Abstract
Il procedimento di convalida di sfratto è un procedimento sommario che il locatore può utilizzare per ottenere in tempi brevi un titolo esecutivo per conseguire il rilascio dell’immobile locato, sia in caso di scadenza del contratto di locazione sia in caso di morosità.
Il procedimento per convalida di sfratto, regolato nel IV libro del codice di rito (artt. 657 ss. c.p.c.), può essere utilizzato dal locatore, in alternativa al giudizio a cognizione piena, per conseguire il rilascio di un immobile. Si tratta di una scelta tra due differenti forme di tutela e non tra due differenti domande giudiziali; la situazione giuridica sostanziale dedotta dal locatore è la stessa: il locatore propone una domanda diretta a far valere il diritto al rilascio dell’immobile.
Tale scelta, tuttavia, a partire dal 1978, ha incontrato delle limitazioni, nel senso che dapprima per le locazioni di immobili ad uso non abitativo (l. 27.7.1978, n. 392, c.d. sull’equo canone) e poi per le locazioni di immobili ad uso abitativo (l. 8.8.1992, n. 359; l. 9.12.1998, n. 431) il locatore alla prima scadenza contrattuale ha “perso” il procedimento speciale per convalida. In tali casi, infatti, il legislatore, nel riconoscere al locatore il diritto di non rinnovare il contratto alla prima scadenza per taluni specifici e tassativi motivi (artt. 29 e 59 l. n. 392/1978), gli consente di proporre soltanto un’azione di rilascio dell’immobile locato che si svolge secondo le forme della cognizione piena ed esauriente, strutturata secondo le forme del rito speciale del lavoro (art. 30 l. n. 392/1978). In tale processo è possibile richiedere, fin dalla prima udienza e in caso di non opposizione del conduttore oppure nel corso del giudizio, alla luce delle ragioni delle parti e delle prove raccolte, delle ordinanze di rilascio che presentano non poche analogie con quelle che possono essere emesse nel procedimento per convalida.
Il codice di rito del 1865 prevedeva che per le controversie «sulla validità o continuazione di una locazione» dovesse seguirsi la via ordinaria; era contemplata la possibilità per il locatore di utilizzare una via alternativa: l’azione di sfratto per locazione finita, che poteva essere esperita solo per le ipotesi in cui la locazione fosse effettivamente terminata (art. 82, n. 5).
Nel 1896 il legislatore rafforzò la tutela del locatore con la l. 24.12.1896, n. 547, prevedendo la convalida della licenza per finita locazione. Rimase ancora priva di un trattamento specifico l’ipotesi del conduttore inadempiente nel pagamento dei canoni, sicché il locatore doveva continuare ad utilizzare il processo ordinario di cognizione.
Il r.d. 7.8.1936, n. 1531 abrogò la legge del 1896 e regolò l’intera materia, incidendo anche sulle norme contenute nel codice di rito. Al locatore fu riconosciuto il potere di intimare il rilascio del bene locato, con contestuale citazione per la convalida, sia prima della scadenza del contratto, sia dopo la scadenza, sia in caso di mancato puntuale pagamento del canone.
Il legislatore del 1940 ha sostanzialmente trasferito la legge del 1936 negli artt. 657-669 c.p.c. Il procedimento di convalida continua ad essere disciplinato interamente da tali norme, non essendo state abrogate dalla l. n. 392/1978 e dalla l. 26.11.1990, n. 353, le quali hanno comunque inciso, sia pure in maniera differente.
La l. n. 392/1978, oltre a ridurre, come detto, l’ambito di applicazione del procedimento per convalida, ha introdotto alcune specifiche disposizioni in tema di inadempimento (art. 5), di concessione del cosiddetto termine di grazia (art. 55), di fissazione della data di esecuzione del provvedimento di rilascio (art. 56).
La l. n. 353/1990, attribuendo al pretore tutte le controversie in materia di locazione ed assoggettandole al rito speciale, ha inciso maggiormente sulla seconda fase conseguente all’opposizione.
Altre modifiche sono state apportate dai dd.ll. emessi nel 1995 a partire da quello del 20.6.1995, n. 238 per finire al d.l. 18.10.1995, n. 432, convertito con modificazioni dalla l. 20.12.1995, n. 534, che ha inserito nell’art. 660 c.p.c. ben quattro commi.
Infine ricordiamo il d.lgs. 19.2.1998, n. 51 che, abrogando la figura del pretore, ha attribuito la competenza per materia al tribunale, in composizione monocratica.
Il procedimento per convalida di sfratto è un procedimento speciale di cognizione, caratterizzato sul piano funzionale dall’esigenza di far ottenere al locatore, nel più breve tempo possibile, un titolo esecutivo per il rilascio dell’immobile locato.
Indubbiamente il legislatore ha tenuto soprattutto presenti le esigenze del locatore, rimettendo al conduttore il concreto atteggiarsi del procedimento: la mancata comparizione o la mancata opposizione determinano infatti la pronuncia dell’ordinanza di convalida e la conclusione del giudizio.
Perplessità sul piano costituzionale sono state avanzate in ordine al procedimento in esame dal momento che il diritto di difesa del conduttore risulterebbe compresso soprattutto in relazione ai termini minimi a comparire, alle conseguenze della contumacia, alla non impugnabilità dell’ordinanza di rilascio ed alla possibilità di pronunciare un’ordinanza con riserva delle eccezioni del convenuto. La Corte, tuttavia, mentre ha rigettato alcune eccezioni che erano state sollevate, dichiarando la costituzionalità del procedimento per convalida, ritenendo legittima la previsione di un procedimento speciale finalizzato al rilascio dell’immobile, onde evitare abusi del diritto di difesa da parte del conduttore, ha invece considerato incostituzionale, nei termini che vedremo, il sistema dei rimedi esperibili avverso le ordinanze di rilascio.
La specialità del procedimento in esame comporta, innanzitutto, che non è possibile utilizzarlo al di fuori delle ipotesi specifiche previste negli artt. 657, 658 e 659 c.p.c. In particolare, con riferimento ai contratti di locazione, di affitto a coltivatore diretto, di mezzadria e di colonia (art. 657, co. 1) e di locazione d’opera avente come rispettivo il godimento di un immobile (art. 659) il procedimento in esame può essere utilizzato, unicamente al fine di conseguire il rilascio di un immobile, nei seguenti casi:
a) intimazione di licenza per finita locazione; il contratto non è ancora giunto a termine e non vi è pertanto ancora inadempimento del conduttore (art. 657); questa ipotesi concreta un tipico caso di condanna in futuro;
b) intimazione di sfratto per finita locazione; il diritto al rilascio è divenuto attuale, essendosi la scadenza verificata e non avendo il conduttore rilasciato l’immobile (art. 657); l’inadempimento è attuale e si è in presenza di una tipica azione di condanna;
c) intimazione di sfratto per morosità; il diritto al rilascio è anche in questo caso divenuto attuale a seguito del mancato pagamento del canone di locazione (art. 658). Precisa l’art. 5 della l. n. 392/1978 che «il mancato pagamento del canone, decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, ovvero il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori quando l’importo non pagato superi quello di due mensilità del canone, costituisce motivo di risoluzione, ai sensi dell’art. 1455 c.c.»;
d) cessazione del rapporto di locazione d’opera; l’ipotesi è quella del godimento dell’immobile quale corrispettivo totale o parziale della prestazione d’opera (ad esempio il portiere, il guardiano). In tal caso la cessazione del rapporto di lavoro d’opera legittima il locatore ad intimare la licenza o lo sfratto (art. 659). Questa fattispecie ricorre, stante la chiara lettera delle legge, quando la cessazione del rapporto di lavoro si verifica per qualsiasi causa e non solo per scadenza del termine e, soprattutto, quando non esiste alcuna contestazione in ordine allo scioglimento del rapporto di lavoro.
Va comunque ribadito che il procedimento regolato negli artt. 657 ss. può essere richiesto solo in caso di morosità e in caso di seconda scadenza contrattuale, perché in caso di diniego di rinnovazione alla prima scadenza per i motivi di cui agli artt. 29 e 59 l. n. 392/1978 il locatore deve promuovere il giudizio di merito ai sensi dell’art. 447 bis c.p.c. e si applica l’art. 30 della l. n. 392/1978.
Per quanto concerne il procedimento, il carattere unitario, sia pure strutturalmente diviso in due fasi (la prima, nella quale ruolo fondamentale è svolto dalla prima udienza, è destinata a concludersi a volte con provvedimenti speciali; la seconda, eventuale, è un giudizio di merito a cognizione piena che deve svolgersi nelle forme del rito speciale e che si apre a seguito dell’opposizione del convenuto), trova conferma nell’art. 667 laddove non solo si stabilisce che «il giudizio prosegue …», ma inoltre si esclude un atto di riassunzione, atteso che il tribunale deve solo ordinare il mutamento del rito ex art. 426 c.p.c.
Peraltro, a seguito delle riforme intervenute, ed in particolare di quella che si è avuta con la l. n. 534/1995, mentre la prima fase del procedimento non è contrassegnata da preclusioni, la seconda fase a cognizione piena ed esauriente vede operare le preclusioni secondo quanto disposto dagli artt. 414 e 416 c.p.c.
Il procedimento si apre con citazione che include l’intimazione (di licenza, di sfratto per finita locazione, di sfratto per morosità), tipico atto di natura sostanziale. Essa deve essere redatta ai sensi dell’art. 125 c.p.c. e deve contenere, con l’invito a comparire nell’udienza indicata, l’avvertimento che «se non comparisce o, comparendo, non si oppone, il giudice convalida la licenza o lo sfratto ai sensi dell’art. 663».
L’invito e l’avvertimento sono requisiti essenziali, la cui mancanza determina la nullità della citazione; salvo il dovere per il giudice di disporne di ufficio la rinnovazione, in caso di mancata presenza dell’intimato all’udienza ai sensi dell’art. 164 c.p.c.
Il termine minimo di comparizione è di venti giorni (art. 660; originariamente era di soli tre giorni), salva la possibilità, nelle cause che richiedono pronta spedizione, che il giudice, su istanza dell’intimante, con decreto motivato, abbrevi fino alla metà i termini di comparizione (art. 660, co. 4).
Ai sensi degli artt. 658 e 664, nelle ipotesi di sfratto per morosità, il locatore può chiedere nello stesso atto l’ingiunzione di pagamento per i canoni scaduti e da scadere.
Grandi cautele contrassegnano la notificazione dell’atto introduttivo, per le conseguenze che derivano dalla mancata comparizione. Così si esclude espressamente che la notificazione possa essere effettuata al domicilio eletto (art. 660, co. 1) e si prevede che, in caso di intimazione non notificata a mani proprie dell’intimato, l’ufficiale giudiziario debba avvertirlo, spedendo avviso a mezzo di lettera raccomandata (art. 660, co. 7). Il legislatore vuole che l’intimato abbia conoscenza effettiva della citazione, tanto che se il giudice alla prima udienza ritiene probabile che quello non abbia avuto conoscenza della citazione deve ordinarne la rinnovazione (art. 663, co. 1). Per tale ragione in dottrina si esclude la notificazione ai sensi dell’art. 143 c.p.c.
La competenza per ragioni di materia spetta al tribunale, che decide in composizione monocratica. Territorialmente competente è il tribunale del luogo in cui si trova la cosa locata.
Ai sensi dell’art. 660 l’intimante si può costituire fino all’udienza, depositando in cancelleria l’intimazione con la relazione di notificazione «oppure presentando tali atti al giudice in udienza».
Il convenuto, da parte sua, può costituirsi fino all’udienza, senza che in tale ultimo caso operino nei suoi confronti le preclusioni previste nell’art. 167 c.p.c. Peraltro, l’intimante ben può anche non costituirsi e limitarsi a comparire personalmente al fine di esercitare l’opposizione o di compiere le attività previste dagli artt. 663-666.
Il procedimento può prendere strade diverse a seconda dell’atteggiamento che le parti assumono alla prima udienza. Al riguardo va ricordato che, ai sensi dell’art. 660, co. 6, «ai fini dell’opposizione e del compimento delle attività previste negli artt. da 663 a 666, è sufficiente la comparizione personale dell’intimato».
a) Se l’intimante non compare, «gli effetti dell’intimazione cessano» (art. 662). L’inefficacia riguarda soltanto gli effetti processuali e non anche quelli sostanziali dell’intimazione, in considerazione del fatto che l’atto introduttivo è un atto complesso, composto da due distinti atti – l’intimazione propriamente tale e la citazione – ciascuno con propri effetti.
Se non compare l’intimante, ma compare l’intimato, quest’ultimo può proporre opposizione e trasformare il procedimento speciale in procedimento ordinario al fine di fare accertare l’infondatezza della domanda attrice. Se non compaiono entrambe le parti, la giurisprudenza ritiene che si abbia immediata estinzione del procedimento per convalida, avendo l’art. 662 carattere di norma speciale rispetto all’art. 181 c.p.c.
b) Se l’intimato non compare o, se compare, non si oppone, il giudice, verificata la regolare instaurazione del contraddittorio e la sussistenza dei presupposti di ammissibilità ed accertata la conformità all’ordinamento del provvedimento richiesto, convalida la licenza o lo sfratto e dispone con ordinanza l’apposizione della formula esecutiva in calce all’atto di citazione (art. 663).
Per le gravi conseguenze che si ricollegano alla mancata comparizione, il legislatore ha previsto che il giudice debba ordinare la rinnovazione «se risulta o appare probabile che l’intimato non abbia avuto conoscenza della citazione stessa o non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore» (art. 663, co. 1).
L’ordinanza è titolo esecutivo, ma se l’intimato non è comparso, la formula esecutiva ha effetto dopo trenta giorni dalla data di apposizione (art. 663, co. 2).
c) Se il giudice verifica l’inesistenza dei presupposti di ammissibilità od accerta che l’adozione del provvedimento di convalida non è conforme all’ordinamento, deve negare la convalida, indipendentemente dall’esistenza di un’opposizione da parte del conduttore. Il provvedimento negativo, al pari della mancata comparizione dell’intimante, non impedisce la riproposizione della citazione.
d) Se lo sfratto è stato intimato per mancato pagamento del canone, possiamo avere diverse situazioni. In linea generale la convalida è sempre subordinata all’attestazione del locatore o del suo difensore che la morosità persiste; il giudice può ordinare al locatore di prestare cauzione (art. 663, ult. co.). Ciò posto può accadere che:
d1) il conduttore compare e sana spontaneamente la morosità, pagando i canoni scaduti fino a quella data, gli interessi e le spese legali liquidate dal giudice; il pagamento esclude la risoluzione del contratto ed il giudice non può convalidare lo sfratto e deve dichiarare la cessazione della materia del contendere (art. 55, co. 1, l. n. 392/1978). Il conduttore non può sanare la morosità in sede giudiziale per più di tre volte nel corso di un quadriennio;
d2) l’intimato compare in udienza, non effettua alcun pagamento ma chiede al giudice un termine per regolarizzare la sua posizione (c.d. termine di grazia); il giudice, dinanzi a comprovate condizioni di difficoltà del conduttore, può assegnare con ordinanza non impugnabile un termine non superiore a novanta giorni per consentire al conduttore di adempiere sia pure in ritardo; in tal caso, l’udienza è rinviata a non oltre dieci giorni dalla scadenza del termine assegnato (art. 55, co. 1-2, l. n. 392/1978). Tale previsione si applica alle sole locazioni abitative. Se il pagamento avviene nel termine assegnato, il giudice non può convalidare lo sfratto e deve dichiarare la cessazione della materia del contendere. Se il pagamento non avviene il giudice deve convalidare lo sfratto, sempre che il locatore dichiari che persiste la morosità.
e) Se lo sfratto è intimato per morosità ed il pagamento non avviene in udienza il giudice, oltre alla convalida, pronuncia decreto di ingiunzione per l’ammontare dei canoni scaduti e da scadere fino all’esecuzione dello sfratto e per le spese relative all’intimazione. Il decreto, steso in calce ad una copia dell’atto di intimazione presentata dall’istante e da conservarsi nella cancelleria del giudice adito, è immediatamente esecutivo ed è opponibile ai sensi dell’art. 645. L’opposizione non toglie efficacia all’avvenuta risoluzione del contratto (art. 664).
f) Se l’intimato compare e si oppone, il procedimento speciale si trasforma in un procedimento a cognizione piena ai sensi dell’art. 667: «il giudizio prosegue nelle forme del rito speciale, previa ordinanza di mutamento di rito ai sensi dell’art. 426». In caso di opposizione:
f1) se le eccezioni sollevate dall’intimato non sono fondate su prova scritta, il giudice, su istanza del locatore e se non sussistono gravi motivi in contrario, pronuncia ordinanza non impugnabile di rilascio, con riserva delle eccezioni del convenuto (art. 665);
f2) se le eccezioni sollevate dall’intimato sono fondate su prova scritta, il giudice non può ordinare il rilascio;
f3) se il convenuto compare e nega la propria morosità, contestando l’ammontare della somma pretesa, il giudice può con ordinanza disporre il pagamento della somma non controversa e concedere al convenuto un termine non superiore a venti giorni (art. 666). Se il convenuto paga la somma, il giudice non può emanare l’ordinanza di rilascio ed il giudizio prosegue per il merito ex art. 667; se il pagamento non avviene, il giudice convalida l’intimazione, definendo il giudizio e pronunciando eventualmente ingiunzione per il pagamento dei canoni (art. 666, co. 2).
La fase che segue quella speciale a seguito dell’opposizione dell’intimato si svolge nelle forme del rito speciale, a cognizione piena ed esauriente, sempre davanti al tribunale. Questi, ex art. 426 c.p.c., deve fissare «con ordinanza l’udienza di cui all’art. 420 e il termine perentorio entro il quale le parti dovranno provvedere alla eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria». Non è necessario un atto di riassunzione del processo.
Nella fase di merito, l’attore non può proporre nuove domande, potendo al massimo, «se ricorrono gravi motivi», modificare quella proposta con l’atto di citazione, «previa autorizzazione del giudice» (art. 420). Per quanto concerne il convenuto, le preclusioni, in ordine alle eccezioni ed alle domande riconvenzionale, opereranno con il deposito delle memorie da effettuare dieci giorni prima dell’udienza fissata dal tribunale con l’ordinanza con cui dispone il mutamento del rito.
La fase di merito si conclude con sentenza che può rigettare l’opposizione, nel qual caso l’ordinanza di rilascio eventualmente emessa conserva la sua efficacia esecutiva.
Se invece la sentenza accoglie l’opposizione, l’ordinanza di rilascio è destinata ad essere posta nel nulla, con conseguente restituzione della cosa oltre il risarcimento dei danni.
Particolari problemi suscita l’ordinanza di convalida prevista dall’art. 663. I presupposti di tale provvedimento sono a) la mancata comparizione e b) la non opposizione.
La comparizione è un onere per la parte, atteso che la mancata comparizione comporta l’ammissione legale dei fatti costitutivi dedotti dall’intimante, esonera l’attore dal provarli e rende inutile un esame da parte del giudice sul fatto. Il giudice ha comunque il dovere di verificare la regolare instaurazione del contraddittorio, di controllare la sussistenza dei presupposti di ammissibilità, di accertare se l’adozione della convalida è conforme all’ordinamento.
L’indagine in diritto concerne a) l’esistenza dei presupposti processuali generali (giurisdizione, competenza, capacità processuale, ecc.); b) la ricorrenza dei presupposti speciali di ammissibilità del procedimento per convalida (che nella specie ricorra uno dei contratti tipici di cui agli artt. 657-659, avente ad oggetto un immobile ben determinato; che alla base dell’azione vi sia una delle cause espressamente previste dalla legge), c) l’osservanza delle regole del procedimento (la regolarità della notificazione; la dichiarazione di persistenza della morosità nell’ipotesi di sfratto per morosità); d) la fondatezza delle pretese sul piano sostanziale.
Se l’indagine compiuta è positiva, il giudice emana ordinanza disponendo l’apposizione della formula esecutiva. In tal caso, ai sensi dell’art. 56 l. n. 392/1978, il giudice «previa motivazione che tenga conto anche delle condizioni del conduttore comparate a quelle del locatore nonché delle ragioni per le quali viene disposto il rilascio stesso e, nei casi di finita locazione, del tempo trascorso dalla disdetta», deve fissare la data dell’esecuzione «entro il termine massimo di mesi sei, ovvero, in casi eccezionali, di dodici mesi dalla data del provvedimento».
L’ordinanza di convalida di sfratto per finita locazione pronunciata ex art. 663, co. 1, e quella di sfratto per morosità devono contenere la condanna dell’intimato al pagamento delle spese processuali sostenute dal locatore. In caso di licenza per finita locazione, invece, poiché non si è verificato ancora l’inadempimento, non vi può essere condanna alle spese.
Discussa è in dottrina la natura giuridica dell’ordinanza ex art. 663. Un primo orientamento – che è quello prevalente – afferma che il provvedimento è definitivo e ha carattere decisorio, idoneo a dare luogo al giudicato. La decisione coprirebbe l’esistenza del contratto di locazione; la qualità del locatore e del conduttore; la cessazione del rapporto di locazione; la sussistenza del diritto al rilascio.
Un secondo indirizzo nega che l’ordinanza contenga un accertamento idoneo a far stato ad ogni effetto di legge del diritto invocato dall’attore. L’ordinanza si limita, sul presupposto della mancata contestazione del diritto stesso, a fornire al locatore un titolo esecutivo per il rilascio della cosa.
Una terza tesi afferma che il giudice prenderebbe solo atto di un accordo di natura negoziale tra intimato e intimante; in tal caso l’intimazione convalidata è definitiva e irrevocabile (salva l’opposizione tardiva di cui all’art. 668) per il carattere negoziale dell’intimazione.
Per quanto concerne i rimedi, va rilevato che la legge non prevede alcuna impugnazione, se si fa eccezione per l’opposizione tardiva prevista nell’art. 668 c.p.c.
Ciò posto e premesso che un problema si pone solo se l’ordinanza è emessa in mancanza dei presupposti di legge, dottrina e giurisprudenza hanno prospettato diverse soluzioni:
a) secondo la tesi che appare maggioritaria l’ordinanza de qua può essere impugnata con l’appello, sia pure limitatamente ad errori in procedendo, ossia ai presupposti di legge, sia generali (giurisdizione, competenza, capacità processuale, contraddittorio), sia propri del procedimento di convalida (tipicità del rapporto dedotto in giudizio, mancanza di opposizione, presenza del locatore, dichiarazione di persistenza della morosità). Tale tesi, in base al principio della prevalenza della sostanza sulla forma, attribuisce contenuto di sentenza alle ordinanze di convalida emesse in mancanza dei presupposti legali;
b) secondo altra lettura, strettamente collegata alla prima, avverso l’ordinanza di convalida può proporsi l’appello anche per errori in iudicando, dal momento che l’appello è una impugnazione avente portata illimitata e non può essere limitato alle sole violazioni di legge processuale;
c) per un terzo indirizzo l’ordinanza in esame sarebbe impugnabile per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., sul presupposto della sua natura decisoria e dell’idoneità al giudicato;
d) ad avviso di un ulteriore orientamento bisognerebbe escludere qualsiasi impugnazione; il conduttore potrebbe far valere l’inesistenza del diritto vantato dall’intimante o in sede di opposizione all’esecuzione o anche in sede di un autonomo giudizio.
Comunque, avverso l’ordinanza ex art. 663 sono esperibili le impugnazioni straordinarie. Infatti, con distinte pronunce la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità:
– dell’art. 395, prima parte e n. 4 c.p.c, nella parte in cui non prevedeva che l’intimato potesse proporre revocazione per errore di fatto avverso l’ordinanza con cui veniva convalidato lo sfratto o la licenza per finita locazione pronunciata in assenza dell’intimato stesso o per mancata opposizione;
– dell’art. 395, prima parte e n. 1 c.p.c., nella parte in cui non prevedeva la revocazione avverso i provvedimenti di convalida di sfratto per morosità che fossero l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra (ad es. falsa attestazione della persistenza della morosità resa dall’intimante);
– dell’art. 404 c.p.c., nella parte in cui non prevedeva che il terzo potesse proporre opposizione avverso l’ordinanza a) di convalida di sfratto per finita locazione, pronunciata per la mancata opposizione dell’intimato comparso; b) di convalida di sfratto per morosità; c) di convalida di licenza per finita locazione.
L’unico rimedio previsto espressamente dalla legge è l’opposizione tardiva contemplata nell’art. 668, che può essere esperita entro 10 giorni dall’inizio dell’esecuzione da parte del conduttore che non ha avuto tempestiva conoscenza della citazione-intimazione per irregolarità della notificazione o che non è potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore. Tale ultimo motivo è stato introdotto dalla Corte costituzionale, che ha ritenuto illegittima la norma nella parte in cui non prevedeva l’opposizione anche nell’ipotesi in cui l’intimato – pur avendo avuto conoscenza della citazione – non fosse comparso all’udienza per caso fortuito o forza maggiore.
È onere del conduttore provare il nesso di causalità fra l’irregolarità della notificazione o il caso fortuito o la forza maggiore e la mancata comparizione all’udienza.
Per quanto riguarda la natura di tale rimedio, l’opinione che la riporta nell’ambito dei mezzi di impugnazione sembra da preferire a quella che riconosce all’opposizione tardiva la stessa natura dell’opposizione tempestiva, atteso che oggetto dell’azione del conduttore è un provvedimento giurisdizionale, avente efficacia esecutiva; efficacia che non viene meno a seguito dell’opposizione ma che può essere sospesa solo per «gravi motivi» (art. 668, co. 4). Inoltre, va considerato che l’opposizione è soggetta al termine di decadenza di dieci giorni a decorrere dall’inizio dell’esecuzione (art. 668, co. 2).
L’opposizione tardiva, ai sensi dell’art. 668, co. 3, si propone nelle forme dell’opposizione al decreto ingiuntivo, «in quanto applicabili», ossia con ricorso al tribunale del luogo in cui è situato l’immobile; il giudizio si svolge nelle forme del rito speciale delle locazioni.
Il tribunale deve decidere sull’istanza di sospensione dell’esecuzione con ordinanza non impugnabile, concedendola se ricorrono gravi motivi; quindi deve accertare se l’opposizione è ammissibile, pronunciando sentenza sia nel caso in cui la dovesse ritenere inammissibile, sia qualora dovesse reputare fondata la contestazione dell’intimato. Nel primo caso la sentenza definisce il giudizio e l’ordinanza di convalida rimane ferma; nel secondo, la sentenza annulla la convalida ed apre la fase sul merito che si svolge sempre dinanzi al tribunale. Pertanto, il giudizio di opposizione presenta una fase rescindente ed una fase rescissoria.
Nonostante l’opposizione dell’intimato, il tribunale può emanare un’ordinanza di rilascio che non definisce il giudizio; una previsione che la Corte costituzionale ha considerato legittima atteso che persegue lo scopo di evitare abusi del diritto di difesa da parte del conduttore.
I presupposti per la concessione dell’ordinanza sono a) l’opposizione dell’intimato; b) l’essere le eccezioni dell’intimato non fondate su prova scritta; c) l’inesistenza di gravi motivi in contrario; d) l’istanza del locatore; e) «la prova dei presupposti della domanda» da parte dell’intimante.
Infatti, poiché con l’opposizione non vi è alcuna ammissione legale dei fatti dedotti dall’attore, il giudice deve accertare non solo l’esistenza dei presupposti processuali generali, delle condizioni di ammissibilità del procedimento, ma anche la ricorrenza dei fatti costitutivi affermati dall’attore.
L’espressione gravi motivi comprende, per la sua lata accezione, una delibazione sommaria sia delle eccezioni, sia dei motivi del conduttore. Ne risulta un ampio potere attribuito al giudice.
L’ordinanza è in ogni caso esecutiva e deve contenere la data dell’esecuzione (art. 56 l. n. 392/1978). L’esecutività non può essere sospesa nella successiva fase di merito. L’ordinanza conserva la sua efficacia esecutiva qualora l’opposizione venga rigettata con sentenza, mentre è destinata ad essere posta nel nulla dalla sentenza che accoglie l’opposizione.
L’ordinanza non definisce la lite, sicché non deve contenere alcuna statuizione in ordine alle spese, e viene pronunciata al termine di una cognizione sommaria, perché parziale.
Discussa è la natura giuridica di tale ordinanza.
Una prima tesi afferma che si tratta di un provvedimento decisorio, che deve essere riportato nell’ambito dei provvedimenti di condanna con riserva delle eccezioni, privo comunque dell’autorità della cosa giudicata, ma che preclude l’esame delle eccezioni non riservate.
Una seconda interpretazione considera l’ordinanza di cui all’art. 665 una misura cautelare anticipatoria, anche in mancanza del periculum in mora.
Un terzo indirizzo, seguito anche dalla Cassazione, riconosce natura sommaria non cautelare e pertanto afferma la sopravvivenza dell’efficacia di titolo esecutivo in caso di estinzione del processo; un provvedimento dettato dall’esigenza di evitare abusi del diritto di difesa da parte del conduttore, munito di efficacia esecutiva, anche se non idoneo al giudicato.
Un’ulteriore tesi, sulla base degli artt. 186-bis e ter c.p.c., ritiene che l’ordinanza de qua vada riportata tra i provvedimenti provvisori di merito, emessi «allo stato degli atti», che non perdono efficacia a processo estinto, ma che non possono per questo essere riportati nei provvedimenti sommari autonomi.
L’ordinanza è, per espressa previsione normativa, «non impugnabile». Ed infatti la giurisprudenza e gran parte della dottrina escludono il ricorso ai mezzi di impugnazione, compreso quello per Cassazione ex art. 111 Cost., dal momento che ogni questione sarà oggetto di esame e di discussione nel corso della fase di merito.
L’esplicita previsione dell’inimpugnabilità comporta la non revocabilità e modificabilità dell’ordinanza ex art. 665 a differenza di quella ex art. 663.
Artt. 657-669 c.p.c.; l. 27.7.1978, n. 392; l. 9.12.1998, n. 431.
Frasca, R., Il procedimento per convalida di sfratto, Torino, 2001; Garbagnati, E., I procedimenti d’ingiunzione e per convalida di sfratto, V ed., Milano, 1976; Tedoldi, A. (diretto da), Il procedimento per convalida di sfratto, Bologna, 2009; Trisorio Liuzzi, G., Procedimenti speciali di rilascio degli immobili locati, Torino, 2005; Trisorio Liuzzi, G., Tutela giurisdizionale delle locazioni, Napoli, 2005.