CONZA (Compsa)
L'attuale C. coincide con l'antica Compsa, da non confondere con Cosa (o Copsa o Capsa?) ubicata forse nella Lucania meridionale (Caes., Bell, civ., III, 22; Vell., II, 68), equivoco cui può aver contribuito la sua vicinanza alla Lucania, in cui la faceva rientrare anche la fonte utilizzata da Tolemeo (Geog., III, 1, 70). Essa appare come centro importante degli Hirpini nel 216 a.C., quando si allea con Annibale (Liv., XXIII, 1), per poi tornare in potere romano nel 214 a.C. (Liv., XXIV, 20). Dopo esser stata conquistata nel corso della guerra sociale nell'89 a.C. dall'esercito di Siila (Vell., 11, 16), C. divenne municipium ascritto alla tribù Galeria, come altri centri irpini (Cic., Verr., 158-180: «P. Gavius municeps Consanus»; CIL, IX, 974, 983; l'elenco di Plinio, Nat. hist., III, 11, 105, in cui i Compsani risultano tra gli Irpini, risale evidentemente a una fonte precedente). Nel corso delle guerre gotiche fu presa dai Goti nel 545, e poi riconquistata da Narsete; successivamente divenne sede di gastaldato longobardo. Tra le ulteriori vicissitudini hanno rilevanza per i suoi monumenti antichi lo smantellamento delle mura dell'arce imposto dai Franchi ad Arechi II e il terremoto del 990.
Tra le tracce di vita più antiche nel territorio (ager Compsinus, a proposito di distribuzioni graccane in Lib. col., p. 210, Lachmann, e di un santuario di Giove Vicilino, Liv., XXIV, 44, 8), che comprendeva in età romana la parte più alta della valle dell'Ofanto (Aufidus) e la sella di C., importante passaggio verso la Lucania, e doveva confinare con quelli di Aquilonia (attuale Lacedonia) e di Aeclanum, è un'ascia neolitica in pietra verde da Calitri. Alla prima Età del Ferro appartengono le tombe più antiche alle falde del cocuzzolo su cui sorge attualmente Cairano (a N); alla sua fase finale le prime di Campo dei Cerasuoli a Morra (a NO) e al periodo tra l'Orientalizzante Recente e la prima metà del V sec. a.C. quelle trovate in località S. Cataldo, sulle pendici SE della collina di C., sulla cui sommità risultano indizi di frequentazione, così come anche a S. Andrea di Conza. Tali materiali rientrano nella cultura di Cairano-Oliveto Citra, attestata anche più a N, nella zona dell'attuale Bisaccia già dalla fine del IX sec. a.C. e, dalla metà dell'VIII sec., nell'alta valle del Sele, a Oliveto Citra, la quale ha conservato caratteristiche peculiari fino al momento in cui sembra essere stata assorbita nell'ambito della koinè sannitica, nel corso della seconda metà del V sec. a.C.
Caratteristiche precipue di tale facies, che si sviluppa nel corso dell'VIII sec. dalla «cultura delle tombe a fossa», sono individuabili (oltre nell'inumazione a corpo supino) nell'ambito della ceramica. Fino alla fine del VI sec. questa è prevalentemente d'impasto, buccheroide nella suppellettile da tavola, ma già prima in parte a vernice bruna (alla quale nel V sec. si sostituisce quella nera). Fino a età tardoarcaica sono documentate forme quali gli anforischi con anse a linguetta poggiapollice obliqua e gli scodelloni con anse a pettine a dischi laterali. Sull'orlo di questi, ma anche su altre forme, appaiono abbastanza spesso, fin dall'Orientalizzante Antico, applicazioni plastiche a forma di cani o di lupi o ridotte alla loro testa, che sopravvivono su boccali a vernice nera del tardo V sec. e potrebbero essere in relazione con l'animale dal quale gli Irpini traevano il nome. Tra le altre fogge decorative sono significative in età arcaica le doppie spirali impresse, soprattutto su olle biconiche, dovute a influsso della terza fase di Pontecagnano, così come forse anche le anse bifide con intacchi trasversali, e le scanalature orizzontali sul collo di brocche e kàntharoi del VI sec., mentre il fenomeno dell'ostentazione in tomba è dovuto evidentemente a rapporti con le aree etruschizzate. Peculiari sono invece i bronzi ornamentali: soprattutto i bracciali ad arco inflesso, talvolta massicci, che venivano applicati in maniera inasportabile e talvolta in numero cospicuo (fino a sedici) alle braccia delle donne già in tenera età, gli orecchini ad anello con estremità sporgente a ricciolo, e, nell'ambito delle fibule, tra cui sembrano particolarmente frequenti i tipi diffusi sul versante adriatico, quelle a occhiali con rinforzi in ferro, in lamina, derivanti da tipi a quattro spirali, e a navicella con massicce apofisi laterali a rotella. Tra le importazioni, che cominciano verso la fine del VII sec., sono, oltre a fibule picene ad arco a tre bottoni e a vasellame di bronzo di produzione perlopiù etrusca, vasi di bucchero provenienti dalla Campania, tazze ioniche di produzione coloniale e armi di produzione sia greca sia etrusca; non mancano prodotti delle culture confinanti della valle del Platano (v. atena lucana) e di Carife-Casalbore.
Insediamenti in ordine sparso, formanti anche agglomerati, sono attestati finora soprattutto a Calitri e a Morra nei pressi della necropoli. Verso il 500 a.C., quando nell'ambito di tale facies estremamente conservatrice si consolidano ulteriormente i gruppi aristocratici presenti da almeno un secolo, sorge a Cairano un edificio a più ambienti con depositi di dolí, della tipologia delle ville rustiche. Per il periodo tra gli ultimi decenni del V e gli inizi del III sec., quando l'area venne assoggettata dai Romani, sono attestati altri insediamenti sparsi in più punti del territorio, tra l'altro a Morra, sulle terrazze che dominano a Ν l'Ofanto, e a cavallo della sella di C.; a esse sono pertinenti tombe, in parte in tegole, con corredo molto limitato di tipo diffuso nel Sannio. Probabilmente nella fase finale di tale periodo la collina su cui è sorto in età romana il foro (occupata fino al 1980 dall'abitato di C.), era fortificata, anche se delle mura distrutte nell'VIII sec. d.C. rimane un indizio solo nella scarpata S, dove le fondazioni delle terme sono rimaste scoperte evidentemente in seguito all'eliminazione di una struttura piuttosto alta.
Quel che si conosce di murature antiche nell'area dell'arce è posteriore alla guerra sociale e si riferisce, oltre che all'edificio termale, al foro e alle sue adiacenze, di cui furono individuati elementi da I. Sgobbo nel 1938, successivamente divenuti oggetto di scavi dopo il terremoto del 1980. Si conserva, tra l'altro, un vasto tratto della pavimentazione in lastre rettangolari di pietra calcarea con cunette su tratti dei lati NO e SO della piazza oltre la quale, a NO, dinanzi agli edifici venuti alla luce, corre una fascia di acciottolato a spina di pesce, forse precedente.
La struttura più antica su tale lato, conservata verso N, è un porticato su podio con colonne in laterizio, databile in età tardo-repubblicana, inglobato successivamente in un podio in blocchi calcarei, pertinente a un sacello, la cui sagoma inferiore non sembra posteriore alla metà del I sec. a.C. Non di molto posteriore è un secondo podio adiacente a SO, con strutture e cornice superiore in laterizio e pavimento soprastante in cocciopesto con tessere, diviso per mezzo di un muro con paraste in stucco da un ambiente retrostante con pavimento in tessellato; una bottega adiacente a S con il piano al livello della piazza ha subito rimaneggiamenti posteriori.
Più verso NE, presso l'attuale cattedrale, sporgeva nella piazza una massicciata in opera cementizia e nell'area retrostante è stato parzialmente messo in luce un ambiente con pavimento in tessellato a riquadri imitanti lastre di marmi colorati, databile al IV sec. d.C. Dopo un violento incendio che in base ai materiali rinvenuti in strato va messo evidentemente in rapporto con gli avvenimenti della guerra gotica o con la conquista longobarda, il podio più meridionale è stato coperto da una scalinata monumentale in blocchi calcarei e le strutture adiacenti a NO sono state incorporate in un terrapieno, mentre la cattedrale, di cui sono attualmente evidenti le strutture, orientata obliquamente rispetto al foro, è stata probabilmente impiantata dopo il terremoto del 990, quando, come dimostrano le tombe ili relazione con essa, il livello doveva essere già alquanto più alto.
Più a O, lungo quello che doveva essere il percorso delle mura, sono incorporati in abitazioni i resti di un edificio termale monumentale con strutture in laterizio che, per l'uso dei bipedali nei ricorsi, possono essere datate tra l'età flavia e il II sec. d.C.
Mentre sull'arce mancano prove sicure della presenza di quartieri di abitazioni (se esistevano dovevano avere un'estensione limitata, dato lo spazio non eccessivo), nel territorio è stata accertata l'esistenza di ville rustiche, risalenti a età tardo-repubblicana, soprattutto sulle prime pendici a Ν dell'Ofanto.
Una di queste, in località Casa Renna, adiacente a una via che collegava C. con la Via Appia e di cui si conservano resti di un ponte con pilastri in laterizio c.a 3 km a monte dell'arce, è stata parzialmente esplorata. Si tratta di un impianto con almeno due cortili, a pianta non perfettamente regolare, che non sembra essere sopravvissuto oltre il II sec. d.C., con strutture, a eccezione dell'impianto termale e della cisterna, in pietrame e tegole legati con argilla, e nella cui economia deve aver avuto una larga parte l'allevamento, data la presenza di un grande abbeveratoio in una delle corti.
Circa 2 km a SE dell'arce, in località Piano delle Biglie, sono stati rinvenuti, a varie riprese, tombe di età romana ed elementi lapidei di un monumento sepolcrale dell'inizio dell'età imperiale, tra i quali figurano tre leoni.
Bibl.: A. M. Iannacchino, Topografia storica dell'Irpinia, II, Napoli 1889, pp. 113 ss.; G. Gargano, Ricerche storiche su Coriza antica, Avellino 1910 (2a ed. Lioni 1977); I. Sgobbo, in NSc, 1938, p. 280 ss. - Sulla cultura di Cairano-Oliveto Citra: B. d'Agostino, La Civiltà del Ferro nell'Italia meridionale e nella Sicilia, in AA.VV., Popoli e civiltà dell'Italia antica, II, Roma 1974, pp. 37-40; G. Bailo Modesti, Cairano nell'età arcaica, Napoli 1980.