COO (Cos, Kos, Istankioi, Lango, κῶς; A. T., 90)
È la maggiore, dopo Rodi, delle isole italiane dell'Egeo, misurando 282 kmq. di superficie, una lunghezza di 42 km. e una larghezza massima di chilometri 11. Ha forma allungata con l'asse maggiore diretto ENE.- OSO. e giace a 36°50′ N. e a 27°10′ E.
L'isola è posta dinnanzi all'imboccatura del Golfo di Coo, fra le isole di Nisiro e di Calino, e dista meno di 5 chilometri dalla terraferma anatolica (penisola di Budrum).
La parte orientale dell'isola è caratterizzata da una catena montuosa che lascia posto, verso N., a una plaga collinosa e a una pianura, mentre verso mezzogiorno scende ripidissima sul mare. La catena culmina nel M. Dicheo, a 846 m. s. m., e verso oriente ha forme dolci, verso occidente forme aspre. Data la posizione dei rilievi, i maggiori corsi d'acqua sono quelli che bagnano il versante settentrionale e che vanno a beneficare i campi della collina e della pianura, specialmente durante la lunga stagione asciutta. I principali - che normalmente hanno il carattere di ruscelli - traggono alimento da sorgenti perenni più o meno abbondanti. Una delle più rinomate è quella di Vorina, che fornisce l'acqua potabile al capoluogo. Sulla catena orientale esiste anche un laghetto d'acqua dolce (Avdellolimni, cioè Lago delle sanguisughe) e altri salati e impaludati si trovano nella pianura presso il mare. La parte centrale dell'isola è costituita da un altipiano (Altipiano di Antimachia) debolmente inclinato verso NO., che si stende uniformemente piatto a circa 100-130 m. s. m. Numerose valli, simili agli uidian dell'Africa settentrionale, ne incidono i margini, addentrandosi talvolta per varî chilometri nell'interno. L'altipiano di Antimachia si va restringendo verso occidente sino a un minimo di 1600 m.; a questa specie d'istmo è saldata la penisola di Cefalo, impervia e montuosa, per quanto poco elevata (M. Latra 428 m.).
L'isola di Coo risulta composta da un'ossatura di rocce scistose e cristalline molto antiche (filladi, calcescisti, calcari saccaroidi, dioriri), che affiorano sulla parte occidentale della catena montuosa. Il tronco orientale della catena montuosa è formato in buona parte da scisti-marnosi e arenarie giurassico-cretacici e, forse, in parte anche eocenici, ai quali sono associate colate di lave (lipariti, trachiti, andesiti, daciti). La zona collinosa della parte orientale dell'isola è composta, invece, da calcari e argille terziarie d'acqua dolce (Pontico e Levantino) ricche di fossili, e la pianura dai depositi alluvionali dei numerosi corsi d'acqua che scendono dalla catena montuosa. Nella parte centrale e occidentale dell'isola assumono la massima diffusione le rocce eruttive e piroclastiche. Tutto l'altipiano d'Antimachia è costituito da una coltre di tufi vulcanici che ricopre depositi sabbiosi e argillosi appartenenti, i primi al Quaternario marino, i secondi al Levantino. Nella penisola di Cefalo, oltre alle rocce eruttive, affiorano calcari ceroidi del Cretacico e qua e là vi sono placche di calcari neogenici, depositi quaternarî e tufi vulcanici. Fra le caratteristiche geologiche più interessanti dell'isola di Coo vanno ricordati gli apparati eruttivi recenti; nell'istmo di Cefalo esiste anche una solfatara (Vromotopos) e sorgenti termominerali sgorgano lungo la costa meridionale.
Fra i materiali utili a Coo sono da citare i marmi bianchi del Monte Dicheo e un giacimento di minerale di ferro (cromite) sopra Asfendiù.
L'isola di Coo conta, secondo il censimento del 1922, 11.385 Greci ortodossi, 4662 Musulmani, 66 Israeliti d'origine spagnola e 56 Italiani. Gli emigranti ammontavano quell'anno a circa 2000.
La popolazione (densità, 53 ab. per kmq.) è raggruppata in 7 centri principali sparsi nell'isola, e in poche frazioni dipendenti. Il capoluogo giace presso l'estremità orientale, in faccia alla penisola di Budrum (Alicarnasso), e ha una popolazione di 7495 abitanti, dediti al commercio e all'agricoltura. A circa 2 km. dal capoluogo è posto il villaggio di Ghermè, l'unico centro completamente musulmano dell'isola (771 ab.). Sul fianco del Monte Dicheo, a 245 m. s. m., giace Asfendiù, centro abitato invece esclusivamente da Greci (1965). Più a O. quasi sulle pendici della scarpata orientale dell'altipiano, si trova il villaggio di Pilì, sparso su di una superficie molto vasta (1597 ab., in prevalenza Greci). Sopra l'altipiano, a 142 m. d'altezza, giace Antimachia, che ha una popolazione, greca, di 1836 abitanti, mentre più a mezzogiorno, in riva al mare, si trova Cardamena (1103 ab.). Sulla penisola occidentale, finalmente, v'è l'unico villaggio, greco, di Cèfalo, aggrappato sul ciglio di un piccolo altipiano a 106 m. s. m., con 1412 ab. Caratteristiche di questo villaggio sono le stalle e le cantine, completamente scavate nel tufo vulcanico, che pare venissero un tempo utilizzate anche come abitazioni. I varî centri dell'isola sono collegati fra loro e con il capoluogo da rotabili di recente costruzione: l'arteria principale è quella che unisce Cèfalo a Coo.
Le occupazioni prevalenti degli abitanti dell'interno consistono nell'agricoltura e, secondariamente, nella pastorizia. La produzione dell'isola è veramente notevole, per quanto assai inferiore alla potenzialità agricola (il terreno produttivo occupa il 90% della superficie totale). In media si ottengono annualmente 10.600 quintali di orzo, 8800 di grano, 23.000 d'uva, 12.400 fra legumi e frutta, 4300 di olive, 6 milioni di agrumi. Notevolmente sviluppata s'è in questi ultimi anni la coltivazione del tabacco, a detrimento, pare, di quella della vite, malgrado la notevole richiesta dell'uva di Coo sui mercati dell'Egitto. Certamente questi due prodotti rappresentano uno dei maggiori cespiti di guadagno per gli abitanti. Si contano nell'isola 12.500 pecore e 10.400 capre, 3780 bovini e 220 cavalli. La navigazione è esercitata da una piccola flotta di velieri di piccolo tonnellaggio adoperati solo per usi commerciali.
Storia e monumenti. - L'isola nell'antichità. - I primi abitatori dell'isola sembrano essere stati i Carî, mentre può darsi che i primi colonizzatori greci siano stati i Tessali, e che ad essi si debba l'importazione del culto di Asclepio. Secondo il mito, l'ultimo re della loro dinastia, Euripilo, fu ucciso da Eracle, che, sposatane la figlia Calciope, generò Tessalo, il capostipite di una nuova dinastia. I suoi figli, Fidippo e Antifo, avrebbero preso parte alla guerra di Troia, come capi della flotta di Coo, Nisiro, Calino, Scarpanto e Caso (Il., II, 676 segg.). La leggenda della venuta di Eracle nell'isola può forse adombrare una migrazione dorica, ma non sappiamo se questa debba identificarsi con la colonizzazione menzionata da Erodoto (VII, 90), da parte di cittadini di Epidauro. A ogni modo in età storica Coo fu essenzialmente dorica, per lingua, per istituzioni, per il calendario, e nei secoli VII e VI a. C. fece parte dell'Esapoli dorica, insieme a Lindo, Camiro, Ialiso, Cnido e Alicarnasso. Essa era ordinata allora a reggimento oligarchico, e non aveva un vero capoluogo, ma varie città di cui la principale era Astipalea (probabilmente presso l'odierna Cèfalo). Nell'invasione persiana dell'Asia Minore, Coo subì la sorte delle altre città greche, ma dopo le vittorie elleniche si liberò dallo straniero e nel 477 entrò nella lega navale delio-attica. Durante la guerra del Peloponneso, dopo varie vicende venne occupata da Lisandro, ma nel 394 la vittoria di Conone a Cnido la riportò nell'alleanza ateniese. La sconfitta spartana risvegliò anche in Coo il movimento democratico, che assunse le forme del sinecismo, e dopo una breve rivoluzione fu eretta la nuova città sulla costa orientale, di cui le recenti guerre avevano rivelata l'importanza. Diodoro (XV, 76) asserisce che nel 366 Coo fu cinta di mura perfette e dotata di un porto eccellente. Presto divenne una fra le città maggiori dell'Egeo. Nel 357-356 partecipò alla guerra sociale contro Atene, il che si spiega con una vittoria del partito oligarchico. Dopo essere stata per un certo tempo sotto la signoria di Mausolo, l'isola finì nel 334 col darsi spontaneamente ai Macedoni. Morto Alessandro, Coo prese parte alle lotte dei Diadochi e nel 315 si unì agli avversarî di Antigono. Ma dal 309 appartenne definitivamente alla dinastia dei Lagidi: in quell'anno Tolomeo di Lago svernò nell'isola e Berenice, sua moglie, vi diede alla luce Filadelfo. La prosperità di Coo nell'ellenismo fu proverbiale: le sue leggi eran prese a modello da altri stati, e il santuario di Asclepio assurse a grande importanza medica.
La scuola medica di Coo fu infatti la più importante di tutte le grandi scuole mediche dell'antichità. Ebbe forse le lontane origini da qualcuno dei grandi medici-sacerdoti del tempio; ma assai presto divenne interamente laica e i medici che a essa appartennero non subirono più in alcun modo il potere, né accettarono le dottrine della casta sacerdotale. Il maestro illustre di questa scuola fu Ippocrate (v). La scuola coica dà la massima importanza all'osservazione diretta, concepisce la malattia come affezione di tutto il corpo e non limitata a un organo soltanto; fonda la dottrina delle crisi e delle giornate critiche, stabilisce entro chiari limiti i doveri e le responsabilità del medico. Gl'insegnamenti della scuola sono raccolti in quel complesso di libri che va sotto il nome di Corpus Hippocraticum.
A Coo si svolgevano ogni 4 anni delle gare dette appunto Asclepiee. A Coo insegnò le scienze matematiche il caldeo Beroso, e una scuola di retorica è attestata dal retore Aristide, mentre i poeti Fileta e Teocrito cantavano le bellezze naturali dell'isola e il mimiambografo Eronda coglieva dal vero vivaci scenette della vita cittadina. Principale fonte di ricchezza era l'esportazione della seta e del vino, celebrati dai poeti dell'età augustea.
I tessuti che si producevano nell'isola erano lavorati in una specie di garza serica, con cui si allestivano vesti che venivan poi tinte di porpora e ricamate d'oro. Panfile di Coo avrebbe per la prima tessuto di tali vesti, ricavando la seta da un baco speciale oriundo dall'Assiria. Sembra però che Coo stessa allevasse una varietà di tali bombici; Plinio lo attesta, almeno per l'età aristotelica. Le vesti di Coo, genere lussuoso prediletto specialmente dalle cortigiane, erano di un'estrema leggerezza e trasparenza. Pare che esse arrivassero fino alla corte imperiale.
Il governo di Coo era formato dal monarchos e da nove arconti, che dividevano i poteri politici con la boulà e il damos; mentre i prostàtai sembrano avere avuto l'ufficio dei pritani ateniesi. Nell'età romana fu aggiunto anche un senato o gerusia. Nel sec. II Coo fu attratta nell'orbita di Rodi e quindi di Roma. I Coi aiutarono con navi Flaminino nella prima guerra macedonica (197) e nella guerra di Roma contro Antioco III videro la propria flotta distrutta nel porto di Samo. Nella guerra mitridatica Coo subì le depredazioni di Mitridate, che s'impossessò del tesoro della regina d'Egitto, Cleopatra, lasciato in custodia presso ricchi banchieri ebrei, e fece prigioniero il giovane principe Tolomeo IX (o Alessandro I), che veniva educato nell'isola. I Romani incorporarono Coo nella provincia d'Asia, ma ne premiarono la devozione facendola civitas libera. Nel 53 d. C. fu dichiarata immunis dall'imperatore Claudio, per intercessione del suo medico di corte, il cittadino di Coo Gaio Stertinio Senofonte. Sotto il regno di Antonino Pio, Coo ebbe a soffrire per un violento terremoto, ma fu soccorsa dalla liberalità dell'imperatore; sotto Diocleziano fu inclusa nella provincia insularum.
I dati topografico-archeologici sono ampio commento alle notizie degli storici. Materiali neolitici e dell'età del bronzo, appartenenti a una stipe votiva, furono scavati in una grotta presso Cèfalo; al periodo monarchico di Coo si riferisce forse la fonte Burina, imponente costruzione a vòlta con corridoio d'accesso, che ricorda le tholoi di Micene. Il massimo sviluppo artistico fu raggiunto da Coo nel sec. IV a. C. e durante l'ellenismo. Prassitele eseguì per Coo una statua di Afrodite (Plin., Nat. Hist., XXXVI, 20) e i figli suoi decorarono nell'Asclepieo l'altare monumentale del dio. Questo sorgeva sulla terrazza mediana del santuario, ed era un edificio a zoccolo rettangolare con scalinata centrale sormontato da un colonnato. Negl'intercolunnî erano poste le statue di Asclepio e di altre divinità della sua cerchia. Di fronte all'altare sorgeva il tempio più antico del dio, di stile ionico in antis, che conteneva molte opere d'arte, fra cui preziosi dipinti di Apelle. Nell'età ellenistica e romana il santuario si estese su altre tre terrazze (di cui l'ultima scavata nel 1930) comprendendo edifici sacri e numerosi impianti per le cure idriche (v. asclepieo). Nell'interno dell'isola furono scavati nel 1928 a Cèfalo (ant. Isthmos) e a Cardamena (ant. Halasarna) due teatri ben conservati e un tempietto di età ellenistica. Presso Charmyli, nome derivato dall'heroon di Charmylos, ipogeo a vòlta che l'iscrizione data alla fine del sec. V a. C., fu rinvenuto nel 1929 un Demetreo, contenente stipi votive e sette statue rappresentanti le dee eleusinie. All'età romana appartengono due mosaici con la rappresentazione di Orfeo e scene di caccia e pesca, il ginnasio non ancora completamente scavato, un odeon, molto ben conservato, soprattutto nella cavea, interamente rivestita di marmo. Nell'edificio, scavato nel 1930 (v. fig.), furono rinvenuti 24 pezzi grandi di scultura, di ottima fattura, di cui 12 completi e rappresentanti in gran parte personaggi maschili e femminili dell'età ellenistica e romana (v. fig.). Nell'età romana furono eretti a Coo anche un grandioso teatro, i cui resti non sono stati ancora saggiati, e uno stadio. (v. tavv. XXV e XXVI).
Bibl.: O. Rayet, Mémoire sur l'île de Cos, in Archives des missions scientifiques du Levant, III, 3 (1876); R. Herzog, in Archaeologischer Anzeiger des k. deutsch. Arch. Inst., 1900-1905. Le iscrizioni (che superano il migliaio) sono state raccolte specialmente nelle sillogi di W. R. Paton-E. L. Hicks, The inscriptions of Cos, Oxford 1891; R. Herzog, Koische Forschungen und Funde, Lipsia 1899; id., Heilige Gesetze von Kos, Berlino 1928; A. Maiuri, Nuova silloge delle iscrizioni di Rodi e Cos, Firenze 1923.
Medioevo ed epoca moderna. - Il primo ricordo medievale dell'isola si riferisce alla partecipazione del suo vescovo al concilio di Efeso del 430. Ma ebbe pure un proprio convento, dal quale uscì il beato Cristodulo, fondatore di Patmo nel sec. XI. Politicamente seguì le sorti di Rodi. Ai tempi della quarta crociata, fece parte del dominio dell'avventuriero greco Leone Gavalá; ma, alla sua morte, ritornò in mano dell'impero di Nicea prima, del ristabilito impero bizantino poi. Sul principio del sec. XIV fu dei Genovesi Zaccaria di Scio e poi di Vignolo Vignoli, che ne vendette il dominio ai cavalieri Gerosolimitani. I quali, dopo breve contesa col veneto duca di Candia, se ne impossessarono definitivamente nel 1315, e l'isola, che allora volgarmente si chiamava Stanchiò o Langò, costituì la più importante commenda dell'Ordine in Levante, e al tempo stesso, in unione con la fortezza di S. Pietro ad Alicarnasso, il perno strategico del sistema difensivo di Rodi. Fra i suoi governatori non mancarono gl'italiani: celebri fra tutti il veneto Fantino Querini e il genovese Edoardo Carmadino. Ebbe i proprî vescovi latini, suffraganei del metropolita di Rodi. Tentata più volte dai Turchi, l'isola cadde definitivamente in loro mani nel 1522; ma fu assalita più volte dopo di allora dalla flotta cristiana. Occupata, durante la guerra libica, dalla R. nave Napoli il 20 maggio 1912, fu poi definitivamente annessa all'Italia nel 1924 come parte integrante delle isole italiane nell'Egeo.
Il capoluogo, cui i giardini di aranci avevano nell'evo medio dato il nome di Narangià, sorge sulla pianura bagnata a oriente dal mare; ma il piccolo porto si trova a nord-ovest, dietro il promontorio occupato dalla cittadella. La città era difesa da una cerchia di mura, in gran parte tuttora conservate, che gli stemmi sopra la porta meridionale - se pure sono in situ - farebbero attribuire alla fine del sec. XIV, ma che fu certo rimaneggiata più volte, senza tuttavia poter assurgere a notevole importanza militare. La fortificazione vera e propria è quella della cittadella, fra il mare, il porto e il piccolo canale, ora asciutto, che la divide dalla città.
Anche se esisteva colà un fortilizio più antico ricordato già nel Trecento, e vasti lavori vi eseguì il balivo Querini dal 1445 in poi, il castello che costituisce la parte più interna della fortezza è contrassegnato dalle armi dei "precettori" della seconda metà del Quattrocento fino al Carmadino nel 1478. Ma verso la fine del secolo, dopo l'impresa turca del 1480, si credette opportuno di girarvi attorno una nuova cerchia terrapienata, più rispondente ai nuovi dettami dell'arte militare, alla quale si lavorava tuttora nel 1514, costruendo il poderoso bastione del gran maestro Del Carretto. I dirigenti della costruzione furono in gran parte e forse esclusivamente italiani. Per l'una e per l'altra fabbrica venne largamente adoperato materiale ellenico, forse di edifici già rovinati, e non di rado i bassorilievi classici furono collocati a originalissima decorazione delle nuove mura, frammezzo ai numerosi stemmi dei Cavalieri di Rodi. Dopo gli ultimi restauri della soprintendenza di Rodi, gli avvolti della fortezza sono ora adibiti a museo lapidario.
In città rimane ancora un altro edificio dei Cavalieri, datato del 1514. Due chiese hanno pochi resti di affreschi bizantini. I borghi, di costruzione più recente, stanno trasformandosi in una nuova città, grazie agli edifici di recente eretti dal governo italiano, i quali sono anche un interessante tentativo di ambientazione architettonica di carattere moderno.
Nei dintorni, oltre al molino stemmato del 1505 e alle casette di campagna chiamate Pirghos, è di particolare importanza la chiesa paleobizantina di Eftà Vimata, rettangolare all'esterno, ellittica internamente con sette nicchie e copertura a cupola.
Degli altri comuni dell'isola si ricorda Pilì, per il suo castello anteriore all'età dei Cavalieri, e per le vetuste sue chiesette affrescate; e Antimachia, per una rocca, rinforzata dai Gerosolimitani nel 1494.
Bibl.: G. Gerola, Langò, in Annuario della R. Scuola archeol. di Atene, II (1916), con bibl. antecedente; A. Maiuri, I castelli dei Cavalieri di Rodi a Cos e a Budrum, ibidem, IV-VI (1924); P. Egidi, in Le vie d'Italia, XXXIII (1927); Guida d'Italia del T. C. I.: Possedimenti e colonie, Milano 1929.