CONVERTITORE statico di corrente elettrica
Classificazione. - Si dà in genere il nome di convertitore statico a ogni apparecchio, che trasformi la corrente alternata in continua o la continua in alternata, senza l'aiuto diretto di parti in movimento. Non entrano perciò nella presente categoria gli apparecchi destinati a effettuare o a modificare periodicamente i collegamenti fra porzioni diverse di circuiti elettrici mediante organi in movimento, anche se una parte di essi, non facendo luogo ad alcuna trasformazione di energia meccanica in energia elettrica o viceversa (come i raddrizzatori a vibrazione e i commutatori rotanti), non rientri nella categoria delle macchine dinamoelettriche propriamente dette.
Fenomeni di conversione statica si possono in molti modi ottenere mediante aggregati di corpi conduttori, i quali offrano alla corrente resistenza o reattanza variabile con l'intensità o la tensione, ovvero possano contrapporle una forza elettromotrice diversa a seconda della direzione di essa. Non potendoli tutti comprendere in questa trattazione, considereremo soltanto i sistemi che in pratica hanno ricevuto le applicazioni più importanti, e segnatamente: quelli elettrolitici, quelli a gas ionizzati o a luminescenza, quelli a pura emissione elettronica e quelli ad arco o a vapore. Siccome l'applicazione più frequente di tali sistemi è fatta allo scopo di ottenere, da reti e sorgenti di tensione alternata, energia elettrica in forma di corrente continua o raddrizzata, essi vengono nel linguaggio comune anche denominati raddrizzatori o valvole, giacché l'effetto è nella maggior parte dei casi ottenuto ostruendo, mediante una controforza elettromotrice ovvero una resistenza, il passaggio della corrente in una determinata direzione, e lasciandolo aperto col minimo impedimento nella direzione contraria.
Dei sistemi ad arco e di quelli a emissione termoionica, adoperati con procedimento inverso a produrre correnti periodiche attingendo l'energia a una sorgente di forza elettromotrice continua, non si discorrerà in questa sede, avendo essi essenzialmente il carattere di generatori ad alta frequenza, la cui trattazione, per ragioni di affinità, è riservata alla voce radiocomunicazioni.
Raddrizzatori (o valvole) elettrolitici (fr. redresseurs o soupapes électrolytiques; sp. rectificadores electrolíticos; ted. elektrolytische Gleichrichter; ingl. electrolytic rectifiers). - Vengono così denominate speciali cellule elettrolitiche a elettrodi dissimmetrici, uno dei quali solamente o prevalentemente possa assumere, per l'intervento dei prodotti dell'elettrolisi, una notevole resistenza superficiale, ovvero sviluppare una forza elettromotrice di contatto talmente elevata, da opporre al passaggio della corrente nella direzione corrispondente un notevole impedimento.
Le più comuni sono quelle in origine ideate da H. Buff, e largamente sperimentate da L. Grätz, che hanno un elettrodo di metallo poco ossidabile come il ferro o il piombo, e l'altro eminentemente avido di ossigeno come l'alluminio; l'elettrolito è generalmente alcalino. Applicandosì fra gli elettrodi una differenza di potenziale alternata, quando l'alluminio funziona da anodo il metallo si copre rapidamente di uno strato di ossido poroso, il quale occlude una quantità notevole di gas, e presenta al passaggio della corrente una resistenza molto forte, laddove nelle metà successive dei periodi l'ossido viene in gran parte ridotto, e il gas si ricombina con lo ione complementare, sì che la resistenza complessiva ridiscende a valori incomparabilmente più esigui.
Interponendo un apparecchio simile fra una sorgente di forza elettromotrice alternativa e un apparecchio di consumo, la corrente trova adito unicamente nei mezzi periodi, in cui l'allumimo funziona da catodo. Si possono utilizzare entrambe le metà del periodo se si munisce l'apparecchio di due elettrodi ossidabili 1 e 2 (fig.1) rilegati ai poli della sorgente alternativa, e di uno inossidabile collegato a un punto neutro, con che la tensione si riduce alla metà.
Associando quattro elementi analoghi (fig. 2), in modo che a due a due abbiano i loro primi elettrodi di nome opposto collegati all'uno e all'altro polo della sorgente di forza elettromotrice alternativa, e rilegando fra loro l'una e l'altra coppia dei secondi elettrodi per nome corrispondente, può del pari derivarsi fra queste una corrente pulsativa, che ha per periodo la metà di quello della corrente alternata, e può utilizzarsi con vantaggio a caricare piccole batterie di accumulatori, ovvero ad alimentare altri apparecchi, i quali richiedano una corrente unidirezionale. L'ampiezza della pulsazione è subordinata in ogni caso alla forma della forza elettromotrice risultante, e alla complessiva resistenza e reattanza del circuito. La massima differenza di potenziale, che può sopportare ogni elemento di questa natura, dipende dalla composizione degli elettrodi e del liquido elettrolitico. Fra un elettrodo inossidabile e uno di alluminio, in una soluzione di bicarbonato di soda ovvero di allume di potassa, si possono applicare tensioni alternative di alcune decine di volta; col tartrato doppio di soda e potassa, col fosfato neutro di ammonio, ovvero col fosfato doppio di ammonio e potassio, può oltrepassarsi un centinaio di volta. Per tensioni più elevate si possono utilmente raggruppare in serie parecchi elementi di concorde polarità.
I raddrizzatori elettrolitici sono assai semplici, e richiedono una spesa assai limitata d'impianto; la manutenzione è tuttavia complicata dal rapido consumo dell'alluminio, e il coefficiente di rendimento risulta basso per effetto dell'energia dissipata nella resistenza del liquido, onde la loro applicazione non suol farsi in circuiti di correnti intense, né ha assunto industrialmente grande importanza. Essi non si prestano nemmeno a sopportare carichi prolungati, perché lo strato di ossido all'anodo, aumentando di spessore, accresce la resistenza anche per le correnti raddrizzate.
Per affinità possono annoveratsi in questa categoria taluni apparecchi moderni, non contenenti alcun elettrolito propriamente detto, ma costituiti da strati di sostanze chimicamente diverse come il rame metallico e l'ossido corrispondente, che in virtù delle condizioni rispettive di contatto offrono alle correnti di opposta direzione un impedimento diverso, e sotto l'azione di tensioni alternate dànno passaggio a correnti unidirezionali. Di fronte a quelli elettrolitici essi hanno il vantaggio di una più facile manutenzione, ma in comune con essi hanno il basso rendimento, e perdono a temperatura elevata la loro attitudine rettificatrice. La società americana Kodel, che li costruisce, ha dato loro il nome di Kuprox.
Raddrizzatori o valvole a gas ionizzato ovvero a luminescenza (fr. redresseurs à luminescence; ted. Glimmlichtgleichrichter; ingl. discharge tube rectifiers). - Gli apparecchi di questa categoria sono entrati da poco tempo nell'uso pratico, e constano essenzialmente di tubi o valvole a due elettrodi dissimmetrici, che contengono un gas facilmente ionizzabile. Il gas è generalmente argo, elio o neon; gli elettrodi possono essere costituiti con materiali diversi e sogliono proporzionarsi in modo tale da intensificare da parte di uno di essi, che è destinato a funzionare da catodo, l'emissione di elettroni a bassa temperatura, laddove l'altro, che ha funzione di anodo, è unicamente destinato a emettere ioni positivi.
Giova anzitutto a questo scopo la diversa estensione dei due elettrodi, giacché in un tubo luminescente, a parità di tensione, l'intensità di corrente può ritenersi proporzionale alla superficie del catodo. La tensione minima necessaria a produrre la scarica si compone di tre parti, le quali rispettivamente rappresentano la caduta all'anodo, quella al catodo e quella inerente alla colonna gassosa. La prima non dipende dal materiale di cui è costituito l'elettrodo, e può sensibilmente ragguagliarsi al potenziale di ionizzazione del gas interposto, il quale varia poco da un gas all'altro e si aggira per l'argo e il neon fra 15 e 22 volta. La caduta lungo la colonna gassosa può limitarsi in ragione della distanza degli elettrodi e ridursi a una decina di volta. La caduta al catodo ha dunque la massima importanza nel caratterizzare la tensione minima di funzionamento dell'apparecchio e assume i più bassi valori per i metalli alcalini, cesio, sodio e potassio, per i quali si aggira fra 60 e 70 volta, così che quella tensione minima può contenersi nei limiti di 85 o 90 volta; per il bario quella caduta supera già i 90 volta, raggiunge per il magnesio 120, per l'alluminio 140, per il ferro 160 e per i metalli nobili 170 volta. La tensione catodica non dipende, peraltro, se non dalla composizione superficiale dell'elettrodo; è possibile perciò costituire col ferro o col rame i nuclei di questo e rivestirli di un semplice strato di metallo alcalino, come si pratica in alcune categorie di valvole ioniche per la radiotelegrafia (getter).
Gli apparecchi di questa categoria non possono per la natura loro dar luogo al passaggio di correnti molto intense, né funzionare utilmente sotto tensioni inferiori o prossime a quelle minime di adescamento; le cadute interne di potenziale e le perdite conseguenti di energia risultano particolarmente elevate e bassi i coefficienti di rendimento; il loro uso è pertanto circoscritto ad alcuni dispositivi di segnalazione, all'alimentazione anodica dei triodi, alla carica di piccole batterie di accumulatori e in generale a quelle applicazioni per cui si richiedono correnti unidirezionali d'intensità molto debole sotto tensioni relativamente elevate.
Raddrizzatori o valvole a emissione elettronica (fr. redresseurs à émission électroniwe; sp. convertidores termiónicos; ted. Glühkathodengleichrichter; ingl. thermionic rectifiers). - Gli apparecchi di questa categoria vengono denominati raddrizzatori (o valvole) termoionici, in quanto la corrente che li attraversa è essenzialmente frutto dell'emissione elettronica da parte di un elettrodo, il quale ha funzione di catodo, ed è mantenuto ad alta temperatura. Con riferimento al numero di elettrodi, in contrapposto ad altri apparecchi i quali ne posseggono un numero maggiore (triodi, tetrodi, ecc.), essi vengono anche indicati col nome di diodi; gli Americani li denominano kenotrons in contrapposto all'appellativo pliotrons dato agli apparecchi precedenti.
A differenza dei convertitori della categoria precedente, questi hanno un'ampolla vuota per quanto è possibile di ogni traccia di gas; funge da catodo un filamento o una lamina metallica, mantenuta incandescente dal passaggio di una corrente elettrica, e ricoperta in molti casi con ossidi di terre rare, i quali hanno la proprietà di emettere anche a temperatura non molto elevata una grande quantità di elettroni. Per rigenerare lo strato emittente durante lunghi periodi di funzionamento, viene talora incluso nel bulbo un bastoncino di ossido di calcio nella vicinanza del filamento incandescente, sul quale una parte della sostanza viene a deporsi per sublimazione. In qualche caso anche negli apparecchi a catodo riscaldato si abbassa ulteriormente la caduta interna di potenziale e si limita la disgregazione del catodo, includendo, a somiglianza di quelli della categoria precedente, un gas facilmente ionizzabile, come l'argo, ovvero tracce di vapore di mercurio. Con questi artifizî la caduta interna complessiva di potenziale al passaggio della corrente normale può limitarsi a qualche decina di volta.
Nella fig. 3 è riprodotto un raddrizzatore di questo tipo della casa Siemens per la tensione continua di 40 volta e la corrente di 10 ampere. Per il riscaldamento del catodo si richiede una corrente di 17 ampere alla tensione di 2 volta. La General Electric Company dà agli apparecchî di questo tipo il nome di tungar.
Gli anodi sono generalmente di nichel o di molibdeno; i catodi di tungsteno, legato qualche volta col torio, ovvero di platino ricoperto di ossidi di metalli alcalini o alcalino-terrosi (catodi di Wehnelt); i bulbi di vetro o di quarzo. Le intensità di corrente nei diodi di maggiori dimensioni e a rarefazione più elevata possono raggiungere alcuni ampere; le tensioni fra gli elettrodi alcune migliaia di volta. Al crescere della potenza e delle dimensioni, crescono peraltro le difficoltà di smaltire il calore dovuto alle perdite interne, e soprattutto agli urti degli elettroni contro l'anodo; nonché quelle inerenti alla esecuzione e al mantenimento di giunti perfettamente ermetici fra la parete del bulbo e i portaelettrodi. In alcuni apparecchi moderni l'anodo si rilega perciò direttamente a un tubo metallico, il quale costituisce una parte dell'involucro, e possiede una doppia parete, che rende possibile un'adeguata refrigerazione mediante un fluido circolante. Nella fig. 4 sono riprodotti l'insieme e i due elettrodi di un kenotron della General Electric Company della potenza di 12.5 kW per la tensione massima di 15.000 volta.
Nello stato attuale della tecnica i comuni diodi sono generalmente adoperati come raddrizzatori, per produrre le deboli correnti anodiche necessarie nei piccoli apparecchi di ricezione o trasmissione radiotelegrafica. Con gradi elevati di rarefazione e superficie adeguata di elettrodi, è possibile conferire alle correnti raddrizzate le tensioni e intensità maggiori, occorrenti per i grandi generatori a valvola e per l'alimentazione degli apparecchi radioterapici di Coolidge e di Rontgen. La fig. 5 riproduce un esemplare di valvola termoionica della Società Italiana Radion, capace di emettere 600 milli - ampere con una caduta interna di potenziale di 2.500 volta sopportando una tensione massima di 220 kilovolta.
Negli apparecchi muniti di più elettrodi si può associare all'azione di raddrizzamento quella di amplificazione e di controllo, che li rende preziosi come ricevitori e generatori di oscillazinni di media e alta frequenza in quasi tutti i sistemi moderni di radiosegnalazione. Per questi, come anche per i raddrizzatori a contatti puntiformi, che non hanno avuto fuori di quel campo notevoli applicazione, v. radiocomunicazioni.
Raddrizzatori ad arco o a vapore (fr. redresseurs à vapeur; sp. convertidores de vapor; ted. Lichtbogengleichrichter; ingl. arcrectifiers). - Rientrano in questa categoria tutti gli apparecchi nei quali la conversione si effettua utilizzando le proprietà dell'arco voltaico in presenza di un catodo facilmente vaporizzabile. I tipi più in uso sono quelli dove il catodo è costituito di metallo alcalino, e quelli a mercurio.
La vaporizzazione del metallo è provocata dal calore, che si sviluppa alla superficie per l'urto degli ioni positivi, onde una porzione circoscritta del catodo assume un grado elevato d'incandescenza e dà luogo a un'abbondante emissione di elettroni, atti a ionizzare la colonna di vapore adiacente. Affinché l'arco possa agire da valvola e produrre l'effetto di raddrizzamento, quando è alimentato da una sorgente di forza elettromotrice alternata, è necessario che l'emissione di elettroni sia limitata a uno solo degli elettrodi, e che il metallo vaporizzato si possa, a misura della sua formazione, ricondensare e ricondurre al catodo. Nei convertitori a metalli alcalini il catodo ha perciò la forma di un tubo aperto a una sola estremità, ove l'orlo della parete si ripiega verso l'interno, sì da arrestare la massima parte del metallo condensato. Nei convertitori a mercurio serve da condensatore la parete stessa del recipiente, onde il metallo può liberamente rifluire al fondo, evitandosi con adatte precauzioni che una parte di esso si depositi in prossimità dell'anodo.
Essendo praticato nel recipiente il vuoto più perfetto possibile, l'atmosfera di vapore alla temperatura ordinaria non possiede una tale conduttività, da permettere il passaggio di correnti apprezzabili sotto le tensioni applicate fra gli elettrodi. È dunque indispensabile provocare all'atto dell'avviamento e mantenere durante tutto il periodo di funzionamento, l'accensione dell'arco, in modo da conferire alla colonna interposta una stabile conduttività, anche quando la corrente che l'attraversa subisca, per la natura della sorgente o per effetto del circuito di utilizzazione, periodiche o saltuarie oscillazioni.
L'accensione originaria può effettuarsi applicando momentaneamente agli elettrodi una tensione elevata, ovvero provocando fra essi un momentaneo contatto, alla rottura del quale si manifesti una scintilla capace di produrre la prima ionizzazione del vapore. Per garantire la continuità del funzionamento, quando il circuito è soggetto a eventuali interruzioni, si suole nei grandi apparecchi conservare in permanenza acceso un arco laterale, alimentato da apposita sorgente. L'arco principale non può in verità mantenersi, se l'intensità di corrente si abbassa al di sotto di un certo limite, il quale nei convertitori a metallo alcalino è dell'ordine di mezzo ampere. La caduta interna di potenziale è generalmente dell'ordine di 15 a 20 volta e varia pochissimo con l'intensità della corrente.
Il limite inferiore della corrente può ulteriormente abbassarsi, costituendo il catodo mediante un'amalgama di mercurio e metallo alcalino, sodio o potassio, e introducendo nell'ampolla un'atmosfera di gas facilmente ionizzabile come l'argo, la quale ha anche il vantaggio di facilitare lo smaltimento del calore per la sua notevole conduttività. Gli apparecchi cosi costituiti non hanno bisogno di accensione separata, e possono innescarsi e mantenersi in funzione sotto differenze di potenziale di poche centinaia di volta. Dal gas che li riempie essi prendono talora il nome di argonali.
Essendo la caduta interna di potenziale molto limitata e pressoché indipendente dalla corrente, il coefficiente di rendimento risulta a sua volta pressoché indipendente da questa e unicamente funzione della tensione applicata, al crescere della quale esso va rapidamente aumentando. I limiti della potenza sono caratterizzati dalla massima intensità, che si può derivare dal gruppo più o meno numeroso di anodi, e dalla massima differenza di potenziale, che si rende compatibile fra di essi in relazione al rispettivo isolamento.
Raddrizzatori a vapore di mercurio (fr. redresseurs à vapeur de mercure; sp. convertidores de vapor de mercurio; ted. Quecksilbergleichrichter; ingl. mercury vapor rectifiers). - Apparecchi ad ampolla di vetro. - I primi studî, per l'utilizzazione degli apparecchî a vapore di mercurio come raddrizzatori di corrente alternata, vennero eseguiti in America verso il 1900 da P. Cooper Hewitt, il quale ne aveva già tratto partito per la costruzione delle lampade che portano il suo nome. Per una decina d'anni però la costruzione di essi venne contenuta in piccole dimensioni e l'applicazione circoscritta a potenze molto limitate.
Apparecchi di questa natura vennero per molto tempo costruiti in modo esclusivo da talune delle case produttrici di materiale elettrico in America e in Europa, ma subirono col progredire della tecnica perfezionamenti tali, che il loro uso poté più largamente generalizzarsi e sopperire a tutte le esigenze dei piccoli impianti. Anche oggi essi vengono correntemente fabbricati dalle principali ditte costruttrici di materiale elettrico, e possono bastare per la conversione di potenze di alcune centinaia di k W. A ciò hanno soprattutto contribuito i miglioramenti che le fabbriche hanno introdotto nella costruzione delle ampolle, per le quali sono stati elaborati vetri speciali, a piccolo coefficiente di dilatazione; inoltre, alla loro diffusione hanno praticamente concorso speciali garanzie, offerte dai costruttori per quel che riguarda la durata, la quale eccede in molti casi le 10.000 ore.
In alcuni dei tipi recenti, i bulbi conservano la forma approssimativa di una sfera, che permette di conferire loro in piccolo spazio la superficie necessaria per le esigenze della condensazione. Il bulbo suole restringersi nella parte inferiore a guisa di un manicotto cilindrico, alla parete del quale si raccordano tanti tubi laterali, quanti sono gli elettrodi positivi, mentre la cavità inferiore contiene il mercurio, che comunica con l'esterno attraverso un elettrodo di ferro. Gli elettrodi positivi sono generalmente di grafite, e si raccordano a loro volta con i morsetti esterni mediante asticciuole metalliche, le quali nei primi apparecchi erano generalmente di platino, e nei più recenti vengono costituite da molibdeno, per il minor prezzo e la maggior facilità di ottenere una saldatura perfetta col vetro e una completa ermeticità.
Per l'alimentazione trifase, adatta agli apparecchi di modeste dimensioni, sono sufficienti tre elettrodi positivi, mentre negli apparecchi di maggiore potenza il loro numero può elevarsi vantaggiosamente a sei. Le braccia tubolari, destinate a sopportarli, vengono bruscamente ripiegate a breve distanza dal raccordo col tronco principale, in modo da mascherare la vista degli anodi dalla regione del catodo, e da impedire che su di essi vadano a condensarsi gocce di mercurio metallico, le quali faciliterebbero l'accensione di archi laterali, e la formazione di correnti interne di corto circuito. La fig. 6 riproduce un apparecchio di questo tipo della A. E. G. di Berlino e la fig. 7 ne mostra la completa istallazione.
L'accensione è ancora fatta inclinando a mano, o mediante un dispositivo elettromagnetico, l'ampolla, in modo da mettere in comunicazione momentanea il mercurio del catodo con un anodo ausiliario, che può essere a sua volta di mercurio (per versamento) ovvero di ferro o grafite (per immersione).
Il fattore di potenza dei convertitori trifasi di modeste dimensioni è dell'ordine 0,80; quello dei convertitori esafasi raggiunge 0,92 a 0,94. La loro inserzione negli impianti a carico variabile può esser provocata a distanza, o resa completamente automatica. La capacità di sovraccarico è strettamente subordinata alle condizioni termiche, e varia perciò con le condizioni particolari dell'esercizio e con la durata dei carichi anormali. In casi speciali tutta l'ampolla può annegarsi nell'olio, con che la potenza normale e la capacità di sovraccarico si accrescono notevolmente.
2. - Apparecchi a parete metallica. - Quando l'intensità di corrente eccede per ogni apparecchio alcune centinaia di ampere, è necessario adottare convertitori a camera metallica, la cui fabbricazione, iniziata in scala industriale dalla Società Brown e Boveri verso il 1914, venne poi da essa singolarmente perfezionata, e oggi si effettua per potenze considerevoli dalla maggior parte delle grandi case costruttrici europee e americane. Il recipiente, nel quale si sviluppa l'arco, è costituito di una camera cilindrica a pareti di ferro, le cui giunzioni hanno primieramente offerto le maggiori difficoltà, dovendosene assicurare la ermeticità per i gradi più elevati di rarefazione. Lo stesso problema si presentava al passaggio degli elettrodi metallici, i quali debbono essere di fronte alla parete isolati, per la massima tensione che l'apparecchio è destinato a sopportare. Per la molteplicità ed estensione di questi giunti, e per il fatto che le pareti metalliche, anche dopo un'estrazione accurata dell'aria, continuano a emettere quando sono portate a temperatura elevata, piccole quantità di gas che vi erano occluse, non era possibile limitarsi a una rarefazione iniziale, e fare assegnamento sulla tenuta perfetta del vuoto durante lunghissimi periodi di funzionamento. Occorse dunque provvedere a un mezzo adatto per ripristinare periodicamente il vuoto e, siccome le pompe ordinarie a olio non sono sufficienti a fornire la più alta rarefazione indispensabile, fu necessario associare a queste, ove sono adoperate a produrre un vuoto preliminare, pompe successive a condensazione di mercurio, le quali trovarono in questo caso una delle applicazioni più importanti.
Essendo d'altronde questa categoria di apparecchi sempre destinata alla conversione di potenze ragguardevoli, sebbene la caduta di potenziale nell'interno si conservi pressoché inalterata, e non soglia eccedere una ventina di volta, si sviluppano al passaggio delle forti correnti grandi quantità di calore, soprattutto agli anodi per l'urto degli elettroni, ed è perciò indispensabile provvedere al loro energico raffreddamento. L'impianto di tali apparecchi risulta pertanto più complicato e in generale più oneroso di quello dei raddrizzatori a bulbo di vetro, a parità di potenza; essi hanno d'altro lato il vantaggio di una maggiore robustezza e di una durata pressoché illimitata, sicché, per impianti di conversione molto importanti, essi non hanno rivali se non nelle macchine rotanti.
A rendere possibile la conversione di correnti molto intense ha soprattutto giovato la molteplicità degli anodi, i quali, limitati a tre nei primi apparecchi di potenza assai modesta, si trovano oggi raddoppiati nella maggior parte dei casi, e talora anche quadruplicati senza che perciò notevolmente si complichi la costruzione dei trasformatori di alimentazione. Invero, ogni avvolgimento trifase, raggruppato a stella con fasi separate, possiede sei morsetti di estremità, e può fornire rispetto a un neutro comune altrettante tensioni di fase equidifferente, il cui valore efficace è naturalmente ridotto alla metà di quello di ogni spirale completa. Per alimentare il convertitore con dodici anodi basta disporre sopra ogni nucleo del trasformatore due separati avvolgimenti, ed effettuarne il raggruppamento in doppio sistema a stella esafase, collegandone agli anodi le estremità in progressione circolare, così che gli opposti assumano la medesima polarità.
È anche possibile ricavare da un semplice trasformatore a tre nuclei, con avvolgimento primario trifase, un numero di fasi secondarie equidifferenti maggiore di sei, raggruppando fra loro spirali elementari disposte sopra nuclei diversi; la costruzione degli apparecchi diventa peraltro più complicata, e meno buona l'utilizzazione delle forze elettromotrici. L'A. E. G. ricorre, per l'alimentazione dei grandi raddrizzatori con 12 elettrodi, a 2 trasformatori tri-esafasi i cui primarî sono in cascata, il 1° alimentato a stella, il 2° a triangolo, e i secondarî a zig-zag forniscono 2 sistemi di tensioni stellate eguali fra loro, ma spostate una di fronte all'altra di 30°.
La molteplicità degli anodi di fase diversa conferisce alla tensione raddrizzata un periodo più breve e una minore ampiezza di pulsazione; questa può essere nella corrente di utilizzazione ulteriormente ridotta, mediante un'opportuna reattanza, che non esercita sostanziale influenza sopra i circuiti d'anodo. In ognuno di questi giova d'altronde la presenza di una certa reattanza, per evitare che la corrente varii bruscamente, dall'intensità che essa possiede nel circuito di utilizzazione a zero e viceversa, quando la tensione dell'elettrodo corrispondente diventa rispettivamente più bassa o più alta di quella degli elettrodi contigui. All'uopo non è nemmeno necessario includere in ogni circuito una spirale separata, potendosi sopperire mediante un aumento adeguato della reattanza del trasformatore; con ciò si realizza anche una protezione indiretta contro i corti circuiti, e si ottiene che due elettrodi positivi di fasi contigue partecipino a un tempo all'adduzione della corrente, abbassando sensibilmente la caduta interna di tensione, ed elevando il fattore di potenza.
Se il numero di elettrodi positivi è di sei, ovvero di dodici, essi possono alimentarsi con una doppia stella trifase ovvero esafase, fra i cui punti neutri sia inclusa una spirale di reattanza; questa piglia in tal caso il nome di spirale di assorbimento, e a sua volta contribuisce a rendere più graduale il passaggio della corrente da un elettrodo della prima a quello successivo della seconda stella. Le due metà della spirale, avvolte sopra un medesimo nucleo di ferro, risultano nei riguardi della corrente percorse in opposizione, e non dànno perciò luogo a eccessiva magnetizzazione. Una adeguata saturazione giova peraltro alla creazione di una terza armonica, la quale ha per effetto di appiattire la curva della tensione anodica, e di prolungare il tempo di funzionamento di ognuno degli elettrodi positivi.
Con questo artificio, e con un aumento adeguato della reattanza dei trasformatori, la casa Brown e Boveri ha potuto nei suoi impianti più recenti sopprimere completamente le spirali separate di reattanza anodica, nei casi in cui ogni trasformatore alimenta un unico convertitore. Tali spirali giovano per contro quando uno stesso trasformatore alimenta in parallelo due convertitori, aventi in comune il circuito di utilizzazione, in quanto esse, avvolte due a due sopra un medesimo nucleo, e talora bilanciate mediante opportune spirali in corto circuito, valgono ad assicurare l'uniforme ripartizione del carico.
Nella fig. 8 è riprodotto lo schema delle connessioni di un convertitore esafase col suo trasformatore a nuclei, il cui avvolgimento primario a triangolo basta a equilibrare convenientemente il carico, così che il secondario è collegato a semplice stella senza alcuna spirale supplementare.
Nella fig. 9 è lo schema di un trasformatore a stella doppia destinato ad alimentare in sistema esa fase due convertitori in parallelo, onde alla spirale d'assorbimento vennero aggiunte anche le reattanze d'anodo, avvolte due a due sopra i medesimi nuclei di ferro, ognuno dei quali è messo in relazione col nucleo corrispondente dell'altro apparecchio mediante una coppia di spirali di compensazione in corto circuito.
Finalmente nella fig. 10 è lo schema di un convertitore a dodici fasi, alimentato mediante un unico trasformatore a doppia stella secondaria esafase con interposta spirale di assorbimento, la cui veduta esterna è riprodotta nella fig. 11.
Questo modello è capace di portare una corrente continua normale di 1500 ampere sotto la tensione di 600 volta, e non rappresenta il limite della potenza che si può raggiungere in un solo apparecchio, dato che in questi ultimi tempi varie case hanno sviluppato modelli a 24 elettrodi, capaci di fornire correnti di parecchie migliaia di ampere.
Nel campo delle tensioni più elevate, i raddrizzatori a mercurio sono adoperati nell'alimentazione dei grandi generatori a valvola termoionica per differenza di potenziale di 10.000 a 30.000 volta.
La costruzione interna di uno dei convertitori di grande potenza della casa Brown e Boveri risulta chiara dalla sezione trasversale riprodotta nella fig. 12. La camera cilindrica di lavoro a doppia parete, in lamiera di acciaio, porta isolata alla base la vaschetta contenente il mercurio del catodo, e saldata alla piastra superiore la camera cilindrica di condensazione, parimenti a doppia parete di acciaio. Attraverso al coperchio di questa penetra l'elettrodo di accensione, comandato elettromagneticamente da un solenoide, avvolto sull'isolatore di entrata, il quale, succhiando un nucleo di ferro interno, permette all'elettrodo di venire con l'estremo inferiore momentaneamente in contatto col mercurio, e d'innescare un arco che serve alla ionizzazione iniziale della colonna sovrastante di vapore. Attraverso alla piastra superiore penetrano nella camera cilindrica di lavoro i sei ovvero i dodici anodi principali, protetti da grossi isolatori in porcellana, di cui uno appare in sezione nella parte sinistra della figura, laddove nella parte destra è sezionato uno dei due elettrodi ausiliarî, che servono a mantenere acceso in permanenza un arco indipendente da quello principale, e assicurano in ogni caso la continuità del funzionamento, anche in caso di interruzione del circuito di utilizzazione. Questi prendono il nome di elettrodi di eccitazione, e possono essere alimentati dall'esterno mediante una piccola dinamo a corrente continua, ovvero mediante un trasformatore a corrente alternata.
Ognuno degli elettrodi principali è munito all'esterno di una guaina metallica a nervature, per la necessaria refrigerazione, e l'acqua a ciò destinata, entrando per il doppio fondo del catodo, dopo aver percorso le varie concamerazioni, esce dalla parte superiore della camera di condensazione.
La fig. 13 mostra la disposizione degl'isolatori d'entrata degli elettrodi. Nella grossa piastra a, che serve di coperchio alla camera di lavoro, sono praticate le cavità cilindriche, destinate ad alloggiare gl'isolatori in porcellana b. Il bordo inferiore è guarnito di una rondella d'amianto c, premuta dall'isolatore, e nella cavità cilindrica interposta si versa del mercurio g, il cui livello esterno è segnalato dal tubo laterale f, mentre l'orlo superiore di quella cavità cilindrica è guarnito da un anello e di caucciù sotto la pressione di una briglia d. Il grado di ermeticità, così raggiunto, che si estende con artificio analogo anche alle altre giunzioni dell'apparecchio, permette di realizzare in questo a regime una pressione dell'ordine di un millesimo di millimetro di colonna di mercurio, mediante il funzionamento saltuario della pompa di condensazione senza lasciarla salire oltre alcuni centesimi di millimetro, durante i più lunghi periodi d'interruzione. L'artificio permette anche di scoprire immediatamente quelle guarnizioni che avessero una tenuta imperfetta, osservando l'eventuale abbassamento del mercurio nel tubo di livello esterno, e di correggerle stringendo i rispettivi organi di fissazione. Le piccole quantità di mercurio, eventualmente filtrate all'interno, si aggiungono semplicemente a quella del catodo.
Ogni anodo è protetto da un involucro di ferro, che si protende verso il basso, e serve a dirigere l'arco verso il catodo; si evita così la condensazione del mercurio alla superficie degli anodi, la quale potrebbe occasionare tra essi la formazione di correnti di corto circuito o di correnti di ritorno dal catodo.
Servono anche al medesimo scopo due pareti sottili di ferro, sovrapposte a breve distanza dalla superficie del catodo in forma di imbuti, atti a deviare la massima parte del vapore verso le pareti laterali.
Per ottenere con sufficiente rapidità il grado di rarefazione necessario all'inizio del funzionamento, è indispensabile adoperare due pompe in serie. La prima di esse ha le sue palette metalliche rapidamente giranti nell'olio minerale, ed è capace di abbassare preliminarmente la pressione a circa o,02 mm.; il tipo della Brown e Boveri è rappresentato in a nella fig. 14 ed è azionato da un motore elettrico b a corrente alternata. La sua camera di rarefazione è raccordata mediante il tubo a gomito f con quella della seconda pompa c, destinata a produrre il vuoto più elevato nel convertitore, con cui comunica col tubo verticale f.
Questa pompa non ha parti in movimento. Essa consiste in un recipiente cilindrico di ferro contenente mercurio, il quale viene riscaldato elettricamente mediante una piastra di fondo, e va a condensarsi nella parte superiore, opportunamente refrigerata. Per la velocità acquisita le molecole di vapore, mescolandosi a quelle dell'aria residua del convertitore, addotta da una tubazione laterale, le trascinano verso la zona di condensazione, ove esse assumono pressione sufficiente per poter essere aspirate dalla pompa rotativa a olio. Un sistema analogo viene anche adoperato dalla casa Siemens, la quale frappone alle due pompe una canna barometrica, allo scopo d'impedire l'accesso dell'aria dalla seconda alla prima nei lunghi periodi d'inazione, e in caso di arresto della pompa rotativa.
La misura della pressione residua è fatta mediante un apparecchio a compressione, e (fig. 14), ideato da Mac Leod. La fig. 15 ne chiarisce il funzionamento secondo il dispositivo della Brown e Boveri.
Il tubo S mette in comunicazione la concamerazione a e tutta la parte superiore dell'apparecchio con la camera del convertitore, quando nella canna sottostante il livello del mercurio si fa discendere al disotto della biforcazione q, abbassando convenientemente la vaschetta esterna, raffigurata in b. Rialzando ora la vaschetta, il gas, che era contenuto alla pressione da misurare nella bolla m e nel tubo capillare k, viene compresso in questo, e assume una nuova pressione p, misurata dalla differenza di livello del mercurio nei due tubi comunicanti, e legata alla pressione originaria p′ e al rapporto dei due volumi dalla legge di Mariotte:
Essendo molto grande la superficie f del mercurio nella concamerazione a in confronto di quella f′ direttamente sottoposta alla pressione atmosferica nella vaschetta esterna b, e riconducendosi questa mediante un organo meccanico e un arresto d sempre alla medesima altezza, anche il menisco f viene ricondotto ogni volta quasi esattamente alla medesima altezza, e la graduazione applicata al tubo capillare fornisce direttamente la pressione cercata. Con tale disposizione si ha anche il vantaggio di poter costruire in ferro la canna manometrica e la vaschetta superiore, e in vetro con raccordo smerigliato unicamente il capillare e la bolla m, che possono in caso di rottura essere facilmente cambiati.
L'apparecchio ha tuttavia l'inconveniente di non dare indicazioni immediate del grado di rarefazione, per cui la stessa casa Brown e Boveri preferisce ricorrere negl'impianti più recenti a un sistema elettrico di misura, atto a fornire una segnalazione continua della pressione interna. Questo si realizza mediante un dispositivo a ponte, formato da due fili di platino (fig. 16) i quali sono contenuti nello spazio ove la pressione dev'essere misurata, e costituiscono una delle coppie di lati opposti AD e BC di un ponte di Wheatstone, i cui due altri lati AB e CD soggiornano nell'aria esterna. Fra due vertici opposti B e D è inclusa una sorgente di forza elettromotrice costante, continua o alternata, e fra i due altri A e C un voltometro V atto a misurare la corrente di squilibrio, che si manifesta quando le due coppie di fili non sono alla medesima temperatura. Tale squilibrio, indipendente dalla temperatura esterna, in quanto essa agisce uniformemente su entrambe le coppie, dipende unicamente dalla differenza di conduttività del mezzo che le circonda; la quale a sua volta è funzione della differenza di pressione, e in relazione a questa lo strumento indicatore può essere direttamente graduato.
La casa Siemens adopera per la misura della pressione nei grandi convertitori a mercurio coppie termoelettriche, atte a segnalare la temperatura di un filo metallico percorso da una corrente prestabilita; ovvero dispositivi a ponte, un sol lato dei quali è sottoposto al passaggio della corrente e alla variazione termica. La figura 17 riproduce in vista fotografica uno dei grandi convertitori di questa ditta, col misuratore di vuoto immediatamente applicato alla parete laterale del recipiente, e la fig. 18 indica schematicamente la disposizione interna degli elettrodi e la circolazione del vapore di mercurio.
La fig. 19 mostra una veduta d'insieme degli anodi con i loro involucri di protezione. La ermeticità dei giunti è unicamente ottenuta mediante guarnizioni di una gomma speciale, preparata in modo da non dar luogo a successive emissioni di gas.
Per l'isolamento del catodo sono interposti anelli di quarzo e di porcellana (fig. 20).
Anche la A. E. G. di Berlino utilizza per la misura del vuoto dispositivi elettrici a ponte, non dissimili da quelli precedenti, e si serve per la produzione di esso di due pompe in serie, la prima delle quali, lavorando saltuariamente a rotazione, fa il vuoto preliminare in un recipiente di notevole capacità, mentre la seconda a eiezione di mercurio, lavorando in modo quasi continuo, accumula il gas residuo estratto dalla camera interna. Questa pompa è riscaldata elettricamente, utilizzando il mercurio come circuito secondario di un trasformatore, alimentato dalla rete esterna a corrente alternata.
La fig. 22 riproduce la sezione trasversale di uno di questi grandi apparecchi, capaci di fornire una corrente raddrizzata di 1500 ampere in condizioni normali, e di sopportare per due minuti un sovraccarico del 50% e per brevi istanti del 100% alla tensione di 500 volts. La fig. 21 dà la veduta esterna di uno dei grandi raddrizzatori forniti dalla stessa casa alla ferrovia metropolitana di Berlino per la tensione di 800 volts e la corrente di 1500 ampere.
Ognuna delle tre case ricordate adopera, per la regolazione saltuaria della tensione continua, trasformatori a prese variabili, e ne proporziona gli elementi in relazione alla maggiore potenza apparente di ogni circuito d'anodo, destinato volta a volta a fornire da solo, ovvero in unione con quelli contigui, tutta la corrente. La reattanza interna del trasformatore, unitamente a quella di eventuali spirali supplementari, contribuisce alla suddivisione della corrente fra le coppie di elettrodi che hanno la stessa polarità e fase analoga. Si abbassa con ciò la caduta interna di potenziale, la quale da una parte è indispensabile per assicurare il funzionamento regolare di apparecchi simili in parallelo fra loro, o con altri convertitori a macchine rotanti, e dall'altra è contrastata dalla caratteristica peculiare dell'arco, ove la caduta fra gli elettrodi lentamente decresce col crescere della corrente. Quando occorra una regolazione continua della tensione fra limiti relativamente vasti, conviene ricorrere alle macchine survoltrici, ovvero ai regolatori a induzione con comando a mano ovvero automatico, l'impianto dei quali è peraltro notevolmente più oneroso di quello dei semplici trasformatori con prese variabili e con commutatori a gradini. Regolazioni fra limiti relativamente ristretti si possono ottenere, agendo sulle reattanze d'anodo ovvero su quelle di assorbimento dei cui nuclei magnetici si può variare la riluttanza, sovrapponendovi una magnetizzazione prodotta con corrente continua.
Se facciamo assegnamento sopra una caduta interna al convertitore di 20 volta, il rendimento teorico dell'apparecchio si eleva a 0,98 per una tensione normale di 1000 volta, a 0,99 per 2000 volta e a 0,995 per 4000 volta. Esso è dunque in queste condizioni nettamente superiore a quello di qualsiasi convertitore a macchine rotanti, e non viene in generale seriamente pregiudicato dalle perdite inerenti alle parti accessorie, come le pompe e le circolazioni refrigeranti. Sul rendimento globale influiscono naturalmente le perdite nel trasformatore, le quali, per l'imperfetta utilizzazione dei circuiti secondarî, risultano in genere più forti di quelle di un trasformatore normale di potenza corrispondente. Malgrado ciò, dal punto di vista dell'economia di esercizio, il confronto ridonda in generale a favore dei convertitori statici, i quali perciò hanno ricevuto, soprattutto in Europa, nell'industria della trazione elettrica, importantissime applicazioni, laddove in America, ove essi ebbero la culla, le applicazioni di grande stile sono finora in numero più limitato.
Sono ora allo studio nuove applicazioni delle valvole a vapore di mercurio, munite di elettrodi supplementari di controllo, per l'interruzione e regolazione di forti correnti, per la loro inversa conversione da continua in alternata, ecc.
Bibl.: Numerosissimi lavori sono disseminati nelle riviste di elettrotecnica e fisica, e specialmente in General Electric Review, Siemens Zeits., A. E. G. Mitteil., Elektrotechn. Zeits.-Archiv f. Elektrotechn., Wissensch. veröffentlich. aus dem Siemens Konzern; Revue B. B. C. (Brown Boveri Co.).
Un'estesa bibliografia di lavori tedeschi, pubblicati dopo il 1905, è data da K. E. Müller, Der Quecksilberdampf-Gleichrichter, Berlino 1925-1929. Per una trattazione generale dei processi di rettificazione delle correnti alternate: L. B. W. Jolley, Alternating current rectification, 2ª ed., Londra 1927; A. Güntherschulze, Elektr. Gleichrichter u. Ventile, 2ª d., Berlino 1929.