; Luminoso, A., I contratti tipici e atipici. Contratti di alienazione, di godimento, di credito, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 1995, 204).
Nel mercato finanziario internazionale, il riporto è comunemente ricompreso nella categoria dei Repurchase Agreement (cd. repo), cui fanno capo i contratti «involving the simoultaneous sale and future repurchase of an asset»(Bank for International Settlements, Implication for repo markets for central banks¸ Report of a Working Group established by the Committee on the Global Financial System of the central banks of the Group of Ten countries, 9 marzo 1999, 5). Nell’ambito del mercato dei repo la prassi distingue tra il segmento dei cash-driven markets, ove l’interesse economico principale attiene ad un mutuo di danaro ed il trasferimento dei titoli ha una funzione di garanzia, da un lato, e il segmento dei securities-driven markets, dall’altro lato, ove l’interesse economico principale attiene al trasferimento dei titoli.
Le operazioni di repo sono disciplinate secondo modelli contrattuali uniformi (cd. master agreements), quali ad esempio l’European Master Agreement for Financial Transaction (cd. Ema), elaborato nel 2001 dalla Federazione Bancaria dell’Unione Europea al fine di standardizzare ed uniformare a livello comunitario i modelli contrattuali per le operazioni di repo (Recine, F., Politiche legislative e contrattazione standardizzata nel settore finanziario. Lo European Master Agreement, Quaderni di ricerche dell’ente Luigi Einaudi, n. 55, in www.enteluigieinaudi.it.). Questi contratti possono essere sostanzialmente ricondotti a due categorie che, sotto il profilo causale, corrispondono alla distinzione tra finalità solutoria e finalità speculativa e, sotto il profilo contrattuale, differiscono principalmente per la durata dell’operazione. Da un lato, infatti, abbiamo le operazioni di brevissima durata (un giorno di borsa aperta) stipulate di norma mediante una procedura centralizzata e completamente automatizzata, che corrisponde alla finalità solutoria. Dall’altro lato, invece, abbiamo le operazioni di lunga durata (usualmente trimestrale) stipulate a seguito di contrattazione personalizzata e conclusi con finalità speculative.
La fondamentale differenza tra le due categorie esaminate, accanto alla previsione di una differente durata dell’operazione, riguarda la disciplina del collateral, ossia della garanzia prestata da colui che riceve i titoli a termine (cd. borrower) a favore del concedente (cd. lender). Nei contratti di lunga durata, infatti, è di norma previsto un obbligo a carico del borrower di reintegrare il collateral ove le fluttuazioni del mercato dei cambi o dei titoli determinino una incapienza della garanzia ricevuta dal lender in relazione al valore dei titoli concessi in prestito. Nei contratti di brevissima durata, invece, lo scarto di garanzia (ossia la differenza tra il valore dei titoli ed il valore del collateral) originariamente previsto vale a mettere il lender al riparo da tutte le eventuali fluttuazioni del mercato.
Il contratto di riporto è stato efficacemente descritto come un contratto ‘doppiamente traslativo’ (Luminoso, A., I contratti tipici e atipici. Contratti di alienazione, di godimento, di credito, cit., 201), composto da due trasferimenti di proprietà onerosi: il primo a pronti, il secondo a termine. Più in particolare, il trasferimento di proprietà dei titoli dal riportato al riportatore avviene al momento della consegna, mentre il secondo trasferimento, a termine, dal riportatore al riportato, avviene per effetto del consenso originariamente prestato, a seguito dell’individuazione dei titoli ai sensi dell’art. 1378 c.c. (Cass. 10.2.1994, n. 1346).
L’art. 1549 c.c. costruisce il contratto come reale, così evidenziando la volontà del legislatore di tutelare la causa tipica avverso il possibile utilizzo del contratto per finalità meramente speculative (Cottino, G., Del riporto, della permuta (artt. 1548-1555), cit., 23; Luminoso, A., I contratti tipici e atipici. Contratti di alienazione, di godimento, di credito, cit., 205). Invero, la necessità della consegna dei titoli dal riportato al riportatore, anche mediante traditio brevi manu o constituto possessorio (ed anche mediante il meccanismo della stanza di compensazione: cfr. Cass. S.U., 28.05.1998, n. 5295, in una fattispecie in cui la determinazione del luogo di consegna era rilevante in una prospettiva internazionalprivatistica), purché con le formalità necessarie per il trasferimento della legittimazione all'esercizio dei diritti cartolari (Cottino, G., Del riporto, della permuta (artt. 1548-1555), cit., 40 ss.; Bianchi d'Espinosa, L., I contratti di borsa. Il riporto, cit., 521 ss.), preclude di qualificare come riporto un contratto che, prescindendo dallo scambio materiale dei titoli, si limiti a disciplinare il mero pagamento dei differenziali in contanti alla scadenza del termine per il secondo trasferimento (fattispecie riconducibile alla nozione di strumento finanziario ai sensi dell’art. 1, co. 2, t.u.f.).
Resta peraltro salva la possibilità per l’autonomia privata, ai sensi dell’art. 1322, co. 2, c.c., di creare un ‘doppione atipico consensuale’ del contratto reale tipico (cfr., in generale, Mastropaolo F., Deposito, nel Tratt. Rescigno, XII, Torino, 1985, 471 e, per una trattazione specifica in materia di riporto, Bianchi D’Espinosa, L., I contratti di borsa. Il riporto, cit., 519, sub nt. 17). È il caso, in particolare, del c.d. riporto-proroga che viene concluso “quando colui che è obbligato al trasferimento dei titoli ad una certa scadenza non possa o non voglia consegnarli; le parti, ferma restando l’operazione principale, della quale differiscono la scadenza, invertono temporaneamente le loro posizioni, poiché chi doveva ricevere i titoli vende la stessa quantità di essi al venditore e costui si obbliga a pagarne il prezzo alla scadenza. In altri termini il venditore a termine diventa riportato e il compratore riportatore” (così Ragusa Maggiore, G., Riporto (contratto di), in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 1037). In questa operazione, infatti, chi dovrebbe consegnare i titoli non li ha e non intende procurarseli, né il riportatore intende riceverli: ne discende che non può ipotizzarsi neppure una consegna fittizia e il contratto deve considerarsi come consensuale. Il pagamento del prezzo, per contro, non è richiesto per il perfezionamento dell’operazione e la tesi in tal senso autorevolmente sostenuta (Dalmartello, A., Adempimento e inadempimento nel contratto di riporto, Padova, 1958, 15 ss.) non ha trovato seguito in dottrina ed è stata abbandonata dallo stesso autore negli scritti successivi (Dalmartello, A., Riporto, cit., 7).
L'art. 1548 c.c. disciplina un duplice e inverso scambio di titoli contro prezzo. Quanto al primo elemento dello scambio, il legislatore specifica che deve trattarsi di «titoli di credito di una data specie», là dove l'espressione ‘specie’ deve essere intesa, tecnicamente, come sinonimo di genus limitatum, nel senso che dovrà essere individuato sia l’emittente sia la categoria cui appartengono i titoli (e, se necessario, anche la particolare operazione di emissione a cui ci si riferisce) [cfr. Dalmartello, A., Riporto, cit., 6]. I titoli, oggetto del contratto, rimangono comunque fungibili, onde consentire al riportatore di trasferire, nel secondo scambio, il tantundem e non invece necessariamente i medesimi titoli; in difetto il contratto sarebbe riconducibile ad un mutuo pignoratizio o ad una vendita con patto di riscatto (Bianchi D’Espinosa, L., I contratti di borsa. Il riporto, cit., 494; Corrado, R., I contratti di borsa, in Tratt. Vassalli, II ed., Torino, 1960, 93 ss.; Cottino, G., Del riporto, della permuta (artt. 1548-1555), cit., 31; Minervini, G., Su un preteso caso di riporto a scopo di garanzia, in Banca, borsa, 1952, II, 379 ss.). Pare invece inapplicabile la disciplina legale all'ipotesi in cui il riporto abbia ad oggetto titoli ‘praticamente infungibili’, come nell'ipotesi di riporto di un elevato quantitativo o addirittura della totalità delle azioni emessa da una società, che non potrebbero non essere più reperibili sul mercato ove il riportatore decidesse, dopo il primo scambio, di alienare i titoli ricevuti dal riportato (cfr. per maggiori approfondimenti Bianchi D’Espinosa, L., I contratti di borsa. Il riporto, cit., 496: Luminoso, A., I contratti tipici e atipici. Contratti di alienazione, di godimento, di credito, cit., 206).
Quanto al prezzo, occorre precisare che l'obbligazione pecuniaria prevista a carico di chi riceve i titoli ha una funzione differente rispetto a quella svolta nella vendita, in quanto l’ammontare non è necessariamente determinato dalle parti sulla base del valore attribuito ai titoli medesimi. E invero, il riportato cede i titoli dietro corrispettivo, nella prospettiva di riacquistarli ad esito del secondo scambio: occorre dunque considerare congiuntamente i due scambi di cui si compone l'operazione e comparare i relativi prezzi, giacché, stante la natura complessa dell’operazione, il sinallagma opera «sia all’interno delle due vendite ... ma anche fra le vendite stesse, collegate su di un piano di reciproca causalità o corrispettività, siccome elementi costitutivi di questa complessa fattispecie negoziale» (così Dalmartello, A., Adempimento e inadempimento nel contratto di riporto, cit., 94). La possibilità di prevedere una differenza tra il prezzo del primo trasferimento e quello del secondo (cd. saggio di riporto) rappresenta in tal modo l'elemento caratteristico del tipo contrattuale, che consente di piegarlo alle molteplici esigenze concrete ricercate dalle parti (cfr. supra n. 1 e, per maggiori approfondimenti, Bianchi d’Espinosa, L., I contratti di borsa. Il riporto, cit., 487; Dalmartello, A., Riporto, cit., 3; Luminoso, A., I contratti tipici e atipici. Contratti di alienazione, di godimento, di credito, cit., 206).
L'art. 1550, co. 1, c.c. attribuisce al riportato i «diritti accessori e gli obblighi inerenti ai titoli dati a riporto», rinviando agli artt. 1531-1534 c.c. I diritti – ed i conseguenti obblighi – connessi al titolo ed il cui esercizio si riflette sul valore del titolo medesimo, spettano dunque al soggetto che la moderna dottrina definisce come titolare della proprietà economica del titolo, e non già al riportatore, proprietario ‘temporaneo’ del titolo che, disponendo del diritto di cedere al riportato i titoli per un prezzo predefinito, è privo di ogni interesse in relazione al valore reale o prospettico dei titoli medesimi (cfr., per un’impostazione, Hu, H.T.C.-Black, B., The New Vote Buying: Empty Voting and Hidden (Morphable) Ownership, in Southern California Law Review, 2006, 811 ss.; Hu, H.T.C.-Black, B., Equity and Debt Decoupling and Empty Voting II: Importance and Extensions, University of Pennsylvania Law Review, 2008, 625 ss.). Nel dettaglio, interessi e dividendi, ai sensi dell'art. 1531 c.c., così come i premi e i rimborsi ai sensi dell'art. 1533 c.c., spettano al riportato e devono a questo essere rigirati dal riportatore che, ai sensi di legge, è legittimato all'incasso; il diritto di opzione, ai sensi dell'art. 1532 c.c., spetta al medesimo riportato, che, ove ritenga di esercitare il diritto, dovrà mettere il riportatore in condizione di sottoscrivere le azioni di nuova emissione, ricevendo così, ad esito del secondo scambio, i titoli oggetto del primo scambio oltre a quelli sottoscritti per effetto dell'esercizio del diritto di opzione (v. però App. Genova, 16.09.1997, in Giur. mer., 1998, 431, che ha discutibilmente negato al riportato il diritto di aderire ad un’o.p.a. lanciata durante il termine di r.); infine, quanto agli eventuali versamenti richiesti sui titoli ai sensi dell'art. 1535 c.c., ad es. nell'ipotesi di azioni non integralmente liberate, spetta al riportato fornire al riportatore le somme necessarie all’adempimento (cfr. Ragusa Maggiore, G., Riporto (contratto di), cit., 1032 ss.).
Quanto invece all’esercizio del diritto di voto, ai sensi dell’art. 1550, co. 2, c.c., questo spetta al riportatore salvo patto contrario. La ragione è evidente, in quanto la legittimazione al voto spetta unicamente a colui che risulta formalmente titolare delle azioni, e questa è dunque l’ipotesi di default presa in considerazione dal legislatore. Il patto contrario previsto dal legislatore, per contro, non è opponibile alla società – in quanto non può risultare dal tenore letterale del titolo ex art. 2024 c.c. – e richiede, volta per volta, il rilascio di apposite deleghe dal riportatore al riportato, onde consentire a quest’ultimo l’esercizio del diritto di voto nelle assemblee della società (Ragusa Maggiore, G., Riporto (contratto di), cit., 1032; in passato si è ammessa la validità di una delega per fatto concludente, consistente nella consegna del biglietto di ammissione all’assemblea: cfr. Trib, Milano, 08.02.1988, in Società, 1988, 821).
Appunto in ragione dell’ampia autonomia negoziale rimessa alle parti circa l’esercizio del diritto di voto, anche mediante patti aggiunti rispetto al contratto di riporto e, comunque, non conoscibili dai terzi, la Consob ha ritenuto di dettare una disciplina speciale per quanto riguarda gli obblighi di comunicazione delle partecipazioni rilevanti, ai sensi dell’art. 120 t.u.f., rappresentate da azioni di società quotate oggetto di contratti di riporto. La norma in parola impone, infatti, l'obbligo di comunicazione su entrambe le parti, riportato e riportatore, a prescindere dall’assetto negoziale relativo all’esercizio del diritto di voto (art. art. 118, co. 2, Reg. n. 11971/1999), a differenza di quanto è previsto, ad esempio, per il creditore pignoratizio o il depositario di titoli azionari, che sono tenuti all’obbligo di comunicazione solo ove siano titolari anche del diritto di voto, esercitabile discrezionalmente (cfr. art. 118, co. 1, lett. a e b, Reg. n. 11971/1999). L’unica ipotesi di esenzione dal doppio obbligo di comunicazione è data dalla stipula di contratti di riporto con mera finalità di copertura delle operazioni di compensazione e liquidazione delle operazioni entro il termine massimo di tre giorni di negoziazione successivi (cd. riporto a contante, su cui cfr. Belli, F.-Rovini C., Riporto (contratto di), cit., 557), ai sensi dell’articolo 119 bis, co. 3, lett. a), Reg. n. 11971/1999, purché il riportatore non eserciti il diritto di voto.
La materia dell’inadempimento è disciplinata dall’art. 1551 c.c. che, tuttavia, presuppone l’applicazione delle regole generali in materia di inadempimento di contratto a prestazioni corrispettive (Cottino, G., Del riporto, della permuta (artt. 1548-1555), cit., 64 ss.; Luminoso, A., I contratti tipici e atipici. Contratti di alienazione, di godimento, di credito, cit., 209). In questo senso, il rinvio operato dal primo comma agli artt. 1515 e 1516 c.c. deve intendersi come alternativo ai rimedi ordinari previsti per l’inadempimento nei contratti sinallagmatici (Cass., 15.12.1972, n. 3613).
In particolare, nel primo scambio la natura reale del contratto rende ipotizzabile solo l'inadempimento del riportatore, conseguente al mancato pagamento dei titoli che gli son stati trasferiti dal riportato. Quest'ultimo potrà chiedere l’adempimento della controparte o la risoluzione del contratto ai sensi degli artt. 1453 ss. c.c., oltre al risarcimento del danno. Nel secondo scambio, la parte non inadempiente potrà scegliere se procedere con l’esecuzione coattiva disciplinata dagli artt. 1515 e 1516 c.c., oggetto di rinvio da parte dell'art. 1551, co. 1, c.c., ovvero rifiutare di adempiere alla propria prestazione ai sensi dell’art. 1460 c.c., ovvero ancora chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni. Ovviamente, in quest'ultimo caso, la risoluzione rimuoverà gli effetti anche del primo scambio, con ogni conseguente obbligo restitutorio. Occorre infine rilevare che la natura essenziale, nell'interesse di entrambe le parti, del termine per il secondo trasferimento, ai sensi dell'art. 1457 c.c. (cfr. Cass., 29.10.1954, n. 4183), impone alla parte che non intende avvalersi della risoluzione di diritto, dinanzi all'inadempimento della controparte, di manifestare la propria volontà in tal senso entro tre giorni dalla scadenza e, nel contempo, di procedere con l'offerta, anche informale ai sensi dell'art. 1220 c.c., della propria prestazione (cfr. per tutti Luminoso, A., I contratti tipici e atipici. Contratti di alienazione, di godimento, di credito, cit., 210).
Il secondo comma dell'art. 1551 c.c. esamina invece l'ipotesi dell'inadempimento bilaterale, che si verifica quando, alla scadenza del termine per il secondo trasferimento, nessuna delle parti adempie o si offre, anche informalmente, di adempiere. In questo caso «il riporto cessa di avere effetto, e ciascuna parte ritiene ciò che ha ricevuto al tempo della stipulazione del contratto». Si tratta di una soluzione dettata per evitare «ogni strascico ed ulteriore controversia tra le parti» (Cottino, G., Del riporto, della permuta (artt. 1548-1555), cit., 605), ma evidentemente irragionevole nell'ambito dell'operazione economica tipicamente disciplinata dal contratto di riporto. È stato sopra evidenziato, infatti, che le parti pongono in essere il primo scambio nella consapevolezza della sua temporaneità e, invero, il prezzo corrisposto dal riportatore per l’acquisto dei titoli potrebbe ben non corrispondere al loro valore reale. Questa considerazione, unitamente al meccanismo stringente imposto dalla già ricordata essenzialità bilaterale del termine per il secondo trasferimento – che comporta, ai sensi dell'art. 1457 c.c., un inadempimento bilaterale non sanabile ove entro tre giorni dalla scadenza nessuna delle parti abbia proceduto all'offerta della propria prestazione – ha fatto sì che, nella pratica, le parti deroghino regolarmente all'applicazione dell'art. 1551, co. 2, c.c. Ne discende che la norma in esame è rimasta lettera morta e non è dato rinvenire alcun precedente edito al riguardo (e, infatti, l'unica sentenza che si è occupata, in un obiter dictum, del problema, attiene ad una fattispecie nella quale le parti avevano comunque espressamente previsto l'inapplicabilità dell'inadempimento bilaterale, cfr. Trib. Milano, 28.11.1988, in Banca, borsa, 1990, II, 620, con nota di Dolmetta, A.A., In margine a un caso di inadempimento bilaterale nel contratto di riporto, ove l'autore correttamente evidenzia come anche l'ipotesi esaminata da Trib. Torino, 14.7.1944, in Giur. it., 1946, I, 2, 48, tradizionalmente ricondotta ad un inadempimento bilaterale, non fosse tecnicamente riconducibile all'ipotesi in esame).
Quanto infine al rinvio alle norme speciali in materia di inadempimento del riporto ‘di borsa’, operato dall'art. 1551, co. 1, parte seconda, c.c., occorre rilevare che, per effetto dell’entrata in vigore del d.lgs. 24.2.1998, n. 58 (t.u.f.), sono venuti meno gli usi di borsa ed è stata abrogata tutta la previgente disciplina speciale, risalente al r.d.l. 30.6.1932, n. 815 e al r.d.l. 20.12.1932, n. 1607, per effetto dell’art. 24 del d.l. 25.6.2008, n. 112, convertito nella l. 6.8.2008, n. 133. Attualmente, l’esecuzione dei contratti di borsa è gestita dalla Cassa di Compensazione e Garanzia s.p.a., ai sensi dell’art. 69 t.u.f. e del regolamento Banca d'Italia e dalla Consob con provvedimento del 22.2.2008, così come modificato con atto Banca d'Italia/Consob del 24.12.2010. Giova inoltre rilevare che la prassi contrattuale detta al riguardo un’ampia disciplina integrativa di quella legale (cfr. Perrone, A., Gli accordi di close-out netting, in Banca, borsa, 1998, I, 51 ss.).
Il fallimento di una delle parti determina l'applicazione dell'art. 76 l.fall., dettato in materia di contratti di borsa a termine, a mente del quale «se il termine scade dopo la dichiarazione di fallimento di uno dei due contraenti, (il contratto) è risolto dalla data di dichiarazione di fallimento. La differenza tra il prezzo contrattuale e il valore delle cose o dei titoli alla data di dichiarazione di fallimento è versata nel fallimento, se il fallito risulta a credito, o è ammessa al passivo del fallimento in caso contrario».
La norma speciale di cui all'art. 76 l.fall. trova applicazione in luogo della disciplina generale dettata dall'art. 72 l.fall., in ragione della natura di contratto a termine del riporto (e, in particolare, del secondo scambio) senza riguardo per la finalità, speculativa o creditizia, eventualmente ricercata dalle parti, al cui distinzione appare sovente del tutto discrezionale (cfr. le osservazioni svolte supra al § 1.1 circa la differenza tra riporto di banca e riporto di borsa e, in dottrina, Ragusa Maggiore, G., Il riporto bancario e il riporto proroga di fronte al fallimento, in Banca, borsa, 1982, I, 1027 ss. e, in giurisprudenza, Cass. 27.5.1975, n. 2127 e Cass., 10.3.1975, n. 882, in Banca, borsa, 1976, II, 19 ss., con nota di Coltro Campi, C., Riporto, fallimento (e compensazione): una controversia risolta e alcuni problemi aperti).
Giova infine ricordare che l’eventuale ammissione di un intermediario finanziario ad una procedura concorsuale determina una ‘insolvenza di mercato’ ai sensi dell’art. 72 t.u.f., da cui discende l’applicazione di una disciplina speciale per la liquidazione dei contratti (anche di riporto) stipulati in borsa ed oggetto di liquidazione mediante servizi di compensazione e liquidazione. In particolare, il legislatore riconosce espressamente al comma quinto dell’art. 72 t.u.f., l’operatività delle clausole di close-out netting anche in ambito concorsuale e, più in generale, rimette alle società di gestione previste dall’art. 61 t.u.f., le operazioni di liquidazione delle insolvenze di mercato, così sacrificando le ordinarie regole concorsuali alle regole borsistiche, ritenute a tal fine più efficienti.
Artt. 1548-1551 c.c.; art. 76 l. fall.; art. 47, Reg. Consob n. 11522/1998; art. 118, Reg. Consob n. 11971/1999.
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