Abstract
Viene esaminata la competenza dell’Unione europea in tema di cooperazione giudiziaria in materia civile, disciplinata dagli artt. 67 e 81 TFUE, definendo l’ambito di applicazione di tale competenza, anche sul piano esterno, nonché i profili istituzionali e le modalità di attuazione di questa politica dell’Unione; vengono altresì illustrati i valori perseguiti, sulla base delle indicazioni dei Trattati, nell’ambito di tale cooperazione.
La prima manifestazione di una cooperazione giudiziaria in materia civile in seno all’allora Comunità economica europea è stata costituita dalla Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (in G.U.C.E. n. L 299 del 31.12.1972), fondata sull’art. 220 del Trattato di Roma, ma conclusa dagli Stati membri nel quadro del diritto internazionale. Tale Convenzione, attraverso l’opera interpretativa svolta dalla Corte di giustizia in virtù della competenza attribuitale con il Protocollo di Lussemburgo del 3 giugno 1971 (in G.U.C.E. n. L 204 del 2.8.1975), ha contribuito a dar vita a un embrionale “spazio giudiziario europeo” in materia civile, incentrato sull’obiettivo generale della libera circolazione delle decisioni.
Peraltro, a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam la politica di cooperazione giudiziaria civile, divenendo formalmente una competenza dell’Unione europea, incardinata nel cd. spazio di libertà, sicurezza e giustizia, ha al contempo acquisito una fisionomia più definita quanto ai suoi obiettivi, al suo oggetto e alle condizioni del suo esercizio, sulla base del dettato del previgente art. 67 TCE (Pocar, F., La comunitarizzazione del diritto internazionale privato: una «European Conflict of Laws Revolution»?, in Riv. dir. int. priv. proc., 2000, 873 ss.).
Attualmente, la cooperazione giudiziaria civile dell’Unione europea è regolata, sul piano del diritto primario, dagli artt. 67 e 81 TFUE, dai quali si ricavano la definizione dell’ambito di applicazione materiale e alcune indicazioni di carattere generale, pur non esaustive, sugli obiettivi che essa è chiamata a perseguire, nonché sulle condizioni e sulle procedure per l’esercizio della relativa competenza.
La delimitazione dell’ambito della competenza in materia di cooperazione giudiziaria civile, anche in relazione ad altre politiche dell’Unione, presuppone anzitutto una definizione del concetto di «materia civile», che non compare tuttavia nel Trattato.
Essa può essere piuttosto ricavata dai singoli atti dell’Unione europea in questo settore e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia ad essi relativa: dai primi si ricava, secondo una formula ricorrente, che resta esclusa dal concetto di materia civile la materia fiscale, doganale e amministrativa, nonché, come precisato espressamente soltanto in taluni atti, la responsabilità degli Stati per azioni o omissioni nell’esercizio di pubblici poteri. Nell’interpretazione di tali previsioni la Corte di giustizia ha puntualizzato che la fattispecie può considerarsi estranea alla materia civile quando nella controversia sia coinvolta un’autorità pubblica e questa «agisca nell’esercizio della sua potestà d’imperio» (C. giust., 11.4.2013, C-645/11, Sapir, punto 33; C. giust., 23.10.2014, C-302/13, flyLAL-Lithuanian Airlines, punto 30).
L’art. 81 TFUE richiede altresì che le misure adottate dall’Unione in questo campo riguardino la materia civile «con implicazioni transnazionali»: sebbene tale condizione sia stata applicata dalle istituzioni in senso estensivo (Salerno, F., La cooperazione giudiziaria civile, in Diritto dell’Unione europea. Parte speciale, a cura di G. Strozzi, Torino, 2015, 500 ss.), l’uso di questa espressione comporta che gli atti in materia di cooperazione giudiziaria civile sono destinati ad applicarsi rispetto a fattispecie caratterizzate da elementi di estraneità, in quanto presentano legami con gli ordinamenti di più Stati. Peraltro, nei singoli atti la rilevazione di tale presupposto, ai fini della delimitazione del campo di applicazione personale degli stessi, solo talvolta avviene in modo espresso sulla base di un elemento specificamente individuato (ad es., il domicilio o la residenza abituale di una delle parti in uno Stato diverso da quello del giudice adito secondo l’art. 3 del reg. n. 1896/2006 sul procedimento europeo di ingiunzione di pagamento, in G.U.C.E. n. L 399 del 30.12.2006); più spesso essa è operata implicitamente, magari con richiamo a formule generali (come il riferimento a situazioni che implicano un «conflitto di leggi»: v., ad es., art. 1 del reg. CE n. 864/2007, sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali, in G.U.C.E. n. L 199 del 31.7.2007, e art. 1 del reg. CE n. 593/2008, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, in G.U.C.E. n. L 177 del 4.7.2008). La Corte di giustizia ha precisato, in ogni caso, che le implicazioni transnazionali possono considerarsi sussistenti anche quando un determinato rapporto giuridico ha contemporaneamente legami con uno Stato membro e con uno Stato terzo (ad es., quando una delle parti abbia il suo domicilio in uno Stato membro e l’altra in uno Stato terzo: cfr. C. giust., 1.3.2005, C-281/02, Owusu; C. giust., 17.3.2016, C-175/15, Taser International).
Nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile l’Unione esercita una competenza essenzialmente legislativa, essendo chiamata ad armonizzare le regole destinate ad essere applicate dai giudici nazionali, cui è rimessa l’amministrazione della giustizia civile. A differenza di quanto accade per la cooperazione giudiziaria penale, non è prevista, allo stato, l’istituzione di organi con compiti di coordinamento o direttamente operativi (avendo la rete giudiziaria in materia civile e commerciale, creata con la decisione 2001/470/CE del Consiglio, in G.U.C.E. n. L 174 del 27.6.2001, funzioni circoscritte, dirette a favorire i contatti e lo scambio di informazioni a carattere generale tra le autorità giudiziarie nazionali).
L’elenco degli ambiti di competenza dell’Unione contenuto nell’art. 81 TFUE è molto articolato e può essere suddiviso in tre macro-settori, da ritenersi peraltro di carattere indicativo, potendo uno strumento risultare compreso in più di uno di questi (v., ad esempio, il reg. UE n. 655/2014 sull’ordinanza europea di sequestro conservativo, in G.U.U.E. n. L 189 del 27.6.2014).
Il primo di questi corrisponde al settore del cd. diritto internazionale privato e processuale. Infatti, l’Unione europea è competente ad adottare misure dirette ad armonizzare, sotto un primo profilo, le regole che delimitano la giurisdizione civile dei giudici degli Stati membri, individuando i titoli di giurisdizione e favorendo il coordinamento delle azioni civili nello spazio. Sotto un secondo profilo, essa può stabilire le regole sui conflitti di leggi, che designano, per le diverse fattispecie, la legge applicabile, secondo la tradizionale tecnica dell’individuazione di criteri di collegamento tra un dato rapporto giuridico e l’ordinamento giuridico di uno Stato (o più Stati). Inoltre, l’art. 81 TFUE abilita l’Unione ad adottare regole che, in conformità all’originario obiettivo generale sopra menzionato, facilitino il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni emesse in un altro Stato membro all’interno degli altri Stati membri.
Il secondo ambito della cooperazione giudiziaria civile concerne il settore tradizionalmente designato con la denominazione di assistenza giudiziaria internazionale, in quanto si riferisce ad attività strumentali allo svolgimento dei processi civili, che possono, nelle fattispecie con implicazioni transnazionali, essere compiute, appunto nell’ottica della cooperazione giudiziaria, dalle autorità di uno Stato membro diverso da quello in cui il processo viene celebrato. La competenza conferita all’Unione europea riguarda, in particolare, la notificazione e la comunicazione transnazionale di atti giudiziari e stragiudiziali e la cooperazione nell’assunzione di mezzi di prova.
Da ultimo, l’art. 81 TFUE prevede che l’Unione europea possa adottare misure volte a garantire un «accesso effettivo alla giustizia», «l'eliminazione degli ostacoli al corretto svolgimento dei procedimenti civili» e «lo sviluppo di metodi alternativi per la risoluzione delle controversie». Tali settori di intervento, pur avendo sin qui le istituzioni esercitato la loro competenza in termini limitati, appaiono particolarmente vasti e suscettibili di consentire l’adozione di una disciplina europea del processo civile, quantomeno per specifici ambiti.
L’art. 81 TFUE dispone che la cooperazione giudiziaria in materia civile possa includere l’adozione di misure dirette a consentire il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri; sebbene niente venga precisato in ordine alla tipologia di atti adottabili, le istituzioni si sono chiaramente orientate nel senso di privilegiare l’uso dei regolamenti ai fini dell’emanazione di norme uniformi.
La disposizione condiziona l’adozione delle misure sopra indicate al presupposto che esse risultino necessarie per il buon funzionamento del mercato interno. Tuttavia, come dimostrato dalla circostanza che l’art. 81 contempla espressamente la possibilità di istituire una cooperazione anche in materia di diritto di famiglia, il requisito va inteso con notevole flessibilità e non comporta una limitazione alla portata della competenza dell’Unione europea ratione materiae (Pocar, F., The “Communitarization” of Private International Law and its Impact on the External Relations of the European Union, in Malatesta, A., Bariatti, S., Pocar F., eds., The External Dimension of EC Private International Law in Family and Succession Matters, Padova, 2008, 3 ss.), essendo sufficiente, ai fini dell’adozione dei singoli atti, che essi determinino riflessi su una delle libertà di circolazione, rimuovendo potenziali ostacoli al suo esercizio.
In particolare, le misure relative al diritto di famiglia e delle persone e alle successioni e ai testamenti sono di regola considerate dalle istituzioni idonee a favorire la libera circolazione delle persone: infatti, esse accrescono la certezza del diritto nei rapporti transfrontalieri e prefigurano per gli individui la possibilità di confidare nel riconoscimento dei diritti e degli status acquisiti in uno Stato membro anche negli altri Stati membri, eventualmente anche attraverso l’incorporazione in documenti uniformi (come, ad es., il certificato successorio europeo previsto dall’art. 62 del reg. n. 650/2012, in G.U.U.E. n. L 201 del 27.7.2012). Ovviamente, le misure riguardanti settori come le obbligazioni contrattuali o la proprietà intellettuale avranno ripercussioni, quantomeno indirette, sulle libertà di circolazione a carattere economico: in proposito, la designazione di un’unica legge applicabile dinanzi ai giudici di tutti gli Stati membri e la possibilità di una agevole circolazione delle sentenze dovrebbe escludere, nei rapporti commerciali transnazionali, le difficoltà connesse al funzionamento dei sistemi nazionali di diritto internazionale privato.
Ma il nesso con il buon funzionamento del mercato interno può anche risultare molto blando, com’è dimostrato dal campo di applicazione dei singoli strumenti sin qui adottati. In proposito, non appare indicativo il fatto che le norme sul riconoscimento delle decisioni si applichino solo ai fini della circolazione della decisione di uno Stato membro verso altri Stati membri. Infatti, di contro, le norme relative alla designazione della legge applicabile, seguendo la logica delle convenzioni di diritto internazionale privato uniforme, operano anche quando esse comportino la designazione della legge di uno Stato non membro dell’Unione europea. Analogamente, le norme sui conflitti di giurisdizione possono venire in rilievo anche quando esista un collegamento significativo con uno Stato non membro: di ciò si trae conferma dall’uso di disposizioni relative al foro di necessità (come quelle presenti nell’art. 7 del reg. n. 4/2009, in G.U.U.E. n. L 7 del 10.1.2009, e nell’art. 11 del reg. n. 650/2012), che presuppone che la fattispecie presenti un legame stretto con uno Stato terzo, ovvero di disposizioni dirette a regolare la litispendenza e la connessione anche nei rapporti con Stati non membri (come previsto oggi dagli artt. 33 e 34 del reg. n. 1215/2012, in G.U.U.E. n. L 351 del 20.12.2012).
Peraltro, nei singoli atti le istituzioni non reputano sovente neppure necessario indicare esplicitamente le ragioni per cui essi sono reputati utili al buon funzionamento del mercato interno, evidentemente sul presupposto che ciò possa agevolmente ricavarsi dagli scopi generali perseguiti dall’art. 81 TFUE. In tale prospettiva le istituzioni mostrano di avere interpretato l’attribuzione di competenza prevista da tale disposizione come diretta alla costruzione di un sistema tendenzialmente completo di diritto internazionale privato e processuale uniforme, che, allo stato, non può dirsi comunque realizzato.
Gli atti dell’Unione in materia di cooperazione giudiziaria civile vengono di regola adottati dal Parlamento europeo e dal Consiglio secondo la procedura legislativa ordinaria; ma una significativa eccezione è stabilita per le misure relative al diritto di famiglia. Anche quest’ultimo concetto non viene definito nel Trattato e la prassi delle istituzioni ha fatto proprio un approccio estensivo, ricomprendendovi non solo il divorzio, la separazione personale, l’annullamento del matrimonio e la responsabilità genitoriale, ma anche le obbligazioni alimentari, i rapporti patrimoniali tra coniugi e gli effetti patrimoniali delle unioni registrate. Per l’adozione di queste misure l’art. 81, par. 3, TFUE richiede una deliberazione unanime del Consiglio previa consultazione del Parlamento europeo; con la stessa procedura il Consiglio potrebbe decidere di sottoporre taluni aspetti del diritto di famiglia alla procedura legislativa ordinaria (salva l’opposizione anche di un solo Parlamento nazionale), ma una simile evenienza non si è sin qui verificata né sembra probabile nel prossimo futuro.
Peraltro, la regola dell’unanimità determina evidenti difficoltà nell’adozione degli atti, a fronte della resistenza di alcuni Stati membri rispetto a materie considerate sensibili dai rispettivi ordinamenti. Per questa ragione, nel settore della cooperazione giudiziaria civile si è registrato un uso relativamente ampio della cooperazione rafforzata (Feraci, O., L'attuazione della cooperazione rafforzata nell'Unione Europea: un primo bilancio critico, in Riv. dir. int., 2013, 955 ss.), che ha consentito, in particolare, l’adozione del reg. n. 1259/2010 in materia di legge applicabile al divorzio e alla separazione personale (in G.U.U.E. n. L 343 del 29.12.2010) e dei due regg. “gemelli” UE 2016/1103 e 2016/1104 in materia di rapporti patrimoniali tra coniugi e di effetti patrimoniali delle unioni registrate (in G.U.U.E. n. L 183 dell’8.7.2016).
Trattandosi di materia compresa nello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, trovano naturalmente applicazione i Protocolli n. 21 sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda e n. 22 sulla posizione della Danimarca; tuttavia, il Regno Unito e, soprattutto, l’Irlanda hanno fatto uso della facoltà di opt-in ivi stabilita con riferimento a diversi atti e la Danimarca ha concluso specifici accordi con l’Unione europea diretti ad estendere l’applicazione di taluni atti adottati sulla base dell’art. 81 TFUE (cfr. accordo del 19 ottobre 2005 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, in G.U.C.E. n. L 299 del 16.11.2005, e l’accordo concluso nella stessa data e relativo alla notificazione e alla comunicazione degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale, in G.U.C.E. n. L 300 del 17.11.2005).
Anche il tema della competenza esterna dell’Unione europea in materia di cooperazione giudiziaria civile non risulta regolato espressamente dal Trattato; peraltro, la Corte di giustizia ha già avuto due occasioni di esaminare le questioni ad esso inerenti, affermando l’esistenza di tale competenza ed il suo carattere esclusivo nei settori in cui l’Unione europea abbia già legiferato sul piano interno.
Già nel parere n. 1/2003, relativo alla conclusione della nuova Convenzione di Lugano del 2007 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, la Corte aveva richiamato il principio enunciato nella nota sentenza AETS (C. giust., 31.3.1971, 22/70, Commissione c. Consiglio), secondo cui «qualora siano state adottate norme comuni, gli Stati membri non hanno più il potere – né individualmente, né collettivamente – di contrarre con gli Stati terzi obbligazioni che incidano su dette norme». Essa ne aveva tratto la conseguenza che, quando l’Unione abbia adottato norme uniformi sulla cooperazione giudiziaria civile, idonee a istituire un regime globale e coerente, un accordo internazionale con Stati terzi riguardante lo stesso settore (nella specie, la competenza giurisdizionale e l’efficacia delle decisioni) incide necessariamente su tali norme in quanto può apportarvi deroghe o modificarne il funzionamento. Pertanto, sussiste una competenza esclusiva dell’Unione europea rispetto alla conclusione di tali accordi.
La portata di questi principi ha trovato una lettura chiaramente estensiva nel successivo parere n. 1/13, relativo alla competenza ai fini dell’accettazione dell’adesione di uno Stato terzo alla Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori. In tal caso, è stato ritenuto che esistesse una stretta interconnessione tra le norme della Convenzione e quelle del reg. CE n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale (in G.U.C.E. n. L 338 del 23.12.2003). In particolare, la Corte ha rilevato che il regolamento disciplina, tra l’altro, i procedimenti diretti al ritorno del minore, che formano oggetto anche della Convenzione, sovrapponendosi ad essa nei rapporti tra gli Stati membri. Su tale base, la Corte di giustizia ha reputato sussistente la necessità di assicurare l’uniformità nella condotta degli Stati membri rispetto alle adesioni di altri Stati alla citata Convenzione, facendo riferimento alle situazioni che coinvolgano più Stati membri e uno Stato terzo e dunque implichino l’eventuale contemporanea applicazione del reg. n. 2201/2003 e della Convenzione medesima.
Un simile approccio, che si fonda su una lettura molto lata del requisito dell’incidenza dell’accordo internazionale sulle norme uniformi adottate dall’Unione europea sul piano interno (Beaumont, P.R., A Critical Analysis of the Judicial Activism of the Court of Justice of the European Union in Opinion 1/13, in Franzina, P., ed., The External Action of the EU in the Field of Private International Law after Opinion 1/13, Cambridge, 2016, 55 ss.) fa emergere la chiara intenzione di affidare in via esclusiva all’Unione stessa la competenza esterna per qualunque atto relativo ad accordi internazionali, quantomeno quando questi presentino una sufficiente connessione con i regolamenti già adottati, consentendole così di concentrare su di sé la titolarità dei rapporti con gli Stati terzi in materia di cooperazione giudiziaria civile.
Come si è detto, l’evoluzione della politica dell’Unione in questa materia è avvenuta prevalentemente attraverso l’adozione di regolamenti, trattandosi dello strumento maggiormente idoneo a garantire l’immediata introduzione di norme uniformi. Ma, nonostante tale indicazione comune, gli strumenti adottati in materia presentano caratteristiche tra loro differenziate in relazione ai diversi macro-settori in cui si articola la competenza dell’Unione.
Per quanto riguarda gli strumenti dedicati al diritto internazionale privato e processuale, essi sono di applicazione imperativa (C. giust., 28.4.2009, C-420/07, Apostolides), potendo gli Stati membri derogarvi solo in presenza di un’eccezione espressamente prevista nei regolamenti (ad es., per applicare una convenzione internazionale conclusa dagli Stati membri «in materie particolari»: C. giust., 4.5.2010, C-533/08, TNT Express Nederland).
Sotto altro profilo, essi si configurano come strumenti di carattere settoriale, con la sola eccezione del reg. n. 1215/2012 il cui campo di applicazione ratione materiae coincide, in tema di competenza giurisdizionale ed efficacia delle decisioni, con quello della Convenzione di Bruxelles del 1968 e dunque con la cd. materia civile e commerciale. Per il resto, i vari regolamenti adottati in questo ambito presentano un campo di applicazione limitato a singoli “blocchi” materiali (ad esempio, le obbligazioni contrattuali, le successioni, le obbligazioni alimentari, ecc.) e determinato in maniera molto variegata.
Infatti, da un lato, i regolamenti coprono talvolta tutti e tre gli aspetti che formano oggetto del diritto internazionale privato e processuale (competenza giurisdizionale, legge applicabile ed efficacia delle decisioni), mentre in altri casi gli atti dell’Unione riguardano soltanto alcuni di essi (ad es., il reg. n. 805/2004 in materia di titolo esecutivo europeo, in G.U.C.E. n. L 143 del 30.4.2004, concerne esclusivamente l’efficacia delle decisioni; il reg. n. 593/2008 attiene soltanto alla legge applicabile). Dall’altro, in quest’ultima ipotesi, il campo di applicazione dei regolamenti che disciplinano i vari profili all’interno di uno stesso ambito materiale può risultare non coincidente, determinando il verificarsi di lacune nel tessuto della disciplina dell’Unione.In particolare, in materia matrimoniale il reg. n. 2201/2003 (così come lo strumento destinato in futuro a sostituirlo, e precisamente il reg. 2019/1111 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori, in G.U.U.E. n. L178 del 2.7.2019) disciplina la competenza giurisdizionale e l’efficacia delle decisioni in tema di divorzio, separazione personale e annullamento del matrimonio; tuttavia, il reg. n. 1259/2010 disciplina la legge applicabile soltanto al divorzio e alla separazione personale.
All’interno dei singoli ambiti materiali, ciascun regolamento detta peraltro una disciplina di carattere organico, che fissa norme dirette di volta in volta a regolare, anche con esiti diversi, istituti di carattere generale (ad es., la litispendenza e la connessione in materia processuale; l’ordine pubblico, le norme di applicazione necessaria e il rinvio in tema di legge applicabile).
Venendo agli strumenti in materia di assistenza giudiziaria internazionale, i regg. n. 1206/2001, in materia di assunzione delle prove all’estero (in G.U.C.E. n. 174 del 27.6.2001), e n. 1393/2007, in materia di notificazione degli atti giudiziari e extragiudiziali all’estero (in G.U.C.E. n. L 324 del 10.12.2007), non hanno carattere strettamente imperativo, in quanto consentono agli Stati membri l’uso di meccanismi diversi da quelli previsti in tali strumenti (v. anche C. giust., 21.2.2013, C-332/11, Prorail), in particolare laddove previsti da accordi e intese conclusi tra Stati membri oppure comunemente usati nei rapporti internazionali (ad es., la notificazione per via diplomatica o consolare). In secondo luogo, rileva il fatto che essi hanno portata trasversale rispetto all’intera materia civile e commerciale e non contemplano esclusioni ratione materiae: pertanto, la loro disciplina ha carattere onnicomprensivo e non contiene regole modulate in maniera diversa a seconda dei singoli ambiti materiali.
Da ultimo, le misure dedicate alla promozione della compatibilità delle norme di procedura civile e all’accesso alla giustizia, pur avendo perlopiù natura di regolamenti (con l’eccezione della direttiva 2002/8/CE del Consiglio in materia di patrocinio a spese dello Stato nelle controversie transfrontaliere, in G.U.C.E. n. L 26 del 31.1.2003), hanno carattere meramente opzionale, in quanto non si sostituiscono alle regole e agli istituti processuali esistenti negli ordinamenti degli Stati, ma disciplinano procedimenti di carattere uniforme (come il procedimento di ingiunzione europeo, il procedimento uniforme per le controversie di modesta entità, l’ordinanza di sequestro conservativo europeo), cui gli interessati possono ricorrere in via alternativa rispetto ad analoghi procedimenti regolati dal diritto nazionale degli Stati membri, beneficiando normalmente di un regime semplificato in tema di circolazione delle decisioni. Inoltre, tali strumenti prefigurano la disciplina di specifici segmenti o istituti del processo, astrattamente applicabili in modo generale alle controversie transfrontaliere in materia civile, anche se il loro ambito di applicazione è talvolta individuato in termini molto ristretti, limitandolo a quei settori in cui è ritenuta allo stato possibile una cooperazione tra gli Stati membri (come accade per il sequestro conservativo europeo, che riguarda soltanto i conti correnti bancari).
Tanto l’art. 67 quanto l’art. 81 TFUE individuano il principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali come fulcro della politica di cooperazione, in ciò dando continuità all’approccio seguito con la Convenzione di Bruxelles; l’art. 67 pone altresì una speciale enfasi sulla necessità di favorire l’accesso alla giustizia, evidentemente in vista dell’attuazione del principio di tutela giurisdizionale effettiva sancito all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Può dunque ragionevolmente ritenersi che nell’adozione delle singole misure le istituzioni debbano tener conto di tali finalità generali, sia pure modulandone la realizzazione in vista dei valori in gioco nei diversi settori, come la prassi, d’altronde, dimostra in relazione ad entrambe.
Il riconoscimento reciproco delle decisioni costituisce un principio consolidato, poiché già la Convenzione di Bruxelles del 1968 aveva come obiettivo prioritario la semplificazione delle formalità necessarie ai fini della circolazione delle sentenze (C. giust., 2.6.1994, C-414/92, Solo Kleinmotoren). Dopo la “comunitarizzazione” della cooperazione giudiziaria civile l’elemento del «riconoscimento reciproco» è stato individuato come elemento cardinale di detta politica nelle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 e nel conseguente Progetto di programma adottato dal Consiglio e dalla Commissione. Con il Trattato di Lisbona esso ha trovato un’affermazione espressa anche a livello di diritto primario, sia pure limitatamente al riconoscimento delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziarie (mentre esso non si estende ad altre tipologie di atti, come gli atti amministrativi, né al riconoscimento diretto di situazioni soggettive come gli status personali e familiari, sul quale v. Baratta, R., La reconnaissance internationale des situations juridiques personnelles et familiales, in RCADI, t. 348, 2010, 255 ss.). La previsione appare d’altronde coerente con l’esistenza di un’obbligazione generale degli Stati membri, connessa al rispetto del diritto al giusto processo, di riconoscere ed eseguire le decisioni, quantomeno ove esse abbiano carattere definitivo, come ritenuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte eur. dir. uomo, 25.3.2010, Jovanovski c. The Former Yugoslav Republic of Macedonia; Corte eur. dir. uomo, 1.4.2010, Vrbica c. Croatia: cfr. Lopes Pegna, O., L'incidenza dell'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo rispetto all'esecuzione di decisioni straniere, in Riv. dir. int., 2011, 33 ss.).
L’attuazione del principio del riconoscimento reciproco, che nelle norme del Trattato non assume valenza di norma direttamente precettiva, non è peraltro sin qui avvenuta in modo uniforme nei vari strumenti. Infatti, da un lato, possono essere identificati alcuni elementi connessi a tale principio e comuni a tutti gli strumenti adottati, come la regola del riconoscimento automatico delle sentenze, anche non passate in giudicato; il divieto della loro revisione nel merito nello Stato membro richiesto e la necessità di una interpretazione restrittiva delle cause ostative al riconoscimento e all’esecuzione; dall’altro lato, l’attuazione del principio è avvenuta in maniera disomogenea in tema di esecuzione delle decisioni.
Infatti, in alcuni strumenti, anche recenti (come il reg. n. 650/2012 o i regg. 2016/1103 e 2016/1104), è ancora prevista una specifica procedura per la dichiarazione di esecutività delle decisioni (cd. exequatur) dinanzi ai giudici dello Stato dell’esecuzione, modellata sullo schema del contraddittorio eventuale e posticipato.
In altri strumenti (come, in particolare, il reg. n. 1215/2012 e il reg. 2019/1111, che innova sul punto rispetto al reg. n. 2201/2003) la procedura di exequatur è stata abolita e dunque la sentenza può essere eseguita in un altro Stato membro senza necessità di alcuna formalità preliminare, sulla base di un certificato rilasciato nello Stato membro di origine; ma nello Stato dell’esecuzione è ancora possibile verificare l’esistenza di cause ostative al riconoscimento o all’esecuzione, su istanza della parte interessata.
Infine, in un ulteriore gruppo di strumenti (il reg. n. 2201/2003, in ciò seguito anche dal reg. 2019/1111, limitatamente alle decisioni relative al diritto di visita e al ritorno di un minore sottratto; il reg. n. 805/2004; il reg. n. 4/2009) all’abolizione dell’exequatur si accompagna la concentrazione di tutti gli eventuali rimedi a favore del debitore nello Stato membro di origine.
A ciò deve aggiungersi che la realizzazione concreta del principio del riconoscimento reciproco incontra un limite immanente alla struttura stessa del processo civile e alla garanzia del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva prefigurato dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali, e precisamente la necessità di garantire il rispetto dei diritti della difesa. In particolare, nel corso del tempo, le regole sull’efficacia delle decisioni sono state interpretate dalla Corte di giustizia nel senso che la semplificazione delle modalità di circolazione delle decisioni stesse non possono determinare una eccessiva compressione dei diritti del convenuto e che deve essere assicurato un giusto equilibrio tra l’effettività del riconoscimento reciproco e le prerogative della difesa (C. giust., 14.12.2006, C-283/05, ASML Netherlands; C. giust., 6.9.2012, C-619/10, Trade Agency). Tale lettura, che conduce ad escludere che il principio del riconoscimento reciproco abbia valore assoluto e impone di assoggettarlo a limitazioni secondo formule variabili perché non consacrate nel diritto primario, appare oggi coerente con la garanzia assicurata dall’art. 47 della Carta, che copre naturalmente anche i diritti della difesa (C. giust., 6.11.2012, C-199/11, Otis), oltre che con l’art. 6 CEDU (v. Biagioni, G., Avotiņš c. Latvia. The Uneasy Balance Between Mutual Recognition of Judgments and Protection of Fundamental Rights, in European Papers, 2016, 579 ss.).
Analogamente, l’obiettivo di garantire l’accesso alla giustizia viene perseguito, negli strumenti adottati sulla base dell’art. 81 TFUE, con modalità differenti. Infatti, con il disegno generale del reg. n. 1215/2012, in cui, secondo l’approccio originario della Convenzione di Bruxelles del 1968, viene attribuita centralità al foro del domicilio del convenuto e alle esigenze di certezza e prevedibilità ad esso connesse, convivono modelli assai variegati, nei quali viene dato spazio a necessità di segno diverso. Ciò si verifica, ad esempio, laddove un foro individuato come esclusivo, come quello della residenza abituale del minore previsto dall’art. 8 del reg. n. 2201/2003 in tema di responsabilità genitoriale, può tuttavia tollerare alcune deroghe funzionali alla necessità di conformarsi al principio dell’interesse superiore del minore, secondo un meccanismo, stabilito dall’art. 15 dello stesso regolamento e modellato sul forum (non) conveniens (v., analogamente, gli artt. 7 e 12-13 del reg. 2019/1111).
Sotto altro profilo, in taluni casi, come avviene in materia di divorzio, separazione personale e annullamento del matrimonio in forza dell’art. 3 del reg. n. 2201/2003 (e, in futuro, dell’art. 3 del reg. 2019/1111), la natura dell’azione impone di assicurare un ambito di giurisdizione particolarmente ampio per assicurare alle parti la massima possibilità di un accesso al giudice, ammettendo la facoltà dell’attore di scegliere tra diversi fori astrattamente competenti. Una simile finalità viene d’altronde realizzata, in vari strumenti (e precisamente nei regg. nn. 4/2009, 650/2012, 2016/1103 e 2016/1104), da titoli di giurisdizione improntati allo schema del cd. foro di necessità, che mira a consentire alle parti di sottoporre ai giudici degli Stati membri anche una controversia non caratterizzata da un particolare legame di prossimità, quando ciò si renda necessario per evitare un diniego di accesso alla giustizia causato dalla peculiare situazione esistente nello Stato terzo con cui la situazione è collegata. In tal senso depone altresì la disciplina della proroga di competenza contenuta nell’art. 25 del reg. n. 1215/2012, che autorizza anche parti in nessun modo collegate con gli Stati membri a individuare, sulla base di una loro manifestazione di volontà, il giudice di uno di questi ultimi come competente.
Da ultimo, è anche possibile che l’obiettivo dell’accesso alla giustizia si concretizzi in maniera asimmetrica per le parti, in quanto una di esse possa essere qualificata come parte debole: ciò può indurre il legislatore dell’Unione a garantire a quest’ultima un maggior numero di titoli di giurisdizione (come avviene per i fori cd. esaustivi dell’assicurato, del consumatore e del lavoratore subordinato nel reg. n. 1215/2012) ovvero a delineare l’ambito della giurisdizione in modo da favorire la prossimità tra quella parte e il giudice adito (secondo lo schema utilizzato dal reg. n. 4/2009 in favore del creditore di alimenti).
Tale approccio diretto ad assicurare l’effettività del diritto di azione e dunque dell’accesso al giudice trova tuttavia, ancora una volta, un limite insormontabile nella necessità di assicurare un giusto equilibrio con i diritti della difesa tutelati dall’art. 47 della Carta, non potendo la competenza giurisdizionale dei giudici degli Stati membri essere determinata in maniera tale da porre sostanzialmente nel nulla le garanzie processuali fondamentali di cui deve godere il convenuto (C. giust., 11.9.2014, C-112/13, A c. B).
Fonti normative
Art. 67 e 81 TFUE; reg. CE n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale; reg. CE n. 805/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 che istituisce il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati; reg. CE n. 864/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 luglio 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali («Roma II»); reg. CE n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali («Roma I»); reg. CE n. 4/2009 del Consiglio del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari; reg. UE n. 1259/2010 del Consiglio del 20 dicembre 2010 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale; reg. UE n. 650/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 luglio 2012 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo; reg. UE n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2012 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (rifusione); reg. UE 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015 relativo alle procedure di insolvenza.
Bibliografia essenziale
Baratta, R., Art. 81, in Trattati dell’Unione europea, a cura di A. Tizzano, Milano, 2014, 860 ss.; Bonomi, A., Diritto internazionale privato e cooperazione giudiziaria in materia civile, Torino, 2009; Carbone, S.M.-Tuo, C., Il nuovo spazio giudiziario europeo in materia civile e commerciale. Il regolamento UE n. 1215/2012, Torino, 2016; Clerici, Art. 81, in Commentario breve ai Trattati dell’Unione europea, a cura di F. Pocar e M.C. Baruffi, Padova, 2014, 500 ss.; Franzina, P., ed., The External Dimension of EU Private International Law After Opinion 1/13, Cambridge, 2017; Lenaerts, K., The principle of Mutual Recognition in the Area of Freedom, Security and Justice, in Dir. UE, 2015, 525 ss.; Salerno, F., Competenza giurisdizionale, riconoscimento delle decisioni e diritto al giusto processo nella prospettiva europea, in Riv. dir. int. priv. proc., 2011, 895 ss.; Salerno, F., La cooperazione giudiziaria in materia civile, in Diritto dell’Unione europea, pt. spec., a cura di G. Strozzi, Torino, 2017, 491 ss.; Weller, M., Mutual trust: in search of the future of European Union private international law, in Journ. Priv. Int. Law, 2015, 64 ss.