Convenzione di Lanzarote e indagini preliminari
La Convenzione di Lanzarote, siglata il 25 ottobre 2007 – che si prefigge quale obiettivo la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale – è stata ratificata dall’Italia con la l. 1.10.2012, n. 172, la quale ha altresì introdotto norme di adeguamento dell’ordinamento interno volte a rendere più efficace il perseguimento dei crimini in questione, al contempo assicurando adeguata tutela alle vittime. Il presente contributo, effettuata una preliminare ricognizione degli interventi normativi che hanno riguardato il diritto penale sostanziale e processuale, si incentra sulle modifiche che hanno riguardato la fase delle indagini preliminari ed, in particolare, i profili problematici connessi alla trattazione prioritaria dei procedimenti relativi ai reati di abuso e sfruttamento sessuale commessi in danno di minori, secondo il principio espresso nella Convenzione.
La Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, comunemente denominata di Lanzarote1, è diretta alla prevenzione dello sfruttamento e dell’abuso sessuale di ogni persona minore degli anni diciotto, alla protezione delle vittime degli sfruttamenti od abusi ed alla promozione della cooperazione nazionale ed internazionale contro tali crimini.
Essa si inserisce nel solco degli strumenti internazionali a tutela dei minori, tra i quali deve, per la sua prioritaria importanza, essere menzionata la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo firmata a New York il 29 novembre 1989.
Gli aspetti di maggior rilievo della Convenzione in commento sono costituiti: dall'introduzione di principi generali, tra i quali quello di non discriminazione; dalla previsione di misure, affidate ad autorità specializzate, per la protezione dei minori, nonché di specifici programmi di intervento volti alla tutela ed alla assistenza delle vittime; dall’attenzione incentrata alle necessarie modifiche da apportare alle norme penali sostanziali e processuali dei singoli Paesi; dai puntuali riferimenti alla cooperazione internazionale, funzionale al contrasto di taluni reati, sovente connotati da una dimensione transnazionale.
Per quel che riguarda i profili sostanziali, va sottolineato come la Convenzione definisce le condotte di abuso sessuale, di prostituzione minorile, di pedopornografia, di corruzione di minori, di adescamento dei medesimi e detta le regole in materia di giurisdizione dei singoli Stati, occupandosi altresì di sanzioni, circostanze aggravanti e valutazione di precedenti condanne.
Per quel che concerne il versante processuale si prevede (art. 30) che gli Stati adottino misure legislative o di altro genere per assicurare che le indagini e i procedimenti siano condotti nel migliore interesse del minore e nel rispetto dei suoi diritti, utilizzino un approccio protettivo nei confronti delle vittime, assicurando che indagini e procedimenti giudiziari non aggravino il trauma del minore e che la risposta del sistema giuridico sia accompagnata dall’assistenza al medesimo.
Per quanto attiene specificamente alla fase delle indagini, va rilevato che si prevede che esse siano effettive, consentendo, dove appropriato, la possibilità di utilizzare agenti sotto copertura e che siano costituiti unità o servizi investigativi per identificare le vittime di pedopornografia.
È inoltre prevista l’adozione di generali misure di protezione necessarie per salvaguardare i diritti e gli interessi delle vittime, inclusi i loro particolari bisogni come testimoni, ad ogni livello delle indagini e dei procedimenti giudiziari, mettendo in atto meccanismi di informazione delle vittime circa i propri diritti ed i servizi a disposizione e assicurando, almeno nei casi in cui le vittime e le loro famiglie si trovino in una situazione di pericolo, che siano informati quando una persona perseguita o condannata sia rilasciata temporaneamente o definitivamente.
Inoltre – e trattasi di aspetto che in virtù del suo rilievo sarà in seguito esaminato in dettaglio – è previsto che le indagini e i procedimenti penali siano effettuati con priorità e siano portati avanti senza ingiustificato ritardo, assicurando tuttavia che dette misure non pregiudichino il diritto alla difesa e la necessità di un processo giusto e imparziale.
Con la legge 1.10.2012, n. 172, approvata dopo un travagliato iter parlamentare2, è stata ratificata la Convenzione introducendo norme di adeguamento dell’ordinamento interno al fine di recepirne i contenuti.
Queste ultime hanno comportato modificazioni, tra l’altro, ai codici penale e di procedura penale nonché all’ordinamento penitenziario e alle norme in tema di misure di prevenzione.
Onde cogliere la portata complessiva dell’intervento legislativo ed al fine di comprendere appieno il quadro nel quale si collocano le modifiche al codice di rito, ed in particolare quelle che concernono la fase delle indagini preliminari, prima di occuparsi di queste ultime vanno menzionati i più significativi mutamenti che hanno riguardato il diritto penale sostanziale.
Sono state previste nuove fattispecie incriminatrici e rimodulate altre preesistenti.
L’art. 4, co. 1, lett. b), l. cit. ha introdotto l’art. 414 bis c.p., che prevede la nuova fattispecie di reato di pubblica istigazione o apologia a pratiche di pedofilia o pedopornografia, ed esclude la possibilità di invocare, quali esimenti, ragioni o finalità di carattere artistico, letterario, storico o di costume.
La successiva lett. c) della norma citata ha modificato l’art. 416, co. 7, c.p., introducendo una nuova fattispecie associativa – quella diretta a commettere taluno dei delitti previsti dagli artt. 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 quater.1, 600 quinquies, 609 bis (quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto), 609 quater, 609 quinquies, 609 octies (anche in tal caso quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto), e 609 undecies – sanzionata con pene più severe rispetto a quelle comminate per la fattispecie generale.
L’art. 4, co. 1, lett. d), della legge ha sostituito il previgente art. 572 c.p., inasprendo il trattamento sanzionatorio ed estendendo la tutela alle persone conviventi (oltre, dunque, la tutela già riconosciuta dalla giurisprudenza al solo convivente more uxorio).
Il legislatore è, inoltre, intervenuto in tema di prescrizione (art. 4, co. 1, l. cit.) raddoppiando il termine ordinariamente previsto dall’art. 157, co. 1, c.p. per il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.), per i reati di cui alla sezione I del capo III del titolo XII del libro II del codice, per i delitti di violenza sessuale (art. 609 bis c.p.), atti sessuali con minorenne (art. 609 quater), corruzione di minorenne (art. 609 quinquies) e violenza sessuale di gruppo (art. 609 octies), salvo che risulti la sussistenza della circostanza attenuante del «caso di minore gravità» (artt. 609 bis, co. 3, e 609 quater, co. 4). Il raddoppio del termine prescrizionale riguarda, infine, il reato di cui all’art. 416, co. 7, c.p., (introdotto, come detto, dall’art. 4, co. 1, lett. c, della legge in esame ed incluso dall’art. 5, co. 1, lett. a, n. 1, della legge medesima nell’elenco di cui all’art. 51, co. 3-bis, c.p.p.) di associazione diretta a commettere taluno dei delitti previsti dagli articoli 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 quater.1, 600 quinquies, 609 bis (quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto), 609 quater, 609 quinquies, 609 octies (quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto), e 609 undecies. Le modifiche hanno altresì riguardato le circostanze aggravanti del delitto di omicidio (ampliando l’ambito applicativo dell’aggravante “sessuale” dell’omicidio); le pene accessorie; la riformulazione delle fattispecie di prostituzione e pornografia minorile previste dagli artt. 600 bis e 600 ter c.p. (con la definizione normativa di pornografia minorile).
Gli interventi di modifica al codice di procedura penale sono inseriti nell’art. 5 della legge in esame.
L’art. 5, co. 1, lett. a), n. 1, modificando l’art. 51, co. 3-bis, c.p.p. ha attribuito al procuratore della Repubblica distrettuale, istituito «presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente», le funzioni di pubblico ministero per i procedimenti concernenti il citato delitto di cui all’art. 416, co. 7, c.p. Il n. 2 della norma in esame, modificando l’art. 51, co. 3-quinquies, c.p.p., analogamente ha provveduto con riguardo ai procedimenti per i reati di cui agli artt. 414 bis (pubblica istigazione o apologia a pratiche di pedofilia o pedopornografia) e 609 undecies (adescamento di minori) c.p.
Quanto alle misure cautelari, l’art. 5, co. 1, lett. b), ha previsto che la misura coercitiva dell’allontanamento dalla casa familiare di cui all’art. 282 bis c.p.p. possa essere disposta, anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 280 c.p.p., con riguardo, oltre ai reati già contemplati dal co. 6, a quelli di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600 c.p.), tratta di persone (art. 601 c.p.) ed acquisto ed alienazione di schiavi (art. 602 c.p.) se commessi in danno di prossimi congiunti.
Per quel che attiene alle modalità di assunzione degli atti, in tema di audizione di soggetti “vulnerabili”, l’art. 5, co. 1, lett. c), ha aggiunto il co. 1-ter nell’art. 351 c.p.p. stabilendo che la polizia giudiziaria, nei procedimenti per i delitti previsti dagli articoli 600, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 quater.1, 600 quinquies, 601, 602, 609 bis, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies e 609 undecies c.p., è tenuta ad avvalersi, quando deve assumere sommarie informazioni da persone minori, dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile, nominato dal pubblico ministero. La successiva lett. d), ha aggiunto il co. 1-bis nell’art. 352 c.p.p. imponendo analogo obbligo al pubblico ministero che intenda assumere informazioni da un minorenne, così come la lett. f), ha aggiunto il co. 5-bis nell’art. 391 bis c.p.p. per porre lo stesso dovere a carico del difensore che proceda ad investigazioni.
Le successive lett. g) ed h), hanno, rispettivamente, incluso fra i procedimenti in cui è consentita l’assunzione in incidente probatorio della testimonianza di un minorenne ovvero della persona offesa, anche al di fuori delle ipotesi previste dal co. 1 dell’art. 392 c.p.p., quelli per il reato di adescamento di minore di cui all’art. 609 undecies c.p. ed esteso a detto reato le modalità di assunzione della prova in incidente probatorio previste dall’art. 398, co. 5-bis¸ c.p.p.
In materia di provvedimenti coercitivi nell’immediatezza del fatto l’art. 5, co. 1, lett. e), poi, ha inserito la lett. d-ter) nell’art. 380, co. 2, c.p.p. per includere tra i reati per i quali vi è obbligo di arresto in flagranza il delitto di atti sessuali con minorenne di cui all’art. 609 quater, co. 1 e 2, c.p.
In tema di indagini, la lett. i) della norma in commento ha inserito tra i procedimenti per i quali è previsto il termine di durata massima delle indagini preliminari (due anni) quelli per il reato di cui al co. 2 dell’art. 600 ter, relativo al commercio del materiale pornografico minorile.
La lett. l), infine, in materia di riti alternativi, ha modificato l’art. 444 c.p. escludendo dal novero dei delitti per i quali è possibile il cd. patteggiamento allargato quelli di prostituzione minorile di cui all’art. 600 bis c.p.
Tirando le fila del discorso, si impone una conclusione, che vale quale premessa rispetto a quanto si osserverà nei paragrafi successivi.
Come espressamente affermato nella relazione ministeriale al disegno di legge relativo alla l. n. 172/2012, posto che – «la stipula della Convenzione è finalizzata alla realizzazione di un livello minimo comune di lotta contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale dei minori, senza escludere che ciascuno Stato possa continuare a disporre di misure più incisive o restrittive di quelle richieste dalla Convenzione stessa» – il «criterio seguito per l’elaborazione delle norme di attuazione della Convenzione nell’ordinamento italiano è stato quello di limitarsi agli interventi strettamente necessari ad assicurare che nel sistema normativo siano disponibili tutte le misure previste dalla Convenzione».
Si vedrà di seguito se detto criterio fosse quello più idoneo a realizzare gli scopi della convenzione di Lanzarote e, soprattutto se, effettivamente, siano state rese «disponibili», nel sistema normativo interno, «tutte le misure previste dalla Convenzione» stessa.
2.1 La competenza funzionale
Come detto innanzi sono stati attribuiti al procuratore della Repubblica distrettuale, istituito «presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente», le funzioni di pubblico ministero per i procedimenti concernenti il citato delitto di cui all’art. 416, co. 7, c.p.
In linea generale può affermarsi che tale intervento rende evidente come il legislatore, ormai da tempo, mostri di confidare sull’efficienza investigativa degli uffici di maggiori dimensioni, ai quali fa ricorso ogni qual volta si tratti di procedere per reati ritenuti di elevata pericolosità e destanti rilevante allarme sociale.
Le attribuzioni dei citati uffici inquirenti, infatti, sono state progressivamente estese, rispetto a quelle originarie.
Basti qui citare la l. 19.3.2001, n. 92, con riferimento al reato di associazione per delinquere in materia di contrabbando di tabacchi lavorati esteri; la l. 15.12.2001, n. 43, quanto ai delitti commessi con finalità di terrorismo; la l. 11.8.2003, n. 228, con riguardo ai delitti concernenti la tratta di esseri umani; la l. 23.7.2009, n. 99, quanto ai reati a tutela dei marchi e dell’industria, infine la l. 18.3.2008, n. 48 di ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica, sottoscritta a Budapest il 23.11.2001.
Può convenirsi con la scelta legislativa, attesa la indubbia gravità e l’innegabile peculiarità dei reati in questione, i quali richiedono specifiche professionalità anche in ragione dei soggetti vittime dei medesimi, nondimeno è auspicabile che i citati interventi legislativi estensivi delle attribuzioni delle procure di maggiori dimensioni nel futuro non proliferino.
Ciò non tanto per ragioni di carattere dogmatico – pure esistenti, in quanto tale ufficio non mutua le proprie funzioni da quelle dell’organo giudiziario presso cui è istituito, secondo la tradizionale regola dell’accessorietà, ma è al contrario titolare di attribuzioni proprie in relazione ai procedimenti per reati che rientrano nella competenza di tutti i tribunali del distretto – quanto per la considerazione, di carattere eminentemente pratico, secondo cui l’efficienza in larga misura dipende dal carico di lavoro del singolo ufficio inquirente. Allorché i carichi divengono eccessivi necessariamente l’incisività dell’intervento si riduce e, peraltro, intervengono forme di cd. discrezionalità di fatto (in quanto priva di vincoli o criteri discretivi generali e predeterminati, eventualmente per legge) nell’esercizio dell’azione penale, confliggenti con l’esigenza di effettiva applicazione del principio costituzionale della obbligatorietà dell’azione penale.
2.2 L’arresto in flagranza
Tra i reati per i quali vi è obbligo di arresto in flagranza è stato incluso il delitto di atti sessuali con minorenne di cui all’art. 609 quater, co. 1 e 2, c.p.
Trattasi di intervento normativo analogo a quelli operati con le leggi indicate nel paragrafo precedente.
In sostanza, ormai consueta e radicata è la tendenza del legislatore ad intervenire su più versanti allorché si tratti, come detto, di reati ritenuti di elevata pericolosità e destanti rilevante allarme sociale.
Nel caso in esame la modifica legislativa si appalesa come doverosa, stante la particolare gravità della fattispecie in questione, cui consegue una esigenza di tutela della collettività e della vittima idonea a giustificare la misura in esame.
Mette conto sottolineare che, come esattamente osservato3, l’ampliamento dell’elenco dei reati per i quali è previsto l’arresto in flagranza spiega i suoi effetti anche con riguardo ad altri settori; infatti numerose norme fanno rinvio al catalogo di cui all’art. 380.
In questa sede vanno evidenziate le disposizioni di cui agli artt. 270, co. 1, e 352, co. 2, c.p.p. Sulla base della prima di esse è possibile utilizzare intercettazioni di conversazioni telefoniche o tra presenti quando necessarie per l’accertamento del delitto di atti sessuali con minorenne, anche se disposte in procedimento diverso; sulla base della seconda, può procedersi a perquisizione personale o locale nei confronti del destinatario di ordinanza cautelare o di ordine di carcerazione per il citato reato.
2.3 Le misure cautelari
La misura coercitiva dell’allontanamento dalla casa familiare di cui all’art. 282 bis c.p.p. può essere disposta, come anticipato, anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 280 c.p.p., con riguardo ai reati di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600 c.p.), tratta di persone (art. 601 c.p.) ed acquisto ed alienazione di schiavi (art. 602 c.p.).
La disposizione che ha operato tale estensione, ossia l’art. 5, co. 1, lett. b), l. 1.10.2012, n. 172, invero, richiama anche gli articoli 600 septies, co. 1 e 600 septies, co. 2, che tuttavia disciplinano rispettivamente una circostanza attenuante e le pene accessorie e non già ipotesi di reato.
Ciò contribuisce a ridurre la portata pratica della modifica legislativa in esame, a proposito della quale va sottolineato solo il fatto che la sua applicabilità richiede che trattasi di reato commesso in danno di soggetti (prossimi congiunti o convivente) gravitanti nell’ambito domestico.
Va infine sottolineato che l’art. 2 d.l. 14.8.2013, n. 93 ha ulteriormente modificato l’art. 282 bis c.p.p., introducendo – tra gli altri aspetti – una serie di adempimenti volti a rendere edotta la vittima delle vicende inerenti l’indicata misura cautelare, così incrementando quei meccanismi – richiesti dalla Convenzione – funzionali alla protezione ed alla assistenza della vittima.
2.4 La durata delle indagini preliminari
È stata ampliata la categoria dei procedimenti per i quali è previsto il termine di durata massima delle indagini preliminari (due anni), includendovi quelli per il reato di cui al co. 2 dell’art. 600 ter, relativo al commercio di materiale pornografico minorile.
Devono, al riguardo, esser svolte considerazioni analoghe a quelle formulate a proposito del catalogo dei reati per i quali è previsto l’arresto in flagranza.
Varie, infatti, sono le disposizioni che fanno riferimento all’elenco di cui all’art. 407, co. 2, lett. a), c.p.p.; per i loro rilevanti effetti vanno menzionati l’art. 335, co. 3, disciplinante il regime della comunicazione agli interessati delle iscrizioni eseguite nel registro delle notizie di reato e, soprattutto, l’art. 303 c.p.p., in materia di durata massima dei termini di custodia cautelare.
Ne deriva che l’intervento in questione appare di positiva e non trascurabile portata.
2.5 L’assunzione di informazioni dalle persone minori
La l. n. 172/2012 si occupa dell’audizione dei soggetti vulnerabili da parte di tutti coloro che possono assumere informazioni nella fase delle indagini preliminari, ossia pubblico ministero, difensore e polizia giudiziaria.
Come anticipato, infatti, l’art. 5, co. 1, lett. c), ha aggiunto il comma 1-ter nell’art. 351 c.p.p. stabilendo che la polizia giudiziaria, nei procedimenti per i delitti previsti dagli articoli 600, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 quater.1, 600 quinquies, 601, 602, 609 bis, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies e 609 undecies c.p., è tenuta ad avvalersi, quando deve assumere sommarie informazioni da persone minori, dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile, nominato dal pubblico ministero. La successiva lett. d) ha modificato l’art. 352 c.p.p. introducendo il co. 1-bis, che impone un analogo obbligo al p.m. che intenda assumere informazioni da un minorenne, così come la lett. f), ha aggiunto il co. 5-bis nell’art. 391-bis c.p.p. per porre un dovere affine a carico del difensore che proceda ad investigazioni.
La necessaria presenza dell’esperto riguarda l’escussione sia delle vittime che delle persone informate sui fatti costituenti i reati sopra elencati, allorché costoro siano minori e concerne tutti i casi di raccolta di informazioni in fase investigativa ed in assenza di contraddittorio (diverso è, infatti, sul punto, il regime previsto per l’incidente probatorio, non sussistendo analogo obbligo di avvalersi dell’esperto per il giudice, pur essendo comunque previste modalità protette di conduzione dell’esame).
Ciò posto, occorre chiedersi quali siano le conseguenze derivanti dall’inosservanza delle disposizioni de quibus.
In merito all’ipotesi di esame del minore informato sui fatti direttamente da parte dell’esperto, senza la presenza, nei vari casi, del p.m., del difensore o dell’appartenente alla polizia giudiziaria, si è ritenuto che, non essendo consentita una delega della raccolta di dichiarazioni al tecnico, le dichiarazioni rese siano radicalmente inutilizzabili4, con riferimento a ciascuno degli ambiti di utilizzabilità degli atti contenenti dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari, dunque con riguardo alle misure cautelari, ai riti alternativi cd. a prova contratta ed alle contestazioni in sede di esame dibattimentale.
Tale conclusione è da condividersi, ma non sulla base della disposizione di cui all’art. 228 c.p.p., nella parte in cui delimita l’ambito di utilizzabilità degli “elementi acquisiti” dal perito nello svolgimento del proprio incarico. Difatti, sebbene il divieto previsto per il perito debba essere esteso ai consulenti tecnici delle parti, per un verso, appare problematica la riconducibilità della figura dell’esperto a quella dei consulenti di parte e, per altro verso, è da escludersi l’inserimento dell’attività del suddetto esperto nell’alveo di quelle demandate a periti e consulenti, posto che quella dell’esperto in psicologia o in psichiatria infantile consiste nell’assistere gli organi deputati alla raccolta di informazioni al fine di tutelare il dichiarante, soggetto debole, e solo indirettamente la genuinità della deposizione, laddove il potere “istruttorio” che si esprime nella possibilità per il perito di richiedere direttamente notizie anche alla persona offesa od alle persone informate sui fatti è funzionale allo svolgimento dell’incarico, e strumentale, quindi, alla valutazione ed alla elaborazione critica tecnico-scientifica dei dati materiali pertinenti al reato. Deve, piuttosto, applicarsi l’art. 191 c.p.p., trattandosi di elemento di prova acquisito in violazione dei divieti stabiliti dalla legge, venendo cioè in rilievo un incombente istruttorio formato da un soggetto che non è ricompreso nel novero di coloro che possono compiere atti di indagine.
Quanto, invece, alla diversa ipotesi di dichiarazioni assunte da uno dei soggetti a ciò legittimati ma in assenza dell’esperto, deve osservarsi che il sistema ordinamentale non ha previsto, a presidio dell’osservanza della regola in commento, alcuna sanzione di nullità, né è ipotizzabile l’inutilizzabilità dell’atto, trattandosi di mera irregolarità.
Tuttavia, ove si ritenga che la presenza dell’esperto, oltre a tutelare il soggetto vulnerabile, indirettamente assicura anche la genuinità della deposizione, ne deriverà una ridotta valenza probatoria del contenuto degli atti così assunti, sebbene rimessa alla libera valutazione del giudice.
In ogni caso, come accennato, va considerato che la prova dichiarativa del soggetto debole verrà comunque formata, verosimilmente, in sede di incidente probatorio, che sarà celebrato, a garanzia della vittima e della genuinità dei materiali conoscitivi ivi creati, ai sensi dell’art. 398, co. 5, bis c.p.p., con particolari modalità protette di audizione del minore.
Si sono innanzi sottolineati gli aspetti positivi della l. n. 172/2012. Vanno in questa sede evidenziate le lacune in punto di attuazione della Convenzione.
A tale riguardo va osservato che, se non priva di rilievo è quella riguardante l’assenza di una specifica disciplina inerente la possibilità di utilizzare nell’ambito dell’attività investigativa agenti provocatori, ancor più significativo è il dato che inattuata è rimasta una parte essenziale della Convenzione stessa; su di essa, dunque, occorrerà di seguito soffermarsi.
La Convenzione, difatti, nel capitolo VII, specificamente dedicato ad indagini, procedimenti e diritto procedurale, prevede, all’art. 30, dedicato ai principi, che «ciascuna Parte dovrà assicurare che le indagini e i procedimenti penali siano effettuati con precedenza e siano condotti senza ingiustificato ritardo».
È evidente, dunque, che il legislatore nazionale avrebbe dovuto individuare criteri di priorità nella trattazione dei procedimenti de quibus.
Il fatto che ciò non sia avvenuto, è frutto non di una dimenticanza ma della complessità della tematica in esame.
L’art. 111 Cost. dispone che «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge» e prevede, altresì, che «la legge ne assicura la ragionevole durata».
Innegabile è, dunque, al massimo livello normativo interno, l’individuazione del fattore temporale quale aspetto – ovviamente, uno degli aspetti – connotante l’ontologia del processo in termini tali da consentire di definire “giusto” il processo stesso.
Altrettanto indiscutibile è, poi, un altro dato: i tempi necessari affinché si pervenga ad una decisione definitiva, ossia tendenzialmente stabile, riguardante l’accertamento di un fatto e la sua attribuzione ad un determinato soggetto, sono la risultante del periodo di durata del giudizio, nelle sue varie fasi e nei suoi diversi gradi, sommato all’arco temporale delle indagini preliminari antecedenti l’esercizio dell’azione penale.
In questa prospettiva, il recente trend normativo si connota per l’introduzione di criteri di prorità nella formazione dei ruoli di udienza per i processi relativi a taluni reati di particolare gravità5.
Dette disposizioni, tuttavia, riguardano il giudice, in particolare il dirigente dell’ufficio giudicante.
Occorre chiedersi se analoghe disposizioni siano previste per il pubblico ministero, tenuto conto che questi è destinatario dell’obbligo di esercitare l’azione penale, ai sensi dell’art. 112 Cost.
Il legislatore ordinario, nel delineare il nuovo assetto degli uffici requirenti, ha fatto riferimento, sia pur implicitamente, alla tematica inserendo – all’art. 4 del d.lgs. 20.2.2006, n. 106 – una previsione in forza della quale il procuratore della Repubblica può definire i «criteri generali da seguire per l’impostazione delle indagini in relazione a settori omogenei di procedimenti», nella prospettiva dell’efficiente utilizzazione delle risorse umane e finanziarie a disposizione dell’ufficio.
Su tali basi, potrebbe ipotizzarsi che la norma in questione abbia introdotto un criterio teleologico idoneo ad orientare la discrezionalità dei dirigenti degli uffici requirenti, attraverso la finalizzazione dei criteri de quibus alla gestione delle risorse finanziarie ed umane, dotando al contempo i medesimi dirigenti di uno strumento operativo che consente di massimizzare l’uso delle risorse rispetto alla mole dei procedimenti pendenti.
Dovrebbe riconoscersi, conseguentemente, che il legislatore ha preso atto di una situazione caratterizzata dall’esistenza di carichi di lavoro di entità tale da imporre delle scelte in tema di prioritaria perseguibilità di taluni reati rispetto ad altri.
Nondimeno va osservato che diversa è la opzione sistematica prescelta dal Consiglio superiore della magistratura (in particolare, con le delibere del 9.11.2006 e del 15.5.2007), il quale colloca i criteri di priorità «sul piano dell’organizzazione dell’attività giudiziaria» e non già sul diverso piano – che potrebbe definirsi costituzionalmente inclinato – della “selezione finalistica” delle notitiae criminis o dei procedimenti6.
Ne consegue che, a livello di legislazione ordinaria, quanto all’attività requirente, per un verso, non si prevedono criteri di priorità nella trattazione dei procedimenti enunciati in via generale, astratta e tassativa, come per il giudice, e, per altro verso, si dispone che i dirigenti delle procure della Repubblica indichino criteri generali volti a favorire un efficiente impiego delle non illimitate risorse a loro disposizione.
Questo essendo il quadro normativo, non può che concludersi affermando che, pur a voler ritenere che in capo ai dirigenti degli uffici requirenti di primo grado non vi sia un vero e proprio obbligo di adottare progetti organizzativi che contengano disposizioni in materia di criteri di priorità, nondimeno una oculata gestione dell’ufficio rende opportuno prevedere i medesimi in tutte quelle situazioni nelle quali il livello delle risorse appare inadeguato a fronteggiare tempestivamente l’intero carico di lavoro.
Da ciò deriva che, sebbene la disposizione di cui all’art. 30, co. 3, della Convenzione di Lanzarote possa non esser considerata direttamente vincolante per i titolari dell’azione penale, stante la sua natura di norma generale necessitante di apposita disciplina di attuazione, nondimeno essa potrebbe fungere da criterio orientativo per i dirigenti degli uffici requirenti, nel senso che essi ben potrebbero inserire tra i procedimenti necessitanti di trattazione prioritaria, nella fase delle indagini preliminari, quelli relativi ai reati di cui alla pluricitata convenzione, attesa la loro innegabile gravità nonché le peculiari esigenze di tutela delle vittime degli stessi.
1 La convezione prende il nome dalla località nella quale fu aperta alla firma il 25 ottobre 2007, dopo essere stata adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 12 luglio 2007; è stata sottoscritta dall’Italia il 7 novembre 2007 ed è entrata in vigore il 1° luglio 2010.
2 Il relativo disegno di legge è stato approvato dal Senato della Repubblica solo in sesta lettura.
3 Cfr. Viggiano, F., Art. 380, in Conso, G.-Grevi, V., Commentario breve al Codice di Procedura penale, Padova, 2005, 1261.
4 Recchione, S., Le dichiarazioni del minore dopo la ratifica della convenzione di Lanzarote, in www.penalecontemporaneo.it, 8.3.2013.
5 Nello specifico, il d.l. 23.5.2008, n. 92, convertito con modificazioni dalla l. 24.7.2008, n. 125, ha disciplinato, all’art. 2 bis, la trattazione di alcuni giudizi caratterizzati da indici di gravità ed urgenza. Tale norma ha sostituito il testo del previgente art. 132 bis disp. att. c.p.p. (limitato, nell’individuazione delle priorità, alle urgenze cautelari), introducendo una regolamentazione di dettaglio delle priorità da assicurare ad alcuni procedimenti nella fissazione dei ruoli di udienza e nella loro trattazione dibattimentale, e rimandando, quanto alla realizzazione di tale finalità, ad un provvedimento del dirigente dell’ufficio giudicante. Il citato art. 132 bis disp. att. c.p.p., espressamente indica quali siano i processi alla cui trattazione, per utilizzare la testuale espressione normativa, «è assicurata la priorità assoluta». Tuttavia, come è evidente, tale disciplina incide sul versante del processo e, sopra tutto, la prescrizione di legge riguarda l’ufficio giudicante.
6 Non priva di rilievo è in materia, la cd. normazione secondaria del C.S.M. Già nella citata risoluzione del 9.11.2006, il Consiglio affermava che «i dirigenti degli uffici (inquirenti e giudicanti) possono e devono, nell'ambito delle loro competenze in tema di amministrazione della giurisdizione, adottare iniziative e provvedimenti idonei a razionalizzare la trattazione degli affari e l'impiego, a tal fine, delle (scarse) risorse disponibili. Addivenire a scelte organizzative razionali, nel rispetto del principio della obbligatorietà dell'azione penale (art. 112 Cost.) e di soggezione di ogni magistrato esclusivamente alla legge (art. 101, co. 2, Cost.), risponde ai principi consacrati dall'art. 97, co. 1, Cost. – riferibile anche alla amministrazione della giustizia – che richiama i valori del buon andamento e della imparzialità della amministrazione con riferimento alle scelte che gli uffici adottano nella loro unità. Tali scelte … dimostrano la capacità e volontà dei dirigenti degli uffici di non rassegnarsi a una giurisdizione che produce disservizio, assumendosi la responsabilità di formulare progetti di organizzazione che, sulla base dell'elevato numero degli affari da trattare e preso atto delle risorse umane e materiali disponibili, esplicitino le scelte di intervento adottate per pervenire a risultati possibili e apprezzabili». In seguito all’entrata in vigore del citato d.l. 23.5.2008, n. 92, il Consiglio superiore ha conseguentemente approvato, con delibera del 13 novembre 2008, una risoluzione in materia di provvedimenti organizzativi da adottare in attuazione (anche) dell’art. 2 bis citato, delibera in cui, si osserva, tra l’altro, come «l’imprescindibile implicazione che la selezione di priorità comporta sul principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale» e sul suo corretto, puntuale ed uniforme esercizio, implica la necessità che il dirigente dell’ufficio giudicante intervenga al riguardo mediante un opportuno concerto con il procuratore della Repubblica. Il medesimo Consiglio ha poi adottato, in data 21 luglio 2009, una risoluzione in materia di organizzazione degli uffici del pubblico ministero, con la quale ha rilevato come l’assetto ordinamentale che disciplina il sistema organizzativo degli uffici requirenti imponga ai procuratori della Repubblica, «nella loro veste di titolari esclusivi dell’azione penale, il raggiungimento di tre obiettivi, destinati ad avere ricadute essenziali in punto di organizzazione ed il raggiungimento dei quali rientra nella loro piena responsabilità». Tra essi quelli della «ragionevole durata del processo e del corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale nel rispetto delle norme sul giusto processo». Ai fini che qui particolarmente rilevano, si è previsto che per il raggiungimento del primo di detti obiettivi, «i dirigenti degli uffici requirenti compiono un’attenta, costante e particolareggiata analisi dei flussi e delle pendenze dei procedimenti e … nel rispetto del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, sentiti i presidenti dei tribunali per i profili organizzativi attinenti alla fase processuale, elaborano possibili criteri di priorità nella trattazione dei procedimenti».