controllo proprietario
In ambito societario, facoltà in capo a un soggetto di esercitare un potere di c. su una società in ragione della partecipazione al suo capitale – rappresentata da quote o da azioni – di cui egli è proprietario. Il c. p. corrisponde, dunque, alla condizione giuridico-economica che conferisce al socio la massima espansione dei diritti amministrativi esercitabili nella società e gli attribuisce il più generale diritto a partecipare agli utili della società stessa, proporzionalmente alla quota detenuta.
Nel diritto societario italiano il contenuto di questo tipo di c., tendenzialmente multiforme e di non facile determinazione, viene chiarito in modo specifico dall’art. 2359 c.c., che ricollega il c. p. alla facoltà di disporre della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (c. p. di diritto) o, più in generale, alla facoltà di disporre di un numero di voti sufficienti a esercitare nella medesima assemblea ordinaria un’influenza dominante (c. p. di fatto). In questo secondo caso, quindi, il soggetto controllante, pur non disponendo della maggioranza dei voti esercitabili in tale assemblea, risulta comunque in grado di determinarne le deliberazioni, in ragione, per es., della polverizzazione dell’azionariato o dell’usuale assenteismo degli altri soci. A queste due ipotesi di c. p. l’articolo del codice civile in esame contrappone inoltre l’ipotesi di c. contrattuale, ossia quello in cui una società sia sottoposta all’influenza dominante di un soggetto in virtù di particolari vincoli contrattuali con esso intercorrenti. In base al dettato codicistico, quindi, il c. p. non corrisponde necessariamente alla proprietà della maggioranza delle azioni, essendo sufficiente che il controllante disponga di un numero di esse tale da poter esercitare la maggioranza dei voti nell’assemblea ordinaria e quindi da poter eleggere i componenti degli organi di amministrazione e c. della società in questione, determinandone così, in ultima istanza, le scelte gestionali. Pertanto, se il diritto di voto in detta sede assembleare è conferito solo da alcune categorie di azioni, il c. farà capo a colui che possiede la maggioranza di esse, non rilevando coloro che possiedono altre classi di azioni, benché in quantità maggioritaria, che di tale diritto siano sfornite.
In termini economici, il potere di c. attribuito dalla partecipazione azionaria detenuta costituisce un valore aggiunto che viene a sommarsi a quello nominale delle azioni stesse e in tale prospettiva appaiono di notevole importanza i temi della contendibilità del c. p. e del mercato relativo alla sua negoziazione. Infatti, come emerge dalla letteratura giudirico-economica (tra i molti lavori, H.G. Manne, Mergers and the market for corporate control, «Journal of Political Economy», 1965, 73, 2), se il c. p. di una società può facilmente passare da un soggetto all’altro, gli amministratori di detta società saranno maggiormente esposti alla minaccia di essere sostituiti dal nuovo controllante e avranno quindi un più forte incentivo a porre in essere una gestione ottimale, per es. anteponendo gli interessi dell’azionariato rispetto ai propri interessi privati.