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CONTRATTO

di Domenico BARBERO - Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)
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CONTRATTO (XI, p. 253)

Domenico BARBERO

Storia. - Mentre nel diritto moderno, e già nel diritto romano giustinianeo, il contratto può essere definito l'accordo di due o più persone diretto a costituire un rapporto obbligatorio dalla legge riconosciuto, nel diritto romano antico e classico, almeno secondo una dottrina che sembra avere salda base nelle fonti romane genuine, il contratto non presuppone necessariamente l'accordo, la conventio; ma, come ellissi e sinonimo di negotium contractum o contractus negotii, esprime il vincolo che lega. Vero è che nella classificazione dei contratti, fatta nelle Istituzioni di Gaio, i contratti, che presuppongono la conventio, sono la quasi totalità e che di qualcuno, che - come il pagamento dell'indebito - non presuppone l'accordo per costituire una obbligazione, Gaio (se però il testo, Inst., III, 91, è genuino) male sa rendersi ragione perché sia chiamato contractus. Ma è certo che Gaio considera contractus la negotiorum gestio, e precisamente la negotiorum gestio tutelare (Inst., IV, 182), e ora i nuovi frammenti del Gaio alessandrino ci rivelano che il giurista considera contractus una societas propria civium romanorum, in cui il consensus fa difetto: contrapposta, per questo, alla societas iuris gentium che si costituisce mediante l'accordo. Non genuina, pertanto, è l'affermazione contenuta in Dig., II, 14, De pactis,1, 3, secondo la quale non vi sarebbe contractus qui non habeat in se conventionem.

La nozione del contractus, sinonimo di accordo produttivo di obbligazione, si è sviluppata più tardi, come certe preziose comparazioni tra fonti romane genuine da un lato e fontì giustinianee o Lizantine dall'altro chiaramente dimostrano. Luminoso è soprattutto il confronto fra il passo di Gaio (Inst., IV, 182), in cui il giurista considera contractus la negotiorum gestio tutelare, e il corrispondente passo della Parafrasi del bizantino Teofilo (4, 16, 2), che è costretto a collocare accanto al contratto (συνάλλαγμα) il quasi contratto (ὡσανεί συνάλλαγμα) per ricondurvi la negotiorum gestio. Ed è pur significativo il confronto fra il Gaio alessandrino che considera societas il consortium familiare, sorto indipendentemente dal consenso, e un passo gaiano inserito nelle Pandette (Dig., X, 3, Comm. div., 2), in cui la comunione non consensuale è detta communio sine societate.

Il contratto giustinianeo è definito (cfr. Theoph., Paraphr., 3, 13, 2 e 4, 5 pr.) con le stesse parole con cui i Romani (Dig., L, 12, De pollicit., 3) definivano il patto: duorum consensus atque conventio. Il contractus romano giustinianeo consta, così, di due elementi: l'uno, originario, è la causa o il fatto obiettivo, il negotium contractum; l'altro, elaboratosi posteriormente, è l'accordo delle parti, cioè il consensus o la conventio.

Nell'antico diritto romano il contratto assumeva forme tipiche solenni, e predominanti erano le forme orali. Si avevano, così, contratti formali verbali (sponsio, stipulatio, dotis dictio, promissio iurata liberti) e contratti formali letterali (nomen transcripticium, singrafe, chirografo). Ma già prima del periodo classico o durante questo periodo alcune determinate cause costituivano contratti riconosciuti indipendentemente dall'uso di quelle forme. Queste figure eccezionali vennero per lo più distribuite in due categorie: contratti reali e contratti consensuali, secondo che l'obbligazione consisteva nel dover restituire la cosa ricevuta o secondo che l'obbligazione sorgeva in base al consenso manifestatosi senza impaccio di forme. Nei contratti reali si annoverano: fiducia, mutuo, deposito, commodato, pegno; nei contratti consensuali: compravendita, locazione-conduzione, società, mandato.

Nell'età postclassica si giunse a riconoscere come contratti molti negozî costituiti dalla trasmissione di cose o dalla prestazione di opere eseguite al fine di conseguire una prestazione diversa: questi negozî si distribuivano in quattro figure secondo l'essenza della causa e dell'obbligo rispettivo: do ut des, do ut facias, facio ut des, facio ut facias. Siccome questi negozî non avevano un proprio nomen, quando nell'età postclassica diventarono contratti, per distinguerli dagli altri che un nomen avevano, si dissero contractus innominati; gli altri contratti, per contrapposto, si dissero nominati. Nel diritto giustinianeo i contractus innominati si fanno entrare nella categoria dei contratti reali; e, naturalmente, il loro ingresso in questa categoria fa modificare la nozione del contratto reale, il quale viene inteso ormai come quel contratto qualificato dalla dazione di una cosa anche se non implica l'obbligo di restituere. Nel contratto reale classico il creditore aveva diritto a eandem rem recipere (Dig., XII, I, De reb. cr., 2, 3) nel diritto giustinianeo ha diritto a recipere quid (Dig., ibid, 1 interpolato).

Le cause che, senza veste di forme, costituivano nel diritto romano classico contratti, si presentavano come eccezioni ed erano ad ogni modo anch'esse rapporti espressamente e positivamente determinati: cum nulla subest causa, propter conventionem constat non posse contrahi obligationem (Dig., II, 14, De pactis, 7, 4). Ciò a differenza del diritto moderno che, movendo dal diritto giustinianeo, ammette il riconoscimento generale di qualunque causa, purché non contraria alla legge, al buon costume e all'ordine pubblico (articoli 1120-1122 cod. civ.), in base al mero consenso: di qui deriva la conseguenza che, mentre nel diritto romano classico il creditore nei contratti non formali doveva provare l'esistenza della causa, nel diritto moderno la causa si presume e tocca al debitore provare - se lo creda - l'inesistenza delia causa stessa.

Diventato nel diritto giustinianeo il contratto sinonimo di conventio, non soltanto si generalizzò come fonte di obbligazione, ma divenne anche fonte di diritto reale. Così nell'età postclassica e giustinianea si parla di contractus emphyteuseos (Cod., IV, 66, De emphyt. iure, 1), che costituisce il diritto reale di enfiteusi; di contrahere servitutem (Dig., VIII, 3, De serv. praed. rust., 13 pr.) per indicare il contratto costitutivo di servitù prediale, e si parla di contractus (Dig., XXXXIIII, 7, De obl. et act., 55) come modo d'acquisto del diritto di proprietà.

Bibl.: A. Pernice, Zur Vertragslehre der römischen Juristen, in Zeitschr. der Sav.-St. f. Rechtsg. (Rom. Abt.), IX (1888), pp. 195-200; S. Perozzi, Le obbligazioni romane, Bologna 1903, pp. 31-45; P. Bonfante, Sulla genesi e l'evoluzione del contractus, in Scritti giuridici, III, Torino 1921, p. 107 segg.; id., Sui contractus e sui pacta, ibid., p. 135; P. de Francisci, Συνάλλαγμα, Storia e dottrina dei cosiddetti contratti innominati, Pavia 1913-16, voll. 2; S. Riccobono, Dal dir. romano classico al diritto moderno, Palermo 1915, p. 689 segg.; id., La formazione della teoria generale del contractus nel periodo della giurisprudenza classica, in Studi in onore di P. Bonfante, Milano 1930, I, p. 123 segg.; E. Albertario, in Riv. dir. comm., XXI (1923), I, p. 493 segg.; id., in Rend. Ist. lomb., LIX (1926), p. 409; id., in Riv. dir. comm., XXXII (1934), p. 227.

Contratti a favore di terzi (p. 255).

Storia. - I contratti a favore di terzi sono da principio, nel diritto romano, nulli: alteri stipulari nemo potest. La ragione della nullità sarebbe, secondo P. Bonfante, da ricercare nel principio che intra stipulantem et promittentem negotium contrahitur, in connessione col sistema classico per cui fondamento dell'obbligatorietà del contractus era più il negotium o la causa che non la volontà; il motivo, peraltro, che nelle fonti romane si adduce è che la prestazione al terzo non ha interesse per il creditore. Si può assicurare l'esecuzione del negozio mediante la stipulazione di una clausola penale.

È valido il contratto a favore del terzo quando l'interesse del contraente all'adempimento vi sia, anzi propriamente quando la prestazione al terzo è quella che lo stipulante dovrebbe altrimenti eseguire, onde si può dire che egli stipula, nella realtà delle cose, per sé. È valida, pertanto, la stipulazione con la quale uno dei tutori, cedendo la gestione del patrimonio pupillare all'altro, si fa garantire da questo la buona amministrazione, giacché, diversamente, anch'egli potrebbe essere tenuto a risponderne.

Il processo storico relativo al riconoscimento dei contratti a favore di terzi è controverso. Secondo qualcuno (S. Riccobono) il processo avrebbe origine risalente all'età classica del diritto romano e sarebbe, anch'esso, riconducibile all'attività innovativa del pretore il quale in determinati casi, per soccorrere le nuove esigenze della vita civile, avrebbe dato al terzo estraneo al negozio un'actio utilis e più precisamente un'actio ficticia per cui gli era attribuita l'azione ac si ipse stipulatus esset. Secondo altri (P. Bonfante), pur non disconoscendosi che il diritto giustinianeo avrebbe ampliato i casi in cui si ammette la validità di un contratto a favore del terzo, già entro il diritto classico, per l'elasticità della giurisdizione pretoria, si sarebbe potuto in casi particolarmente gravi concedere al terzo un'actio ex decreto. Il Bonfante argomenta da un passo di Apuleio (De magia, 91-92), da un rescritto dioclezianeo conservatoci in Vat. Fr. 286 e da un testo del giurista Paolo riferito così nella Collatio (10, 7, 8) come nelle Sententiae (2, 12, 8). Secondo altri (G. Pacchioni, F. Eisele), finalmente, la validità del contratto a favore di terzi sarebbe riconosciuta soltanto nel diritto postclassico. Questa dottrina sembra preferibile. A proposito di un caso (la validità del patto dotale a favore di terzi) abbiamo l'esplicita testimonianza di un maestro bizantino, Taleleo, che dichiara trattarsi di un principio nuovo introdotto dai compilatori nel rescritto di Diocleziano (Cod., V, 14, De pactis conventis, ecc., 7).

I casi in cui nel diritto romano giustinianeo è accordata azione al terzo, sono i seguenti: 1. il padre, costituendo la dote, può, in caso di morte della figlia, pattuirne la restituzione a favore dei nipoti in potestate; 2. il creditore pignoratizio nella vendita del pegno può pattuirne il riscatto a favore del debitore; 3. il comodante o deponente di cose altrui può pattuirne la restituzione al proprietario; 4. il venditore può pattuire col compratore a favore del conduttore del fondo alienato; 5. chiunque può contrattare a favore del proprio erede.

Nel diritto comune la validità dei contratti a favore di terzi tende a generalizzarsi, quantunque alcuni glossatori, come Bulgaro, obiettassero che, all'infuori dei casi esplicitamente contemplati nelle fonti giustinianee, iuris regula est ex alieno pacto actionem non dari.

Bibl.: E. Albertario, I patti dotali a favore di terzi, in Studi di diritto romano, I, Milano 1933, p. 349 segg., e bibliografia ivi citata.

Contratto tipo.

È una modernissima figura giuridica (una sottospecie del contratto normativo, al quale si riferisce anche l'altra sottospecie, il contratto collettivo), il cui nascere è dovuto allo sviluppo e alle nuove forme che il commercio ha assunto in questi ultimi tempi, sia per esigenze proprie, sia per effetto di nuovi caratteri della produzione (macchina, produzione in serie, standardizzazione dei tipi). Esempî di contratto tipo, oltre quelli, di origine corporativa, che si annunciano di tanto in tanto sotto questo preciso nome, possono essere anche una polizza di assicurazione, un modulo di trasporto, un biglietto ferroviario o teatrale, ecc.

Il contratto tipo è come il negativo di stampa, dal quale si può poi tirare una moltitudine di contratti individuali, importanti diritti e doveri tra persona e persona, di contenuto sostanzialmente identico a quello predisposto (la riserva è fatta per riguardo a quegli elementi che vengono lasciati da determinarsi di volta in volta nei singoli contratti, in quanto il loro variare non compromette gli scopi del contratto tipo: come la quantità delle merci vendute o trasportate, il numero delle persone viaggianti, ecc., ma non, per es., il prezzo di vendita o di trasporto).

La sua funzione economico-giuridica è, soprattutto, quella di accelerare i tempi della contrattazione giuridica, in armonia con l'esigenza economica della celerità dello scambio commerciale, salvaguardando, in pari tempo, la sicurezza delle relazioni giuridiche, che siano per derivare dalla conclusione dei singoli contratti individuali. È salvaguardata la sicurezza delle relazioni giuridiche, perché il contratto tipo, stilato con serena riflessione e ponderazione, che solo possono aversi fuori dal momento assillante in cui si è per conchiudere definitivamente un contratto, permette una chiara e precisa disciplina giuridica delle relazioni che verranno, successivamente, a crearsi. È realizzata la celerità dello scambio perché il contratto tipo, predisposto in tali circostanze, elimina la necessità delle più o meno lunghe trattative precontrattuali, caratteristiche delle altre contrattazioni e che appunto rallentano la conclusione degli affari.

Per intendere chiaramente il concetto di contratto tipo, bisogna raggrupparne le varie distinzioni:

a) Il primo gruppo comprende il c. t. puramente direttivo; il c. t. obbligatorio; il c. t. avente efficacia reale. Nella prima di queste distinzioni il contratto tipo non ha, in sé, natura e valore di contratto: può, tuttavia, acquistare efficacia giuridica sotto la forma e il valore della offerta al pubblico, quando sia comunicato ai terzi a scopo di provocare domande di contratto. Es.: una polizza d'assicurazione. Nella seconda, ha in sé la natura e gli effetti di un vero e proprio contratto e contiene l'obbligazione, fra le parti contraenti, di non contrattare in maniera difforme da quella prevista nel contratto tipo. Es.: un contratto fra negozianti in seta, in cui vengano stipulate le condizioni cui dovranno attenersi nel loro commercio verso il pubblico, per evitarsi, supponiano, una dannosa concorrenza. Nella terza può avere tanto la natura di un contratto, quanto quella di una legge in senso materiale: in questo caso esprime addirittura un tipo di contratto imposto per legge. In ogni modo l'effetto caratteristico (la cosiddetta efficacia reale) è che non solo vi ha l'obbligazione di non conchiudere contratti difformi, ma che addirittura non è possibile conchiuderne, in quanto le clausole eventualmente difformi del singolo contratto individuale, restano sostituite, di pieno diritto, da quelle del contratto tipo. Es.: i contratti tipo formati dalle associazioni sindacali e dagli organi corporativi.

b) In seno al contratto tipo obbligatorio si deve ancora distinguere una doppia sottospecie: unilaterale e bilaterale (termini che non hanno qui il medesimo valore che loro attribuisce il codice civile italiano, quando distingue i contratti in unilaterali e bilaterali). Unilaterale è il contrattci tipo quando è concordato da più commercianti, perché sia osservato dagli stessi nelle loro contrattazioni rispetto a una clientela che non ha partecipato alla sua formazione. Come esempio può valere il contratto, cui si è già fatto cenno, fra due negozianti di seta. È bilaterale, quando deve essere osservato nelle contrattazioni che intercorreranno fra le stesse persone che lo hanno concordato. Es.: un produttore di materie prime e un trasformatore delle stesse stipulano le condizioni di vendita che il primo farà al secondo nei singoli successivi contratti di compravendita di quelle materie medesime.

È importante segnare la distinzione del contratto tipo dal contratto preliminare e dal contratto di adesione. La prima distinzione è netta e marcata. Il contratto tipo è anch'esso, cronologicamente, preliminare rispetto al contratto definitivo, ma, mentre nel contratto preliminare si contrae l'obbligazione giuridica attuale di conchiudere poi il contratto definitivo, col contratto tipo non si assume alcun impegno attuale a conchiudere anche un solo contratto definitivo, ma solo l'obbligazione eventuale di attenersi al contenuto del contratto tipo, nell'ipotesí che si voglia conchiudere un singolo contratto nella materia regolata da questo e dalle persone fra cui questo ha vigore. Meno marcata, ma non meno precisa concettualmente, è la distinzione fra contratto tipo e contratto di adesione: i quali possono esprimere due aspetti diversi di una medesima realtà. Il contratto tipo deduce in considerazione che il contenuto in clausole del contratto definitivo è predisposto in un atto (negoziale o no) precedente; il contratto di adesione, che lo stesso contenuto è fissato (anteriormente o no, questo non tocca la sua essenza) da una sola delle parti contraenti, mentre all'altra, di solito a causa della sua minore autonomia economica, non resta che prestare il suo consenso, se vuole contrattare, oppure rifiutarsi alla contrattazione.

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