Abstract
I controlli fiscali rappresentano un importante momento della fase di attuazione del rapporto obbligatorio d’imposta nel quale l’Amministrazione finanziaria è chiamata a verificare l’esatto adempimento degli obblighi e delle obbligazioni facenti capo sui contribuenti e sui terzi. Tale fase assume anche profili di delicatezza ogni qual volta la medesima amministrazione, nell’espletamento della predetta attività, è necessariamente chiamata ad esercitare poteri istruttori che comprimono le libertà, costituzionalmente protette, dei soggetti nei confronti dei quali il potere è esercitato.
Con l’espressione “controlli fiscali” ci si riferisce a quell’insieme di attività poste in essere dall’Amministrazione finanziaria finalizzate a verificare l’esatto adempimento degli obblighi, formali e strumentali, e delle obbligazioni (d’imposta, tributarie, accessorie e connesse) gravanti sui contribuenti o su terzi; ciò al fine di assicurare il concreto ed effettivo soddisfacimento dell’interesse pubblico sia all’attuazione del prelievo che alla repressione dei comportamenti illeciti eventualmente consumati.
In linea generale, occorre rammentare che nel nostro sistema impositivo esistono una varietà di sistemi di controllo, ognuno dei quali è, a sua volta, modellato sullo specifico sistema di attuazione dei tributi in relazione al quale esso è destinato ad operare (imposte dirette, IVA, tributi doganali, imposta di registro, imposta di bollo, ecc.); possiamo anzi affermare che è proprio la modalità di attuazione di ciascuna imposta a caratterizzare il relativo sistema di controllo, essendo quest’ultimo strumentale alla verifica dell’esatto adempimento delle obbligazioni e degli obblighi facenti capo ai contribuenti (e, talvolta, ai terzi) e situantesi nella struttura attuativa del tributo così come delineata dal legislatore. Non potendo in questa sede analizzare tutte le varie forme di controllo apprestate dall’ordinamento in relazione a ciascuna tipologia di tributi, ci concentreremo su quelle previste per le imposte dirette e per l’IVA, trattandosi delle imposte più importanti ed in relazione alle quali il legislatore ha approntato la disciplina più articolata (contenuta nel d.P.R. 29.9.1973, n. 600 e nel d.P.R. 25.5.1972, n. 633).
Al riguardo, è necessario premettere che l’oggetto del controllo muta a seconda che il contribuente abbia, o meno, adempiuto agli obblighi dichiarativi. Nel primo caso, infatti, il controllo ha quale oggetto “diretto” il contenuto della dichiarazione e mira alla verifica della veridicità e completezza del suo contenuto in relazione alla posizione del contribuente; nel secondo caso, invece, oggetto diretto del controllo è rappresentato dalla posizione del contribuente, e mira alla ricostruzione del suo complessivo rapporto fiscale.
La disciplina delle attività di controllo ha riguardo sia alla delimitazione dell’ambito soggettivo dei destinatari del medesimo sia alla definizione delle relative modalità di esercizio, con riferimento anche alle capacità operative dell’Amministrazione finanziaria. Ciò in quanto, se per un verso si tende a concepire il controllo in termini sempre più generalizzati e capillari, dall’altro occorre prevedere una ragionevole graduazione dei poteri di controllo che tenga conto: a) del numero sempre crescente di contribuenti e delle “forze” dell’Amministrazione finanziaria; b) della necessità che i controlli mirati avvengano selezionando i contribuenti con criteri omogenei su tutto il territorio nazionale, evitando di lasciare nella discrezionalità dei singoli uffici o dei dirigenti di questi tale scelta.
Queste sono le ragioni per le quali, sin dagli anni ’70, il legislatore ha provveduto ad una progressiva razionalizzazione delle modalità di controllo, pervenendo ad una distinzione della medesima su più livelli (cfr. Fedele, A., I principi costituzionali e l’accertamento tributario, in Riv. dir. fin., 1992, I, 479 ss.; Gallo, F., Discrezionalità nell’accertamento tributario e sindacabilità delle scelte dell’ufficio, in Riv. dir. fin., 1992, I, 208 ss.; Vanz, G., L’attività conoscitiva dell’Amministrazione finanziaria, Torino, 2005, 155 ss.).
Un primo livello è rappresentato da un controllo di carattere “formale” sulle dichiarazioni tributarie che ha ad oggetto la verifica dei dati ivi indicati sulla base delle informazioni già costituenti patrimonio conoscitivo dell’Amministrazione. Si tratta di un controllo tendenzialmente generalizzato su tutti i contribuenti che hanno adempiuto all’obbligo dichiarativo, il quale viene svolto in via automatizzata secondo la disciplina recata dagli artt. 36 bis e 36 ter del d.P.R. n. 600/1973.
Un secondo livello riguarda invece quei controlli espressamente mirati su ciascun contribuente, svolti dal personale degli uffici (o della Guardia di Finanza) e, per questo motivo, limitati ad una ristretta platea di contribuenti, la scelta dei quali avviene sulla base di criteri selettivi individuati attraverso un apposito atto di indirizzo del Direttore dell’Agenzia delle entrate. V’è da segnalare, inoltre, che l’art. 42 della l. 23.12.2000, n. 388 ha disciplinato il controllo sostanziale e sistematico dei contribuenti con volume d’affari non inferiore a euro 5.000.000,00 prevedendo che esso sia svolto almeno una volta ogni due anni per i contribuenti con volume d’affari non inferiore a euro 25.000.000,00 ed una volta ogni quattro anni per gli altri contribuenti. Questa modalità di controllo può riguardare sia i soggetti che hanno adempiuto agli obblighi dichiarativi, sia coloro i quali non vi hanno adempiuto; ciò che muta sono le regole stabilite dal legislatore per la ricostruzione della posizione fiscale del contribuente, essendo consentito all’Amministrazione finanziaria l’utilizzo di strumenti induttivi meno rigorosi nei casi in cui il contribuente non abbia adempiuto agli obblighi dichiarativi (cfr. art. 39, co. 2, lett. a, art. 41 del d.P.R. n. 600/1973 e art. 55 del d.P.R. n. 633/1972).
In linea generale, è possibile affermare che la titolarità della potestà di controllo è affidata alle Agenzie fiscali, in particolare all’Agenzia delle entrate ed all’Agenzia delle dogane, cui è demandata ex lege la gestione dei tributi erariali; analoga potestà è affidata anche alla Guardia di Finanzia: in particolare, l’art. 33 del d.P.R. n. 600/1973 prevede che quest’ultima cooperi per l’acquisizione ed il reperimento degli elementi utili ai fini dell’accertamento e per la repressione delle violazioni, procedendo di propria iniziativa o su richiesta degli uffici e con gli stessi poteri attribuiti a questi ultimi. Analoga disposizione si rinviene per l’IVA nell’art. 63, co. 1, d.P.R. n. 633/1972 (cfr. Fantozzi, A., I rapporti tra fisco e contribuente nella nuova prospettiva dell’accertamento tributario, in Riv. dir. fin., 1984, I, 238 ss.). Nel concreto espletamento dell’attività di controllo, a tali soggetti se ne affiancano altri che in vario modo cooperano con quelli sopra individuati acquisendo dati, segnalando situazioni rilevanti ai fini dell’accertamento o fornendo ad essi dati, notizie e informazioni di vario tipo. Si pensi, in particolare, ai comuni che, in base all’art. 44 del d.P.R. n. 600/1973, possono segnalare all’Amministrazione finanziaria qualsiasi integrazione di elementi contenuti nella dichiarazione presentata dal contribuente, indicando anche nel caso di omissione della dichiarazione dati, fatti ed elementi rilevanti e fornendo ogni idonea documentazione atta a comprovarli.
Il controllo di secondo livello, in linea di principio, può riguardare tutti i contribuenti, in particolare per le categorie dei redditi fondiari, di capitale e diversi, quante volte sia necessaria l’acquisizione di informazioni che non sono nella disponibilità dell’Amministrazione finanziaria. Per quanto riguarda le altre categorie di reddito, questa tipologia di controllo è inevitabilmente destinata ad operare in massima parte nei confronti di quei soggetti che producono redditi di lavoro autonomo e d’impresa, in considerazione della minore propensione all’evasione che si registra con riferimento al lavoro dipendente e che può comunque essere verificata (nella maggior parte dei casi) attraverso il semplice incrocio della dichiarazione del dipendente con quella del datore di lavoro, sostituto d’imposta.
Il controllo di secondo livello, come detto, per essere concretamente svolto, richiede l’acquisizione di dati e notizie riguardanti il contribuente e la sua attività e, pertanto, presuppone un procedimento istruttorio in grado di porre l’Amministrazione finanziaria a conoscenza della realtà fenomenica formante oggetto del controllo medesimo. Per lo svolgimento di questa attività di acquisizione delle informazioni l’Amministrazione può avvalersi di poteri istruttori a carattere autoritativo e ordinatorio.
Si tratta di poteri che incidono in varia misura sulla sfera delle libertà personali di ciascun individuo, intaccando profili che trovano anche presidio nei principi generali della Costituzione; rispetto a tali situazioni, la dottrina non ha mancato di rilevare come gli istituti della riserva di legge e della riserva di giurisdizione rappresentino i primi presidi approntati dalla medesima Costituzione quale momento di bilanciamento delle contrapposte esigenze di perseguimento dell’interesse pubblico per il quale il relativo potere è posto, da un lato, e tutela del diritto di libertà che l’esercizio del predetto potere è inevitabilmente destinato a comprimere, dall’altro (cfr. Viotto, A., I poteri di indagine dell’Amministrazione finanziaria, Milano, 2002, 94, ss.). E così, mentre la riserva di legge ha la funzione di garantire il rispetto del procedimento di formazione delle leggi, con la partecipazione delle minoranze parlamentari e la soggezione al sindacato della Corte costituzionale dei provvedimenti di restrizione delle libertà individuali, nonché la posizione di tendenziale terzietà della funzione legislativa rispetto a quella esecutiva (prettamente deputata alla gestione del tributi), la riserva di giurisdizione garantisce la terzietà e l’indipendenza dal potere esecutivo dell’autorità giudiziaria.
Il tema delle interferenze tra l’interesse dei privati a non patire compressioni delle proprie libertà individuali, da un lato, e quello dell’Amministrazione finanziaria al reperimento degli elementi conoscitivi occorrenti per l’espletamento dell’attività di controllo, dall’altro, è dunque una questione centrale della disciplina dell’attuazione dei tributi, che si traduce nell’individuazione del corretto equilibrio tra soddisfazione e contenimento delle rispettive posizioni; tale problema, peraltro, assurge a livelli diversi di rilevanza a seconda del grado di intrusione che l’esercizio del potere istruttorio attua nella sfera personale del soggetto nei confronti del quale esso è esercitato.
Vi sono ipotesi, infatti, nelle quali l’azione di controllo può esplicarsi senza invadere direttamente le sfere di libertà degli individui, essa potendo fondarsi su dati ed elementi altrimenti acquisibili dall’Amministrazione finanziaria: ciò che accade, come abbiamo visto, nei cd. controlli formali (dove le fonti informative costituenti il fondamento dell’attività di controllo sono rappresentate dai dati dichiarati dal contribuente e da quelli già in possesso dell’Amministrazione), ma anche in quei casi nei quali le informazioni sono reperite attraverso l’esercizio di semplici poteri di richiesta alle amministrazioni pubbliche, nazionali o straniere.
In altri casi, l’azione di controllo si estrinseca per il tramite di atti mediamente invasivi delle sfere di libertà: questa situazione si verifica nei casi in cui vengono in rilievo poteri di convocazione o richiesta nei confronti del contribuente o di terzi, in tali casi potendosi ravvisare una compressione (quanto meno) di quella libertà di autodeterminazione personale che la Costituzione riconosce e tutela attraverso l’art. 23 e, quindi, per il tramite del divieto d’imposizione di prestazioni personali al di fuori di espresse e specifiche previsioni di legge (cfr. Fransoni, G., Appunti sull’esercizio dei poteri di indagine tributaria all’estero, in Riv. dir. trib., 2014, I, 1021 ss.; Fedele, A., Concorso alle spese pubbliche e diritti individuali, in Riv. dir. trib., 2002, I, 44).
Vi sono, poi, poteri d’indagine il cui esercizio passa attraverso il massimo grado di intrusività della sfera personale, cioè attraverso il potere di accesso nei locali del contribuente o di terzi: ci si riferisce ai poteri di accesso, ispezione e verifica nonché di perquisizione e sequestro di cui all’art. 52 del d.P.R. n. 633/1972, integralmente richiamato, per le imposte dirette, dall’art. 33 del d.P.R. n. 600/1973. Si tratta del settore che pone maggiori problemi quanto all’esigenza di salvaguardia delle libertà individuali, quali la libertà di domicilio, ma anche quella personale o di corrispondenza e, spesso, di libera iniziativa economica di cui all’art. 41 della Costituzione.
Il problema delle garanzie e delle tutele del privato a fronte dei poteri di controllo esercitati dall’Amministrazione finanziaria nell’ambito della fase di attuazione del rapporto obbligatorio d’imposta involge il presidio ed il bilanciamento delle posizioni soggettive individuali che tali poteri possono ledere e che costituiscono un’essenziale declinazione dei diritti di libertà individuale costituzionalmente garantiti. Tali posizioni, tuttavia, vanno tenute ben distinte dal diritto di ciascuno di non patire un prelievo ingiusto; quest’ultimo diritto, invero, è salvaguardato dall’assenza di discrezionalità dell’Amministrazione finanziaria nel controllo circa la rispondenza della fattispecie concreta sottoposta a verifica con il paradigma normativo e, in ultima analisi, dal rispetto del principio di riserva di legge che presiede alle prestazioni patrimoniali imposte (nel cui novero rientrano le prestazioni tributarie), nonché dalla riserva di giurisdizione e, quindi, dalla facoltà riconosciuta a ciascun soggetto di adire l’autorità giudiziaria di fronte ad una pretesa ritenuta ingiusta. I diritti che vengono in rilievo in questa sede, viceversa, attengono alla tutela della sfera di libertà individuale nell’esercizio di poteri pubblici che tali libertà inevitabilmente comprimono.
Orbene, il bilanciamento tra l’esigenza dell’Amministrazione finanziaria di esercitare poteri strumentali atti a consentire il controllo circa l’adempimento dei pertinenti obblighi fiscali ad opera dei privati e l’opposto interesse di questi ultimi a non subire compressioni ingiustificate delle proprie libertà individuali è rimesso al legislatore ordinario, posto che questa materia (come già rilevato) soggiace al principio di legalità dell’azione amministrativa e anzi, nella maggior parte dei casi, a più strette riserve di legge, assolute o relative, disciplinate direttamente dalla Costituzione in chiave di rafforzamento della garanzia rispetto a quelle sfere di libertà che la Costituzione stessa riconosce come meritevoli di tutela (ascrivendole alla speciale categoria dei cd. diritti inviolabili), ossia le aree delle libertà domiciliare, personale e di corrispondenza.
Ed invero, per un verso, il legislatore costituente ha fissato ulteriori e speciali garanzie limitative della stessa libertà di scelta del legislatore (si pensi, in particolare, alle riserve di giurisdizione di cui agli artt. 13, 14 e 15 Cost.); per altro verso, il bilanciamento in ordine alle modalità ed alle condizioni legittimanti l’ingerenza dell’autorità pubblica entro le sfere delle libertà individuali non sfugge certamente ai generali vincoli derivanti dai supremi principi costituzionali di uguaglianza, imparzialità e buon andamento. Resta comunque il fatto che, se si eccettuano siffatti vincoli, la concreta composizione delle contrapposte esigenze de quibus sul piano della fissazione delle specifiche regole che presidiano al legittimo esercizio dei poteri di controllo è in buona parte condizionata dalla maggiore o minore sensibilità che storicamente il legislatore avverte in favore dell’uno o dell’altro tra i diversi interessi coinvolti.
Anche il tema delle verifiche fiscali ha formato oggetto di esame ad opera dello Statuto dei diritti del contribuente, l’art. 12 avendo previsto un regime di guarentigie a favore del contribuente che, in definitiva, ha prodotto un vero e proprio ripensamento del rapporto stesso tra contribuenti e fisco in materia di controlli fiscali, potenziando il sistema delle garanzie poste a salvaguardia delle sfere di libertà e riservatezza di questi ultimi; e ciò è avvenuto sia per il tramite di una più rigorosa regolamentazione delle modalità e delle tempistiche dell’attività amministrativa di controllo, sia recependo anche in materia tributaria le più evolute modalità istruttorie fondate su logiche partecipative e di coamministrazione in luogo di quelle improntate esclusivamente su rapporti di autorità/soggezione; la prospettiva di fondo in cui si pone lo Statuto, per quanto attiene all’attività amministrativa, è dunque «quella di un’amministrazione “democratica” e “trasparente” orientata alla collaborazione con i privati, ad indennizzarne l’attività promuovendo una corretta attuazione “spontanea” dei tributi senza privilegiare gli interventi repressivi e sanzionatori» (cfr. Fedele, A., Diritto tributario (principi), in Enc. dir., Ann., II, Milano, 2008, II, 468; vedasi anche Colli Vignarelli, A., Collaborazione, buona fede ed affidamento nei rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria, in Dir. prat. trib., 2005, I, 501; Miceli, R., La partecipazione del contribuente alla fase istruttoria, in Fantozzi, A.-Fedele, A., a cura di, Lo Statuto dei diritti del contribuente, Milano, 2005, 673 ss.; D’Ayala Valva, F., L’onere della prova ed il principio di collaborazione fra pubblica amministrazione e contribuente nella fase amministrativa e nella fase processuale, in Riv. dir. trib., 2002, II, 267).
La più ampia declinazione di questo processo appare quella del “principio dell’informazione”, un tempo limitato al dovere dell’amministrazione di mettere a disposizione dei privati tutti gli strumenti necessari per conoscere le norme vigenti in materia (art. 5, co. 1), le circolari e le risoluzioni (art. 5, co. 2), i modelli, le istruzioni e le comunicazioni (art. 6, co. 3), nonché gli atti destinati ai singoli contribuenti (art. 6, co. 1); oggi tale principio si è a tal punto dilatato da costituire esso stesso un incentivo al ravvedimento operoso ad opera degli stessi contribuenti nell’ottica di un’attuazione sempre più spontanea del rapporto obbligatorio d’imposta e nella prospettiva di limitare il più possibile l’esercizio dell’azione di accertamento. In questo senso deve leggersi l’obiettivo prefissato dalla legge di stabilità 2015 (cfr. art, 1, co. 634, l. 23.12.2014, n. 190) che, ai co. 634 e seguenti, prevede, anche al fine di introdurre nuove e più avanzate forme di comunicazione tra il contribuente e l’amministrazione fiscale, che l’Agenzia delle entrate metta a disposizione del contribuente le informazioni in suo possesso riferibili allo stesso, acquisite direttamente o da terzi, prevedendo altresì che quest’ultimo possa segnalare alla medesima Agenzia eventuali elementi, fatti e circostanze dalla stessa non conosciuti.
In altri termini, il legislatore tributario, privilegiando forme di amministrazione cd. “partecipata”, intende limitare al massimo le ipotesi di esercizio di poteri autoritativi così giungendo ad una nuova forma di bilanciamento dei valori costituzionali che consenta il più ampio respiro possibile alle libertà fondamentali ed alla libera iniziativa economica, senza intaccare i principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa.
Del resto, la stessa autoqualificazione delle norme statutarie quali principi generali dell’ordinamento tributario ed attuative degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., pur non potendo far considerare le disposizioni dello Statuto come produttive di norme interposte, né essendo in grado di dotare le disposizioni medesime di un’efficacia rinforzata rispetto alla legge ordinaria, è comunque indicativa del fatto che le predette disposizioni statutarie esprimono il necessario ed equilibrato contemperamento delle contrapposte esigenze di rango costituzionale che si fronteggiano in materia tributaria: quelle che si sostanziano nell’interesse fiscale facente capo all’Amministrazione finanziaria, e quelle sottese ad alcuni diritti fondamentali dei quali è titolare il contribuente (cfr. Russo, P.-Fransoni, G.-Castaldi, L., Istituzioni di diritto tributario, Milano, 2016, 33).
Il co. 1 dell’art. 12 dello Statuto prevede che «tutti gli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali sono effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo».
Al riguardo, pare opportuno sottolineare come il legislatore tributario abbia sempre manifestato una certa prudenza verso quei poteri d’indagine che presuppongono l’accesso, avendone tradizionalmente subordinato l’ammissibilità al previo rilascio di prescritte forme autorizzative (delle quali ci occuperemo nel prosieguo), differentemente modulate in ragione delle diverse specie di locali nei quali l’accesso viene eseguito. In questa prospettiva, il citato art. 12 ha inteso rafforzare e meglio esplicitare la preferenza legislativa verso forme di esercizio dell’azione di controllo non implicanti l’intrusione nelle sfere di libertà del contribuente e dei terzi, anche allorquando si tratti di locali destinati solo all’esercizio di attività economiche (cfr. Susanna, I., Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, in Fantozzi, A.-Fedele, A., a cura di, Statuto dei diritti del contribuente, Milano, 2005, 651). Si tratta di un precetto assolutamente coerente con i canoni della proporzionalità e della necessità delle limitazioni ai diritti inviolabili di libertà passibili di essere legislativamente autorizzati in funzione dei contrapposti doveri inderogabili di solidarietà; il medesimo precetto, inoltre, attesta la particolare attenzione, nell’ambito del complessivo bilanciamento dei valori coinvolti, per la tutela della libertà di iniziativa economica che la Costituzione salvaguarda all’art. 41, risultando inequivoco il richiamo rivolto all’Amministrazione finanziaria di limitare per quanto possibile l’azione di controllo in loco anche qualora concretantesi nell’accesso a locali adibiti solo all’esercizio di attività. Con la conseguenza che le effettive esigenze che giustificano l’accesso debbono essere esplicitate sin dal momento in cui questo prende avvio, in modo che il contribuente possa subito apprezzare la concreta sussistenza (o meno) delle ragioni per le quali si sia inteso privilegiare l’opzione a favore di un’indagine direttamente condotta nei locali aziendali o professionali, anziché attraverso modalità alternative e meno pregiudizievoli (cfr. Viotto, A., I poteri d’indagine dell’Amministrazione finanziaria, cit., 186).
Questa conclusione, del resto, trova espressa conferma nel co. 2 del medesimo art. 12, ove si stabilisce che «quando viene iniziata la verifica» il contribuente «ha diritto di essere informato delle ragioni che l’abbiano giustificata», dovendosi ritenere che tra le predette ragioni siano comprese anche le effettive esigenze d’indagine e controllo sul luogo.
La dottrina si è interrogata su quali siano i casi nei quali sussiste un’effettiva necessità di svolgimento della verifica in loco, al riguardo elaborando distinti orientamenti.
V’è chi ritiene che tale necessità sussista ogni qual volta l’Amministrazione finanziaria reputi opportuno visionare documenti collocati nella struttura aziendale (cfr. Susanna, I., Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, cit., 660); una simile lettura della norma, tuttavia, finirebbe per svuotarla del tutto del proprio contenuto garantista. Altri hanno ritenuto che l’effettiva necessità di svolgimento della verifica in loco sussisterebbe solo ove siano ex ante riscontrati (se non i gravi indizi di violazioni richiesti dall’art. 52 d.P.R. n. 633/1972 per l’accesso ai locali diversi da quelli deputati allo svolgimento dell’attività) quanto meno taluni indizi di avvenuta violazione di norme tributarie (cfr. Viotto. A., Poteri di indagine dell’Amministrazione finanziaria, cit., 211). È stata prospettata una tesi ancor più radicale la quale, muovendo dalla considerazione per cui la nozione di “verifica fiscale” evocherebbe un insieme complessivo di operazioni, giunge a ritenere che le effettive esigenze di indagine alluderebbero addirittura alla presenza di fattori indicativi di una gestione complessivamente segnata da profili di contrasto con la normativa fiscale; la norma, pertanto e secondo questa prospettazione, mirerebbe ad evitare il pericolo di azioni condotte “alla cieca” e, come tali, suscettibili di provocare fastidiosi intralci alle attività lavorative ove esse non si prestino a ragionevoli motivi per dubitare del rispetto della normativa fiscale (cfr. Nanula, G., verifiche fiscali ed altri controlli: le esigenze effettive di indagine sul luogo, in Il fisco, 2003, 5443). Una posizione alquanto equilibrata è stata espressa dalla Guardia di Finanza con la circ. 17.8.2000, n. 250400, ove si precisa che le effettive esigenze di verifica ricorrono in tutti quei casi in cui si renda necessario effettuare rilevazioni che materialmente o tecnicamente non possono eseguirsi se non presso la sede del contribuente, ovvero nei casi in cui sussista il fondato sospetto che il contribuente abbia occultato parte della contabilità, con correlativa necessità di reperimento, entro i locali dello stesso, del materiale contabile o extracontabile all’uopo rilevante.
L’accesso consiste nel potere attribuito all’Amministrazione finanziaria di ingresso e di permanenza nei locali, anche senza il consenso del titolare, onde poter esercitare i poteri ispettivi previsti dalla legge, al fine di reperire elementi utili ai fini dell’attività di controllo. La struttura stessa del potere di accesso lo caratterizza intrinsecamente per un certo grado di coattività, in considerazione del fatto che l’efficacia di questo potere non dipende dalla disponibilità del soggetto nei confronti del quale esso è esercitato (ed infatti, l’art. 52 d.P.R. n. 633/1972 non prevede la facoltà dell’interessato di opporsi all’accesso, eccezion fatta per il depositario delle scritture contabili quando si tratta di indagini svolte nei confronti dei soggetti depositanti; cfr. Salvini, L., La partecipazione del privato all’accertamento: nelle imposte sui redditi e nell’i.v.a., Padova, 1990, 165, nt. 20).
Le facoltà di indagine che possono essere espletate in esito all’accesso sembrano diversamente strutturate a seconda dei locali nei quali avviene l’esercizio di tale potere. Ed infatti, per quelli destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, nonché per quelli utilizzati da enti non commerciali e da enti che godono dei benefici previsti dal d.lgs. 4.12.1997, n. 460, l’art. 52, co. 1, d.P.R. n. 633/1972 consente espressamente lo svolgimento di ispezioni documentali, verificazioni, ricerche ed ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni. Invece, nel caso di accesso in altri locali il co. 2 del medesimo articolo si limita a stabile che l’accesso è diretto al reperimento di libri, registri, documenti, scritture ed altre prove di violazioni.
Tale differenza, e segnatamente la minore estensione dei poteri e delle facoltà che sembrano esercitabili per il tramite dell’accesso in locali non lavorativi (o promiscuamente adibiti anche ad abitazione), non appare significativa, in quanto il reperimento di documenti e altre prove di cui all’art. 52, co. 2, presuppone sempre una previa attività di ricerca e di rilevazione. Semmai, dal diverso enunciato dei due commi la dottrina ha ritratto il convincimento che il legislatore ha voluto considerare il potere di accesso nei suddetti locali come un potere di “secondo livello”, da utilizzare per reperire ed acquisire documentazione ed altre prove di violazioni in qualche modo già indiziariamente individuate attraverso il previo esperimento di un’attività istruttoria (cfr. Viotto, A., I poteri di indagine dell’Amministrazione finanziaria, cit. 187).
L’art. 12, co. 2, st. contr. nell’ottica di limitare il più possibile il tempo dell’accesso (e quindi il disagio che esso provoca ai privati nonché la compressione dei loro diritti di libertà), riconosce al contribuente il diritto di chiedere che l’esame dei documenti amministrativi e contabili venga effettuato in locali diversi dal proprio domicilio, e segnatamente nell’ufficio dei verificatori o presso il professionista che lo assiste o rappresenta.
Con finalità analoga, il successivo co. 5 del medesimo articolo limita la possibilità di permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente ad un massimo di trenta giorni, prorogabili per ulteriori trenta nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio. Tale precetto, peraltro, è destinato a perdere gran parte della sua efficacia precettiva ad opera di quell’orientamento giurisprudenziale, oramai consolidato, per il quale i suddetti giorni di permanenza possono essere anche non consecutivi (cfr. Tundo, F., Validità o meno dell’accertamento per violazione del termine di durata delle verifiche fiscali, in Corr. trib., 2014, 530 ss.), in questo modo legittimando in astratto il costume delle verifiche “a singhiozzo” che possono avere anche durata molto lunga (anche se, nella pratica, l’Agenzia delle entrate negli anni ha progressivamente eliminato il costume siffatto).
Di ogni accesso deve essere redatto processo verbale, dal quale debbono risultare la descrizione analitica delle operazioni compiute (cd. verbale di verifica; cfr. art. 52, co. 6, d.P.R. n. 633/1972), nonché l’esposizione dei rilievi effettuati e l’individuazione delle sanzioni applicabili (cd. verbale di constatazione). I verbali devono essere sottoscritti dal contribuente (che ha diritto al rilascio di una copia) oppure riportare il motivo della mancata sottoscrizione da parte di costui.
Trattandosi di un potere particolarmente invasivo, che necessariamente comprime la sfera di libertà del soggetto nei cui confronti esso è esercitato, il legislatore affida ad un articolato sistema di autorizzazioni la funzione di garanzia per il contribuente del potere di accesso.
In particolare, l’art. 52 del d.P.R. n. 633/1972 prevede che per accedere ai locali adibiti esclusivamente ad attività agricole, commerciali o di lavoro autonomo, come pure a quelli utilizzati dagli enti non commerciali e dalle ONLUS, è sufficiente che i procedenti siano muniti di autorizzazione rilasciata dal capo del relativo ufficio.
Ove i locali siano adibiti promiscuamente anche ad abitazione, è necessaria anche l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica.
Particolari cautele sono poi previste per l’accesso in locali diversi da quelli sopra menzionati e, in particolare, nell’abitazione privata del contribuente o di terzi, in tali casi l’accesso potendo essere eseguito, non solo previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, ma in presenza di gravi indizi di violazioni tributarie ed al precipuo scopo di reperire libri, registri, scritture e altri documenti atti a provare la commissione delle violazioni medesime.
Come già accennato, il potere di accesso non è mai fine a sé stesso, ma funzionale all’esercizio di altri poteri diretti alla ricerca delle prove delle violazioni commesse dal soggetto indagato o degli elementi comunque utilizzabili a supporto dell’accertamento. Cosicché, una volta proceduto all’accesso, i funzionari operanti sono legittimati a svolgere ispezioni su tutti i registri, libri contabili e documenti reperiti nei locali; quando però l’attività di ricerca comporti la necessità di effettuare perquisizioni personali o l’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, ripostigli e simili, o quando essa (attività) si estrinsechi nell’esame di documenti per i quali sia eccepito il segreto professionale, occorre una specifica ed ulteriore autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina.
L’autorizzazione, dunque, rappresenta lo strumento che il legislatore utilizza per bilanciare la tutela dell’interesse pubblico alla corretta ed esaustiva applicazione del tributo con quello della tutela della sfera personale dei privati: più penetrante è l’esercizio del potere di accesso (in ragione della maggiore intimità del luogo presso il quale esso avviene) più viene ad essere necessario che l’autorizzazione provenga da parte di un soggetto avente caratteristiche giurisdizionali (e non sia legato ai soggetti che effettuano l’accesso da un rapporto meramente gerarchico).
Siffatte autorizzazioni rispondono all’esigenza di rafforzare la tutela della sfera delle libertà e della riservatezza dei soggetti nei cui confronti il potere di accesso è esercitato; onde, in ragione del principio di tipicità dell’azione amministrativa, il loro rilascio assurge a condizione per la legittimità degli atti istruttori compiuti, così come la presenza di quei requisiti che la legge stessa richiede siano contenuti nell’autorizzazione (l’indicazione dello scopo dell’accesso, l’attestazione dell’esistenza dei gravi indizi di violazione delle norme fiscali) i quali, del resto, rappresentano un’esplicitazione delle ragioni della verifica delle quali rendere edotto in contribuente in base all’art. 12 dello Statuto (cfr. Viotto, A., I poteri di indagine dell’Amministrazione finanziaria, cit. 276).
Il provvedimento autorizzatorio può essere rilasciato solo in esito ad un controllo da effettuarsi ad opera del soggetto autorizzante. E così, il capo dell’ufficio dovrà verificare la sussistenza dei requisiti di legge (ed es., la competenza del suo ufficio), la proporzionalità e l’adeguatezza dello strumento rispetto ai fini perseguiti (cfr. Manzoni, I., Potere di accertamento e tutela del contribuente nelle imposte dirette e nell’i.v.a., Milano, 1993, 245) e l’impossibilità di procedere con mezzi meno invasivi, anche tenendo conto delle esigenze di celerità delle indagini, e dopo aver ponderato i costi ed i benefici dell’azione (cfr. Viotto, A., I poteri di indagine dell’Amministrazione finanziaria, cit. 281). In altri termini, il capo dell’ufficio dovrà ponderare la sussistenza di quelle «esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo» oggi espressamente richieste dall’art. 12 dello Statuto. quale condizione per la legittimità dell’accesso. Analogamente, dovrà essere verificata la sussistenza di quei «casi eccezionali ed urgenti» che consiglino di svolgere le indagini sul posto in orari diversi da quelli di esercizio dell’attività. Correttamente, quindi, la dottrina ha ritenuto che quello del capo dell’ufficio sia da ascriversi ad un vero e proprio controllo di merito (cfr. Russo, P.-Fransoni, G.-Castaldi, L., Istituzioni di diritto tributario, Milano 2016, 181).
Per quanto attiene alle autorizzazioni rilasciate dall’autorità giudiziaria, la dottrina, pur discutendo sulla funzione amministrativa o (preferibilmente) giurisdizionale dell’organo autorizzante, ha maturato il convincimento che la verifica imposta al giudice abbia riguardo alla legittimità della richiesta, ma che il controllo richiesto non si fermi al solo profilo formale, dovendosi anche verificare quello sostanziale, essendo necessario vagliare la sussistenza di tutti i requisiti alla presenza dei quali la legge subordina l’espletamento del potere che si richiede di porre in essere (cfr. Russo, P.-Fransoni, G.-Castaldi, L., Istituzioni di diritto tributario, Milano 2016, 182; Viotto, A., I poteri di indagine dell’Amministrazione finanziaria, cit., 287; Gallo, F., Accessi in domicilio e loro legittimazione, in Boll. trib., 2003, 1495).
Tutto ciò conduce alla necessità che i provvedimenti autorizzatori siano motivati (cfr. Ciarcia, A.R., La tutela del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, in Dir. prat. trib., 2007, I, 8 ss.; Viotto, A., I poteri di indagine dell’Amministrazione finanziaria, cit. 290), e tale necessità riflette il generale obbligo motivazionale sancito dall’art. 3 dello Statuto che, come la dottrina non ha mancato di rilevare, comprende anche gli atti nei quali si estrinsecano i poteri dell’Amministrazione finanziaria (cfr. Selicato, P., L’attuazione del tributo nel procedimento amministrativo, Milano, 2001, 362 s.), con la precisazione che la motivazione (seppur succinta) dovrà essere in grado di abbracciare tutti i requisiti che la legge pone come condizione per l’esercizio del potere medesimo. È quindi evidente che la motivazione dovrà esplicitare le ragioni, di fatto e di diritto, che hanno indotto ad utilizzare quello specifico mezzo istruttorio, nonché la sussistenza delle condizioni alle quali la legge ne subordina l’adozione.
Come abbiamo accennato, il potere di accesso non è fine a sé stesso, ma funzionale all’esercizio di altri poteri istruttori nei locali presso i quali si è acceduto (cfr. Santamaria, B., Accessi, ispezioni e verifiche (dir. trib.), in Enc. giur. Treccani, I, Roma, 1988, 2).
Tra questi, quelli maggiormente importanti e ricorrenti sono l’ispezione e la verifica. L’ispezione ha ad oggetto le scritture contabili e, più in generale, tutta la documentazione (libri, registri, documenti e scritture, compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatorie) rilevante ai fini impositivi allo scopo di controllare non solo la regolarità formale di detta documentazione, ma anche e soprattutto la sostanziale veridicità ed esattezza del loro contenuto. L’ispezione può avere ad oggetto la suddetta documentazione ove questa si trovi nei locali in cui l’accesso viene eseguito o che sono comunque accessibili tramite apparecchiature informatiche installate in detti locali.
I documenti e le scritture possono essere sequestrati soltanto se non è possibile riprodurne o farne constare il contenuto nel verbale, nonché in caso di mancata sottoscrizione o di contestazione del contenuto del verbale. Invece, i libri e i registri non possono essere sequestrati, ma gli organi procedenti possono eseguirne o farne eseguire copie o estratti, possono apporre nelle parti che interessano la propria firma o sigla insieme con la data ed il timbro dell’ufficio e possono adottare cautele atte ad impedire l’alterazione o la sottrazione dei libri e dei registri formanti oggetto di ispezione.
La verifica, invece, è un potere di controllo che, in generale, ha ad oggetto entità, consistenza e qualità degli elementi soggettivi ed oggettivi utilizzati nell’ambito dell’attività economica, quali il personale, i beni strumentali, le consistenze di magazzino, gli altri beni relativi all’impresa, ecc. Si tratta di un’attività che, per le sue caratteristiche materiali, non può che essere esercitata in loco, e pertanto presuppone sempre la presenza del personale procedente presso i luoghi nei quali essa deve essere svolta.
L’art. 52 del d.P.R. n. 633/1972 si riferisce anche alle ricerche, le quali consistono in quell’attività che i funzionari procedenti possono svolgere per giungere al materiale reperimento di documenti e di tutto il materiale ritenuto utile all’attività di controllo.
Il medesimo art. 52 contiene un precetto particolarmente importante, in base al quale i libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, intendendosi per rifiuto anche la dichiarazione di non possederli ovvero la materiale sottrazione ad ispezione. Tali cause di inutilizzabilità non operano nei confronti del contribuente che non abbia potuto adempiere alle richieste per causa a lui non imputabile.
Con riferimento a questa disposizione la giurisprudenza ha nel tempo maturato il convincimento che la sanzione dell’inutilizzabilità, costituendo un limite all’esercizio dei diritti di difesa del contribuente, si giustifichi solo in presenza di una specifica richiesta formulata dai verificatori alla quale viene opposto un rifiuto ovvero si dichiari, contrariamente al vero, di non possedere o si sottragga all’ispezione i documenti richiesti, ancorché non al deliberato scopo di impedirne la verifica, ma per errore non scusabile di diritto o di fatto (dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, ecc.) e, quindi, per colpa (cfr. Cass, sez. trib., 26.3.2009, n. 7269; Cass., sez. trib., 12.4.2017, n. 9487).
Sempre nel corso dell’accesso possono essere esperiti alcuni poteri particolarmente invasivi della sfera delle libertà, quali in specie la perquisizione personale e l’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli, per l’esercizio dei quali il legislatore richiede il previo rilascio di particolari autorizzazioni ad opera del Procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina.
I poteri di accesso, ispezione e verifica possono essere esercitati, non solo nei confronti del soggetto nei cui confronti s’intende effettuare l’attività di controllo, ma anche di terzi quante volte si abbia motivo di ritenere che questi abbiano o possano avere documenti ed informazioni utili; ed infatti, l’art. 52 del d.P.R. n. 633/1972 non pone limitazioni al riguardo.
In particolare, questi poteri sono usualmente esercitati nei confronti dei professionisti, depositari delle scritture contabili, ovvero di pubbliche amministrazioni e istituti di credito.
Per quanto riguarda l’accesso nei locali destinati all’esercizio di arti e professioni, esso deve essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato (art. 52, co. 1). Inoltre, è necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina per l’esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale (art. 52, co. 3). Dal combinato di tali disposizioni, la dottrina ha ritratto il convincimento che la presenza del professionista o di un suo delegato non sia necessaria solo all’atto dell’accesso ma debba essere mantenuta per lo svolgimento di tutte le operazioni di verifica successivamente compiute (Viotto, A., I poteri di indagine dell’Amministrazione finanziaria, cit., 202; Salvini, L., Accesso e ispezione negli studi professionali, in Riv. dir. trib., 1992, I, 28, ss.).
Con riferimento alle pubbliche amministrazioni e agli istituti di credito, l’art. 33, co. 2 e 6 del d.P.R. n. 600/1973 (cui espressamente rinvia l’art. 52, co. 11 del d.P.R. n. 633/1972) prevede che l’accesso possa essere effettuato allo scopo di rilevare direttamente i dati e le notizie e, per quanto riguarda espressamente le banche, ove tali dati e notizie non siano stati trasmessi dall’istituto di credito a seguito di espressa richiesta nel termine all’uopo stabilito ovvero per rilevare direttamente la completezza o l’esattezza delle risposte pervenute, nonché nei casi in cui l’Amministrazione finanziaria abbia fondati sospetti che le pongano in dubbio. Gli accessi presso gli operatori finanziari, inoltre, sono circondati da particolari cautele: 1) essi debbono essere autorizzati, per quanto riguarda l’Agenzia delle entrate, dal Direttore centrale dell’accertamento o dal direttore regionale e, per quanto riguarda la Guardia di Finanza, dal Comandante regionale; 2) debbono essere effettuati da personale con la qualifica non inferiore a funzionario tributario, o capitano; 3) debbono avvenire in orari diversi da quelli di sportello aperto al pubblico; 4) le ispezioni e le rilevazioni debbono essere eseguite in presenza del responsabile della sede o dell’ufficio presso cui avvengono o di un suo delegato e di esse è data immediata notizia a cura del predetto responsabile al diretto interessato; 5) infine, coloro che eseguono le ispezioni e le rilevazioni o vengono in possesso dei dati raccolti devono assumere direttamente le cautele necessarie alla riservatezza dei dati acquisiti.
Con riferimento alle problematiche sorte con riferimento alle conseguenze derivanti dall’illegittimo esercizio dei poteri istruttori, si veda la voce “Controlli fiscali: tutela giurisdizionale dei diritti del contribuente”.
Fonti normative
Artt. 13, 14, 15, 23, 41 Cost; artt. 32, 33, 44 d.P.R. 29.9.1973, n. 600; artt. 51, 52, 63, 64, 65 d.P.R. 26.10.1972, n. 633; art. 12 l. 27.7.2000, n. 212; art. 42 l. 23.12.2000, n. 388.
Bibliografia essenziale
Ciarcia, A.R., La tutela del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, in Dir. prat. trib., 2007, I, 1 ss.; Colli Vignarelli, A., Collaborazione, buona fede ed affidamento nei rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria, in Dir. prat. trib., 2005, I, 501; Comelli, A., Autorizzazione agli accessi domiciliari, inviolabilità e vizi degli atti istruttori, in GT – Riv. Giur. trib., 2005, 375 ss.; D’Ayala Valva, F., L’onere della prova ed il principio di collaborazione fra pubblica amministrazione e contribuente nella fase amministrativa e nella fase processuale, in Riv. dir. trib., 2002, II, 267; Fantozzi, A., I rapporti tra fisco e contribuente nella nuova prospettiva dell’accertamento tributario, in Riv. dir. fin., 1984, I, 238 ss.; Fedele, A., I principi costituzionali e l’accertamento tributario, in Riv. dir. fin., 1992, I, 479 ss.; Fedele, A., Concorso alle spese pubbliche e diritti individuali, in Riv. dir. trib., 2002, I, 44 ss; Fedele, A., Diritto tributario (principi), in Enc. dir., Ann., II, Milano, 2008, II, 468 ss.; Fransoni, G., Appunti sull’esercizio di poteri di indagine tributaria all’estero, in Riv. dir. trib., 2014, I, 1021 ss.; Gallo, F., Discrezionalità nell’accertamento tributario e sindacabilità delle scelte dell’ufficio, in Riv. dir. fin., 1992, I, 208 ss.; Gallo, F., Accessi in domicilio e loro legittimazione, in Boll. trib., 2003, 1495 ss.; Gallo, F., Accessi domiciliari ed inutilizzabilità delle prove illecitamente acquisite, in Boll. trib., 2006, 984 ss.; Lupi, R., Prove illecite e altri vizi procedimentali come motivo di invalidità dell’atto di accertamento, in Dialoghi trib., 2006, 41 ss.; Miceli, R., La partecipazione del contribuente alla fase istruttoria, in Fantozzi, A.-Fedele, A., a cura di, Lo Statuto dei diritti del contribuente, Milano, 2005, 673 ss.; Marongiu, P., L’amministrazione fiscale tra poteri e responsabilità, Torino, 2016; Nanula, G., verifiche fiscali ed altri controlli: le esigenze effettive di indagine sul luogo, in Il fisco, 2003, 5443 ss.; Porcaro, G., Profili ricostruttivi del fenomeno dell’(in)utilizzabilità degli elementi probatori illegittimamente raccolti. La rilevanza anche tributaria delle (sole) prove “incostituzionali”, in Dir. prat. trib., 2005, I, 15 ss.; Russo, P.-Fransoni, G.-Castaldi, L., Istituzioni di diritto tributario, Milano, 2016; Salvini, L., La partecipazione del privato all’accertamento: nelle imposte sui redditi e nell’i.v.a., Padova, 1990; Salvini, L., Accesso e ispezione negli studi professionali, in Riv. dir. trib., 1992, I, 28, ss.; Santamaria, B., Accessi, ispezioni e verifiche (dir. trib.), in Enc. giur. Treccani, I, Roma, 1988, 1 ss.; Selicato, P., L’attuazione del tributo nel procedimento amministrativo, Milano, 2001, 362 ss.; Susanna, I., Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, in Fantozzi, A.-Fedele, A., a cura di, Statuto dei diritti del contribuente, Milano, 2005, 648 ss.; Tundo, F., Validità o meno dell’accertamento per violazione del termine di durata delle verifiche fiscali, in Corr. trib., 2014, 530 ss.; Vanz, G., L’attività conoscitiva dell’Amministrazione finanziaria, Torino, 2005; Viotto, A., I poteri di indagine dell’Amministrazione finanziaria, Milano, 2002.