convenienza (convenientia)
Il problema della c. tra concetti e lingua è trattato, secondo lo schema proposto in VE I XIX 3, nel primo capitolo del secondo libro. Il ragionamento dantesco è il seguente. Parrebbe, superficialmente, che tutti i versificatori possano e debbano usare il volgare illustre, dato che quest'ultimo è il più splendido ornamento possibile: ma non è così; neppure i poeti più eccellenti debbono usarlo sempre. Il volgare illustre esige individui che, per scienza e ingegno, abbiano un grado di dignità consono a esso; è infatti adeguato solo alle concezioni più alte, che a loro volta possono scaturire solo dagl'individui più degni. È vero che si deve cercare di ornare quanto meglio si può i propri versi, ma l'ornamento si può concepire solo come alicuius convenientis additio (II I 9); e poiché il contenuto (sententia) si mescola sì con le parole, ma in modo che i due elementi restino distinti, se non sarà ‛ ottimo ' verrà peggiorato dall'associazione col volgare più alto, come una donna brutta se si veste di oro o di seta.
È evidente che la teoria del conveniens ha un ruolo fondamentale nella teorizzazione dantesca, in quanto permette di superare una nozione superficiale di ornato come aggiunta accidentale di forme belle a qualsiasi contenuto, che traspare ancora piuttosto chiaramente nel Convivio (per maggiori particolari, v. ORNATUS). La nozione di convenientia dello stile e del linguaggio alla materia è naturalmente comune e centrale nella retorica medievale, come in quella classica, precisandosi sia come c. di un livello stilistico rispetto a un livello sociale (per es. dell'autore in rapporto al destinatario del messaggio); sia come c. dei verba rispetto ai contenuti, oggettivamente classificati (si veda come tipica la schematizzazione della Rota Virgilii in Giovanni di Garlandia): in quanto tale è componente basilare della concezione classico-medievale, da D. proseguita, di separazione degli stili. Della teoria tradizionale, duplicemente oggettiva, della convenientia D. ritiene assai scarsamente il primo aspetto, diciamo sociologico; assai più, come ovvio, quello contenutistico, come appare soprattutto dal successivo capitolo II II, incentrato sulla ricerca dei sommi contenuti degni del sommo volgare (v. MAGNALIA). Ma a parte che la definizione dei magnalia è generale, categoriale, lontana dalla minuta casistica di temi propria dei retori medievali, D. innova sostanzialmente quella concezione oggettiva in due sensi. Anzitutto il rapporto di convenientia non lega tanto stile (volgare) e contenuti come tali, ma dignità del volgare e dignità personale dello scrivente, la quale necessariamente produce alte concezioni (v. II I 8 optimis conceptionibus optima loquela conveniet. Sed optimae conceptiones non possunt esse nisi ubi scientia et ingenium est; ergo optima loquela non convenit nisi illis in quibus ingenium et scientia est; e cfr. ancora in particolare II IV 8 ss.). D'altra parte, in conformità a una concezione ontologica, religiosa del volgare illustre propria del De vulg. Eloq. (v. ILLUSTRE), e a un'interpretazione decisamente interna, formale e non più eteronoma del problema dello stile, il senso normale del rapporto di convenientia tra concezioni e lingua viene, come ha osservato il Nencioni, rovesciato da D., " ponendo non già il volgare illustre conveniente e quindi necessario a quei contenuti, ma questi convenienti e quindi necessari al volgare illustre " (cfr. II II 5 e 9, III 1).
In sostanza il nucleo del conveniens viene a ridursi in D. a una semplicissima corrispondenza biunivoca, per cui il volgare illustre, concepito come un assoluto, si rivela laddove vi siano uomini capaci di alte concezioni e sentimenti, e inversamente questi uomini sono tali nella misura in cui usano quel volgare, che convenit... individui gratia (II I 6). Si può dire che permanga un certo scarto tra questa concezione interiorizzata del conveniens e dello stile, potenzialmente rivoluzionaria, e una nozione come quella che compare, appunto, già nel successivo capitolo II II, riportata cioè entro i binari più tradizionali del rapporto tra linguaggio e contenuti oggettivamente intesi; ma l'essenziale è che l'accento di D. batta prevalentemente sulla prima, riducendo a essa, come nel passo sopra citato, i termini della seconda.
Bibl. - Marigo, De vulg. Eloq., 164-170; G. Nencioni, D. e la retorica, in D. e Bologna nei tempi di D., Bologna 1967, 95 ss.; D.A., De vulg. Eloq., a c. di P.V. Mengaldo, I, Padova 1968, XLIII-XLVIII.