Abstract
La presente voce ha ad oggetto l’analisi delle questioni interpretative poste dalla disciplina del trasporto di persone contenuta nel codice civile. Fulcro della trattazione è l’esame del regime di responsabilità del vettore e delle sue diverse declinazioni nel trasporto di persone e di cose, nel trasporto di persone gratuito ed amichevole. Non viene tralasciata l’analisi delle conseguenze dei doveri di protezione del passeggero, nonché degli obblighi di cooperazione di quest’ultimo, esaminati anche alla luce delle peculiarità dei trasporti a fune.
Il trasporto di persone è un contratto “naturalmente” d’impresa e la sua disciplina è prevalentemente incentrata sul profilo della distribuzione, fra le parti del rapporto, dei rischi conseguenti all’attività di trasferimento.
Da un lato il vettore si impegna a trasferire indenne il viaggiatore da un luogo ad un altro e correlativamente risponde in via contrattuale per il ritardo o la mancata esecuzione della prestazione di trasporto, oltreché per eventuali sinistri che colpiscano la persona del viaggiatore durante il viaggio e della perdita o dell’avaria delle cose che il viaggiatore porta con sé, secondo la più rigorosa disciplina dettata dall’art. 1681, co. 1, c.c.; a questa responsabilità contrattuale si aggiunge poi quella extracontrattuale fondata sull’art. 2043 c.c. Dal canto suo, il passeggero si obbliga a pagare il corrispettivo della prestazione (art. 1678), che – come vedremo nel paragrafo successivo – rappresenta però un elemento non già essenziale, bensì soltanto naturale del contratto di trasporto.
Va poi precisato che le norme relative al contratto di trasporto di persone si applicano anche al trasferimento del loro bagaglio, che costituisce non già oggetto di un autonomo contratto di trasporto di cose, bensì un elemento naturale o, al più, una mera prestazione accessoria (ove sia previsto uno specifico corrispettivo) al trasporto di persone. Più esattamente, non vi è dubbio che tale sia il bagaglio che il viaggiatore porta con sé; qualche perplessità è invece sorta rispetto al bagaglio consegnato al vettore e destinato ad essere collocato nella stiva dell’aereo o della nave: v’è infatti chi ha ritenuto che, in quest’ultimo caso, vi sia un autonomo contratto di trasporto di cose, collegato al trasporto di persona (in tal senso Buonocore, V., I contratti di trasporto e di viaggio, in Tratt. Buonocore, sez. II, t. 3.V, Torino, 2003, 112) e tale impostazione ha sortito un certo seguito in giurisprudenza (Cass., 17.2.1966, n. 508, in Foro it., 1966, I, 1967; Cass., 7.10.1968, n. 3145, ivi, 1969, I, 1316), anche se risulta ormai superata (Cass., 7.12.2000, n. 15536, in Dir. trasp., 2001, 743; Trib. Milano, 25.9.1995, in Giur. mer., 1997, 547; in dottrina, per tutti, Busti, S., Contratto di trasporto aereo, in Tratt.. Cicu-Messineo-Mengoni, XXVI, t. 2, , Milano, 2001, 214 ss.; Flamini, A., Il trasporto, in Flamini, A. – Cozzi, M.V. - Lenzi, R., a cura di, Trasporto, spedizione, deposito, noleggio, in Tratt. dir. civ. C.N.N, Napoli, 2008, 57 s.); fermo restando che tale qualificazione in termini di prestazione accessoria non impedisce l’applicazione al bagaglio consegnato del più gravoso regime di responsabilità del vettore previsto dall’art. 1693 c.c.
Sul concetto di prestazioni accessorie rese nell’àmbito del contratto di trasporto occorre un chiarimento. Possono considerarsi tali quelle strettamente funzionali alla realizzazione di un confortevole trasferimento: emblematica la somministrazione di cibo e bevande o di alloggio in trasporti marittimi di una certa durata; diversamente, se il viaggio sulla nave costituisce mera occasione per godersi una cena romantica in mezzo al mare, la prestazione non può ritenersi oggetto di un contratto di trasporto (cnf. Antonini, A., Corso di diritto dei trasporti, II ed., Milano, 2008217 s.), ma si è in presenza di un contratto di ristorante (a sua volta inquadrabile nello schema del contratto d’opera).
Il trasporto di persone è un contratto solo tendenzialmente oneroso, con la conseguenza che il corrispettivo costituisce elemento soltanto naturale del contratto di trasporto (per questa impostazione v., anche per i richiami, Flamini, A., Il trasporto, cit., 75 s.; Zunarelli, S. -Alvisi C., Del trasporto, in Comm. c.c. Scialoja-Branca-Galgano, Bologna, 2014, 103 ss.), come confermato anche dalle disposizioni del codice della navigazione (artt. 413 e 947). È però significativamente rappresentata anche l’impostazione secondo la quale il corrispettivo costituirebbe elemento essenziale del contratto di trasporto, dal che si deduce la natura di contratto innominato del trasporto gratuito al quale si applicherebbero le norme in tema di trasporto soltanto in via analogica (e cfr. già Asquini, A., Trasporto di persone (contratto di), in Nss.D.I., XIX, Torino, 1973, 567 e, da ultimo, Riguzzi, M., Il contratto di trasporto, II ed., in Tratt. Bessone, vol. XVI, Torino, 2006, 63, con altri riferimenti).
Ad ogni modo, il codice civile contempla espressamente i contratti di trasporto gratuito, ai quali estende il regime di responsabilità contrattuale del vettore (art. 1681, co. 3); ed analoga scelta è compiuta, per il trasporto marittimo ed aereo, dal codice della navigazione (artt. 413 e 917). La responsabilità contrattuale del vettore, da valutarsi col medesimo rigore rispetto al contratto di trasporto oneroso (diversamente da un principio generale declinato, ad esempio, in tema di contratto di mandato: art. 1710, co. 1, c.c.), si spiega qui in virtù della peculiare natura della prestazione e della sussistenza di uno specifico interesse del vettore, sia pure mediato ed indiretto ma comunque giuridicamente rilevante, ad eseguire la prestazione di trasferimento in favore del viaggiatore: emblematici gli esempi del servizio di navetta gratuita posta a disposizione dei clienti di un albergo molto distante dal centro città, giustificato appunto dall’interesse economico dell’albergatore-vettore di attrarre turisti verso una struttura ricettiva che altrimenti rischierebbe, a causa della sua ubicazione, di restare deserta; o dei programmi di fidelizzazione della clientela (cd. frequent flyer).
Diverso è il caso – che viene in considerazione soprattutto con riguardo alla nautica da diporto – di trasporto di persone effettuato per condiscendenza, spirito di amicizia o liberalità, cioè senza un interesse economico, ancorché indiretto, del vettore ad effettuare la prestazione. La diversità sta in ciò che, in questa ipotesi di cd. trasporto amichevole o di cortesia, non sorge alcun vincolo contrattuale tra viaggiatore e vettore: ne consegue che quest’ultimo può rispondere soltanto in via extracontrattuale dei sinistri subìti dal viaggiatore, che è pertanto onerato della prova del dolo o della colpa del vettore. Sotto questo profilo va ricordato che il trasporto amichevole è espressamente contemplato dal codice della navigazione con riguardo al trasporto marittimo (art. 414), con una norma di evidente favore per il vettore (che non si applica alla nautica da diporto: cfr. art. 40, co. 1, c.c.): questi risponde del danno soltanto se il danneggiato riesce a dimostrarne il dolo o la colpa grave, il che equivale a dire che il vettore non è imputabile per colpa lieve, diversamente da quanto previsto in via generale dall’art. 2043 c.c.
La distinzione tra trasporto gratuito e amichevole, netta in teoria (e v., Busti, S., Contratto di trasporto terrestre, in Tratt.. Cicu-Messineo-Mengoni-Schlesinger, XXVI, t. 1, Milano, 2007, 238 ss.; Zunarelli, S. - Alvisi C., Del trasporto, cit., 107 ss. e in giurisprudenza, correttamente richiedendo un interesse suscettibile di valutazione economica, Cass., 5.3.1990, n. 1700, in Giur. it., 1990, I, 1, 1586, mutando l’indirizzo seguito da Cass., 5.7.1989, n. 3223, in Vita not., 1989, 1206, per la quale l’interesse necessario per aversi trasporto gratuito può consistere anche nel mero godimento dell’altrui compagnia, a condizione che sia accertato che quell’elemento, nel caso concreto, abbia positivamente condizionato l’assunzione dell’obbligo di trasportare], può rivelarsi difficile in pratica e non è da tutti riconosciuta (e v. infatti, in senso critico, Cottino, G., Il trasporto e la spedizione, in Cottino, G., a cura di, Contratti commerciali, in Tratt. dir. comm. Galgano, XVI, Padova, 1991, 735 ss.).
Tuttavia, la sua rilevanza è ormai modesta, in quanto l’art. 141 c. assicurazioni riconosce al terzo trasportato, salvoché per il caso fortuito, il diritto di richiedere il risarcimento danni all’impresa di assicurazione del veicolo sul quale era a bordo, a prescindere dal titolo del trasporto e dalla responsabilità del conducente. Del resto, è ormai pacifico che il viaggiatore possa far valere, indipendentemente dal titolo del trasporto, la responsabilità aggravata del conducente e del proprietario del veicolo (Cass., 20.2.2007, n. 3937; Cass., 1.6.2006, n. 13130, in Danno e resp., 2007, 291; Cass., 26.10.1998, n. 10629, in Foro it., 1998, I, 3109): in particolare, ai sensi dell’art. 2054 c.c., il conducente è responsabile se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, mentre il proprietario del veicolo risponde in solido con il conducente se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà.
Il contratto di trasporto di persone non esige per la sua conclusione forme particolari. Può perfezionarsi anche con il mero consenso fattuale delle parti (integrato ad esempio dalla salita sul mezzo di trasporto).
Nei servizi di trasporto di linea il rapporto contrattuale è normalmente rappresentato dal biglietto di viaggio, che ha natura di documento di legittimazione, consentendo l’identificazione dell’avente diritto alla prestazione di trasferimento (art. 2002 c.c.). Nei casi in cui, nella stipulazione del contratto di trasporto, siano rilevate le qualità personali del passeggero (età, qualifica, eventuale handicap), le modalità di svolgimento del viaggio (andata e ritorno) o di acquisto del biglietto (tariffa agevolata), il biglietto di viaggio non è cedibile. La cessione può essere altresì esclusa dalla natura del trasporto (e si pensi al trasporto aereo) e dalle disposizioni di sicurezza ad esso correlate.
Quando la cedibilità del biglietto di viaggio non è vietata, né è incompatibile con la natura del trasporto, il diritto al trasferimento può cedersi con la semplice tradizione del biglietto, indipendentemente dalle formalità previste per la cessione del contratto. Il che non rende però il biglietto di viaggio un titolo di credito, ma al più un titolo improprio (art. 2002 cod. civ.), per il rilievo decisivo che il diritto in esso contenuto non assume i connotati della letteralità e dell’autonomia (Asquini, A., Trasporto di persone (contratto di), cit., 614; Stolfi, M., Appalto-Trasporto, in Tratt Grosso-Santoro Passarelli, V, t. 4, Milano, 1961, 101; e, più di recente, fra gli altri, D’Alessio, W., Diritto dei trasporti, Milano, 2003, 232).
Nei trasporti marittimi il biglietto assolve di regola anche alla funzione di documento probatorio del vincolo negoziale (artt. 396 c. nav.), ma non assume mai il valore di elemento essenziale del contratto. Nel biglietto di passaggio marittimo risulta solitamente riportato un estratto delle condizioni generali di trasporto del vettore. L’art. 398 c. nav. prevede poi una specifica disciplina della cessione del biglietto, secondo la quale è necessario il consenso del vettore alla stessa se il biglietto indica il nome del passeggero o se, pur in assenza di tale indicazione, costui abbia già iniziato il viaggio; il biglietto non nominativo può invece essere ceduto finché il viaggio non sia cominciato. È però prassi delle compagnie di navigazione, in ipotesi di cessione, risolvere il contratto col cedente e stipulare un nuovo contratto, emettendo un nuovo titolo di viaggio a favore del cessionario.
Nei trasporti marittimi ed aerei l’acquisto del biglietto di viaggio coincide con il momento perfezionativo del contratto, dal quale può sorgere una responsabilità del vettore per la mancata effettuazione del viaggio o il ritardo sulla partenza il cui orario risulti indicato sul biglietto (art. 1218 c.c.).
L’esperienza insegna che ciò non sempre si verifica, invece, nel trasporto terrestre, in cui il contratto può perfezionarsi con il mero consenso delle parti, manifestato dal semplice contatto fisico del viaggiatore con il veicolo (autobus, treno) o ancor prima dell’accesso al medesimo (taxi chiamato telefonicamente o via radio che abbia accettato la prenotazione). Qui l’emissione del biglietto di viaggio può non avvenire affatto (taxi) o essere successiva all’inizio della prestazione di trasferimento: in entrambe le situazioni si rivela evidentemente neutrale sia sul piano del perfezionamento del contratto di trasporto sia, di riflesso, in relazione alle correlative responsabilità, che sorgono già quando il viaggiatore sia salito sul predellino del mezzo al fine di prendervi posto o abbia ricevuto conferma della prenotazione effettuata (taxi).
L’individuazione dell’esatto momento di perfezionamento del contratto presenta peraltro talune peculiarità nel trasporto a fune (seggiovia, sciovia), che saranno illustrate in seguito.
Veniamo all’esame delle obbligazioni delle parti del contratto di trasporto di persone.
Il vettore è un imprenditore (art. 2195, n. 3, c.c.) che, con gestione a proprio rischio dell’attività di trasporto, si obbliga a trasferire il viaggiatore da un luogo ad un altro, assumendo la direzione tecnica con ampia autonomia vuoi nella scelta dei mezzi più idonei (dei quali può anche non avere la proprietà), vuoi nella predisposizione dell’organizzazione più adeguata alle esigenze del viaggio. L’acquisto della qualifica di vettore presuppone, dunque, l’assunzione del rischio economico e della responsabilità del trasporto; non anche la materiale esecuzione della prestazione di trasporto, che ben può essere delegata dal vettore, sotto la propria responsabilità, a terzi (ccdd. vettori di fatto).
Alla prestazione principale di trasferimento di persone da un luogo ad un altro è strutturalmente connesso un obbligo di protezione e di vigilanza, che grava sul vettore e si specifica nell’adozione di tutte le misure e gli accorgimenti idonei a far giungere a destinazione il passeggero incolume, e le cose da questi consegnategli (bagagli) integre.
Il più significativo tratto qualificante del trasporto di persone rispetto al trasporto di cose sta nel dovere di cooperazione del passeggero. Poiché il contratto ha ad oggetto il trasferimento di un essere umano dotato di intelligenza e volontà, il passeggero, in quanto tale, è tenuto all’assolvimento di un fondamentale dovere di cooperazione col vettore, che segnatamente consiste nella continua e costante osservanza, nel corso dell’esecuzione del trasporto, delle condizioni prescritte dal contratto, dalla legge e dai regolamenti che disciplinano il servizio (ad esempio, nel trasporto aereo: allacciarsi le cinture di sicurezza, disattivare i dispositivi elettronici, ecc.).
L’obbligazione principale del passeggero è il pagamento del prezzo, che rappresenta il corrispettivo dovuto al vettore per il trasferimento. Esso è determinato direttamente dalle parti, oppure mediante il riferimento alle tariffe praticate dal vettore o agli usi. In loro assenza, occorre una determinazione del giudice ai sensi dell’art. 1657 cod. civ. in tema di appalto (per questa impostazione v., anche per i richiami, Flamini, A., Il trasporto, cit., 60 s.), non essendo condivisibile il riferimento (proposto da Ferrarini, S., I contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile, Roma, 1947, 190) ai criteri stabiliti in materia di vendita dall’art. 1474, co. 2, c.c.
Dall’art. 1681 c.c. si evince che il vettore risponde in via contrattuale: a) per i danni patiti dal viaggiatore in conseguenza del ritardo o dell’inadempimento nell’esecuzione della prestazione di trasporto e b) dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio, nonché della perdita o dell’avaria delle cose che il trasportato porta con sé. Fra i due profili della responsabilità del vettore sussistono diversità strutturali che ne suggeriscono una separata trattazione.
La responsabilità per ritardo o per inadempimento nell’esecuzione del trasporto è regolata dai princìpi generali in tema di inadempimento contrattuale. Sicché il vettore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto a risarcire il danno subìto dal viaggiatore se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità sopravvenuta della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (art. 1218 c.c.), ossia da un caso fortuito, da forza maggiore o dal fatto di un terzo: si pensi ad un improvviso sciopero dei dipendenti o all’occupazione dei binari della stazione da parte di un corteo di disoccupati che impedisca la partenza dei treni. Dal canto suo, il passeggero è tenuto a provare la valida esistenza del contratto di trasporto (ad esempio, producendo il biglietto di viaggio) ed il pregiudizio subito.
Con riferimento al contratto di trasporto di persone, è d’uopo puntualizzare che il ritardo sussiste quando non si rispettano gli orari di partenza ed arrivo eventualmente indicati sul biglietto di viaggio o, comunque, allorché la durata del trasferimento non è ragionevole in relazione al mezzo di trasporto ed all’interesse del viaggiatore. Nel trasporto aereo il ritardo e la cancellazione del volo sono regolati da una disciplina speciale uniforme (reg. 261/2004/Ce, entrato in vigore il 17.2.2005, che ha sostituito il reg. 295/1991/Cee del 4.2.1991): la quale, per la sua complessità ed analiticità, non può essere esaminata in questa sede.
I caratteri peculiari della prestazione di trasporto giustificano la specifica responsabilità del vettore per i sinistri occorsi alla persona del viaggiatore durante il viaggio e per la perdita o l’avaria delle cose che il viaggiatore porta con sé. È questa, nella sostanza, una responsabilità per rischio di impresa fondata sul criterio della colpa presunta e che pertanto si traduce in un aggravamento della posizione del vettore, il quale, per liberarsi, deve fornire la prova positiva «di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno» (art. 1681, co. 1, c.c.): misure che, si badi, non sono tutte quelle astrattamente concepibili sulla base dello stato attuale della tecnica, bensì soltanto quelle opportune regole di condotta che il vettore deve osservare secondo la diligenza professionale nell’attività svolta ed idonee ad evitare il danno (art. 1176, co. 2, c.c.; per la sottolineatura della stretta correlazione tra l’art. 1681 e la diligenza nell’adempimento, Majello, U., Custodia e deposito, Napoli, 1958, 142 ss., desumendone l’esonero della responsabilità del vettore tutte le volte che la causa del danno sia estranea alla sfera economica del vettore medesimo, anche se da questi evitabile). La formula legislativa utilizzata dall’art. 1681 senz’altro ricalca quella contenuta nell’art. 2050 c.c. in tema di responsabilità per l’esercizio di attività pericolose, ma sembra fuorviante ravvisarvi una sorta di responsabilità oggettiva (ma in termini parzialmente diversi, pur proponendo una soluzione interpretativa elastica e differenziabile a seconda delle circostanze del trasporto, Cottino, G., Il trasporto, cit., 767 ss.; e, soprattutto, da ultimo Cass., 19.5.2008, n. 12694 e, per i riferimenti alla giurisprudenza che esclude la ricorrenza di una fattispecie di responsabilità oggettiva, si rinvia invece a Buonocore, V., I contratti di trasporto, cit., 97).
È peraltro discussa la nozione di «sinistro», che costituisce il presupposto della responsabilità del vettore (per un ampio approfondimento, cfr. Busti, S., Contratto di trasporto terrestre, cit., 794 ss.). Taluni considerano «sinistri» i soli «eventi riconducibili ad accidenti o anomalie inerenti l’operazione di trasporto» (così, Iannuzzi, M., Del trasporto, II ed., in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1970, 89); altri propendono invece per un’interpretazione estensiva del termine volta a ricomprendere tanto i danni derivanti da anomalie nel funzionamento del veicolo, quanto gli eventi lesivi conseguenti a carenze dell’organizzazione apprestata dal vettore per un idoneo e corretto svolgimento del servizio di trasferimento (e v., ad es., Romanelli, G. – Silingardi, G., Trasporto. I) Terrestre, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1994, 8; Grigoli, M., Profili del diritto dei trasporti nell’attuale realtà normativa, Bologna, 2003, 128).
Alcune peculiarità presenta la disciplina delle esimenti da responsabilità del vettore nel trasporto di persone.
Infatti, anche in presenza di sinistri che colpiscano la persona di un viaggiatore o determinino la perdita o l’avaria dei suoi bagagli, eventi quali il caso fortuito, la forza maggiore o il fatto del trasportato o di un terzo possono rivelarsi rilevanti ad esonerare il vettore da responsabilità. Rilevanti sì, ma comunque non sufficienti, giacché precipua funzione dell’art. 1681 c.c. è proprio nel richiedere al vettore la specifica dimostrazione di aver adottato nell’organizzazione e nell’esecuzione del trasporto, quand’anche si sia verificato uno di questi eventi, tutte le misure intrinsecamente idonee ad evitare che lo specifico danno occorso al passeggero e/o ai suoi bagagli si producesse. Insomma: la posizione del vettore è caratterizzata da un particolare criterio di esonero da responsabilità ben più rigido rispetto a quello previsto per l’inadempimento del comune debitore dall’art. 1218 cod. civ.
Il passeggero che agisce in giudizio deve in questo caso dimostrare, oltreché l’esistenza del contratto di trasporto ed il pregiudizio patito, il nesso di causalità tra quest’ultimo e l’anormalità del servizio di trasporto: è soltanto esonerato dall’onere di provare la specifica causa del danno (Cass., 20.7.2010, n. 16893; Cass., 17.7.2003, nn. 11194 e 11198, in Danno e resp., 2003, 1185 e 1187, che ritengono doversi considerare avvenuti durante il viaggio anche sinistri occorsi durante le operazioni preparatorie o accessorie; e v. pure Flamini, A., Il trasporto, cit., 66 ss.; Zunarelli, S. – Alvisi, C., Del trasporto, cit., 88 ss. ed ivi indicazioni).
Oggetto del contratto di trasporto di persone consiste nel trasferire una persona fisica «dotata di intelligenza e volontà», dalla quale il vettore ha ragione di attendersi una cooperazione all’adempimento della prestazione richiesta. Pertanto, il regime di responsabilità del vettore è meno rigoroso di quello previsto per il trasporto di cose (art. 1693 c.c.), ove si impone al vettore di identificare positivamente la causa generatrice del danno: con l’importante corollario che, solo in quest’ultimo, e non anche nel trasporto di persone (fatta eccezione per quello ferroviario) il vettore è tenuto a risarcire pure danni derivanti da cause ignote od equivoche, dovendo quindi il viaggiatore farsi carico dei sinistri dipendenti da causa rientrante nella normalità del servizio (così, Buonocore, V., I contratti di trasporto, cit., 106; precisa Majello U., Custodia e deposito, cit., 213, che il vettore risponde non già di qualsiasi fatto, bensì soltanto di quelli che provengono dalla sua sfera economica, benché indirettamente causati da fattori esterni).
Tale più gravoso regime del trasporto di cose viene in considerazione rispetto ai bagagli consegnati al vettore e collocati fuori dalla sfera di controllo del trasportato (ad esempio: stiva della nave o dell’aereo), il cui trasferimento è oggetto di una prestazione accessoria al contratto di trasporto di persone; sicché il vettore è responsabile della loro perdita e avaria dal momento in cui li riceve a quello in cui li riconsegna al passeggero, se non prova che la perdita è derivata da caso fortuito, dalla natura o dai vizi delle cose stesse, dal loro imballaggio o da fatto del viaggiatore (art. 1693 c.c.). Ed al proposito la giurisprudenza di legittimità (Cass., 17.2.1966, n. 508) ha correttamente puntualizzato che movimento e viaggio non si identificano, onde il vettore risponde anche nell’ipotesi in cui il bagaglio consegnato sia stato trafugato durante una sosta (e v. anche Cass., 7.12.2000, n. 15536, in Danno resp., 2001, 592 e, in dottrina, Buonocore, V., I contratti di trasporto, cit., 111 s.).
L’inottemperanza dell’onere di cooperazione da parte del viaggiatore che abbia concorso al verificarsi dell’evento dannoso non vale di per sé ad esonerare il vettore da ogni responsabilità; quest’ultimo deve pur sempre dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Si pensi ad un passeggero di un autobus turistico che, durante la marcia del veicolo, cada in seguito ad una improvvisa frenata in quanto, anziché restare seduto con le cinture di sicurezza allacciate (come suggerivano le più elementari norme di sicurezza e prudenza), trovavasi in piedi a parlare con suoi compagni di viaggio: in tal caso al vettore, per esonerarsi da responsabilità, basterà dimostrare di aver invitato, mediante apposito avviso (scritto e/o verbale), i passeggeri dell’autobus a restare seduti durante l’intero viaggio con le cinture di sicurezza allacciate. Ad ogni modo, trovano applicazione i princìpi generali del concorso del fatto colposo del creditore, declinati dall’art. 1227 c.c.: onde, se il fatto colposo del viaggiatore abbia concorso a cagionare il danno, il risarcimento dovutogli è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze derivategli; inoltre, il risarcimento non è dovuto per i danni che il viaggiatore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza (e cfr., in giurisprudenza, Cass., 1.3.1994, n. 2020, in Riv. giur. circ. trasp., 1994, 362, secondo cui la mancata prova di esonero ai sensi dell’art. 1681 non è preclusiva dell’accertamento del concorso di colpa del danneggiato).
Il particolare regime di responsabilità del vettore per i sinistri che colpiscano la persona del viaggiatore ha carattere di ordine pubblico, in quanto motivato da fondamentali esigenze di tutela dell’integrità della persona umana. Si giustifica così la previsione della nullità di clausole che limitano la responsabilità del vettore per i sinistri in questione (art. 1681, co. 2, c.c.). Tale disposizione costituisce peraltro una specificazione del principio generale secondo il quale è nullo qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione degli obblighi derivanti da norme di ordine pubblico (art. 1229, co. 2, c.c.).
Sono invece validi sia i patti che aumentano le garanzie per il viaggiatore, sia le convenzioni che riversano su di un terzo le conseguenze economiche della responsabilità del debitore (Cass., 16.10.1954, n. 3766, in Giur. it., 1955, I, 1, 970), attribuendo al vettore, chiamato a rispondere per un danno al viaggiatore, un diritto di rivalsa nei confronti di un terzo (Cass., 19.3.1954, n. 1580, in Foro it., 1955, I, 1701). E devono parimenti reputarsi valide le pattuizioni volte a limitare la responsabilità del vettore per inadempimento dell’obbligo di trasportare o per il ritardo, nonché per la perdita o l’avaria delle cose che il viaggiatore porta con sé, dato che in queste ipotesi non è in gioco l’esigenza di salvaguardare l’integrità della persona umana (cfr., da ultimo, Zunarelli, S. – Alvisi, C., Del trasporto, cit., 92).
È ormai consolidato in giurisprudenza l’orientamento favorevole al cumulo delle azioni di responsabilità contrattuale (artt. 1681 e 1218 c.c.) ed extracontrattuale (art. 2043 c.c.): qui il fatto generatore del danno patito dal viaggiatore può infatti comportare sia una lesione del diritto del contraente-creditore alla prestazione di trasporto, consistente nell’essere trasferito incolume a destinazione, sia, al contempo, una violazione di quei diritti fondamentali spettanti al singolo erga omnes in conseguenza del generico dovere di non ledere (neminem laedere). E da questo orientamento (condiviso, fra le altre, da Cass., 20.4.1989, n. 1855, in Foro it., 1990, I, 1970; Cass., 13.3.1980, n. 1696, in Giur. it., 1980, I, 1, 1460; e già Cass., 7.8.1962, n. 2441, in Giust. civ., 1963, I, 845), pur non pacifico in dottrina (e per le due posizioni, v. Buonocore, V., I contratti di trasporto, cit., 119 ss., favorevole al cumulo; Flamini, A., Il trasporto, cit., 87 ss., con ampio riesame del problema e contrario al cumulo), discende il non trascurabile vantaggio per il trasportato di poter agire nei confronti del vettore per tutti i danni sofferti compresi quelli non patrimoniali e, per di più, anche in seguito alla scadenza del termine annuale di prescrizione previsto per l’azione contrattuale (art. 2951 c.c.), dato che l’azione extracontrattuale si prescrive in due anni (art. 2947, co. 2, c.c.). Naturalmente, l’esercizio dell’azione di responsabilità extracontrattuale presuppone l’onere dell’attore della prova non solo dell’evento dannoso (come nell’azione contrattuale), ma altresì del nesso di causalità e della responsabilità del vettore.
La responsabilità del vettore per i sinistri subìti dal viaggiatore durante il trasferimento presenta talune peculiarità nel cd. trasporto a fune.
Costituisce, al proposito, principio ormai consolidato in giurisprudenza che, ai fini della responsabilità del vettore per i sinistri che colpiscano la persona del viaggiatore, devono considerarsi avvenuti «durante il viaggio» (art. 1681 c.c.) anche sinistri capitati nel corso delle operazioni preparatorie o accessorie al trasferimento (e v., da ultimo, Cass., 17.7.2003, nn. 11194 e 11198, in Danno e resp., 2003, 1185 e 1187; nonché Cass., 3.8.2004, n. 14812, ivi, 2005, 369). E questa precisazione si profila assai rilevante in relazione alle particolarità del trasporto a fune (seggiovia, sciovia).
Così, le peculiari modalità del trasporto in seggiovia inducono a ritenere cominciato il viaggio, con il conseguente sorgere della presunzione di responsabilità del vettore, qualche momento prima che il passeggero si sia insediato stabilmente sul veicolo: vale a dire quando il passeggero si accinge a prender posto sul seggiolino in moto, dato che il vettore è tenuto a mettergli a disposizione non soltanto il posto sul seggiolino stesso, ma altresì l’opera di suoi dipendenti specificamente incaricati della sorveglianza sul regolare accesso al veicolo e deputati ad agevolare, eventualmente, i passeggeri a prender posto sui seggiolini in moto.
Anche l’individuazione del momento terminale del viaggio presenta, nel trasporto in seggiovia, qualche particolarità: esso deve invero individuarsi non già nella mera discesa del passeggero dal veicolo, ma nell’avvenuto compimento dei pochi passi necessari per neutralizzare la spinta della corsa. Con il corollario che la responsabilità del vettore cessa non quando il viaggiatore ha perso il contatto fisico con il veicolo in moto, ma nel momento in cui siano terminati gli effetti residui del moto e il viaggiatore, ormai fermo, non può più risentire dei medesimi (così, di recente, App. Milano, 15.2.2006, in Resp. civ. prev., 2007, 1149; Cass., 23.5.1997, n. 4607, in Resp. civ. e prev., 1998, 91; e già, Cass., 16.10.1956, n. 3568, in Foro it., 1957, I, 600; in dottrina, nello stesso senso, per tutti Buonocore, V., I contratti di trasporto, cit., 100). Se così non fosse, per intenderci, il gestore di un impianto di risalita non risponderebbe dei danni subìti da uno sciatore che, liberatosi del seggiolino, cada rovinosamente in conseguenza del ghiaccio presente nel tratto di pista, non adeguatamente pulito, immediatamente adiacente la discesa dalla seggiovia.
Particolarità più accentuate presenta il trasporto in sciovia o mezzi similari (skilift), giacché, in tal caso, il gestore dell’impianto di risalita si limita a fornire la pista di risalita e l’energia di trazione e l’ausilio di suoi dipendenti per l’aggancio, nonché la sorveglianza al momento dello sgancio. È però lo sciatore a dover provvedere a tutto il resto, tenendosi in equilibrio su sé stesso e sul mezzo, operando le correzioni di rotta rese necessarie dalle inevitabili irregolarità del percorso. Non è un caso che, nella pratica dello sci, si sconsiglia allo sciatore principiante l’utilizzo di sciovie.
Sul piano giuridico, le illustrate peculiarità si traducono nel preminente obbligo di collaborazione richiesto all’utente nell’economia del risultato: l’interessato deve cioè partecipare attivamente e con la dovuta attenzione all’uso del mezzo trainante. Ne conseguirebbe la configurazione della salita su sciovie in termini di autotrasporto dell’utente medesimo e, quindi, di contratto atipico, sostanzialmente diverso dal trasporto di persone disciplinato dall’art. 1681 cod. civ., non essendo pertanto applicabile la presunzione di responsabilità del vettore ivi prevista (così, in giur., App. Roma, 2.12.1981, in Riv. dir. sport., 1982, 69).
Ma la tesi non è convincente. Anche l’utente della sciovia intende essere trasferito da un luogo (valle) ad un altro (monte), sicché non può seriamente dubitarsi della ricorrenza di un contratto di trasporto di persone, anche perché il dominio dell’impianto resta esclusivamente sotto la responsabilità del suo gestore (e v., per tutti, Buonocore, V., I contratti di trasporto, cit., 103). Il che non significa, beninteso, che non si debba tener adeguatamente conto, ai fini della valutazione della responsabilità del gestore dell’impianto di risalita, del particolare (e non accessorio) obbligo di collaborazione richiesto in questo caso all’utente, così distinguendo i sinistri cagionati dalla negligenza del gestore nella pulizia della pista da quelli in cui determinante si è rivelata invece l’incapacità dell’utente di utilizzare il mezzo trainante. Valgono inoltre, con gli opportuni adattamenti richiesti dalla peculiarità del mezzo, le puntualizzazioni sopra effettuate con riferimento al trasporto in seggiovia, circa il momento di inizio e di fine del «viaggio» (art. 1681 c.c.).
Con il contratto di trasporto cumulativo più vettori assumono, ciascuno per il percorso di propria competenza e non già per l’intero percorso in solido, l’obbligo di trasferire una persona da un luogo ad un altro, servendosi della propria organizzazione tecnica: tanto si evince dall’art. 1682 c.c., che dunque deroga al principio generale in tema di obbligazioni solidali sancito dall’art. 1294 c.c., invece applicabile al trasporto cumulativo di cose (art. 1700 c.c.) stante la difficoltà di accertare, in quest’ultimo, la frazione di percorso in cui si è verificato il sinistro.
Nel trasporto cumulativo il passeggero contrae dunque con una pluralità di vettori (ma v. nel senso che, ai fini della stipulazione del contratto di trasporto cumulativo, non sia richiesta la partecipazione di tutti i vettori, Cass., 10.6.1991, n. 6557, in Riv. giur. circ. e trasp., 1991, 741, che qualifica il trasporto cumulativo come «proposta contrattuale aperta all’adesione di altri vettori»). Tuttavia, l’indivisibilità della prestazione comporta che l’intero percorso, oggetto del contratto, rileverà comunque ai fini della valutazione del danno per ritardo o interruzione del viaggio, fermo restando che di esso risponde soltanto il vettore che li abbia specificamente cagionato tali eventi.
Dal trasporto cumulativo deve perciò distinguersi il cd. sub-trasporto (per il quale è prevista un’apposita disciplina nel trasporto di merci: d.lgs. 21.11.2005, n. 286, modificato dalla l. 23.12.2014, n. 190): qui il passeggero contrae soltanto con il vettore iniziale, che pertanto assume in nome proprio obblighi e responsabilità dell’adempimento dell’intera prestazione di trasferimento. Non rileva affatto che, per la sua esecuzione, il vettore iniziale si avvalga di mezzi o dell’opera di ausiliari: la sua diretta responsabilità si deduce, infatti, dal principio generale sancito dall’art. 1228 c.c. Dubbio è se i sub-vettori siano obbligati soltanto verso il vettore iniziale o anche verso il passeggero; prevale tuttavia la tesi che il passeggero/mittente non abbia né azione contrattuale, né azione extracontrattuale verso i sub-vettori (Cass., 8.12.1999, n. 108; Cass., 7.8.1996, n. 7247).
Fonti normative
Art. 1678 e ss. c.c.; art. 141 c. assicurazioni; art. 396-398 c. nav.; d.lgs. 21.11.2005, n. 286; l. 23.12.2014, n. 190; reg. 261/2004/Ce.
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