CONTUCCI, Andrea, detto il Sansovino
Figlio di Niccolò di Domenico di Muccio e di Margherita di Nardo Zinetti, deve il soprannome al luogo di origine, Monte San Savino (Arezzo), dove nacque nel 1467 circa. Il cognome Contucci non compare mai nei documenti riguardanti l'artista, ma solo dodici anni dopo la sua morte, in una tratta di uffici comunali, accanto al nome del maggiore dei suoi figli, Marcantonio (Girolami, 1941, pp. 108 s.). Probabilmente si tratta di un'errata trascrizione del patronimico de' Mucci, divenuta poi usuale.
Come data di nascita, il 1467 appare più verosimile delle date proposte dubitativamente dal Vasari (1471 nella prima ediz., 1550, delle Vite; 1460 nella seconda, 1568), perché fondato sull'acquisizione documentaria che i genitori si erano sposati giovani, col consenso del padre, nel 1465, e che il C. aveva un fratello maggiore di nome Pietro (Girolami, p. 110). L'informazione dei Vasari risulta inoltre errata circa il nome del padre, che egli confonde con quello del nonno, e la sua condizione di "poverissimo... lavoratore di terra", notizia smentita da uno strumento del 4 apr. 1508 col quale Niccolò di Domenico, dividendo i propri beni tra i figli Andrea e Pietro, assegnava a ciascuno dei due una casa a Monte San Savino e vari pezzi di terra (Fabriczy, 1906, p. 102). L'annotazione vasariana appare quindi intesa a riproporre, sulla traccia della biografia di Giotto, la leggenda del fanciullo guardiano di pecore, scoperto in questo caso dal fiorentino Simone Vespucci, che il Vasari erroneamente dice podestà di Monte San Savino (Girolami, 1941, p. 109), a disegnare e "formare di terra" il gregge affidatogli, fatto che avrebbe indotto il Vespucci a condurlo con sé a Firenze e a "porlo all'arte" con Antonio del Pollaiolo "appresso al quale in pochi anni divenne bonissimo maestro" (Vasari, IV, p. 510).
La prima formazione avvenne probabilmente nella bottega del fiesolano Andrea Ferrucci, ma non è da escludere una successiva frequentazione del Pollaiolo, conclusasi probabilmente prima del 1491, dato che il 13 febbraio di quell'anno il C. si immatricolava nell'arte dei maestri di pietra e legname (Fabriczy, 1906, p. 96 n. 1) e che il Pollaiolo era da tempo impegnato a Roma - anche se sì trattò dì impegno alternato da frequenti ritorni a Firenze - per la commissione della tomba di Sisto IV Della Rovere.
Il documento del 1491 segna una prima cesura nelPattività deiPartista, per la quale è tuttora utile la schematica suddivisione in quattro periodi proposta dallo Huntley (1935) nella sua monografia: 1) 1475 circa - 1491: anni della formazione e dell'attività iniziale, caratterizzati dall'apprendistato presso il Pollaiolo e dalla successiva frequentazione e collaborazione con Giuliano da Sangallo; 2) 1491-1500: attività scultorea e architettonica in Portogallo, a tutt'oggi non chiaramente circostanziata e definita; 3) 1500-1505: quinquennio fiorentino, interrotto dalla chiamata di Giulio II a Roma; 4) 1505-1527: attività romana e lauretana, quest'ultima segnata da ampie parentesi a Monte San Savino.
L'iter iniziale dell'artista è stato ricostruito sulla traccia del Vasari, che tra le esperienze formative ricorda, nella Vita di Pietro Torrigiano (IV, pp. 258 s.), la frequentazione dell'Accademia laurenziana di S. Marco, diretta dal donatelliano Bertoldo di Giovanni.
Della prima produzione, databile tra la metà del nono decennio e i primi anni del successivo, il Vasari ricorda, nella casa fiorentina di Simone Vespucci, un cartone con la Flagellazione di Cristo (perduto) e, come ornamento di un camino, due rilievi di terracotta invetriata con le teste degli imperatori Nerone e Galba (la prima perduta; il Galba, dal tempo della seconda edizione delle Vite, in casa Vasari ad Arezzo: ma vedi Paolucci, 1980); due ancone di terracotta (l'una "con un S. Lorenzo ed alcuni altri santi e picciole storie benissimo lavorate", allorain S. Agata, ora in S. Chiara a Monte San Savino; l'altra "simile, dentrovi l'Assunzione di Nostra Donna, molto bella, Sant'Agata, Santa Lucia e San Romualdo... poi invetriata da quegli della Robbia", anch'essa in S. Chiara); e infine, per la chiesa fiorentina di S. Spirito, due capitelli per i pilastri della sagrestia progettata da Giuliano da Sangallo, "il ricetto che è fra la detta sagrestia e la chiesa" e l'altare del Sacramento nella cappella Corbinelli. Al catalogo vasariano gli studi successivi hanno aggiunto il tabernacolo per l'olio santo di S. Margherita a Montici, presso Firenze (Fabriczy, 1906, pp. 50 ss.); il ciborio di terracotta invetriata della parrocchiale di Monterchi (Salmi, 1973); il fregio, anch'esso di terracotta invetriata, del vestibolo della villa medicea di Poggio a Caiano, costruita da Giuliano da Sangallo (Middeldorf, 1934) e tre sculture: due, un S. Filippo di terracotta (Padova, chiesa degli eremitani) e un S. Giovanni Battista ligneo (Bivigliano, Firenze, parrocchiale), in collaborazione col Sangallo; la terza, un Apollo marmoreo riferibile al secondo periodo fiorentino (Los Angeles, County Museum of Art), interamente autografa (Utz, 1973).
Delle opere citate sono databili agli anni 1485-1491 circa l'ancona con S. Lorenzo in S. Chiara a Monte San Savino, attribuzione posta in dubbio, senza fondati motivi, dal Venturi (1935, p. 113); il fregio di Poggio a Caiano, il cui post quem è il 1485, anno nel quale la villa doveva essere ultimata; il tabernacolo per l'olio santo di Montici, il ciborio di Monterchi e la Madonna in gloria e quattro santi, in S. Chiara a Monte San Savino, erroneamente citata dal Vasari come Assunzione con tre santi, databile al biennio 1490-91.
Tale sequenza rivela il succedersi e l'amalgamarsi di varie esperienze dell'artista, tra le quali emergono l'eco di assonanze donatelliane riscontrabili nel S. Lorenzo, un preciso interesse al naturalismo dei Della Robbia testimoniato dalla frequente scelta della terracotta invetriata e un'attenzione tutt'altro che superficiale all'incisività della grafia pollaiolesca affiorante soprattutto negli angeli del tabernacolo di Montici, affine tipologicamente ai prototipi di Bernardo Rossellino, e nelle figure dell'ancona con la Madonna in gloria.
Agli anni 1485-91 sono da riferire anche l'altare Corbinelli in S. Spirito e l'intervento nei lavori della sagrestia vecchia della chiesa. Il post quem per l'altare è segnato dal documento di concessione ai Corbinelli del privilegio di "dare dei luogo del santissimo corpo di Cristo" nella loro cappella, datato 13dic. 1483 (Huntley, 1935, App. II, doc. 1). Il Middeldorf (1933) ha riferito a quest'opera un disegno a penna e acquerello della Graphische Sammlung di Monaco, una prima idea, ricca di suggestioni pollaiolesche, poi mutata nell'esecuzione (la struttura dell'altare, oggi, appare alterata da larghe aggiunte settecentesche). Di non facile definizione è invece l'intervento dell'artista nei lavori compiuti nella sagrestia. Il suo nome figura in una nota di pagamento dei Libri dell'Opera di S. Spirito, datata dic. 1490, per un lavoro non specificato (Botto, 1932, p. 34). Trattandosi di una cifra non rilevante, con tutta probabilità è da riferire al due capitelli ricordati dal Vasari e identificati dallo Stechow-Göttingen (1929) con quelli situati sulla destra del grande armadio cinquecentesco della sagrestia. Pare infatti da escludere che la nota si riferisca al modello architettonico del vestibolo, riferitogli dal biografo nella seconda edizione delle Vite, perché il vestibolo fu costruito dal 1492 al 1495 su progetto di Simone del Pollaiolo, detto il Cronaca, quando ormai il C. era attivo in Portogallo (Fabriczy, Simone dei Pollaiolo, il Cronaca, in Jahrbuch der Königlich proussischen Kunstsammlungen, XXVII[1906], suppl., p. 52).
Che l'interesse del C. all'architettura sia comunque databile all'ultimo decennio del Quattrocento, si deduce da una nota dei Milanesi alle Vite vasariane (IV, p. 527), secondo la quale il 5 genn. 1491 egli era membro con altrì artisti, della commissione giudicatrice dei progetti per il compimento della facciata di S. Maria del Fiore; dalla sua iscrizione - il 13 febbraio di quell'anno - all'arte dei maestri di pietra e legname, che includeva, com'è noto, scalpellini e carpentieri, e dalla struttura stessa dell'altare Corbinelli, che, se da un lato sì riconnette a quelli scolpiti da Andrea Ferrucci per il duomo e per la chiesa di S. Gerolamo a Fiesole, dall'altro rivela, nel ricorso allo stiacciato e al forte sottosquadro delle parti a rilievo, una più stretta correlazione tra intelaiatura architettonica e parti scultoree.
Il decennio 1491-1500, fatta eccezione per gli anni 1493-96, durante i quali l'artista risulta a Firenze (K. Frey, in G. Vasari, Le vite..., I, München 1911, p. 347) e forse a Padova (Utz, 1973), è il periodo meno documentato dell'attività del Contucci. Richiesto, intorno al 1490, a Lorenzo de' Medici da Giovanni II, re del Portogallo, fu inviato presso quella corte, per la'quale lavorò, probabilmente, anche sotto il successore di Giovanni II, Manuel I (Lavagnino, 1940, p. 13).
Stando al Vasari, il soggiorno portoghese s; sarebbe protratto per nove anni, da ridurre verosimilmente a sei-sette per la citata parentesi fiorentina. Da rivedere criticamente, per le discordanti ipotesi espresse al riguardo, è anche la reale consistenza dell'opera dell'artista in Portogallo. Di essa il biografo ricorda "molte opere di scultura e d'architettura", e, in particolare, tra "altri molti edifizj", "un bellissimo palazzo con quattro torri" parzialmente decorato con dipinti su disegni e cartoni del maestro; "un altare... di legno intagliato, dentrovi alcuni Profeti; e similmente di terra, per farla poi di marmo, una battaglia bellissima, rappresentando le guerre che ebbe quel re con i Mori" e "ancora una figura d'un San Marco di marmo".
Il Lavagnino (1940, p. 14), però, concludeva che non era possibile "allo stato dei fatti, col materiale... a disposizione... indicare una sola scultura o architettura ancora esistente che possa dirsi del Sansovino", mentre era possibile invece, rintracciare "spunti di derivazione sansovinesca" in "sculture e decorazioni architettoniche". Al periodo portoghese è da riferire il disegno, non poi tradotto in opera, di un monumento funebre, probabilmente destinato al principe Alfonso, unico erede del re Giovanni II, morto in giovane età nel 1491 (Battelli, 1936, p. 18). Sull'attribuzione del foglio (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, n. 142A) non vi sono dubbi (vedi anche G. Bottari-S. Ticozzi, Raccolta di lettere..., Milano 1822, III, p. 492).
Caduti i tentativi di individuare il "palazzo con quattro torri" menzionato dal Vasari (Haupt, 1890, II, p. 149;J. Rasteiro, Quinta e Palacio de Bacalhõa em Azeitão, Lisboa 1895; T. Rogge, Ein Palast A. Sansovino's in Portugal, in Zeitschrift für bildende Kunst, VIII [1896], pp. 280 ss.), sulla opera del C. in Portogallo restano aperti numerosi interrogativi, non ultimo quello relativo ad "alcune cose stravaganti e difficili d'architettura, secondo l'uso di quel paese", delle quali il Vasari (IV, p. 54) asseriva di avere visto a Monte San Savino, presso gli eredi dell'artista un libro di disegni, passato in seguito all'allievo Girolamo Lombardo. Non è da escludere, per quanto in via ipotetica, che si trattasse di opere realizzate nel linguaggio dell'architettura locale, cioè in quella variante nazionale del gotico che fu lo stile manuelino.
In Portogallo il C. avrebbe operato sino al 1500, anno in cui, forse attraverso la Castiglia - un documento della cattedrale di Toledo datato 15 luglio riporta un pagamento ad "Andrés Florentin" (U. Perez Sedano, Notas de l'archivo de la Catedral de Toledo, Madrid 1914, p. 23: ma vedi Lavagnino, 1940, p. 16) - tornò a Firenze per rimanervi sino al 1505.
Nello svolgimento stilistico del C. gli anni del secondo periodo fiorentino sono indubbiamente i più densi di esperienze incisive, non solo in rapporto alla vicenda produttiva dell'artista, ma anche alla sua adesione ai mutamenti verificatisi nella cultura rinascimentale toscana, che all'inizio del Cinquecento registra a Firenze la contemporanea presenza di Raffaello, Leonardo e Michelangelo.
Si rileva infatti nelle opere sansoviniane di questi anni, soprattutto nel gruppo del Battesimo di Cristo sulla porta orientale del battistero fiorentino e nelle statue del santo titolare e della Vergine col Bambino per la cappella di S. Giovanni nel duomo di Genova, l'adesione a un classicismc di marca raffaellesca, palese nella pacata stesura dei volumi e nell'armonico disporsi dei panneggi, e una puntuale attenzione alla possibilità di sensibilizzare pittoricamente la materia, sia essa marmo, come nel S. Sebastiano del duomo di Como, riferitogli dal Biehl (1915, pp. 129 ss.), o terracotta, come nel gruppo, ricco di assonanze leonardesche, della Madonna col Bambino (Firenze, Museo del Bargello). Ma questa mutata sensibilità pervade un tessuto connettivo che in altre opere, come il fonte battesimale dei duomo di Volterra e il S. Antonio abate ligneo in S. Andrea a Lucca, si rivela improntato, nonostante certe diluizioni di modellato dovute probabilmente, nel primo caso, al largo intervento di un aiuto, a una cultura sostanzialmente quattrocentesca.
La documentazione relativa a questo periodo, ricca e circostanziata, consente una precisa datazione delle opere. Èdel 28 apr. 1502 la deliberazione del Consiglio dell'arte dei mercanti di commissionare al C. il gruppo destinato al battistero (Milanesi, 1860), cui segue l'atto del 31 genn. 1505 che concede all'artista dieci mesi di proroga per terminare l'opera; ma egli non rispetta le scadenze e le due statue, non ancora poste in opera al tempo della seconda edizione delle Vite vasariane, erano ultimate da Vincenzo Danti e collocate sulla porta est solo nel 1569 (per l'entità dell'intervento del Danti vedi Keutner, 1977).
Il Vasari motiva l'inadempienza contrattuale con l'interferenza della commissione genovese, per la quale il C. avrebbe dovuto lasciare Firenze, ma essa è piuttosto da imputare alla commissione papale delle tombe Sforza e Basso per la chiesa romana di S. Maria del Popolo. I documenti, infatti, non lasciano adito ad equivoci: il 13 genn. 1503 l'artista otteneva dalla Balia di Firenze il permesso di inviare le statue della Madanna e del Battista a Genova, attraverso Pisa, prova indubbia che erano state scolpite a Firenze (G. Gaye, Carteggio inedito d'artisti..., II, Firenze 1840, pp. 62 s.). Il fonte battesimale di Volterra, invece, è datato al 1502 dall'iscrizione incisa sotto la ghiera di coronamento (G. Leoncini, Illustrazione sulla cattedrale di Volterra, Siena 1869, p. 115; Poggi, 1909, p. 146). Anche il S. Antonio abate in S. Andrea a Lucca, già nella chiesa di S. Ponziano, dove è citato dal Vasari (III, p. 466), è databile ai primi anni del secolo.
Numerose, in questo periodo, anche le testimonianze d'archivio relative ad opere rimaste allo stato progettuale, al ruolo ricoperto dal C. nella cultura artistica fiorentina o ancora a circostanze della sua vita. È del 10 giugno 1502 il documento di allogazione allo scultore di una statua marmorea del Salvatore (probabilmente non eseguita) per la sala grande del Consiglio del Popolo in Palazzo Vecchio, allogazione seguita da un pagamento (dicembre 1503) per il trasporto a Firenze, nella casa del C., del blocco di marmo necessario (Poggi, 1909, pp. 144-46); del 25 genn. 1504 la presenza dell'artista nella commissione designata a scegliere il luogo per la collocazione del David di Michelangelo (Milanesi, in Vasari, VII, p. 347); del 30 dicembre, infine, l'allogazione dell'altare dei Sacramento per S. Maria del Fiore (perduto), per il quale, il 18 genn. 1505, l'artista aveva già approntato un modello ligneo (Fabriczy, 1906, pp. 86-88).
Appare chiaro, dalla destinazione delle opere commissionategli in questi anni, che il C. ha ormai un ruolo ufficiale nella cultura artistica toscana dei primi dei Cinquecento, ruolo certificato anche dalla menzione elogiativa del Gaurico nel De sculptura (1504). Ne sono una spia le stesse frequentazioni dell'artista, che, stando al Vasari (V, p. 350), nella bottega di Baccio d'Agnolo ha modo di incontrare, oltre a Raffaello, Benedetto da Maiano, il Cronaca e i due Sangallo, Filippino Lippi, il Granacci, e, "alcuna volta", Michelangelo.
La chiamata a Roma, che si avvia a divenire il fulcro della seconda stagione rinascimentale, cade proprio in questi anni. All'origine di essa vi è la decisione di Giulio II di accogliere la tomba del cardinale Ascanio Sforza, morto il 28 maggio 1505, nel coro della chiesa di S. Maria del Popolo e di affidarne, forse per i buoni uffici di Giuliano da Sangallo, suo intrinseco, l'esecuzione al C., così come, di lì a breve, gli affiderà per la stessa chiesa l'esecuzione della tomba del cardinale Girolamo Basso Della Rovere, morto il 1° sett. 1507.
I tempi dei due sepolcri, che sviluppano plasticamente la tipologia dell'altare Corbinelli mediante l'uso di semicolonne in luogo delle lesene e l'abolizione dell'attico con i rilievi a stiacciato, qui sostituiti da due statue di Virtù ritmicamente rispondenti a quelle delle nicchie sottostanti, sono estremamente circostanziati (de Zahn, 1867, p. 180; Feliciangeli, 1915, p. 115). Con tutta probabilità lo scultore iniziò a lavorare alla prima tomba, la Sforza, nel 1506e l'anno successivo, morto il cardinale Della Rovere, avviò i lavori della seconda. Entrambe, come risulta dalla testimonianza di F. Albertini (Opusculum de mirabilibus... urbis Romae, Romae 1510, a cura di P. Murray, in Five early Guides, Heppenheim 1972, pp. non nn.), erano ultimate nel 1509.
Rispetto alla precedente produzione dei C. i due sepolcri, dei quali si conservano, al Victoria and Albert Museum di Londra e nel Museo di Weimar, due disegni preparatori pubblicati dal Middeldorf (1934, p. 160, fig. C) e dallo Huntley (1935, fig. 71), danno al problema della complementarità architettura-scultura una risposta che punta decisamente sulle valenze strutturali di una intelaiatura plasticamente intesa, alla quale le sculture si connettono, oltre che per il contrapposto classico dei gesti, per il trattamento pittorico delle superfici.
Vicina alla tomba Sforza, anche se ne è una versione riduttiva nell'invenzione strutturale e nel ductus allentato delle parti plastiche, è la tomba del cardinale Pietro da Vicenza (morto nel 1504) in S. Maria in Aracoeli da ritenere, come suppone lo Huntley (1935, p. 64), eseguita da un aiuto su disegno del C. o, più semplicemente, sulla traccia della citata tomba in S. Maria del Popolo.
Nel 1512 era posto in opera, in una nicchia del terzo pilastro a sinistra della navata mediana di S. Agostino, sotto il Profeta Isaia di Raffaello, il gruppo marmoreo di S. Anna, la Vergine e il Bambino, allogato al C. dal protonotario apostolico J. Goritz per l'altare sovrastante la sua tomba terragna, un'opera nella quale, alla decisa caratterizzazione fisionomica di s. Anna, si contrappone la tipologia astrattamente classica della Vergine.
Del gruppo (spostato nel 1756-60 nella seconda cappella della navata sinistra e recentemente ricollocato nel sito originario: V. A. Boniio, The St. Anne altar in S. Agostino ..., in The Burlington Magazine, CXXII[1980], pp. 805-812) esistono due versioni nel formato del piccolo bronzo, entrambe a Londra; l'una in collezione privata (ibid., CVIII [1966], suppl. pubblicità, tav. II); l'altra, in bronzo dorato, al Victoria and Albert Museum.
Dello stesso anno all'incirca è il tondo marmoreo con il ritratto di profilo del Cardinale Antonio dei Monte, proveniente dal palazzo di famiglia a Monte San Savino e acquistato dal Museo di Berlino nel 1877 (Fabriczy, 1906, p. 98; F. Schottmüller, Staatliche Museen zu Berlin, II, Leipzig 1933, p. 176), esempio di penetrazione fisionomica che trova un preciso riscontro nella contemporanea produzione numismatica.
Da ridimensionare invece la collaborazione con Giuliano da Sangallo alla facciata di S. Maria dell'Anima (1512-13: Weil Garris Posner, 1970). Il portico antistante la chiesa di S. Maria in Domnica (1513), riferito al C. sulla base di documenti relativi all'esecuzione da G. Giovannoni (La chiesa della Navicella, in Palladio, VIII [1944], pp. 152-158), è stato giustamente riportato dal Frommel (1973, I, p. 34 nota 34) nell'ambito di una collaborazione con Bramante. Per altre opere di scultura e architettura a Roma, un tempo attribuite al C. e poi assegnate ad altri, vedi C. L. Frommel, Baldassare Peruzzi..., Wien 1967-68, pp. 124 s.; Id., 1973, II, p. 231.
Il periodo romano, che aveva avuto inizio nel 1505, si concludeva nel 1512; ne fa fede la commissione al C. (28 giugno di quell'anno) delle statue degli apostoli Taddeo e Mattia per S. Maria del Fiore (Milanesi, in Vasari, IV, p. 522 nota 2), commissione inevasa, dopo la quale lo sappiamo nominato, con un breve di Leone X, datato 22 giugno 1513, soprintendente alla fabbrica del santuario e alla decorazione della S. Casa a Loreto. Alla nomina forse non fu estraneo l'amico e concittadino Antonio Ciocchi del Monte, dal 1507 governatore e dal 1512 cardinale protettore del santuario (Pirri, 1931, pp. 418, e doc. I, 427 ss.; vedi anche F. Da Morrovalle, L'Archivio storico della Santa Casa..., Città del Vaticano 1965, p. LXXX).
La prima testimonianza della presenza dell'artista a Loreto è del 6 febbr. 1514; l'ultima del 29 giugno 1527 (Pirri, 1931, p. 419; 1932, p. 235): tredici anni dei quali conosciamo, attraverso una fitta documentazione archivistica, i successi e gli insuccessi di un'investitura che gli affidava il compimento della basilica, la prosecuzione dei lavori del palazzo apostolico e della S. Casa; le frequenti asgenze dovute a temporanei ritorni a Monte San Savino o a brevi puntate a Roma (nel 1514, nel '17, nel '18 e ancora alla fine del '23) e l'episodio di una irrealizzata collaborazione con Michelangelo.
Il problema centrale dell'attività lauretana del C. è il rapporto col Bramante, del quale si trovò a proseguire l'opera, rapporto che pone in rilievo, soprattutto, la divergenza di due poetiche: cioè, in definitiva, la tendenza del C. a una contaminatio tra spazio scultoreo e spazio architettonico, che nella S. Casa si traduce in una interpretazione plastico-decorativa delle terse scansioni spaziali bramantesche.
Per la basilica, la cui cupola, eretta da Giuliano da Sangallo tra il 1499 e il 1500 cominciò a mostrare, di lì a un biennio, gravi lesioni (G. Marchini, Giuliano da Sangallo, Firenze 1942, pp. 94-95) il C. continuò l'opera di consolidamento avviata dal Bramante (1504), ma il piano da lui elaborato, di cui resta memoria in un disegno degli Uffizi (n. 2A: Huntley, 1935, p. 100), si rivelò inefficace. Analogo fu il risultato del suo intervento nel palazzo apostolico, dei cui compimento, come testimoniano alcuni pagamenti per la costruzione di pareti, volte e scale, fu responsabile sino a che una ispezione di Antonio da Sangallo il Giovane, richiesta da Leone X il 18 genn. 1517, effettuata ai primi di aprile e risoltasi in un insuccesso, non portò al suo esonero dalla carica di architetto Soprintendente (Pirri, 1931, pp. 425 s. e doc. II, 428). Dell'episodio resta traccia in un gruppo di disegni dei Sangallo relativi ai lavori di consolidamento della chiesa e a studi per il palazzo (G. Giovannoni, Antonio da Sangallo il Giovane, II, Roma 1959, figg. 135-138; e K. Weil Garris Posner, Alcuni progetti per piazze e facciate di Bramante..., in Studi bramanteschi, 1974, schede I-VI, X) sicché riesce difficile, oggi, individuare la parte avuta dal C. nella costruzione di quest'ultimo, decisamente improntato allo stile sangallesco.
Rimasto soprintendente dei soli lavori di scultura, il C., dal 1518 al 1521, si dedicò esclusivamente al rivestimento plastico della S. Casa, più congeniale ai suoi interessi. Non vincolato dal contratto a seguire i disegni bramanteschi, egli concepì il rivestimento scultoreo del piccolo edificio come una sequenza di statue di Sibille e di Profeti, alternate a rilievi con Storie della Vergine e a piccoli scomparti con l'arme papale o motivi decorativi.
Di questo vero e proprio repertorio della scultura rinascimentale e manierista, dovuto in larga parte ad artisti della sua cerchia o vicini alla sua maniera, fatta eccezione per il Bandinelli, col quale i rapporti si rivelarono ben presto impossibili, egli si riservò i riquadri a rilievo con le storie mariane e dal 1518 al 1527, a quanto risulta dalle note di pagamento del Libro mastro, ne eseguì tre: l'Annundazione, l'Adorazione dei pastori e lo Sposalizio della Vergine, quest'ultimo terminato dal Tribolo (Pirri, 1932, pp. 27-29). Tutti constano di due lastre, nei documenti definite "quadri", corrispondenti a una precisa partizione figurale. E di veri e propri quadri plastici si tratta, la cui giuntura è sapientemente simulata dal taglio obliquo delle strutture architettoniche, che definiscono, a guisa di quinte, il luogo scenico dell'azione. È questo, indubbiamente, l'episodio più alto dell'attività dell'artista a Loreto, ed egli vi si confermava rappresentante di un classicismo sostanziato di puntualizzazioni spaziali quattrocentesche, eppure aperto a una larghezza di modellato cinquecentesca. Non stupisce pertanto che la storia di quei quattordici anni di attività finisse col sancire la superiorità dello scultore sull'architetto.
Sullo scorcio del 1523 (24 dicembre) Giuliano Ridolfi, commissario della S. Casa, lo reintegrava, per conto di Clemente VII, nell'ufficio di soprintendente delle fabbriche lauretane, ma il suo stipendio rimase immutato (Pirri, 1932, pp. 231 s., e documento relativo a nota 2 di p. 231). Inoltre, nelle note del Libro mastro che lo segnala per l'ultirna volta a Loreto il 29 giugno 1527 (ibid., p. 235), non v'è più traccia di una sua attività in tal senso; evidentemente si trattò di una reintegrazione del tutto formale, cui non dovettero essere estranee le difficoltà finanziarie della S. Casa, dovute ai gravosi prestiti fatti a Clemente VII (Pirri, 1931, p. 29).
Sul C. esiste anche una documentazione collaterale a quella relativa all'attività del cantiere lauretano, che sappiamo gli lasciava liberi, per contratto, quattro mesi l'anno: della sua biografia, ad esempio, sappiamo che il 30 ott. 1516 sposava Marietta Veltroni (Fabriczy, 1906, p. 99); della sua attività che nel 1515 progettava un ponte ligneo sul Musone, un fiume poco a nord di Loreto (Pirri, 1931, p. 423 nota 2). Il Vasari, inoltre, nella Vita di Michelangelo (VII, p. 188), lo cita, con l'allievo Iacopo Sansovino, tra gli autori di un progetto per la facciata di S. Lorenzo a Firenze, databile, qualora la notizia fossie, suscettibile di verifica, al 1516.
Agli anni 1515-20 sono da riferire due interventi architettonici a Monte San Savino: il restauro e il probabile ampliamento della casa patema, sobriamente caratterizzata dal ritmo temario delle finestre (Girolami, 1941, pp. 112 ss.), e il cortile dell'ex dormitorio di S. Chiara in piazza Gamurrini (Stegmann-Geymüller, 1890-1906, IV, p. 3).
Ad Arezzo era attribuita al C. (Vasari, IV, pp. 521 s.) la casa dell'astronomo Pietro Geri, oggi distrutta (v. Arezzo nelle due ediz. delle "Vite" del Vasari, a cura di F. Gandolfò, Arezzo 1974, p. 148 n. 1).
Del luglio 1519 è il progetto, tradotto in opera da Giovanni di Gabriele da Como, del cortile del palazzo comunale di Iesi (A. Gianandrea, Il Palazzo del Comune di Iesi, Iesi 1887, p. 29), che accorda alla serrata compagine muraria dell'estemo, dovuta a Francesco di Giorgio, il greve ritmo dei pilastri intervallati da scansioni irregolari; del 1520 circa (C. Girolarni, IlPorsenna e il Galba di A. Sansovino, in Riv. d'arte, XVIII[1936], pp. 179 ss.) quella "figura grande" di Re Porsenna menzionata dal Vasari (IV, p. 522), della quale il Fabriczy (1909, p. 47) ha identificato la testa conservata in una collezione privata a Montepulciano; prossimo ad essa, cronologicamente e stilisticamente, è il rilievo di terracotta invetriata con la testa di Galba, che il Vasari situa invece tra la prima produzione dell'artista (Del Vita, 1919; Paolucci, 1980, p. 204). Del 1521, è il progetto delle torri per la cinta muraria, allora restaurata, di Iesi (Gianandrea, 1887, p. 30).
Per Monte San Savino il C. progettava inoltre, nel 1521, il chiostro, la cantoria e il pulpito (distrutto) della chiesa di S. Agostino, tradotti in opera da Domenico di Nanni, coadiuvato dal figlio. A proposito del chiostro il Vasari rileva la capacità dell'architetto di "farlo tomare, essendo sproporzionato, a buona e giusta misura" mediante l'adozione di strutture d'angolo irregolari. Con esso, Vasari (IV, p. 521) menziona una "bellissima porta di componimento dorico" eseguita per la Compagnia di S. Antonio, da identificare con il portale di accesso al battistero di S. Giovanni, e, "fuor d'una porta verso la pieve vecchia... una cappelletta per i frati", non identificata.
Dal 1524 al 1527, forse a seguito della reintegrazione nella carica di soprintendente delle fabbriche di Loreto, questa attività a latere si allenta. All'inizio del 1524, indottovi da una richiesta di Clemente VII, il Sansovino offre la propria collaborazione a Michelangelo per la Biblioteca Laurenziana e per la sagrestia nuova di S. Lorenzo: gli scrive una prima volta il 1° gennaio, ma non ottiene risposta, ed esito analogo hanno due lettere, datate 2 marzo e 5 dicembre (Ilcarteggio di Michelangelo..., III, pp. 16, 38, 118). È il segno dell'impossibile accordo tra una poetica esasperatamente individuale e una poetica intesa invece a divulgare un linguaggio di estrazione classica, agevolmente trasmissibile a una cerchia di collaboratori e di seguaci. Ne sono una conferma anche le ultime opere del C.: il S. Rocco di terracotta policroma della chiesa di S. Quirico a Battifolle, presso Arezzo (1528 circa) e il progetto per la decorazione scultorea della cappella della Madonna delle Lacrime nella chiesa della SS. Annunziata ad Arezzo, richiestogli dalla Fraternita della Nunziata il 29 sett. 1528 (Fabriczy, 1906, pp. 91 s.).
Non tradotto in opera per un mutamento di parere della Fraternita che decise di non spostare la scultura miracosa dal vecchio oratorio (F. Coradini, La chiesa monumentale della SS. Annunziata in Arezzo, in Riv. d'arte, XXXV[1960], pp. 107-142), ildisegno, conservato nel Museo Wicar di Lilla (n. 457), ripropone il problema dell'integrazione fra telaio architettonico e decorazione plastica già sviluppato nella S. Casa di Loreto e nelle tombe Sforza e Basso Della Rovere in S. Maria dei Popolo.
Il S. Rocco, invece, per la scelta dei materiale e per il trattamento asciutto e costruttivo della veste, è un ulteriore esempio del naturalismo di marca robbiana che aveva caratterizzato la "prima maniera" dello scultore.
Del Sansovino si conoscono, oltre a quelli citati, altri disegni non tradotti in opera. Ricordiamo, tra i più noti, il S. Giuseppe in un paesaggio e l'Astronomia (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi) assegnati all'artista dallo Huntley (1935, figg. 67, 68) e riferibili entrambi, il primo per le tangenze tipologiche col S. Antonio di Lucca, l'altro per le analogie stilistiche con le figure di Virtù delle tombe di S. Maria del Popolo, al primo decennio del Cinquecento. Nel Victoria and Albert Museum è invece custodito un progetto per la tomba di Leone X (n. 2260): il Middeldorf (1934, p. 161, fig. A) lo data al 1521; lo Huntley (1935, p. 99), al più tardi, al 1523.
Approssimativamente dello stesso periodo è il foglio degli Uffizi (n. 20A) recante l'annotazione: "Sansovino. Battisterio per la cha. di Loreto", pubblicato dallo Huntley (1935, fig. 73) che lo ritiene studio preparatorio del fondale di un rilievo.
Si tratta di un portico a croce greca, impostato sull'intersezione di due bracci a tre campate architravate: quella mediana è sovrastata da un tiburio a giorno. L'interesse alla scansione ternaria e al coordinamento modulare delle parti in funzione dello sfondato prospettico della campata mediana fa del disegno l'esemplificazione visiva della notazione con la quale il Vasari apriva la Vita del C. rilevandone l'animo "pronto nell'opera e ne i ragionamenti delle difficultà dell'architettura e della prospettiva".
L'osservazione va posta in rapporto con la notizia che chiude la Vita dell'artista, relalativa a certi suoi "disegni e scritti di lontananze e di misure", cioè a suoi studi di cosmografia, documentati da un disegno raffigurante una sorta di astrolabio di cui è spiegato, in una didascalia autografa, il funzionamento (Fabriczy, 1906, p. 93). Sealle note vasariane si aggiunge l'interesse del C. a ricerche di meccanica, testimoniate da un foglio recante il disegno di una sega azionata ad acqua per tagliare il diaspro, rinvenuto da J. Morelli (I codici manoscritti della Libreria Naniana, Venezia 1776, pp. 14 s.) in un manoscritto del XV sec. contenente disegni di macchine diverse inventate da Lorenzo della Volpaia, si ha il quadro di una cultura ancora quattrocentesca.
Il C. morì a Monte San Savino fra il 30 marzo e l'11 aprile 1529 (Girolami, 1941, p. 115 e Salmi, 1973, p. 490).
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