Convenzioni costituzionali
Le convenzioni costituzionali sono gli accordi che intervengono tra i soggetti politici su questioni in materia costituzionale. Esse comprendono sia intese per risolvere questioni di attuazione delle norme costituzionali, sia veri e propri patti che definiscono le coordinate di funzionamento di un sistema politico, anche al di là delle procedure formali indicate in Costituzione. Non può escludersi che le stesse siano oggetto di sindacato in sede giurisdizionale.
Le vicende politiche pi recenti hanno visto riapparire la figura del contratto. In Germania a seguito delle elezioni del 24 settembre 2017 la CDU, unita alla CSU, e la SPD hanno sottoscritto un contratto di coalizione per la formazione del governo1. In Italia le elezioni del 4 marzo 2018 hanno visto per ognuna delle coalizioni che si sono presentate al voto l’impossibilità di formare da sole il governo. Si è proceduto dapprima ad un singolare lavoro per individuare le convergenze tra i programmi di due partiti, Movimento 5 Stelle e Lega, che pure si erano presentati in maniera distinta alla competizione elettorale2; successivamente si è firmato il Contratto per il governo del cambiamento3, sulla cui base si è proceduto alla formazione dell’esecutivo. Insomma, la figura del contratto è entrata appieno nelle dinamiche istituzionali. Tutto ci rimette in primo piano la nozione di convenzioni costituzionali, che riprende la terminologia inglese di conventions of the constitution, e che indica gli accordi che intervengono tra i titolari degli organi supremi per risolvere questioni relative alla concreta applicazione di norme costituzionali e/o legislative4. Invero, non si è mancato di notare che il contenuto delle convenzioni potrebbe essere molto pi ampio e riguardare non solo l’attuazione di norme preesistenti, quasi a completarne l’oggetto, ma in maniera molto pi “libera” creare regole di comportamento per i soggetti sovrani, a prescindere dalle norme giuridiche vigenti5. Nelle elaborazioni dottrinali prevale la considerazione che le convenzioni siano accessorie rispetto alle norme costituzionali e legislative. Non a caso si è rilevato che queste ultime «sono regole che presuppongono comunque la esistenza di norme legali, e cioè quel minimo di norme che individuano le autorità sovrane e dettano i requisiti di validità giuridica dei loro atti»6. Si riprende spesso la qualificazione di Dicey sul sistema inglese di fine Ottocento, secondo cui convenzionali sono quelle «rules for determining the mode in which the discretionary powers of the Crown (or the Ministers as servants of the Crown) ought be exercised»7. Tali definizioni muovono dalla premessa che funzionino i sistemi procedurali di designazione dei titolari del potere politico, ad iniziare da quelli elettorali, e quindi tali soggetti siano legittimati alla stregua delle regole esistenti. Eppure, ci non è affatto scontato. Ci si dovrebbe interrogare sull’estensione della nozione di convenzioni e se effettivamente le stesse intervengano solo dopo l’instaurazione di un ordinamento e siano per definizione sempre secundum ordinem. Allorquando, ad esempio, si è notato che, per quanto attinenti all’esercizio di poteri previsti dalla Costituzione, le regole convenzionali non possono considerarsi implicite in quest’ultima, e che talvolta si fondono su prassi corrispondenti ad ipotesi diverse da quelle previste nelle norme costituzionali, anche se non contrarie8, si è ampliato l’ambito di riferimento per guardare alla forma di governo nel concreto svolgimento. Cos l’attenzione è stata rivolta all’intesa ad excludendum, praticata in Italia ed in Francia sin quasi alla fine dello scorso secolo, «in base alla quale uno o pi partiti sono stati considerati al di fuori dell’area utilizzabile per il sostegno parlamentare ad un Gabinetto»9. A questo punto la considerazione va estesa a tutti quei fatti che “spiegano” il funzionamento di un ordinamento, siano essi prodotti di un vero e proprio accordo tra titolari di poteri politici, oppure solo decisioni unilaterali cui non segue efficace reazione da parte di altri e che risultano «non osteggiate»10. Può trattarsi di singole intese adottate per far fronte ad un evento determinato, oppure di soluzioni volte a fare precedente per il futuro. Possono considerarsi sia ipotesi di “usurpazione di un potere” da parte di un organo a danni di altri11, sia quelle in cui l’utilizzo di un potere ovvero di un pezzo di potere altrui si giustifica alla stregua del criterio di collaborazione tra gli organi costituzionali12. Potrebbe dirsi che – come nelle relazioni tra privati accanto al vero e proprio accordo negoziale vi è il rapporto che si instaura in via di fatto sino alla valorizzazione della cd. responsabilità da contatto sociale – nelle dinamiche costituzionali sono da considerare i rapporti tra gli organi politici per come si svolgono a seguito di decisioni concordate ovvero solo di iniziative pervenute ad esito per mancanza di efficaci reazioni.
In tal modo la nozione di convenzione si estende a tanti fatti e comprende sia ipotesi in cui risaltano i profili di correttezza e/o galateo istituzionale (ad esempio, le dimissioni del Governo dopo l’elezione del Presidente della Repubblica, definite meramente formali); sia fattispecie in cui prevale l’efficacia integrativa di norme costituzionali specie in ordine alla procedura da seguire (ad esempio le consultazioni del Presidente della Repubblica per la formazione del Governo o per lo scioglimento delle Camere; il coinvolgimento di tutti i soggetti che interverrebbero in occasione di impedimento permanente del Capo dello Stato già nella fase di verifica di tale presupposto, come avvenuto nel 1964 per il Presidente Segni); sia le vicende che si pongono a fondamento del medesimo ordinamento. Sono queste ultime le ipotesi pi interessanti, quelle che potrebbero definirsi di sistema. Non può infatti trascurarsi che la Repubblica è nata dal cd. patto di Salerno che nel 1944 permise l’accordo tra il Re ed i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale per risolvere la cd. questione istituzionale e che comportò il ritirarsi di Vittorio Emanuele III dalla scena politica, l’ingresso dei partiti antifascisti nel Governo e la devoluzione della scelta tra monarchia e repubblica ad un’assemblea costituente, secondo quanto poi riportato nel d.lgs.lgt. 25.6.1944, n. 151. Quell’accordo segnò la reciproca legittimazione dei partiti antifascisti attorno ad alcuni valori che avrebbero dovuto ispirare la nuova Costituzione e che, concretamente, hanno caratterizzato la vita della cd. prima Repubblica, non tanto sino alle trasformazioni della legislazione elettorale, quanto sino all’apparizione ed all’affermazione di forze politiche estranee a quella fase storica. Sebbene il patto di Salerno fosse indotto dalla situazione particolare e, quindi, per definizione insuscettibile di integrare un precedente, lo stesso ha segnato gli svolgimenti politici successivi, già allorquando si è intervenuto in sua modifica trasferendo la decisione sulla scelta istituzionale al corpo elettorale e dando vita al referendum del 2 giugno 1946, con il d.lgs.lgt. 16.3.1946, n. 98. In fondo la partecipazione a quell’accordo è stata il criterio di riconoscimento dei soggetti politici legittimati a dare attuazione alla Costituzione, riconosciuti competenti ad intervenire sull’impianto originario della stessa e, quindi, a discriminare tra sue modificazioni lecite ovvero eversive. Esso ha proiettato la sua efficacia sulle dinamiche successive, sia per mantenere i rapporti tra quei partiti anche dopo la “rottura” nel 1947 dell’unità ciellenistica13, di modo che la stessa conventio ad excludendum è una costola di quell’accordo, una sorta di sua “correzione”; sia per dare sostegno all’esperienza del consociativismo, una volta venuta meno la preoccupazione di rivolgimenti dell’ordinamento. Il patto di Salerno ha espresso un’indubbia stabilità sul sistema politico italiano14. La stessa decisione assunta dal 1976 e sino al 1994 di assegnare la presidenza della Camera dei deputati ad un esponente dell’opposizione può essere intesa come ancora un riflesso dell’accordo del 1944 tra gli eredi dei soggetti politici contraenti quel patto. Anzi, la convenzione di nominare presidenti di assemblea esponenti dei partiti di maggioranza e di opposizione ha predisposto gli strumenti di preservazione del modello consociativo ed ispirato la legislazione di quegli anni, ad iniziare da quella sulle autorità di garanzia ed indipendenti15. L’innovazione elettorale del 1993 ha modificato quei presupposti. Tutt’oggi il sistema istituzionale è alla ricerca di regole che ne assicurino stabilità16 e da valere sul piano del comune ethos pubblico. Tali fatti non sono esterni alla considerazione di diritto costituzionale, ne sono parte integrante.
Molte convenzioni costituzionali – quelle per così dire di sistema – sono allora una sorta di prius rispetto al medesimo diritto posto in maniera formale. L’impianto costituzionale non potrebbe nemmeno essere conosciuto in assenza del contesto nel quale sono assunte le decisioni, molte delle quali appunto su base convenzionale nell’ampia accezione. Talvolta le convenzioni proceduralizzano l’esercizio del potere, sia quello originario che dà luogo alla formazione di un ordinamento (il vero e proprio potere costituente), sia quello che si muove all’interno di una data cornice e che per questo risulta in parte pre-definito (potere costituito). Già Max Weber aveva posto l’attenzione sul fatto che «ogni potere cerca … di suscitare e di coltivare la fede nella propria legittimità» e che tra i presupposti del potere legale si pone un diritto «statuito razionalmente rispetto al valore o rispetto allo scopo (o a entrambi), mediante pattuizione o imposizione»17. Il procedimento negoziale o amministrativo assolve, infatti, una funzione di legittimazione quanto mai efficace e non a caso iter procedurali si ritrovano anche nelle forme di potere tradizionale e carismatico, quasi che il “rito” assolva di per s un ruolo di giustificazione del potere medesimo. Se si aggiunge la forza di persuasione che discende dal consenso delle parti, si spiega che il “contratto” assume un’efficacia simbolica particolarmente intensa: un’efficacia che nel campo dei rapporti politici non vale solo per le parti, come nel diritto civile, ma per tutti i soggetti dell’ordinamento. Del contratto tipico del diritto civile la convenzione costituzionale sembra assumere la valenza evocativa del patto; subito dopo, per , nel campo politico l’accordo realizzato non è pi assimilabile al negozio tra privati giacché gli impegni sono assunti non da individui, ma dai titolari di organi costituzionali18 ovvero da rappresentanti politici per conto delle rispettive forze, e comunque con effetti per l’intero ordinamento. Le convenzioni, almeno una loro parte, sono dunque i fatti normativi per eccellenza. Certo, la convenzione è tanto più “facile” da raggiungere e/o da (far) accettare se si mostra coerente con alcuni presupposti già accolti in sede istituzionale. Gli accordi non sono nuovi nella pratica dei governi di coalizione. Il Contratto per il governo del cambiamento si pone in continuità con alcuni tasselli del quadro costituzionale, per altro verso lo innova. Che un Governo si formi attorno ad un programma è riconosciuto dalla Costituzione che richiede la «mozione motivata» per accordare o revocare la fiducia (art. 94) e parla di «politica generale del Governo» (art. 95). Che al momento della presentazione delle candidature i partiti depositino il «programma elettorale» è stato previsto dalla l. 21.12.2005, n. 270, per l’idea che si stipuli un vero e proprio patto tra partiti ed elettori – addirittura con l’intero Paese19; ci è stato confermato dalla pi recente l. 6.5.2015, n. 52. La firma di un patto con gli elettori è, quindi, giustificata da principi forti quali la tendenza a dare contenuto alla rappresentanza politica negli ordinamenti contemporanei ed a vincolare pertanto gli eletti in nome della sovranità da riconoscere agli elettori, ed ancora per la responsabilità politica degli eletti. Non vi è estranea la dimensione di spettacolarizzazione delle vicende politiche. L’una e l’altra tendenza (l’impegno nei confronti degli elettori attorno un programma e la spettacolarizzazione) si accompagnano pressoché inevitabilmente all’identificazione leaderistica. Epperò, tali procedure si scontrano con altri istituti costituzionali, quale il potere di scelta del Presidente del Consiglio ad opera del Capo dello Stato ex art. 92 Cost., e con il carattere (definito) compromissorio della democrazia parlamentare che dovrebbe privilegiare le mediazioni che intervengono nelle Camere20. Nella vicenda del Contratto per il Governo del cambiamento i tasselli istituzionali indicati sono stati “rovesciati” e quasi utilizzati per preparare sul piano mediatico il terreno di legittimazione dei soggetti risultati detentori di potere. La forzatura istituzionale attiene al fatto che esso associa nell’esecutivo forze politiche che all’elettorato si erano presentate in contrapposizione. Allora il contratto non porta a compimento la logica della responsabilità politica che muove dall’impegno assunto con gli elettori, ma vi sostituisce la diversa logica del patto tra soggetti forti i quali usano appieno gli strumenti della comunicazione mediatica, apparendo come coloro che per primi si sottopongono a regole, ma dagli stessi stabilite. Nella dinamica espressa dalle convenzioni di sistema vi è non tanto l’autonomia dei soggetti politici21, quanto il loro potere, talvolta allo stato per così dire bruto. Vi sono poi i terzi soggetti che sono i destinatari del potere esercitato, ed ai quali la soluzione espressa dalla convenzione risulta alla fine imposta. Può trattarsi di uno o pi organi costituzionali; in generale è l’intero corpo sociale che assiste ad una decisione politica che pure lo riguarda, assunta al di fuori dei procedimenti previsti nella stessa Costituzione. Il fenomeno delle convenzioni costituzionali “stressa” l’art. 1 che prevede l’esercizio della sovranità “nelle forme e nei limiti” previsti dalla stessa Costituzione. Ora, tale nozione comprende almeno i procedimenti indicati in Costituzione ed ivi regolati nelle linee essenziali. La decisione, specie se di contenuto fondamentale, assunta in un procedimento diverso da quelli previsti si pone sulla soglia estrema delle “forme” previste dall’art. 1, se non addirittura contro. È certo la “logica del potere” che è refrattario ad ogni regolamentazione; vi si contrappone, per , la caratteristica dello Stato costituzionale che pone limiti al potere o, almeno, tenta di regolamentarne l’esercizio. A rimanere coerenti a quest’ultima logica, occorre fare un passo avanti per tentare di rischiarare almeno un poco l’“aspetto oscuro” che riguarda le convenzioni costituzionali ab origine22 ed insistere sulla loro giustiziabilità.
Comunemente si afferma che le convenzioni costituzionali non possano essere oggetto di cognizione in sede giurisdizionale n direttamente n quali parametri interposti di costituzionalità. Esse non sarebbero justiciables, almeno finché non si tramutino in vere e proprie consuetudini. Le convenzioni, allora, “scompaiono” nella sede giurisdizionale: ne offre un significativo esempio la sentenza 18.1.1996, n. 7 della Corte costituzionale sul caso Mancuso, in cui si affrontò l’ammissibilità della sfiducia individuale al Ministro votata al Senato malgrado l’assenza di norme al riguardo, e che la Corte risolse appunto alla stregua di consuetudini integrative conformi agli artt. 92, 94 e 95 Cost., quasi a fare applicazione diretta di tali norme piuttosto che di convenzioni parlamentari pure riconosciute esistenti. Le convenzioni costituzionali sarebbero sanzionabili solo sul piano delle relazioni tra i soggetti politici23 e in sede di responsabilità politica degli attori istituzionali nei confronti dell’elettorato. Tale esito risulta alla fine ammettere che nello Stato costituzionale possano esserci spazi in cui l’esercizio del potere è lasciato solo alla “disponibilità” delle parti, sottratto ad ogni controllo esterno. In realtà, proprio nel campo civilistico si dà attenzione ai comportamenti complessivi delle parti e si presta rilievo agli affidamenti insorti nei terzi, specie sulla base dell’onere di correttezza. Il diritto comune, poi, presenta il modello delle sentenze di mero accertamento, prive per così dire di sanzione ma che comunque indicano alle parti la condotta da tenere. Se tali indirizzi trovassero spazio nel campo dei rapporti costituzionali – dopo l’iniziativa della Cassazione sulla legislazione elettorale e le conseguenti decisioni della Corte costituzionale24, le quali hanno esteso l’area del giuridicamente rilevante e riconosciuto la legittimazione ad agire di ogni cittadino: spazi che valgono non solo per il giudizio sulle leggi – si aprirebbe la via all’ingresso delle convenzioni costituzionali nelle sedi giurisdizionali, sia per saggiarne la conformità a Costituzione, sia per accertare l’eventuale violazione delle stesse ad opera degli originari “contraenti” o dei loro “aventi causa”. Non è detto che ci si debba realizzare sempre e per tutte le convenzioni: epperò un tale esito non va nemmeno escluso in via di principio, dovendosi semmai di volta in volta vagliarsi la sussistenza dell’interesse a ricorrere alla stregua delle comuni regole di esercizio di un’azione giurisdizionale. Un caso significativo è accaduto negli USA degli anni ‛70 dello scorso secolo. In quel paese la prassi del pocket veto si è affermata in via convenzionale, soprattutto per l’assenza di adeguate reazioni all’iniziativa del Presidente che non promulga nè rinvia la legge al Congresso nei periodi in cui questo non è riunito in sessioni. Nel 1970 il Presidente Nixon approfittò delle vacanze di Natale e esercitò il pocket veto sul Family Practice of Medicine Act, una legge che prevedeva risorse per interventi sociali. Nel 1973 il senatore Edward Kennedy agì davanti la Corte del Distretto di Columbia, che comprende la Città di Washington, per far affermare che la legge era entrata in vigore malgrado l’assenza di promulgazione presidenziale. La Corte accolse la domanda e ritenne che il Family Act fosse diventato legge già il 25 dicembre 1970, obbligando il Presidente a promulgare e pubblicare la legge. La decisione fu confermata in sede di appello25. Ci indusse a razionalizzare e finanche limitare per qualche tempo l’uso del pocket veto. Insomma, una convenzione costituzionale – almeno nel senso qui accolto – è stata fatta oggetto di giudizio ed in qualche modo ricondotta a sistema. La vicenda è assai interessante anche perché mette in evidenza il ruolo dei giudici (che nel nostro ordinamento si indicherebbero quali comuni) al confronto con quello costituzionale. Si vuol dire che l’attenzione al cd. tono costituzionale dei conflitti di attribuzione26 non deve far trascurare che l’area delle controversie ad oggetto costituzionale è molto pi ampia della giurisdizione sui conflitti assegnata alla Corte costituzionale di modo che non può escludersi che di qualche convenzione si conosca in un comune giudizio civile o amministrativo o erariale, sia per controllare la conformità alle regole della Costituzione formale, sia sotto altro versante per richiederne il rispetto, e su iniziativa di una delle parti dell’accordo come di terzi in qualche modo interessati. Proprio lo strumento del contratto, ad esempio, richiama quasi naturalmente l’ipotesi dell’inadempimento e delle relative responsabilità: come si è anticipato, ad un tale esito spinge la natura ordinamentale ovvero “sociale” della funzione giurisdizionale complessivamente considerata. In tale evenienza dinamiche politiche e dinamiche giurisdizionali si integrerebbero, come è normale che sia nello Stato costituzionale.
Note
1 Koalitionsvertrag zwischen CDU, CSU und SPD. 19. Legislaturperiode, dedicato a Ein neuer Aufbruch für Europa. Eine neue Dynamik für Deutschland. Ein neuer Zusammenhalt für unser Land.
2 Della Cananea, G. e altri, Le convergenze tra i programmi delle forze politiche: prime indicazioni, 20 aprile 2018, disponibile on line.
3 Reso noto in versione definitiva il 18 maggio 2018 e firmato dai leader di Lega e Movimento 5 Stelle.
4 Crisafulli, V., Lezioni di diritto costituzionale. II. L’ordinamento costituzionale italiano, Le fonti normative, Padova, 1978, 152.
5 Rescigno, G.U., Le convenzioni costituzionali, Padova, 1972, 17.
6 Rescigno, G.U., Le convenzioni, cit., 18, e v. anche 2324 ivi i richiami alla letteratura anglosassone.
7 Dicey, A.V., Introduction to the Study of the Law of the Constitution, 1885; qui dalla X edizione, London, 1961, 422 s.
8 Elia, L., Governo (forme di), in Enc. dir., XIX, Milano, 1970, 639 s.
9 Sempre Elia, L., Governo, cit., 655. Sulla dinamica politica tra i partiti che avevano condotto la lotta di resistenza contro il fascismo, Caravita, B., Prime osservazioni (alla luce della giurisprudenza costituzionale) circa la presenza di una «riserva» dell’autonomia collettiva nell’art. 39 Cost., in Scritti in onore di Vezio Crisafulli, I, Padova 1985, 131.
10 Secondo la definizione di Esposito, C., Consuetudine (dir. cost.), in Enc. dir., IX, Milano, 1961, 470.
11 Zagrebelsky, G., Sulla consuetudine costituzionale nella teoria delle fonti del diritto, Torino, 1970, 199.
12 Arcidiacono, L., Organizzazione pluralistica e strumenti di collegamento, Milano, 1974, 160 s.
13 Da Caravita, B., Prime osservazioni, cit., 131.
14 Zagrebelsky, G., Manuale di diritto costituzionale. I. Il sistema delle fonti del diritto, Torino, 1988, 263.
15 Infatti, i membri di talune autorità sono designati dai presidenti delle assemblee parlamentari: art. 10 l. 13.4.1988, n. 117 sul Consiglio di presidenza della Corte dei conti; art. 10 l. 10.10.1990, n. 287 sull’Autorità Antitrust; art. 12 l. 12.6.1990, n. 146, sulla Commissione di garanzia per lo sciopero. Si tratta di una vera e propria scorciatoia istituzionale per eludere l’applicazione dell’art. 55 Cost. nel senso che una razionale disciplina di queste autorità avrebbe dovuto prevedere che la nomina parlamentare provenisse dalle Camere in seduta congiunta ad instar dell’elezione dei giudici costituzionali (art. 135) e dei membri laici del C.S.M. (art. 104). Nel regime consociativo la nomina ad opera dei presidenti d’assemblea assolveva la funzione di un comodo surrogato per addivenire a scelte condivise dai partiti, senza incidere sul testo della Costituzione formale.
16 Ancora Zagrebelsky, G., Manuale, cit., 263.
17 Weber, M., Economia e società, 1922, trad. it., Milano 1974, I, 208, 212.
18 Rescigno, G.U., Le convenzioni, cit., 116.
19 Si ricorderà «Il contratto con gli italiani», presentato e firmato da S. Berlusconi l’8 maggio 2001, poco prima delle elezioni politiche di quell’anno, nella trasmissione Porta a Porta di B. Vespa.
20 Risulta poco consona al regime parlamentare la previsione nel Contratto che il Comitato di conciliazione decida sulle opere pubbliche da realizzare in futuro. La titolarità della decisione è sempre del Parlamento oppure del Governo, se da adottare con legge o atto di indirizzo. Inoltre la previsione pu risultare compromettere le attribuzioni della dirigenza amministrativa sulla gestione.
21 Rescigno, G.U., Le convenzioni, cit., 18, ma passim.
22 Zagrebelsky, G., Manuale, cit., 263.
23 Il Contratto per il governo del cambiamento prevede che su eventuali divergenze le parti dapprima ne discutano «nel rispetto dei principi di buona fede e di leale cooperazione» e dopo affidino la decisione ad un Comitato di conciliazione.
24 L’ovvio riferimento è a Cass., ord. 17.5.2013, n. 12060, che ha sollevato la questione di legittimità della l. 21.12.2005, n. 270; e poi alle sentenze della Corte costituzionale 13.1.2014, n. 1 e 9.2.2017, n. 35.
25 Si tratta del caso Kennedy c. Sampson, deciso da United States District Court, District of Columbia, in 364 F.Supp. 1075 (1973) e confermato dalla Corte di appello U.S.App.D.C. 192 in 511 F. 2d 430. da notare che Kennedy ag quale «taxpaying citizen of the United States, the Senior Senator from the Commonwealth of Massachusetts and the Chairman of the Subcommittee on Health of the Committee on Labor and Public Welfare of the United States Senate». Lo stesso Kennedy illustrò la vicenda in Congress the President, and the Pocket Veto, in 63 Virginia Law Review, 1977, 355-382.
26 L’espressione è di Mezzanotte, C., Le nozioni di potere e di conflitto nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Giur cost., 1979, I, 110 ss.