CONVENTO
Il termine c., usato spesso impropriamente per designare una casa religiosa in genere, come sinonimo di monastero o cenobio, indica in senso stretto la comunità di un ordine regolare, in particolare mendicante, di frati o di suore e non di monaci, e l'edificio da essa abitato. Dal punto di vista del diritto canonico, infatti, il c. ha uno statuto particolare (Cappello, 1931; Walty, Odoardi, 1975); tra l'altro "richiede il beneplacito della S. Sede e il consenso del vescovo del luogo" (Dizionario enciclopedico, 1956) ed "esige in più l'erezione canonica specifica al riguardo e il pieno vigore, in atto, della regolare osservanza, segnatamente dell'ufficio corale, e della vita comune" (Zaccaria da San Mauro, 1950).Già nel latino classico la parola conventus ('adunanza', da convenire 'riunirsi') subisce uno slittamento semantico dall'astratto al concreto (Thes. Ling. Lat., 1906-1909), destinato a diventare poi particolarmente frequente in ambito ecclesiastico, dove è talvolta riferita a chiese o a diocesi e designa non solo il collegium monachorum ma anche il "Locus, seu Camera, ubi conveniunt Monachi, de rebus suis invicem deliberaturi" (Du Cange, 1884). Il termine conventus è attestato già nelle più antiche regole monastiche; con riferimento all'edificio, in particolare, sembra documentato almeno dal sec. 12° (Prati, 1970, che ricorda anche il toponimo Convento nel Cremonese, nel sec. 11° di proprietà benedettina), se non addirittura nel 954 nel Codex diplomaticus Cajetanus ("habeat palatium cum conbento"; Arnaldi, 1939); significativo anche un esempio del 1160 citato nel Dictionary of Medieval Latin (1981): "dedisse [...] XXV libratas terre [...] ad faciendum conventum de monialibus". Naturalmente la parola acquista una nuova vitalità e una particolare pregnanza (luogo dove i fratres conveniunt) in ambito francescano; tuttavia nei testi più antichi con riferimento all'edificio si parla piuttosto di locus (o locum), "il quale, chissà, meglio risponde all'ideale di povertà (quasi un albergo senza i comfort)" (Glossario, 1987, p. 430). Nella Cronica di Salimbene de Adam (1281-1288) accanto a loca conventualia ("non facerent loca conventualia nec congregarent in domibus") si trova anche una significativa attestazione di conventus ("cum quo in conventu Senensi una yeme habitavi").Mentre in francese covent sarebbe documentato con riferimento agli edifici fin dal sec. 12° (Wartburg, 1946), in italiano c., voce semidotta (Battisti, Alessio, 1951), compare per la prima volta nel Ritmo su sant'Alessio (vv. 149, 151), della fine del sec. 12°, ma con il significato etimologico di 'adunanza', documentato anche in Dante (per es. Par. XXIX, v. 109). Le più antiche attestazioni di c. nel senso concreto di 'edificio abitato da religiosi' sono state considerate (Battaglia, 1962; Cortelazzo, Zolli, 1979) quelle in due Laude (ante 1306) di Iacopone da Todi ("or vo cercanno onne convento / pochi ne trovo en cui sia consolato", 35, vv. 53-54; "Maledirà la spesa / lo convento che l'à presa", 53, vv. 99-100), significative perché di ambito francescano, ma alquanto dubbie circa la concretezza del designatum. Prati (1970) cita invece un passo del Decameron di Giovanni Boccaccio ("La quale a' frati di questo convento e a voi si toglie"; I, 6, 19), sostanzialmente analogo, ma in cui la presenza del dimostrativo sembra garantire al termine una maggiore fisicità. Più sicura, ma alquanto più tarda, risulta l'attestazione nelle Istorie fiorentine (1440 ca.) di Giovanni Cavalcanti ("Cercate i conventi de' frati, e trovereteli pieni di corpi di carogne de' vostri antichi").Recentemente sono state opportunamente segnalate (Glossario, 1987) svariate attestazioni di c. in una serie di documenti duecenteschi toscani e veneti, prevalentemente di carattere testamentario, il più antico dei quali è una lettera di Andrea de' Tolomei redatta a Siena nel 1265 (Castellani, 1982); anche qui, tuttavia, il termine, spesso coordinato ad abate, indica la comunità dei religiosi piuttosto che l'edificio da loro abitato; significativo, comunque, è il testamento della contessa Beatrice di Capraia, del 1278-1279, in cui c. si alterna a monastero con riferimento ai frati, mentre non viene mai adoperato per le comunità femminili (Testi fiorentini, 1926).
Bibl.: Fonti. - Codex diplomaticus Cajetanus, I, Montecassino 1887, p. 89; Ritmo su sant' Alessio, in Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, Milano-Napoli 1960, I, pp. 15-28: 24; A. Castellani, Prosa italiana delle Origini, I, Testi di carattere pratico, Bologna 1982, I, pp. 273-289; Testi fiorentini del Dugento e dei primi del Trecento, a cura di A. Schiaffini, Firenze 1926, pp. 235-243; Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, Bari 1966, I, pp. 54, 377; Iacopone da Todi, Laude, a cura di F. Mancini, Roma-Bari 1974, pp. 97, 150; Giovanni Boccaccio, Decameron, edizione critica secondo l'autografo Hamiltoniano, a cura di V. Branca, Firenze 1976, p. 54; Giovanni Cavalcanti, Istorie fiorentine, a cura di G. Di Pino, Milano 1944, p. 49.Letteratura critica. - Du Cange, II, 1884, pp. 545-546; Thes. Ling. Lat., IV, 1906-1909, col. 849; F.M. Cappello, s.v. Convento, in EI, XI, 1931, pp. 267-268; F. Arnaldi, Latinitatis Italicae Medii Aevi inde ab a. CDLXXVI usque ad a. MXXII lexicon imperfectum, I, Bruxelles 1939, p. 138; W. von Wartburg, Französisches Etimologisches Wörterbuch, II, 2, Basel 1946, p. 131; Zaccaria da San Mauro, s.v. Convento, in EC, IV, 1950, coll. 487-488; C. Battisti, G. Alessio, Dizionario etimologico italiano, II, Firenze 1951, pp. 1090-1091; Dizionario enciclopedico italiano, III, Roma 1956, p. 498; S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, II, Torino 1962, p. 720; A. Prati, Vocabolario etimologico italiano, Milano 1970, pp. 317-318; J.N. Walty, G. Odoardi, s.v. Convento, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, II, Roma 1975, coll. 1697-1703; M. Cortelazzo, P. Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, I, Bologna 1979, p. 279; Dictionary of Medieval Latin from British Sources, a cura di R.E. Latham, II, London 1981, pp. 479-480; Glossario degli antichi volgari italiani, a cura di G. Colussi, III, 3, Helsinki 1987, pp. 429-432.P. D'Achille
In architettura il termine c. è impiegato, oltre che per designare l'edificio in cui vive una comunità di frati mendicanti, anche in rapporto all'edilizia cenobitica orientale e come traduzione dell'arabo dayr, che però sottende un significato più ampio e insieme specifico, e che comunque indica oggi la sola costruzione chiesastica, essendo andate perdute le annesse strutture residenziali. Il c. Bianco (Dayr al-Abyaḍ) in Egitto, con la sua massa severa e squadrata richiama visivamente le forme dell'architettura conventuale occidentale.In questa voce si tratteranno, in particolare nei loro aspetti innovativi rispetto alla tradizione abitativa monastica, solo le soluzioni residenziali proprie all'architettura degli Ordini mendicanti maschili, che nel sec. 13° adottarono il termine, con esclusione delle case dei corrispondenti Ordini femminili e delle stesse Clarisse, legate a modelli più antichi e che conservano anche nominalmente il titolo di monasteri.Già dal secondo decennio del sec. 13° il problema della costruzione del c. si propose ai Domenicani, che, in quanto canonici regolari, avevano quale possibile riferimento per le loro esigenze abitative gli edifici degli ordini più antichi, e in particolare quelli cistercensi, salva la necessità di adeguarne lo schema ai vincoli di spazio imposti da una localizzazione all'interno delle cinte urbane o negli spazi ridotti di sobborghi popolosi e interessati da un rapido processo di espansione. La scelta quindi si venne a orientare naturalmente verso il modello claustrale, anche se non necessariamente inteso, agli esordi, come uno spazio racchiuso su tutti i lati dai locali destinati a uso comune, che sono fondamentalmente il capitolo, il refettorio, il dormitorio, le diverse officine (cucina, cantina, dispensa), il calefactorium e l'infermeria, più la biblioteca (armarium) e la scuola, che rappresentava un'aggiunta propria dei Mendicanti all'impianto tradizionale e ne sottolineava in qualche modo l'apertura sul mondo. Un ambiente particolare presente in alcuni c. domenicani è il predicatorium, di solito posto sopra il refettorio, consistente in una sala destinata agli esercizi di predicazione, da tenersi di fronte ai confratelli o in presenza di un pubblico selezionato. Quale caratteristica qualificante, fin dalla più antica fondazione dell'Ordine (Tolosa, Saint-Romain, 1216), sembra che le celle destinate ai frati avessero dimensioni un poco più ampie di quelle monastiche tradizionali, per potervi collocare oltre il letto un banco di studio: "edificatum est claustrum, cellas habens ad studendum et dormiendum desuper satis aptas" (Giordano di Sassonia, Libellus de principiis). Viceversa precise restrizioni furono poste all'altezza delle fabbriche conventuali dalle Costituzioni del 1228, allo scopo di affermare il carattere di povertà proprio dell'Ordine: "mediocres domos et humiles habeant fratres nostri, ita quod murus domorum sine solario non excedat in altitudine mensuram xii pedum, et cum solario xx" (Constitutiones Ordinis Fratrum Praedicatorum, XXXV). Le celle del dormitorio inoltre, separate l'una dall'altra mediante tramezzi lignei o con drappi, erano prive di porta verso il passaggio intermedio e la parete su questo lato era mantenuta bassa, in modo da consentire, dal corridoio, la vista dei frati seduti al loro banco o distesi sul letto durante il riposo.Per i Francescani il quadro insediativo originario si presenta in modo differente e meno omogeneo, in rapporto al diverso carattere, errante e continuamente proiettato al di fuori di una sede stabile, della iniziale fraternitas minorita, nella quale i frati che "vadunt per mundum" (Regula non bullata, XIV, 1) "in quibuscumque locis [...] apud alios ad serviendum vel laborandum" (Regula non bullata, VII, 1) costituiscono ancora il gruppo più numeroso, durante i due primi decenni di vita del movimento, rispetto ai fratres oratores, dediti alla preghiera nei romitori, o comunque morantes in locis. In questo periodo il problema della realizzazione di sedi stabili forse non era stato affrontato affatto e tanto meno si era accolto il tradizionale modello claustrale, limitandosi i Francescani a utilizzare abitazioni (loca) provvisorie e qualsiasi. Un accenno alle modalità di realizzazione di loca riservati per i frati, che sembra alludere all'idea del chiostro come clausura, è invero attribuito allo stesso Francesco: "faciant mitti magnam carbonariam in circuitu terre quam pro loci hedificatione acceperunt et ponant ibi bonam sepem pro muro [...] postea faciant fieri domos pauperculas ex luto et lignis constructas et aliquas cellulas ubi [...] possint orare et [...] laborare valeant" (Compilatio Assisiensis, 57). Un richiamo esplicito è poi nella Regula pro eremitoriis ("habeant unum claustrum, in quo unusquisque habeat cellulam suam, in qua oret et dormiat [...] et in claustro [...] non permittant aliquam personam introire"), ma richiami del genere valevano evidentemente solo per quei frati che sceglievano un'esperienza contemplativa ("illi qui volunt religiose stare in eremis") e non implicavano il riferimento alla tipologia architettonica tradizionale.L'impiego del chiostro nella prima edilizia residenziale francescana è infatti contraddetto dall'affermazione di Giordano da Giano: "Nescio quid sit claustrum; tantum edificate nobis domum prope aquam ut ad lavandum pedes in ipsam descendere possimus" (Chronica, 43); in genere le fonti letterarie testimoniano per i frati case e luoghi con solo due o tre ambienti (refettorio-cucina e dormitorio), costruiti con estrema semplicità, di rami intrecciati, di fango e di paglia, il cui ricordo sopravvive negli eremi isolati frequentati da Francesco (per es. la Verna, Greccio, Poggio Bustone, Fontecolombo, le Celle di Cortona, Monteluco). Anche nelle province d'Oltralpe (Francia, Germania e Inghilterra) le prime abitazioni furono dello stesso tipo, ma in questi paesi ben presto i c. si arricchirono di ulteriori spazi: non solo della sala capitolare (testimonata ad Arles nel 1224), dell'infermeria e delle altre tradizionali officine, ma di una biblioteca e dei locali destinati all'insegnamento.Negli ultimi anni di vita e dopo la morte di Francesco, la situazione mutò ovunque rapidamente, con l'avvicinamento al modello di vita monastico che accompagnò il processo di clericalizzazione e intellettualizzazione dell'Ordine e con la fondazione delle grandi chiese conventuali cittadine, cui vennero annesse abitazioni destinate a un elevato numero di frati. Le Costituzioni Narbonesi promosse da s. Bonaventura nel 1260 distinguono tra loca conventualia e loca non conventualia (Statuta, VIII, 6; Bihl, 1941, p. 285), specificando "conventum autem dicimus, ubi XIII fratres et supra possint continue commorari" (Statuta, IX, 20; Bihl, 1941, p. 295).Dalla seconda metà del Duecento sorsero i maggiori c. urbani, spesso con l'appoggio economico dei comuni, in cambio del quale i frati misero a disposizione le loro chiese per riunioni o cerimonie di carattere politico-religioso, conservarono nelle sagrestie libri e atti comunali o si impegnarono in attività di servizio, come ambascerie, o nella manutenzione e sorveglianza della cerchia muraria, nei frequenti casi in cui gli insediamenti sorsero in prossimità di questa. Lo schema tipologico del c. riprende quello monastico tradizionale con gli ambienti necessari alla vita dei frati disposti intorno al chiostro adiacente a un lato della chiesa; i successivi ampliamenti avvenivano mediante l'aggregazione di un secondo ed eventualmente di un terzo chiostro o di spazi scoperti quadrilateri (talora anche poligonali), ma privi di portici su tutti o su alcuni lati, attorno ai quali si disponevano i nuovi edifici. A ciascun chiostro spettano funzioni differenziate; al primo, più esterno, restano in genere legate le attività pubbliche e quelle connesse all'insegnamento.Tra il 1236 e il 1252 i Francescani avevano già creato studi pubblici o cattedre universitarie presso i loro c. di Parigi, Oxford, Bologna (dove avevano aperto una scuola di teologia fin dal 1223-1224), Napoli, Digione e Cambridge; nel 1450 le facoltà autorizzate o di fatto riconosciute dall'Ordine assommavano in Europa a oltre trenta. Accanto ai grandi complessi conventuali delle città universitarie e sedi di studi, o a quelli dei centri maggiori, non dissimili dai contemporanei impianti domenicani, sorsero moltissimi altri c. su schemi diversi e più semplici, che con una diffusione capillare interessavano un gran numero di città medie e anche piccole. Per avere un'idea dell'ordine di grandezza del fenomeno, si pensi che all'inizio dell'ottavo decennio del sec. 13° esistevano ormai in Europa, a fronte di quattrocentoquattro insediamenti domenicani, milleduecentosettantuno case dei Francescani, che alla fine del sec. 15° erano diventate oltre millecinquecento per i Conventuali e quasi altrettante per gli Osservanti. Ne consegue, per il numero stesso degli insediamenti e per la diversità di programmi e di mezzi, che le tipologie edilizie sono molto differenziate e non è possibile darne conto in forma sintetica. L'inconfrontabilità sotto ogni aspetto tra una sede fondata e poi sviluppatasi con l'appoggio della dinastia regnante come il Grand Couvent des Cordeliers di Parigi - che raccoglieva attorno alle sue corti una vasta sala capitolare, scuole, refettorio, infermeria, biblioteca e dormitori distinti per lettori, dottori e baccellieri in teologia, chierici e novizi, in edifici sviluppati su tre piani oltre quello basamentale - e un'altra come l'Eremo delle Carceri ad Assisi, asilo dei più rigorosi sostenitori dei princìpi propri all'originaria fraternitas, sottintende anche opposte scelte ideologiche. Infatti contro la politica dell'Ordine volta alla realizzazione dei grandi c. urbani avevano dapprima reagito alcuni compagni di Francesco e poi la corrente degli Spirituali, tornando ad abitare i romitori della valle di Rieti e del Subasio, conservati quasi intatti o integrati con la costruzione di un chiostro e di altri modesti edifici solo alla fine del sec. 14° e nel 15°, quando il diffondersi dell'Osservanza portò ovunque a una nuova fioritura di sedi piccole e umili.Un caso a parte è rappresentato dal Sacro Convento di Assisi, iniziato a costruire contemporaneamente alla basilica inferiore nel 1228. Le residue strutture riferibili all'impianto originario, visibili soprattutto nell'ala del palazzo papale (sicuramente già in uso nel 1253), che presenta al piano inferiore la sala capitolare e il primo dormitorio dei frati, configurano un complesso sviluppato su tre bracci intorno a uno spazio aperto pressappoco quadrato retrostante l'abside della chiesa (il futuro chiostro di Sisto IV). L'insolita soluzione, idealmente sviluppata intorno alla tomba del santo, dipende in parte dalla conformazione naturale del collis Infernii e rimanda forse ad alcuni prestigiosi modelli, come l'abbazia benedettina di Fulda. L'ampliamento del complesso portò alla realizzazione di un secondo spazio aperto sul lato verso Perugia (chiostro e cortile di S. Geronzio), attorno al quale s'innestano i corpi di fabbrica del cardinale Egidio Albornoz, e quindi sul lato sud alla creazione dell'ala della foresteria nova, completata nel sec. 15° con il soprastante grandioso refettorio e con il nuovo dormitorio dei frati. Questi fabbricati, testimonianze ormai di una concezione monumentale degli spazi conventuali, dall'esterno ribadiscono il carattere quasi di cittadella fortificata conferito sin dall'origine al complesso, con gli edifici residenziali innalzati su alti contrafforti intorno alla chiesa.Varietà di soluzioni in rapporto a esigenze e programmi diversi, ma anche alla disponibilità delle aree o al reimpiego di costruzioni esistenti, presentano d'altra parte gli insediamenti di tutti gli Ordini mendicanti: come i Francescani distinguono loca conventualia e loca non conventualia, e tra i primi indicano con il termine di magnae domus e sedi solemniores quelle connesse agli studi generali e a strutture universitarie, così per i Domenicani si hanno domus priorales e domus non priorales, conventus maiores e studia solemnia, cui corrispondono per gli Eremiti di s. Agostino e per i Carmelitani gli esempi dei Grands e Petits Augustins e dei Grands e Petits Carmes parigini. Sotto il profilo dell'organizzazione territoriale inoltre è prevista la qualifica di case madri, case generalizie, case provincializie, da cui dipendono i singoli c., e per quanto riguarda le istituzioni scolastiche, che rappresentano l'aspetto qualificante e più nuovo dell'attività conventuale, è rilevabile un'analoga articolazione. La legislazione domenicana richiedeva in ogni c. una scuola di teologia con un proprio lettore per la preparazione dei religiosi al loro ministero; in seguito, anche per la carenza di lettori qualificati, gli stessi frati attrezzarono scuole provinciali di arti e filosofia, la cui frequenza inoltre era indispensabile per accedere allo studio della teologia, per il quale disponevano sia di scuole specializzate in ogni provincia, con corsi triennali, sia di studia generalia interprovinciali (il primo aperto a Parigi e dal 1248 incorporato in quella università; altri in seguito a Colonia, Oxford, Montpellier e Bologna), coronamento dell'intero programma educativo dell'Ordine. Per gli aspetti edilizi indotti dalla strutturazione organizzativa delle scuole, risultano esemplari le considerazioni suggerite dall'esame del c. di S. Eustorgio a Milano, che nel 1297 raggiunse il numero di centoquarantaquattro frati, pur non essendo un centro di studi dove affluissero studenti di altre province (extranei). Le conseguenti accresciute esigenze di spazio vennero allora risolte senza alterare le dimensioni del dormitorio, costruito nel 1261 secondo il modello normativo già descritto, solo aumentandone la superficie utile con il sostituire i tramezzi lignei mediante altri in gesso: tutti i frati usufruivano di una semplice cella aperta e solo il lettore conventuale aveva diritto a una camera più grande e dotata di porta. Situazioni diverse, con ardui problemi di affollamento, si produssero invece laddove esisteva una notevole presenza temporanea di extranei e negli studia generalia, dove numerosi erano i lettori in carica, richiedendo in alcuni casi la trasformazione di un intero blocco di celle in camerae. In un breve volgere di anni, comunque, l'esigenza di disporre di camerae per "fratribus insignibus quibus convenienter negari non possint", come riconosce il Capitolo generale di Parigi del 1326 (Acta Capitulorum, 1898, p. 165), è ormai ovunque sentita (a Milano una tale costruzione venne realizzata nel 1320), inizio del processo di trasformazione spirituale e materiale dei primi insediamenti nei grandi complessi domenicani dei secc. 14° e 15° (Meersseman, 1946) che ugualmente investì, monumentalizzandoli, i chiostri e gli spazi di uso collettivo, come la sala capitolare e il refettorio (per es. il c. di S. Maria Novella a Firenze).
Bibl.: Fonti. - Acta Capitulorum generalium, a cura di B.M. Reichert, I, in Monumenta Ordinis Fratrum Praedicatorum historica, III, Roma-Stuttgart 1898; Giordano di Sassonia, Libellus de principiis Ordinis Praedicatorum, ivi, XVI, Roma 1935, pp. 3-88: 45; Galvano Fiamma, Chronica Ordinis Praedicatorum ab anno 1170 usque ad annum 1333, a cura di B.M. Reichert, ivi, II, 1897; Regula non bullata, in Opuscola sancti patris Francisci Assisiensis, a cura di K. Esser (Bibliotheca Franciscana ascetica Medii Aevi, 12), Grottaferrata 1978, pp. 239-294: 253, 266; Regula pro eremitoriis data, ivi, pp. 295-298; Giordano da Giano, Chronica Fratrum Minorum abbreviata, a cura di H. Denifle, V. Albers (Analecta Franciscana, 1), Quaracchi 1885, pp. 1-19: 13; Constitutiones Ordinis Fratrum Praedicatorum, a cura di H. Denifle, Archiv für Literatur und Kirchengeschichte des Mittelalters 1, 1885, pp. 193-227: 225; M. Bihl, Statuta generalia Ordinis edita in Capitulis generalibus celebratis Narbonae an. 1260, Assisii an. 1279 atque Parisiis an. 1292 (edito critica et synoptica), Archivum Franciscanum historicum 34, 1941, pp. 13-94, 284-358; Compilatio Assisiensis dagli scritti di Fra Leone e compagni su S. Francesco d'Assisi, a cura di M. Bigaroni, Assisi 1975.Letteratura critica. - G. Meersseman, L'architecture dominicaine au XIIIe siècle. Législation et pratique, Archivum Fratrum Praedicatorum 16, 1946, pp. 136-190; W.A. Hinnebusch, The History of the Dominican Order, I, Origins and Growth to 1500, Staten Island (NY) 1966; J.R.H. Moorman, A History of the Franciscan Order from its Origins to the Year 1517, Oxford 1968; Abbazie e conventi, Milano 1973; Intellectual and Cultural Life, II, New York 1973; L. Beaumont-Maillet, Le grand couvent des Cordeliers de Paris. Etude historique et archéologique du XIIIe siècle à nos jours, Paris 1975; J.N. Walty, G. Odoardi, s.v. Convento, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, II, Roma 1975, coll. 1697-1703; M.B. Mistretta, Francesco architetto di Dio. L'edificazione dell'Ordine dei Minori e i suoi primi insediamenti, Roma 1983; J.R. Moorman, Medieval Franciscan Houses (Franciscan Institute Publications. History Series, 4), New York 1983; L. Pellegrini, Insediamenti francescani nell'Italia del Duecento, Roma 1984; Per la storia dei conventi, "Atti del 2° Convegno di studi cappuccini, Roma 1986", Roma 1987 (con bibl.); Il sacro convento di Assisi, Bari 1988.C. Bozzoni