Abstract
Convalida e conversione costituiscono le due figure generali, previste negli artt. 1444 e 1424 c.c., rispettivamente per il recupero del contratto annullabile e del contratto nullo. Utilizzabili, secondo l’opinione corrente, anche per altri atti di autonomia negoziale aventi contenuto patrimoniale. La prima, di più diffusa applicazione, tende ad essere impiegata anche come strumento di recupero del negozio nullo. Per la seconda, invece, viene solitamente esclusa ogni applicazione al negozio annullabile.
Convalida e conversione sono, in relazione a distinte specie d’invalidità negoziale, i due più importanti strumenti di recupero dei contratti invalidi. A questo fine è rivolta la disciplina dettata nel Titolo II-Dei contratti in generale, del Libro IV del codice civile, rispettivamente negli artt. 1444 (nel Capo XII-Dell’annullabilità del contratto) e 1424 (nel Capo XI-Della nullità del contratto).
L’esperienza dimostra che ogni ordinamento giuridico conosce numerosi strumenti idonei a consentire il ripescaggio di fatti, situazioni, rapporti, i quali, pur avendo un’esistenza in fatto, non risultano conformi alle prescrizioni normative (Finzi, E., Studi sulle nullità del negozio giuridico, I, Bologna, 1920, 27 s.). Tra questi, nell’ambito del diritto privato, assumono particolare rilievo le figure attraverso le quali si realizza il fenomeno del recupero dei negozi giuridici invalidi. L’espressione non evoca una determinata disciplina legale, né indica una categoria di atti omogenei per struttura e per funzione, ma viene adoperata dalla dottrina civilistica per indicare gli strumenti ai quali si attribuisce (con finalità essenziale, o soltanto eventuale) il compito di consentire, in tutto o in parte, la realizzazione dell’originario assetto d’interessi programmato nell’atto di autonomia negoziale, la cui integrale o parziale attuazione sia impedita, oppure ostacolata, in diritto, dall’esistenza di una causa di invalidità (cfr. Finzi, E., Studi sulle nullità, cit., 69 ss.; Sacco, R., Il contratto, in Tratt. Vassalli, Torino, 1975, 899 ss.).
Il termine recupero si presta, perciò, a ricomprendere svariate figure oltre a quelle sopra menzionate, tra le quali vanno qui ricordate, a titolo esemplificativo e senza alcuna pretesa di completezza, la eccezionale conferma delle disposizioni testamentarie e delle donazioni nulle (v. infra, § 6), il matrimonio putativo (art. 128 c.c.), l’esecuzione del contratto di lavoro nullo (art. 2126 c.c.), la cd. pubblicità sanante (art. 2652 n. 6, c.c.), la rettifica del contratto annullabile, la riduzione ad equità del contratto rescindibile (per la dottrina che include anche la rescindibilità nell’area dell’invalidità), la transazione relativamente a un contratto invalido. Con la precisazione che, nell’ambito della delineata nozione di recupero, l’impiego del termine “sanatoria” – diffuso in dottrina e giurisprudenza, e recentemente utilizzato nella rubrìca dell’art. 2379 bis c.c. per definire le modalità di recupero delle deliberazioni assembleari nulle di s.p.a. – assume un più ristretto significato, che non tocca la figura della conversione (v. infra, § 7); riferendosi alle sole fattispecie che consentono, con il sopravvenire di nuovi elementi, all’atto originariamente invalido di produrre, tra le parti, gli effetti che esso avrebbe prodotto se fosse stato valido fin dall’inizio (cfr. Santoro-Passarelli, F., Dottrine generali del diritto civile, IX ed., rist., Napoli, 1970, 249 s., 257 s.; Conso, G., Il concetto e le specie d’’invalidità, Milano, 1955, 34 ss.; e v. infra, § 6.1).
È comunque essenziale, all’idea del recupero dei negozi giuridici – e quindi dei contratti –invalidi, il connotato della utilizzazione (totale, parziale, o anche soltanto indiretta) del regolamento voluto dalle parti (riferisce il recupero direttamente agli effetti del contratto Roppo, V., Il contratto, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 2001, 849; ma per l’opinione che qui si espone v. Caprioli, R., La conferma delle disposizioni testamentarie e delle donazioni nulle, Napoli, 1985, 130, ed ivi nota 6). Di guisa che, valorizzando il potere dei soggetti privati di dare ai propri interessi l’assetto da essi ritenuto più conveniente, compatibilmente con il rispetto dei principi e delle norme inderogabili che governano lo Stato di diritto, viene conservato all’atto recuperato il significato e il valore di espressione dell’autonomia negoziale degli autori dell’originario regolamento di interessi.
L’assunto trova puntuale riscontro nella disciplina della convalida e della conversione, per mezzo delle quali, fatte salve le precisazioni che seguiranno, la originaria manifestazione dell’autonomia negoziale conserva tutta la sua rilevanza ed efficacia (convalida), o si indirizza verso obiettivi di minore ampiezza (conversione), consentendo ai soggetti privati di trarre il massimo utile dallo svolgimento delle loro attività, ed evitando la dispersione di risorse già concretamente impiegate per realizzare la circolazione di beni e servizi.
L’art. 1444 c.c., al co. 1, dispone che «il contratto annullabile può essere convalidato dal contraente al quale spetta l’azione di annullamento». La convalida, quindi, ha ad oggetto il contratto annullabile. Vale a dire, il regolamento contrattuale posto in essere da un soggetto incapace di agire (art. 1425 c.c.), oppure viziato da errore, violenza o dolo (art. 1427 c.c.), o posto in essere dal coniuge in regime di comunione legale senza il necessario consenso dell’altro coniuge (art. 184, co. 1, c.c.), o ancora impugnabile dal coniuge e dagli altri legittimari che, non avendo partecipato al contratto ai sensi dell’art. 768 sexies c.c., non siano stati soddisfatti dai beneficiari del patto di famiglia, o concluso dal rappresentante in conflitto d’interessi con il rappresentato (art. 1394 c.c.).
In questi, ed in altri simili casi (art. 1471, n. 3 e 4 c.c.), il contratto è giuridicamente rilevante ed efficace, ma è dotato di efficacia precaria, perché il contraente incapace, o incorso in errore, oppure destinatario della minaccia o del raggiro, o colui che avrebbe dovuto partecipare al contratto in veste di parte, ne può chiedere all’autorità giudiziaria – a tutela del proprio interesse che il vizio dell’atto ha impedito di soddisfare in maniera adeguata – l’annullamento entro il termine di prescrizione di cinque anni, con diverso termine iniziale di decorrenza (un anno per gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro coniuge, e per i legittimari che non hanno partecipato al patto di famiglia). A tale precarietà la legge pone rimedio, legittimando la parte che ha partecipato al contratto pur non essendo in grado di autodeterminarsi con piena consapevolezza e libertà, o che avrebbe dovuto parteciparvi, ad esprimere, in alternativa al potere di annullamento, una valutazione positiva di adeguatezza di quel regolamento contrattuale ai suoi attuali interessi, fissando definitivamente il valore impegnativo della regola negoziale e stabilizzando quindi gli effetti derivanti dal contratto annullabile (Piazza, G., La convalida nel diritto privato. I. La convalida espressa, Napoli, 1973, 108 s.; Roppo, V., Il contratto, cit., 850). Chiara è stata dunque la scelta del legislatore di attribuire alla convalida del negozio annullabile una fisionomia ed una disciplina distinte dalla conferma del negozio nullo (v. infra § 6.1) e dalla ratifica del contratto concluso dal rappresentante senza poteri – valido ma inefficace – adoperando, a differenza di quanto avveniva sotto il codice previgente, una specifica espressione lessicale per individuare ciascuna delle figure qui menzionate.
Secondo quanto prescrive l’art. 1444 c.c., legittimato a convalidare il contratto annullabile è il contraente al quale spetta l’azione di annullamento. Vale a dire il soggetto incapace, caduto in errore, o che abbia subito la violenza o il dolo, purché sia venuta meno la situazione di incapacità, di ignoranza o di soggezione alla violenza, atteso che specificamente l’art. 1444 c.c., al co. 3, dispone che «la convalida non ha effetto, se chi l’esegue non è in condizione di concludere validamente il contratto». Deve ritenersi legittimato alla convalida anche chi non riveste formalmente la qualifica di contraente, purché si tratti del soggetto che può disporre dell’interesse regolato nel contratto, come il coniuge in regime di comunione legale che non abbia partecipato all’atto, o il rappresentato nel contratto concluso dal rappresentante in conflitto d’interessi.
Nel caso in cui l’annullabilità riguardi una parte plurisoggettiva, la legittimazione alla convalida spetta individualmente a ciascun soggetto il quale sia stato personalmente colpito dalla causa di annullamento (es., incapacità). Se invece la causa di annullamento riguarda tutti insieme i soggetti componenti la parte (es., il medesimo errore in cui tutti sono incorsi), o concerne un unico interesse ad essi comune, la convalida dovrà necessariamente essere posta in essere congiuntamente da tutti (Piazza, G., La convalida nel diritto privato cit., 157 ss.; Piazza, G., Convalida. I. Convalida del negozio giuridico, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, 4 s.). Con estensione della regola anche alle dichiarazioni di voto e alle decisioni aventi contenuto negoziale assunte nei gruppi organizzati, fatte salve le norme specificamente dettate in materia di invalidità delle deliberazioni dei partecipanti al gruppo (cfr. Caprioli, R., L’annullabilità delle deliberazioni assembleari delle associazioni e l’art. 23 c.c., in Contr. e impr., 2004, 452 ss.). Diversa soluzione deve accogliersi per la legittimazione alla convalida nel contratto plurilaterale annullabile ex art. 1446 c.c. In questo caso, è sufficiente la convalida proveniente dalla sola parte il cui vincolo di partecipazione al contratto, compromesso dall’annullabilità, non debba considerarsi essenziale, con effetti parziali sul complessivo regolamento negoziale.
Non può ritenersi, invece, suscettibile di convalida il negozio viziato da annullabilità assoluta – che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse (artt. 591, co. 3, 606, co. 2, 624, co.1, 1441, co. 2, c.c.) – oppure da annullabilità con legittimazione all’impugnazione estesa anche a determinate categorie di terzi e/o al pubblico ministero (artt. 23, co. 1, 117, 2098 c.c., e art. 9, co. 2, disp. att. c.c.), in cui, come si desume dall’attribuzione del potere di annullamento ad una pluralità di soggetti estranei all’atto annullabile, il potere ad essi concesso non costituisce strumento di tutela dell’interesse proprio della parte contrattuale. Per questa ragione, una valutazione di conformità del regolamento negoziale al proprio attuale interesse, proveniente dal titolare dell’interesse regolato attraverso il negozio, non sarebbe idonea a fissare definitivamente il valore negoziale dell’atto, che resterebbe comunque esposto all’impugnativa di altri legittimati (cfr. Piazza, G., La convalida nel diritto privato, cit., 148 ss.). È fatta salva la possibilità, per ciascuno dei soggetti privati legittimati all’annullamento, di rinunciare a tale diritto con effetto meramente abdicativo dello stesso e non convalidativo del regolamento negoziale.
La convalida consiste in una manifestazione unilaterale di volontà volta a fissare definitivamente il valore impegnativo del contratto annullabile. A questa intenzione dell’autore dell’atto corrisponde il suo effetto giuridico di rinsaldare il vincolo negoziale già assunto, e la funzione di eliminare l’incertezza sulla persistenza giuridica del regolamento contrattuale. Effetto e funzione che non possono ridursi all’efficacia meramente abdicativa della rinunzia al diritto di annullamento dalla quale la convalida si distingue, come risulta chiaramente in tutte le ipotesi nelle quali è possibile rinunziare a questo diritto senza ottenere però il risultato di conferire certezza giuridica all’effetto prodotto dall’atto annullabile (v. supra, § 3). Fermo restando che, in ogni caso, al compimento della convalida consegue anche la perdita del diritto di chiedere l’annullamento in capo al soggetto convalidante.
Essa non ha funzione integrativa del contratto annullabile, del quale non viene modificato il contenuto né gli effetti, ma opera all’esterno di tale fattispecie contrattuale (in senso contrario, Giacobbe, G., Convalida (diritto privato). in Enc. Dir., X, Milano, 1962, 497 s., per il quale il negozio invalido ed il comportamento convalidante danno luogo ad una fattispecie complessa) che, come si è detto, è efficace fin dal compimento dell’atto annullabile, apportando all’effetto già prodotto da quest’atto il valore aggiunto della certezza giuridica (Piazza, G., La convalida nel diritto privato, cit., 113 ss; Piazza, G., Convalida, cit., 2); senza, peraltro, sanare il vizio rimuovendolo dalla fattispecie ormai venuta ad esistenza che, per questa ragione, non è più modificabile.
È atto non recettizio, considerato che essa non incide sfavorevolmente nella sfera giuridica di soggetti estranei al suo autore, anche quando il suo effetto riflesso riguarda la controparte del contratto annullabile (Giampiccolo, G., La dichiarazione recettizia, Milano, 1959, 94 ss.), il cui eventuale interesse contrario al consolidamento del rapporto claudicante non appare meritevole di protezione giuridica. Secondo l’opinione oggi prevalente non ha efficacia retroattiva (Piazza, G., La convalida nel diritto privato, cit., 82 ss.; Ferri, G.B., Convalida, conferma e sanatoria del negozio giuridico, in Dig. civ., IV, Torino 1989, 346).
Si è avuto riguardo, fino ad ora, segnatamente, alla figura disegnata nell’art. 1444, co. 1, c.c., la quale viene ad esistenza con il compimento di un atto che deve contenere «la menzione del contratto [annullabile] e del motivo di annullabilità, e la dichiarazione che s’intende convalidarlo». È questa la convalida espressa: negozio unilaterale per il quale la norma non prescrive una forma determinata. Prevale perciò, anche in considerazione della mancata integrazione dell’atto di convalida in un'unica fattispecie comprensiva anche del negozio annullabile, l’opinione che si tratti di un atto a forma libera (Piazza, G., La convalida cit., 102 ss.; Bianca, C.M., Diritto civile, III, Il contratto, II ed., Milano, 2000, 677; Roppo, V., Il contratto, cit. 851).
Più complesse questioni solleva la figura della convalida tacita, posta in essere, cioè, mediante un comportamento non dichiarativo consistente nella volontaria esecuzione del contratto annullabile da parte del contraente al quale spetta l’azione di annullamento che è a conoscenza del motivo di annullabilità (art. 1444, co. 2, c.c.). Ci si chiede, innanzi tutto, se la «volontaria esecuzione» del contratto debba riguardare soltanto l’adempimento dell’obbligazione contrattuale oppure possa comprendere ogni attività, materiale o immateriale proveniente dal soggetto legittimato alla convalida, che attui l’assetto d’interessi programmato nel contratto, propendendo per quest’ultima interpretazione (Piazza, G., La convalida tacita in diritto privato, Napoli, 1980, 26 ss.; Cass., 27.3.2001, n. 4441). Si discute, poi, intorno alla natura giuridica di tale comportamento nel quale autorevole dottrina ravvisa i caratteri dell’atto giuridico in senso stretto (Piazza, G., La convalida tacita cit., 58 ss.; Ferri, G.B., Convalida, conferma e sanatoria cit., 347 ss., che estende tale qualifica anche alla convalida espressa), attribuendo valore convalidante anche ad una esecuzione parziale, che abbia non scarsa importanza in relazione all’economia generale del contratto (Piazza, G., La convalida tacita, cit., 18 ss.; Cass., 6.11.1981, n. 5860). Rientrano, infine, nella tipologia della convalida tacita anche diverse figure di comportamento concludente riconducibili a fattispecie legali (artt. 768, 1234, co. 2, c.c.), oppure consistenti in atti di godimento o di disposizione di beni o servizi acquistati con il contratto annullabile che siano incompatibili con la contraria volontà di impugnare tale contratto.
Il codice civile italiano esclude che il contratto nullo possa essere convalidato, «se la legge non dispone diversamente» (art. 1423 c.c.), in sintonia con la marcata differenza disegnata dalla legge tra il contratto annullabile (efficace, ma ad effetti rimuovibili) e il contratto nullo (assolutamente inefficace). Esistono, però, nel codice vigente, gli artt. 590 e 799 c.c., riguardanti rispettivamente la conferma delle disposizioni testamentarie e delle donazioni nulle (che riproducono sostanzialmente l’art. 1311 c.c. del 1865), ai quali parte della dottrina meno recente e la giurisprudenza (v., in motivazione, Cass., 11.7.1996, n. 6313) attribuiscono il significato di eccezione alla regola della inammissibilità della convalida dell’atto nullo. Essenzialmente (ma non soltanto) sul fondamento di queste norme si è costruito nella dottrina civilistica italiana il simulacro della sanatoria del negozio nullo (su cui v., criticamente, Ferri, G.B., Convalida, conferma e sanatoria, cit. 338), procedendo talvolta ad una trattazione unitaria di conferma e convalida (v. Betti, E., Convalida o conferma del negozio giuridico, in Nss.D.I., IV, Torino, 1968, 790 s.; e Giacobbe, G., Convalida (diritto privato), cit.).
La tesi della eccezionale sanatoria del negozio nullo attraverso la conferma in parola, in deroga al disposto dell’art. 1423 c.c., accolta dopo l’entrata in vigore del codice vigente (De Simone, M., La sanatoria del negozio giuridico nullo, Napoli, 1946; Pasetti, G., La sanatoria per conferma del testamento e della donazione, Padova, 1953) è stata in seguito sottoposta a revisione critica da parte di chi, muovendo dalla concezione della nullità come irrilevanza e inqualificazione della regola negoziale, ha sottolineato la profonda differenza esistente tra il recupero dell’atto annullabile mediante convalida e quello dell’atto nullo mediante conferma. In questa prospettiva, si è sostenuto che la conferma costituisce fattispecie attributiva autonoma causalmente giustificata dall’esistenza materiale di una disposizione testamentaria o di una donazione nulla (Gazzoni F., L’attribuzione patrimoniale mediante conferma, Milano, 1974, specialmente 141 ss.). Oppure, con diversa interpretazione del dettato legislativo, che essa diviene elemento essenziale di una fattispecie complessa, comprensiva anche della regola negoziale dettata con la disposizione testamentaria o con la donazione nulla, costituente, nel suo insieme, l’atto nullo confermato, produttivo di effetti simili, ma non identici, a quelli che avrebbe prodotto la disposizione testamentaria o la donazione se fosse stata valida (Caprioli, R., La conferma, cit., specialmente 121 ss., 125 ss.).
La differenza qui rilevata sul piano teorico tra convalida e conferma trova riscontro nella peculiare disciplina della conferma, se si considera che quest’ultima, diversamente dalla convalida, non può essere posta in essere dall’autore dell’atto invalido, ma soltanto dai suoi eredi o aventi causa; che essa può aver luogo soltanto dopo la morte del testatore o del donante; che ha effetto limitato al suo autore per espressa previsione normativa; che non può estendersi ad atti negoziali diversi dal testamento o dalla donazione.
Si discorre inoltre, promiscuamente, di atti nulli «che possono essere confermati» e, per converso, di atti nulli «non convalidabili» rispettivamente negli artt. 46, co. 4, e 47, co. 1, d.P.R. 6.6.2001, n. 380, (v. anche art. 30, co. 4-bis), a proposito di contratti relativi a beni immobili stipulati in violazione di norme edilizie che impongono alle parti specifiche dichiarazioni o allegazioni urbanistiche. Ma a questo riguardo può dirsi che si tratta piuttosto di atti incompleti che possono essere completati in un momento successivo e quindi soltanto apparentemente, ma non sostanzialmente, nulli (cfr., in relazione al testo normativo della previgente l. 28.2.1985, n. 47, Alpa, G., Abusi edilizi e categorie civilistiche, in Contr. e Impr., 1986, I, 156; diversamente, Donisi, C., Abusivismo edilizio e invalidità negoziale, Napoli, 1986, 82 s., 98 s., che vi ravvisa un caso di eccezionale conferma dell’atto nullo).
In anni recenti la convalida del negozio nullo, in deroga al disposto dell’art. 1423 c.c., sembra conquistare nuovi territori (v. Pagliantini, S., Autonomia privata e divieto di convalida del contratto nullo, Torino, 2007), favorita nel suo incedere dall’avvento delle nullità di protezione, di matrice comunitaria, legislativamente costruite in funzione conformativa e non demolitoria dell’atto di autonomia negoziale nell’interesse del contraente debole. Nel vasto panorama delle nuove nullità, significativa è la figura disciplinata dagli artt. 33 e 36 c. cons. che prevedono la nullità delle sole clausole vessatorie che «determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto» concluso con il professionista, mentre il contratto rimane valido per la restante parte. Con riferimento a tale nullità, che «opera soltanto a vantaggio del consumatore» e si ritiene perciò caratterizzata dalla legittimazione relativa del consumatore all’esercizio della corrispondente azione in giudizio, prevale l’opinione favorevole all’ammissibilità della convalida (cfr., di recente, Perlingieri, G., La convalida delle nullità di protezione e la sanatoria dei negozi giuridici, II ed., Napoli, 2011). Ma non è agevole conciliare la definitiva fissazione del valore negoziale della clausola nulla, che dovrebbe derivare dal venire in essere della convalida, con la rilevabilità d’ufficio della nullità e con la tutela dell’interesse dell’intera categoria dei consumatori, presidiato dalla nullità di protezione.
Il negozio nullo non produce effetti, perciò non è idoneo a regolare, con efficacia vincolante per tutte le parti sul piano giuridico, l’assetto d’interessi in esso programmato. Soltanto in relazione a determinate fattispecie l’ordinamento giuridico ne ammette il recupero con differenti modalità inquadrate dalla dottrina, come si è sopra ricordato, nella discutibile nozione di sanatoria. Tuttavia, una generale figura di recupero del contratto nullo, estensibile ad altri modelli negoziali secondo il disposto dell’art. 1324 c.c. (cfr. Cass., 7.1.2011, n. 263) è prevista dall’art. 1424 c.c. che consente la conversione del regolamento negoziale nullo in un diverso regolamento avente effetti giuridicamente diversi ma praticamente analoghi a quelli che il primo avrebbe prodotto se fosse stato valido, tenuto conto dell’ iniziale obbiettivo al cui perseguimento era rivolto l’atto nullo.
La norma dispone che «il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità». Ciò che rileva, quindi, perché si attui il dettato legislativo, è l’intento pratico perseguito dalle parti, che può essere raggiunto, in tutto o in misura minore, utilizzando lo strumento della conversione. A tale proposito, nella letteratura manualistica si ricorda che il patto di non alienare, nullo ex art. 1379 c.c. perché eccedente convenienti limiti di tempo. può essere convertito in un patto di durata minore; o anche che la costituzione di servitù con un accordo non stipulato in forma scritta può valere come fonte di un rapporto obbligatorio tra le parti. Perché ciò avvenga è necessario che dal contratto nullo possano ricavarsi i requisiti di sostanza e di forma del nuovo contratto (in giurisprudenza si richiede la sussistenza di un obiettivo rapporto di continenza tra il negozio nullo e quello che dovrebbe sostituirlo; così Cass., 23.7.2010, n. 17279; Cass., 5.3.2008, n. 6004), e sia possibile ricostruire un regolamento negoziale che si mostri idoneo a soddisfare gli interessi programmati dalle parti nel contratto nullo. Non si tratta, perciò, soltanto del mutamento della qualificazione giuridica del negozio, considerato che si verifica, nella specie, una modificazione del regolamento negoziale (D’Antonio, A., La modificazione legislativa del regolamento negoziale, Padova, 1974, 267 ss.) idonea a consentire il raggiungimento di obbiettivi comparabili con quelli perseguiti dai soggetti autori del regolamento (Gandolfi, G., Il principio di conversione dell’atto invalido: fra continenza ‘sostanziale’ e volontà ‘ipotetica’, in Riv. dir. civ., 1990, I, 214). E benché la legge faccia riferimento ad una ipotetica volontà delle parti, non è su questo – non accertabile – presupposto che deve poggiare la conversione, ma sulla congruenza tra il risultato raggiungibile per mezzo del nuovo contratto e quello programmato dalle parti nel contratto nullo (Bianca, C.M., Diritto civile, III, Il contratto cit., 633; Gandolfi, G., Il principio di conversione cit., 216).
Si discute, in dottrina, se il fondamento della conversione debba rinvenirsi nel principio di conservazione (D’Antonio, A, La modificazione legislativa cit., 279; Bianca, C.M., Diritto civile, III, Il contratto cit., 633,), o in quello di buona fede (De Nova, G., Conversione: I) Conversione del negozio nullo, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, 2; Roppo, V., Il contratto, cit., 859 s.). Quest’ultima opinione appare più convincente, valorizzando il reciproco affidamento delle parti nel buon esito dell’affare e quindi nel conseguimento di un risultato apprezzabile in relazione a quello originariamente programmato (cfr. Gandolfi, G., La conversione dell’atto invalido, II, Il problema in proiezione europea, Milano, rist. 1990, 399 s.).
Suscettibile di conversione è anche il contratto illecito, ma non quando sia illecito lo scopo perseguito dalle parti, perché in tal caso risulterebbe illecito anche il contratto sostitutivo di quello nullo, in quanto volto a realizzare uno scopo pratico corrispondente al primo (De Nova, G., Conversione cit., 2; Roppo, V., Il contratto cit., 861).
Mentre non appare convertibile in un diverso contratto quello annullabile, già efficace e suscettibile di convalida (Bianca, C.M., Diritto civile, III, Il contratto cit., 634), né quello annullato, per il quale sia già stata manifestata vittoriosamente in giudizio volontà contraria al mantenimento dalla parte che ne ha chiesto l’annullamento, perché mancherebbero i presupposti richiesti dalla legge (cfr. Bigliazzi Geri, L., Conversione, I, Conversione dell’atto giuridico, in Enc. dir., X, Milano, 1962, 536; De Nova, G., Conversione cit., 3; Franceschelli, V., Conversione del negozio nullo, in Dig. civ., IV, Torino, 1989, 379).
La conversione può definirsi uno strumento legale di recupero del contratto nullo. A differenza della convalida, nella quale è l’autore del regolamento viziato ad esprimere – senza apportarvi alcuna modifica – una valutazione di conformità dello stesso al proprio interesse attuale, nella conversione è l’ordinamento giuridico ad utilizzare, attraverso l’opera del giudice, il regolamento dettato con il contratto nullo per il raggiungimento di uno scopo diverso da quello inizialmente voluto dalle parti, ma con esso congruente, modificandone il contenuto alla stregua del principio di buona fede. Il meccanismo operativo della conversione, muovendo dall’interpretazione del regolamento negoziale diretta ad individuare l’intento pratico comune alle parti, non si esaurisce in essa ma procede verso una modificazione dell’originario assetto d’interessi, tenendo conto dell’affidamento riposto dalle parti sulla realizzabilità di un comune risultato utile. Di guisa che sarebbe contrario a buona fede, e non meritevole di tutela, l’atteggiamento della parte che insista per la declaratoria di nullità ove sussista, sulla base dell’iniziale programma negoziale, l’opportunità di conseguire un risultato congruente con quello programmato, anche se di minore ampiezza o intensità rispetto ad esso (De Nova, G., Conversione, cit., 2).
La modificazione del regolamento e degli effetti negoziali avviene ipso jure, e quindi la sentenza che dichiara la conversione è una sentenza di accertamento. Ciò, però, non vuol dire che essa possa essere rilevata d’ufficio dal giudice. In questo senso si esprime la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass., 1.8.2001, n. 10498; Cass., 20.12.1973, n. 3443, in Rep. Foro it., 1973, Contratto in genere, atto e negozio giuridico, 635, n. 279), ma l’iniziativa processuale assunta da una parte contrattuale non può essere efficacemente contrastata dall’altra ove sussistano i presupposti oggettivi della conversione, da valutarsi dal giudice di merito.
L’operazione di recupero del regolamento negoziale mediante conversione non può avvenire trasfigurandone l’originaria struttura. Si ammette infatti la conversione di un contratto nullo in un altro contratto, anche appartenente ad un diverso tipo legale, o di un negozio unilaterale in un altro negozio unilaterale, ma non la conversione di un contratto nullo in un negozio unilaterale (Cass., 29.11.1986, n. 7064; Cass., 14.7.1983, n. 4827). Una speciale procedura è prevista per la conversione del brevetto nullo dall’art. 76, co. 3, c.p.i.
Una figura di utilizzazione del regolamento negoziale nullo non del tutto riconducibile al modello disegnato dall’art. 1424 c.c. è costituita dalla conversione legale. In questo caso è la legge ad attribuire al contratto nullo gli effetti di un contratto diverso, con una valutazione che prescinde dalla congruenza di questi effetti con l’obbiettivo concretamente perseguito dai soggetti autori del regolamento, per fini che, travalicando gli interessi specifici delle parti contraenti, attengono essenzialmente alla utilità sociale di alcuni rapporti giuridici patrimoniali regolati dalle parti in maniera difforme dalle prescrizioni di legge, che l’ordinamento mantiene in vita dopo adeguata correzione (cfr. Roppo, V., Il contratto cit., 861 s.).
Ai tradizionali casi della servitù concessa da uno dei comproprietari, indipendentemente dagli altri, da cui deriva il solo obbligo del concedente di non impedirne il corrispondente esercizio (art. 1059, co. 2, c.c.), della girata della cambiale che produce solo gli effetti della cessione ordinaria del credito se fatta posteriormente al protesto o dopo lo spirare del termine per levarlo (art. 24, co. 1, R.d. 14.12.1933, n.1669), e della conversione in affitto dei contratti agrari associativi (art. 25, l. 3.5.1982, n. 203), può aggiungersi ora la modificazione del contenuto e degli effetti del contratto di locazione di immobili ad uso abitativo, non registrato entro il termine stabilito dalla legge (art. 3, co. 8, d.lgs. 14.3.2011, n. 23).
Mentre soltanto in senso atecnico può definirsi “conversione” la trasformazione in contratto a tempo indeterminato del contratto di lavoro subordinato stipulato a tempo determinato in assenza dei presupposti indicati dalla legge (art. 32, co. 5, l. 4.11.2010, n, 183, in relazione all’ art. 1 e ss., d.lgs. 6.9.2001, n. 368), inquadrabile, secondo una diversa interpretazione, nello schema della nullità parziale (v., in argomento, con differenti opzioni interpretative, Plaia, A., Categorie civilistiche e diritti speciali: la nullità del contratto di lavoro a termine, in Studium iuris, 2009, 1192 ss.; e Cass., 21.5.2008, n. 12985).
In ogni caso, il nuovo regolamento contrattuale derivante dalla conversione legale, pur modificato dalla legge, va considerato come manifestazione di autonomia privata (Bianca, C.M., Diritto civile, III, Il contratto cit., 635).
Non è, invece, conversione in senso proprio, non comportando alcuna modificazione del regolamento e degli effetti del negozio, la c.d. conversione formale, che si ha quando il negozio, nullo perché carente dei requisiti di forma prescritti dalla legge, è totalmente valido e produce gli effetti programmati sotto una diversa veste giuridica, sufficiente al raggiungimento dello scopo. Chiari esempi della figura sono offerti dalla conversione dell’atto pubblico in scrittura privata (art. 2701 c.c.), e dalla validità come testamento olografo del testamento segreto privo di un suo specifico requisito di forma (art. 607 c.c.).
Per la convalida: artt. 184, 1423, 1444, 2824 c.c.; e nella prospettiva unificante, esclusa nel testo, di convalida e conferma, artt. 590, 799 c.c.; 30, 46, 47 d.P.R. 6.6.2001, n. 380 (t.u. in materia edilizia).
Per la conversione: art. 1424 c.c.; a cui possono aggiungersi, per la disciplina di fenomeni analoghi, art. 76, d.lgs. 10.2.2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale); art. 32, co. 5, l. 4.11.2010, n. 183 (cd. Collegato lavoro).
a) In generale e in tema di convalida: Betti, E., Convalida o conferma del negozio giuridico, in Nss.D.I, IV, Torino, 1968, 790 s.; Bianca, C.M.; Diritto civile, III, Il contratto, II ed., Milano, 2000; Caprioli, R., La conferma delle disposizioni testamentarie delle donazioni nulle, Napoli, 1985; Conso, G., Il concetto e le specie d’invalidità, Milano, 1955; Ferri, G.B., Convalida, conferma e sanatoria del negozio giuridico, in Dig. civ., IV, Torino, 1989, 335 ss.; Finzi, E., Studi sulle nullità del negozio giuridico, I, Bologna, 1920; Gazzoni, F., L’attribuzione patrimoniale mediante conferma, Milano, 1974; Giacobbe, G., Convalida. A) Diritto privato in Enc. dir., X, Milano, 1962, 479 ss.; Pasetti, G., La sanatoria per conferma del testamento e della donazione, Padova, 1953; Pasetti, G., Sanatoria del negozio, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991; Piazza, G., La convalida nel diritto privato. I. La convalida espressa, Napoli, 1973; Piazza, G., La convalida tacita in diritto privato, Napoli, 1980. Piazza, G., Convalida. 1) Convalida del negozio giuridico, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988; Roppo, V., Il contratto, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 2001; Sacco, R., Il contratto, in Tratt. Vassalli, Torino, 1975; Santoro-Passarelli, F., Dottrine generali del diritto civile, IX ed., rist., Napoli, 1970;
b) Per la conversione, specificamente: Bigliazzi-Geri, L., Conversione. I. Conversione dell’atto giuridico, in Enc. dir., X, Milano, 1962, 528 ss.; D’Antonio, A., La modificazione legislativa del regolamento negoziale, Padova, 1974; De Nova, G., Conversione 1) Conversione del negozio nullo, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988; Di Majo, A., La nullità, in Il contratto in generale, tomo VII, in Tratt. Bessone; Franceschelli, V., Conversione del negozio nullo, in Dig. civ., IV, 1989, 376 ss.; Gandolfi, G., La conversione dell’atto invalido, II, Il problema in proiezione europea, Milano, rist. 1990; Gandolfi, G., Il principio di conversione dell’atto invalido: fra continenza ‘sostanziale’ e volontà ‘ipotetica’, in Riv. dir. civ., 1990, I, 197 ss.