Controriforma
Categoria storiografica nata alla fine del 18° sec. tra i giuristi tedeschi, poi allargata a designare il processo storico di reazione e riorganizzazione contro la Riforma protestante attuato nei secc. 16° e 17° dalla Chiesa di Roma con importanti ricadute sulla società, sulla cultura e sulla vita religiosa dei Paesi cattolici (al termine, che finì per acquisire una accezione negativa, altra storiografia ha poi contrapposto quello di «riforma cattolica», azione positiva della Chiesa romana svincolata dalle esigenze della lotta alla Riforma protestante). La storiografia individuava nel Concilio di Trento (1545-63) un momento di svolta per la Chiesa cattolica del Cinquecento sul duplice versante della precisazione delle verità teologiche contro le dottrine protestanti e dell’approvazione delle riforme disciplinari auspicate da chierici e laici sin dall’inizio del secolo. In seguito il ruolo del concilio è stato ridimensionato evidenziando come le esigenze del centralismo papale, l’autonomia degli ordini regolari e i poteri rivali degli inquisitori dipendenti dalla congregazione cardinalizia dell’Inquisizione creata nel 1542 abbiano indebolito le riforme conciliari e limitato il ruolo attribuito da esse ai vescovi. Nondimeno, dopo il concilio fu avviato un profondo processo di trasformazione del clero e della sua immagine attraverso la definizione di nuovi modelli pastorali, la diffusione di una più rigida disciplina ecclesiastica, il maggiore controllo dei chierici da parte dell’autorità diocesana. Ciò implicò un’accresciuta capacità di vigilanza e d’intervento sulla società da parte della Chiesa. I riti di passaggio (nascita, accoppiamento, morte) furono sottoposti alla mediazione sacerdotale e alla normativa ecclesiastica nella forma di sacramenti (battesimo, matrimonio, unzione). La confessione, importante strumento di controllo sociale, divenne una pratica diffusa grazie ai gesuiti e ad altri ordini regolari che, a fronte delle permanenti carenze e assenze del clero secolare anche dopo il concilio, continuarono a svolgere una funzione insostituibile nella cura delle anime, diventando i protagonisti dell’attività missionaria della Chiesa. Altri aspetti dell’accresciuta sorveglianza delle autorità ecclesiastiche furono la lotta alla superstizione, alla magia e alla stregoneria, nonché il controllo del rapporto tra il fedele e il sacro, articolato sul duplice versante della repressione di devozioni e culti non approvati e del controllo delle letture religiose dei fedeli, tra cui il divieto della Bibbia in volgare (che restò proibita sino a metà Settecento). Attraverso l’emanazione di liste di libri proibiti (gli Indici) e l’organizzazione di una rete incaricata della censura anche preventiva di tutti i libri, non solo di quelli religiosi, la Chiesa della C. fu in grado di imporre una cultura egemone soprattutto nella penisola italiana, dove operava l’Inquisizione, che aveva allargato le proprie competenze a vari settori, tra cui quello della censura. L’Europa cattolica tra Cinque e Seicento comprendeva i tre Paesi d’Inquisizione, ossia l’Italia, il Portogallo e la Spagna (negli ultimi due l’Inquisizione dipendeva dal re); i Paesi Bassi spagnoli; i Paesi governati dai ceti imperiali cattolici; una frastagliata area nell’Europa centrorientale investita dalla ricattolicizzazione; la Francia uscita dalle guerre di religione che, con la conversione al cattolicesimo di Enrico IV, aveva gettato i presupposti per il ritorno a una società monoconfessionale. In questi Paesi la C. ebbe scansioni temporali e caratteri specifici dovuti principalmente al minor peso politico che, rispetto agli Stati regionali italiani, vi esercitavano il papato e gli organi centrali di governo della Chiesa romana.