COOPERAZIONE
In economia, cooperazione significa propriamente ogni azione svolta in comune per raggiungere il fine economico propostosi dai consociati. Accettata tale definizione, si presenta il problema della distinzione fra l'associazione economica e la cooperativa propriamente detta. Da un punto di vista giuridico, potrebbero definirsi cooperative esclusivamente quelle società dalla legge caratterizzate come tali. Occorre peraltro osservare che società aventi la forma giuridica della cooperazione possono non averne il contenuto economico, e viceversa; che società di fatto, pur non rivestendo nessuna delle forme previste dalla legge, possono esercitare funzioni economiche proprie della cooperazione. Inoltre le legislazioni dei varî stati, concernenti la cooperazione, differiscono molto fra di loro mentre la cooperazione in sé stessa è fenomeno che ha caratteristiche sue proprie eccedenti i confini di uno stato, i limiti di spazio e di tempo. Come il criterio giuridico, anche il criterio economico puro è ugualmente insufficiente a una netta distinzione fra associazione e cooperazione: è merito infatti di Maffeo Pantaleoni aver mostrato che nessuna differenza economica può sussistere fra cooperazione e associazione, entrambi proponendosi di raggiungere col mezzo sociale il vantaggio economico dei componenti, entrambi essendo imprese, e come tali soggette alle leggi generali dell'impresa.
Una distinzione netta fra associazione e cooperazione, impossibile sul terreno giuridico ed economico, è possibile peraltro sul terreno sociale. La cooperazione è un fenomeno di classe; è un mezzo di cui una classe sociale si vale per risolvere in concorrenza con un'altra un suo specifico problema economico. Si noti bene: in concorrenza con un'altra. Vale a dire quel problema economico potrebbe venir risolto ricorrendo semplicemente ai servigi di una classe che si proponga professionalmente di risolverlo e così normalmente si fa; ma quando si trovi che questi servigi costano troppo cari, ecco che si rinunzia a essi e si cerca di provvedere direttamente alle proprie esigenze. Alle società che sono per così dire l'emanazione professionale di una classe non si applica il nome di cooperative (p. es. non alle società di costruttori di case a scopo speculativo), che va invece dato alle società rivali, emanazione straordinaria, non professionale, di altre classi o categorie sociali (p. es. alle cooperative edilizie composte d'individui che vogliano procurarsi per quel mezzo case o quartieri per loro proprio uso).
Principali tipi di cooperative.
Si è giunti a distinguere tutte le cooperative in due sole categorie: le cooperative dei produttori e quelle dei consumatori. Sennonché produzione e consumo non dànno luogo a classi diverse ma esprimono funzioni diverse normalmente riunite nella stessa persona. Inoltre se, come consumatori, gli uomini formano una massa più o meno omogenea con interessi almeno fino a un certo punto non discordanti, come produttori formano una massa eterogenea dividentesi in gruppi fra di loro concorrenti e per ciò con interessi tendenzialmente discordi. Comunque, sebbene i consumatori di beni diretti non formino una classe nel senso usuale della parola, perché comprendono tutta l'umanità, essi ci appaiono come una classe ogni qualvolta un loro qualsiasi gruppo si distacchi dalla massa per provvedere direttamente agl'interessi della funzione che rappresenta. Univoca invece la divisione in classi dei produttori. Avremo perciò cooperative di agricoltori, di piccoli industriali, di artigiani, di negozianti, e cooperative di lavoro, a seconda della composizione dei rispettivi soci e del corrispondente fine che vogliano raggiungere.
Le cooperative di consumo. - S'intendono tali le cooperative di consumo di beni diretti, ossia quelle composte di consumatori nel senso corrente della parola. Esse sono il gruppo indubbiamente più importante di tutte le cooperative, sia dal punto di vista della loro diffusione e degli affari che fanno, sia forse anche dal punto di vista sociale, tanto che c'è chi vorrebbe riserbata solamente a esse la denominazione di cooperative.
Scopo delle cooperative di consumo è di soddisfare alla domanda di beni diretti da parte di un gruppo di consumatori che si sono a questo scopo riuniti in società. Altri organismi avrebbero potuto rendere e normalmente rendono tali servizî, cioè gl'intermediarî, da soli o riuniti in società. Lo scopo obiettivo di questi, infatti, è di soddisfare alla domanda dei consumatori, quello subiettivo di guadagnare in tale attività professionale, in proporzione del loro conferimento all'impresa (lavoro, capitali, ecc.).
Ora può darsi che questi intermediarî soddisfino ai bisogni delle domande in maniera ineccepibile, sia in regime di concorrenza (che però in questo ramo non vuol sempre dire buon mercato) sia in regime di relativo monopolio. Ma può anche darsi il caso contrario, oppure può accadere che la domanda, cioè i consumatori, siano, non tanto per il prezzo quanto per altri motivi, poco contenti dell'organizzazione data dagl'intermediarî a questo servizio.
Ed ecco che fra i varî mezzi possibili di provvedere ricorrono a questo della cooperazione. Riproducono cioè essi stessi, per esprimerci tecnicamente, il servigio che prima ottenevano da altri dietro congruo pagamento.
La nuova impresa andrà soggetta alle stesse leggi della precedente, il suo scopo obiettivo sarà come nel caso precedente, di soddisfare alla domanda; ma il suo scopo subiettivo è diverso. Tenderà cioè non più a guadagnare in ragione del lavoro o dei capitali impiegati nell'impresa, ma, riducendo al minimo la rimunerazione di questi fattori, e accostando rigorosamente i prezzi al costo, cercherà di valorizzare l'elemento contribuito dai soci, cioè la domanda, o meglio i redditi, dei quali s'intende aumentare la capacità di acquisto. La situazione è dunque capovolta, giacché mentre per lo innanzi quanto più uno consumava e tanto più arricchivano gli intermediarî, nell'impresa cooperativa tanto più uno consuma e tanto maggiore è il suo guadagno, o meglio il risparmio per unità consumata; o in altri termini, tanto maggiore la sua "rendita" di consumatore: purché naturalmente l'impresa riesca bene.
Il guadagno può essere esplicito o implicito. È esplicito se il socio paga le merci vendute dalla cooperativa meno del prezzo corrente sul mercato; è implicito se le paga quanto sul mercato, ma su quel mercato che egli con la fondazione della cooperativa modificò, inducendolo a praticare più bassi prezzi. Se il guadagno è esplicito, lo si può avere tanto sotto forma di prezzi minori che si pagano volta per volta, quanto sotto forma di dividendi che a fine d'anno vengono distribuiti fra i soci in ragione della quantità di merce da ciascuno acquistata. Spesso il guadagno esplicito si accompagna a un guadagno implicito, in quanto l'apparire di una cooperativa bene organizzata, modifica in favore del consumatore l'equilibrio dei prezzi, che tornerebbero sfavorevoli ai consumatori se la cooperativa cessasse.
Ma, come s'è accennato, i consumatori possono desiderare di fondare una cooperativa anche all'infuori di ogni considerazione sui prezzi, trovandosi malcontenti, per altre ragioni, dell'organizzazione esistente. Per esempio è risaputo che gl'intermediarî influiscono grandemente e sull'orientamento della domanda e perché l'autonomia di scelta del consumatore sia assai minore di quanto generalmente si creda. Orbene, i consumatori possono desiderare di sottrarsi a questa specie di patronato, di formarsi un gusto loro proprio e di provvedersi, a mezzo della cooperativa, delle merci che a loro piacciono. Oppure ancora i consumatori, essendo a conoscenza che in qualche industria si praticano salarî inumani come talvolta accade per l'industria a domicilio, nel cosiddetto sweating-system, possono desiderare di soppiantare quell'industria, riproducendone i servigi, sia pure a costi più elevati, per i clienti della cooperativa.
In tutti questi casi abbiamo un'esatta conferma del principio che abbiamo posto a base del concetto di cooperazione. Vediamo cioè che un'attività, la quale nella moderna economia, basata sulla divisione del lavoro, meglio sarebbe spettata a specialisti e precisamente a commercianti di professione, viene assunta da un'altra classe che per sua natura vi sarebbe aliena. Essa difende così virilmente e onestamente i suoi proprî giustificati interessi, ma poiché questi . mirano a ottenere un ribasso di prezzi o forme più umane di produzione, mirano cioè a obiettivi d'interesse generale, questa azione viene salutata con simpatia da tutto il pubblico, esclusi beninteso gl'intermediarî eliminati o ricondotti a più modeste pretese. L'atteggiamento del pubblico verso queste cooperative, ispirato a viva simpatia, è uno dei principali fattori della loro prosperità. Un altro e forse anche più importante è la relativa facilità del loro funzionamento. Non è necessario che i soci come tali siano esperti nell'arte di comperare e di amministrare. Basta che sappiano scegliere bene i funzionarî e gl'impiegati ai quali affidare quelle operazioni, riservando al consiglio di amministrazione la direzione suprema e il controllo generale dell'azienda. L'operato del consiglio sarà poi sottoposto al giudizio finale dell'assemblea generale dei soci.
Le società cooperative di consumo non si limitano agli usuali affari di compra-vendita; ma, sia per le ragioni sociali dianzi accennate, sia per convenienza economica, passano alla produzione o fabbricazione diretta di alcune merci di più largo consumo, facendo concorrenza non soltanto agl'intermediarî ma ai produttori. E sono specialmente le grandi organizzazioni centrali (le Wholesales inglesi e scozzesi, ad esempio, o la Grosseinkaufsgesellschaft di Amburgo, ecc.) che esercitano su larga scala tale attività. La Grosseinkaufsgesellschaft è altresì proprietaria di due grandi tenute agrarie.
Non è chi non veda quale profondo rivolgimento economico possa produrre, in tutte le sue manifestazioni, questo movimento della cooperazione di consumo, che va diffondendosi ogni giorno di più e che è servito da una poderosa organizzazione di propaganda e di controllo, specialmente se si tiene presente che gli elementi componenti le cooperative di consumo appartengono in grande maggioranza alle classi più modeste, agli operai industriali (però con prevalenza fra questi degli operai qualificati sugli avventizî), agli artigiani, ai piccoli e medî impiegati privati, ai funzionarî dello stato e di enti pubblici, ai professionisti più modesti, e nelle campagne, per gli oggetti industriali, ai coltivatori. Occorre anche notare che, essendo assente nelle cooperative di consumo l'aculeo del guadagno professionale che tiene desta l'attività del commerciante, deve in esse intervenire un elemento etico, di devozione alla causa comune, deve formarsi una disposizione d'animo per la quale si lavora lietamente al conseguimento dello scopo sociale. Spirito questo che deve regnare nell'andamento generale della società e determinarne i fini e mezzi più che intervenire nella parte puramente tecnica e commerciale, la quale deve anzi seguire le regole generali dell'impresa, affidata del resto quasi sempre a funzionarî o impiegati pagati a stipendio fisso o con partecipazione e che non devono necessariamente essere soci. Ma v'ha di più: la cooperazione a un dato momento del suo sviluppo comincia a nutrir l'ambizione d'influire non soltanto sulla vita economica dei soci ma di tutta la collettività, per trasformarla. E quando quest'idea, che organizzando il consumo si può, almeno parzialmente, influire sulla produzione e sull'assetto sociale della collettività, si è impadronita degli uomini, può diventare feconda delle più grandi conseguenze. La cooperazione allora cessa di essere fine a sé stessa, di essere una concorrente di altre forme d'imprese o un calmiere in azione o in potenza come direbbero gli economisti, ma può diventare strumento di realizzazione di vaste idealità sociali. Né ciò va inteso nel senso che i cooperatori possano mettere a disposizione di qualche loro organizzazione sociale o politica una parte del guadagno (come spesso accade), ma nel senso di volere addirittura concentrare la direzione della vita economica nelle mani dei consumatori, nell'allargare sempre di più il campo dell'attività sociale, intensificando la produzione diretta, e nell'organizzare questa produzione nel preciso modo voluto dai cooperatori in omaggio alle loro idealità sociali, anche se esso non sia sempre il più economico. Si tende, in una parola, a spostare il centro di gravità economico dalle mani dei produttori, cui finora spettò l'iniziativa, alle mani dei consumatori, cui finora spettarono l'obbedienza e la remissività più supine. Che tutta la direzione della vita economica possa passare ai consumatori è però cosa manifestamente impossibile. Per consumare bisogna disporre di un reddito che non può venir guadagnato se non da pochi nelle imprese dipendenti dalle cooperative di consumo, nei loro spacci cioè e nelle loro fabbriche. Fino ad ora il numero dei funzionarî e degli operai da esse impiegati è relativamente piccolo. La grande maggioranza dei soci delle cooperative di consumo si trova impiegata in imprese capitalistiche private o in aziende e uffici dipendenti dallo stato o da enti pubblici, oppure sono artigiani o professionisti, appartengono cioè a imprese non cooperative, spesso in contrasto con queste e con le loro idealità. Che però la domanda organizzata possa esercitare ed eserciti una sensibile influenza anche sulle aziende non cooperative pare cosa evidente.
Ma influenza non significa direzione. La direzione assoluta della vita economica potrebbe passare ai consumatori solo in uno stato comunista, il quale organizzasse la produzione come rappresentante di tutti i consumatori cioè delle masse dei cittadini. Lo stato in questo caso sarebbe una sola enorme azienda, i componenti della quale, se pure divisi tecnicamente in molteplici sotto-aziende, produrrebbero tutto ciò di cui come consumatori avessero bisogno: sogno utopistico e irrealizzabile, in quanto applicherebbe a un complesso di molti milioni di abitanti il principio economico proprio dell'antica economia domestica chiusa, ossia di un'azienda limitata al massimo a qualche centinaio (come nella grande famiglia romana o nella curtis medievale) ma per solito a qualche decina di persone consanguinee o dipendenti dal pater familias.
La cooperazione di consumo, insomma, non può venire concepita come un organo esclusivo, come una forma universale assorbente tutte le altre, ma come una forma concorrente con le altre, d'importanza però sempre crescente man mano che si elevino economicamente, politicamente e intellettualmente le classi medie e popolari e man mano che lo spirito cooperativo vada fra loro diffondendosi e perfezionandosi. Senza di esso, le cooperative, pur commercialmente prospere, non potranno mai esercitare quella forza di attrazione intimamente connessa alla visione ideale della propria missione e alla volontà di attuarla, che costituisce attualmente il segreto della loro riuscita.
Le cooperative degli agricoltori. - Per cooperative di agricoltori intendiamo quelle società che gli agricoltori fondano per valorizzare l'elemento economico specifico da loro rappresentato, cioè la terra, oggetto della loro proprietà o contenuto della loro impresa. Non entrano perciò in questo novero né le cooperative di consumo di beni diretti costituite fra agricoltori in quanto consumatori, né le cooperative di lavoro dei giornalieri agricoli il cui elemento economico specifico è la forza manuale di lavoro e non la terra.
Per elemento terra noi intendiamo dunque tanto la proprietà quanto l'impresa agricola, e per cooperative agricole quelle società che si propongano di valorizzare la terra sotto l'uno o l'altro di questi due aspetti. Vediamo come si arrivi alla loro costituzione.
Vi sono alcune attività esclusivamente proprie degli agricoltori e che nessun altro se non l'agricoltore può esercitare. Ma ve ne sono altre che pur concernendo l'economia agraria, potrebbero venire esercitate anche da altre classi che non dagli agricoltori, e che anzi, in perfetto regime di divisione sociale del lavoro, meglio da queste classi specializzate che non dagli agricoltori, potrebbero venir esercitate. I bisogni dell'agricoltore in questo secondo campo di attività si compendiano nei seguenti: a) nel campo della domanda egli ha bisogno che gli siano forniti a prezzi ragionevoli i capitali necessarî alla coltura del suolo (danaro liquido per i pagamenti correnti, sementi, concimi, macchine, bestiame, ecc.) e, se non gli basta la terra di cui dispone o se invece di proprietario sia fittavolo, la terra; b) nel campo dell'offerta egli ha bisogno che qualcuno gli comperi i prodotti della sua azienda tanto agricoli quanto animali. Nel caso a) l'agricoltore si presenta come compratore ossia come consumatore; nel caso b) come venditore dei proprî prodotti, e quindi, abbreviando, come produttore. Qualora tutti questi servigi non gli vengano forniti a condizioni accettabili da coloro che li esercitano professionalmente, l'agricoltore cercherà a mezzo della cooperazione di produrli direttamente da sé. Soltanto a quelle associazioni fra agricoltori che derivino da tale situazione andrebbe attribuito, coerentemente a quel che si è detto, il carattere di cooperative, mentre dovrebbero chiamarsi semplicemente associazioni agricole tutte le altre e venire considerate non diversamente da ogni altra società economica.
Se così stanno le cose, avremo tante specie di cooperative agricole quanti sono i servigi che l'agricoltore potrebbe procurarsi sul mercato ma che preferisce produrre da sé a mezzo dell'associazione per sottrarsi così a possibili sfruttamenti o imposizioni di altre classi.
Quindi nel campo della domanda avremo: a) cooperative di credito, che tendono a sottrarre l'agricoltore all'usura della speculazione. Secondo la destinazione del capitale, avremo tre specie di cooperative di credito: quelle per il credito di esercizio, se il capitale viene investito in un breve ciclo produttivo; di miglioramento, se gl'investimenti di capitali sono a scadenza di qualche anno; fondiario, se i capitali servano ad acquistare terreni o a bonificarli o a trasformarli con opere che porteranno i loro frutti soltanto dopo lunga serie di anni. Provvedono al primo scopo in modo particolare le casse rurali locali, delle quali il tipo più perfetto, adottato poi in quasi tutti i paesi, è quello chiamato Raiffeisen dal nome del loro fondatore, riunite in casse circondariali o provinciali o addirittura nazionali; b) cooperative per l'acquisto o l'uso in comune di materie prime o di bestiame. Appartengono a questa categoria le stesse casse rurali in quanto si occupino di questi affari, come accade nei piccoli comuni, ma specialmente i consorzî speciali circondariali, provinciali, regionali o nazionali, e le loro federazioni. Scopo di queste forme è di provvedere gli agricoltori di tutto il capitale reale occorrente all'esercizio dell'impresa: sementi, fertilizzanti, macchine, bestiame da riproduzione, ecc., eliminando gl'intermediarî o meglio quegl'intermediarî che tali servigi si facciano pagare troppo caro; c) cooperative per l'acquisto di terreni in proprietà e in affitto. È una forma molto interessante di cooperazione agraria. La terra, cioè, non sempre si trova in vendita in appezzamenti di media o piccola estensione quali converrebbero ai piccoli coltivatori; e allora si sviluppa una forma di commercio dei terreni nella quale interviene come compratore di vasti complessi un intermediario-speculatore che li suddivide in particelle e li vende ai coltivatori a prezzi di molto superiori a quelli da lui pagati. Ed ecco sorgere il caso tipico della cooperazione. Gli agricoltori a mezzo delle loro società già esistenti o fondandone di apposite cercano di eliminare questi intermediarî o di limitarne le pretese. Analoga è l'operazione che si fa per gli affitti.
Nel campo dell'offerta gli agricoltori hanno bisogno di trovare chi comperi i loro prodotti o per proprio uso o per rivenderli a scopo speculativo. Lasciando da parte il primo caso che ormai è raro e localmente limitato, si presenta riguardo al secondo, cioè rispetto agl'intermediarî, una situazione del tutto analoga alle precedenti. Gl'intermediarî cioè si fanno pagare spesse volte troppo cari i loro servigi, sia che si limitino a comprare e vendere sia che sottopongano i prodotti agricoli prima di venderli a un'elaborazione industriale. Gli agricoltori cercano di sostituirsi a loro a mezzo della cooperazione. Così sono sorte le antichissime e diffusissime latterie sociali, gli oleifici cooperativi, le cantine sociali, i granai e i molini cooperativi, le società per la vendita delle uova, per l'allevamento o la vendita del bestiame, gli essiccatoi dei bozzoli, le fabbriche cooperative di conserve alimentari, di essenze o di citrati, le fabbriche cooperative di birra, di alcool, di patate disseccate, gli zuccherifici cooperativi, le società per l'imballaggio, la vendita e l'esportazione delle frutta, e via dicendo.
Grazie alla cooperazione gli agricoltori poterono e possono efficacemente reagire contro le tendenze monopolistiche degl'intermediarî e assicurare a sé stessi il profitto prima percepito da quelli, e ciò senza danno anzi con vantaggio dei consumatori, per conquistare la clientela dei quali debbono naturalmente chiedere prezzi inferiori a quelli che gl'intermediarî domandavano. Ma oltre che sotto questo aspetto, le cooperative agricole andrebbero considerate anche sotto quello altrettanto, se non più, importante, della loro funzione preservatrice della piccola proprietà e impresa in confronto della grande proprietà e impresa. Solo a patto che sappiano giovarsi della cooperazione come del mezzo più efficace per compensare gl'inconvenienti della piccola proprietà e azienda, adattandola alle esigenze tecniche della cultura ed economiche dei mercati moderni e inserendola nell'ordinamento capitalistico moderno per non venirne schiacciati, possono i piccoli agricoltori riuscire a tener testa al pericolo sempre incombente di venire assorbiti dalla grande proprietà e di vincere nella dura lotta per conservare o conquistare la terra, costantemente operante nelle società umane antiche e moderne.
Cooperative di piccoli commercianti e di artigiani. - Vanno considerate sotto il medesimo angolo visuale delle precedenti. I piccoli commercianti hanno soprattutto bisogno di credito e quando non lo possono ottenere a condizioni soddisfacenti sul mercato speculativo, fondano proprie cooperative di credito o si associano a quelle esistenti che, come fanno le banche popolari italiane, si propongono di venir incontro alle esigenze di tutte le classi medie, dagli agricoltori ai commercianti, dai professionisti agli artieri.
Più interessanti sono le cooperative degli artigiani: si hanno cooperative fra artigiani per l'acquisto di materie prime, o per la produzione in comune di forza motrice da venir poi distribuita singolarmente ai varî soci, per l'immagazzinamento o la vendita dei prodotti, e via dicendo.
Cooperazione operaia di lavoro. - L'essenza economica di tale forma non è diversa dalle precedenti. Ciò che muta è la composizione e il contributo economico dei soci. Soci delle cooperative sono gli operai-proletarî, ossia coloro che non posseggono altro che la loro forza di lavoro: questa dànno in contributo alla società e questa, traverso la società, vogliono valorizzare. Nella moderna economia capitalista, la forza di lavoro trova normalmente impiego offrendosi sul mercato agl'imprenditori verso congruo salario. Ora, mentre è nell'interesse degl'imprenditori di pagare i salarî più bassi possibili (almeno fino al limite in cui la prestazione stessa non ne abbia a soffrire), è all'opposto interesse dei lavoratori percepire i salarî più alti possibili. Fra i due punti di vista si cerca volta per volta un componimento e si giunge così a una posizione di equilibrio che è però sempre instabile. Gli operai non contenti dei loro salarî possono ricorrere a varî mezzi per modificare detto equilibrio a loro vantaggio. Il sindacalismo libero e il sindacalismo corporativo attualmente vigente in Italia, sono i due mezzi principali e di gran lunga più importanti. Ma rimane un terzo mezzo, che quando i due primi mancavano veniva ritenuto l'unico, e questo era ed è la cooperazione di lavoro. Si pensò e si pensa cioè che in certe circostanze, invece di discutere sui salarî conveniva e conviene meglio cercar di trasformare gli operai salariati in imprenditori a mezzo dell'organizzazione cooperativa. La trasformazione però non è facile perché per essere imprenditore non basta la forza di lavoro manuale ma occorrono potenza direttiva e forti capitali, senza di che è difficile la costituzione e il funzionamento di tali cooperative. Di questo fatto si fu ben presto consci; e quantunque una società possa trovare più facilmente credito che non individui isolati, scarsamente affluiva e affluisce ad esse il credito per la mancanza di garanzie reali che queste cooperative composte di proletarî lavoratori potevano e possono offrire.
Sorse così ben presto l'idea d'invocare per esse l'appoggio dello stato come rappresentante della totalità dei cittadini della quale gli operai rappresentano una cifra cospicua. Varî furono i sostenitori di quest'idea. I più noti furono L. Blanc e Ferdinando Lassalle, il quale ultimo, rendendosi conto che lo stato non avrebbe concesso fondi agli operai se non quando questi si fossero trovati al potere, invocava anzitutto il suffragio universale qual mezzo per portare il proletariato al governo.
Ma anche se questo sogno di una concessione d'ingenti, anzi ingentissimi, capitali da parte dello stato a cooperative operaie si fosse realizzato, avrebbe la cooperazione stessa potuto effettivamente prosperare e diffondersi in modo da diminuire sensibilmente il numero dei salariati? Ci son tutte le ragioni per dubitarne. La grande industria moderna ch'è la base della nostra civiltà economica, male si presta a essere esercitata con le forme proprie della cooperazione operaia. Entro la fabbrica la massa ha certamente i suoi diritti, ma non deve e non può contare che come massa esecutrice. Ora l'essenza della cooperazione operaia è che la massa esecutrice sia a un tempo la suprema direttrice: la qual cosa può certamente realizzarsi, ma su piccola scala, in imprese facili da amministrare e anche in questo caso a patto che i soci siano tutti di una non comune e omogenea levatura intellettuale e morale e siano tutti animati da sufficiente spirito cooperativo, siano cioè disciplinati, ubbidienti al capo da loro nominato, onesti e devoti alla causa. La rarità di queste condizioni spiega perché queste cooperative, che teoricamente sarebbero tanto interessanti, sono così poco diffuse. Le troviamo più numerose nei mestieri più semplici che richiedono scarso impiego di capitali: tali sarebbero le cooperative degli sterratori, terrazzieri, selciatori, facchini, barcaioli, pescatori, vetturali, mietitori, zappatori, mentre nell'industria vera e propria sono molto scarse.
Riassumendo: la cooperazione operaia di produzione, salutata con tanto entusiasmo al suo apparire si è dimostrata finora di scarsa applicabilità, ma pur tuttavia anch'essa rappresenta un nobile e utile strumento di lotta e tanto più si manifesterà tale quanto più si eleverà moralmente e intellettualmente la classe operaia. Fin da ora possiamo dire che essa ha esercitato ed esercita un'azione educatrice di primissimo ordine e che rimane un utile complemento di ogni altra azione economica operaia.
Altre forme di cooperative. - Oltre le forme di cooperative esaminate altre ve ne sono, di minore importanza, le quali però possono essere riportate a uno dei tipi fondamentali accennati. Il gruppo più importante, fra quelle di cui non diamo una trattazione speciale, è costituito dalle cooperative dei trasporti, in cui di solito si comprendono le numerose cooperative dei portabagagli esistenti in tutte le maggiori stazioni del mondo. Queste cooperative sono costituite in genere da lavoratori dei trasporti con l'intento di creare nuove aziende gestite da essi direttamente. Vi sono così cooperative che organizzano trasporti marittimi, terrestri e aerei, altre che si propongono l'approvvigionamento dei servizî e dei materiali inerenti a questa grande branca dell'attività sociale.
Costituiscono pure un gruppo importante le cooperative pescatori le quali hanno per scopo: gli acquisti collettivi, la gestione dei mercati del pesce all'ingrosso, l'assistenza ai soci e alle loro famiglie, il disciplinamento e la sorveglianza della pesca, il mutuo soccorso. Inoltre le cooperative svolgono opera di propaganda marittima e peschereccia, mantengono i contatti con tutte le autorità preposte allo sviluppo e alla tutela della pesca, fanno opera di propaganda per aumentare il consumo della produzione ittica.
Le cooperative edilizie hanno lo scopo di costruire e distribuire le case ai proprî soci al prezzo di costo, eliminando cioè il profitto dell'imprenditore e avvantaggiandosi di tutte le agevolazioni che di solito si praticano a tali società.
In genere si può dire che le forme cooperative sono infinite, non essendovi oggi alcuna attività che non possa essere esercitata in forma sociale.
La cooperazione fuori d'Italia.
Le cooperative di consumo. - Inghilterra.- La cooperazione di consumo è originaria dell'Inghilterra, il suo atto di nascita porta la data del 21 dicembre 1844, nel quale giorno al Vicolo del Rospo fu aperto il primo spaccio cooperativo dei Probi Pionieri di Rochdale. Oggi la cooperazione fra i consumatori in Inghilterra è organizzata dall'Unione cooperativa, costituita nel 1869, con affigliate 1289 società composte da quattro milioni e novecentomila soci e con vendite annuali superiori a 40 miliardi di lire. L'Unione ha nel suo seno, come società distinta formata dalle singole cooperative, "La Cooperativa Wholesale Society, Ltd.", con sede a Glasgow, costituita nel 1868.
Danimarca. - Le cooperative danesi di consumo sono raggruppate nell'Unione e magazzino centrale delle cooperative di consumo danesi, con sede a Copenaghen, costituita nel 1884 e rappresentante 1806 società. Il magazzino centrale ha il proprio servizio bancario e la società di assicurazione collegata. La banca aveva nel 1925 un capitale azionario di 17 milioni di corone, un fondo di riserva per un milione e depositi per 160 milioni.
Non vi sono leggi speciali sulle cooperative e nullo è l'intervento dello stato. La legge generale del 23 maggio 1873 regola le società commerciali e fra esse le cooperative di consumo.
Germania. - L'Unione centrale delle cooperative di consumo tedesche è il secondo colosso della cooperazione di consumo nel mondo. Infatti l'Unione centrale ha alle sue dipendenze i seguenti organismi costituiti in società commerciali distinte: 1. Magazzino centrale delle cooperative di consumo tedesche con sede ad Amburgo, costituito nel 1894; 2. Società editrice delle cooperative di consumo tedesche; 3. Società mutua di assicurazione fra i sindacati e le società cooperative; 4. Cassa mutua di assicurazione fra il personale dell'Unione. Il Magazzino centrale ha rifornito, nel 1927, 1049 società e ha venduto per 13 miliardi e ottocento milioni di marchi oro di derrate con una propria produzione di due miliardi e 868 milioni. L'Unione ha 2986 funzionarî e 3117 operai. L'organizzazione germanica è servita di modello a quelle austriaca, ungherese, cecoslovacca, polacca, e a tutte quelle delle nuove nazioni create dalla guerra.
Austria. - L'Impero austro-ungarico comprendeva già prima della guerra organizzazioni distinte per l'Austria e per l'Ungheria, delle quali parleremo brevemente. L'Unione delle società cooperative austriache di consumo fondata nel 1903 comprende 103 società di cui la più nota e la più grande è la cooperativa Vorwärts di Vienna, la quale ha 140 mila soci e vende per ottanta milioni di corone l'anno. L'Unione nel 1905 ha costituito il Magazzino centrale delle cooperative austriache con sede a Vienna e nel 1913, anche con sede a Vienna, la Lega delle cooperative austriache.
La legge regolatrice delle cooperative è del 9 aprile 1873 ed è fondata sui principî già accennati per la legge germanica: l'istituto della revisione è regolato con la legge 10 giugno 1903. La legge prevede tre organi di ispezione: quello dell'organizzazione, quello dello stato, quello della dieta provinciale. I revisori dell'organizzazione si occupano solo delle cooperative associate e devono essere autorizzati dal ministero o dalle autorità provinciali, secondo che operino in più provincie o in una sola: per le società isolate il revisore è nominato dal tribunale di commercio.
Ungheria. - Una tipica organizzazione di consumo, di credito e di produzione fu creata nel 1898 e prese il nome di "Hangaja", la quale è tuttora la più importante società cooperativa ungherese. Nel 1904 fu costituita l'Alleanza delle società cooperative d'Ungheria con sede a Budapest e che comprende: 1. la Cassa centrale delle cooperative di credito; 2. la "Hangaja", società cooperativa di consumo, di vendita e di produzione; 3. la "Fructus" società cooperativa per la vendita delle frutta e dei prodotti distillati; 4. la Cooperativa di assicurazione degli agricoltori; la società mutua per l'assicurazione del bestiame; 6. la Società cooperativa dei funzionarî ungheresi; 7. la Cooperativa degli agricoltori ungheresi; 8. l'Unione nazionale delle latterie cooperative. La legge che regola la cooperazione è dell'8 maggio 1898 e una recente legge 27 febbraio 1923 concede contributi di stato alle cooperative di lavoro fra operai.
Francia. - La cooperazione francese fu in origine prevalentemente di lavoro: nel 1832 sorse a Lione la prima cooperativa detta "Commercio veridico e sociale". Due diverse scuole si contesero il campo delle cooperative di distribuzione, quella di Nîmes ispirata ai principî inglesi e l'altra che risentiva delle origini operaie e che faceva capo alle organizzazioni socialiste: si ebbero così due organizzazioni in lotta fra loro: la Union Coopérative des Sociétés Françaises de Consommation e la Bourse des Coopératives Socialistes de Consommation, e durante tutto questo periodo la cooperazione fra consumatori non ebbe risultati tangibili. Finalmente nel 1912 la buona volontà di pochi uomini riuscì a trionfare e fu creata l'organizzazione unitaria nella Federazione nazionale delle cooperative di consumo con sede a Parigi, la quale oggi ha 6520 società aderenti con 3.480.000 soci e due miliardi e 800 milioni di vendite. Fu solo dal giorno in cui fu data una base unitaria alla cooperazione francese che essa acquistò un posto notevole nell'economia del paese e infatti alla Federazione fanno capo oggi 48 unioni regionali le quali provvedono alle prenotazioni delle merci, alla propaganda e all'organizzazione cooperativa.
La Federazione ha il proprio Magazzino centrale creato fino dal 1907 e, dal 1922, la Banca delle cooperative francesi con un capitale, formato dalle stesse cooperative, di 12 milioni di franchi: la Banca ha presentemente 120 milioni di depositi. Ogni cooperativa di consumo funziona anche da agenzia della Banca, la quale distribuisce gli utili del proprio esercizio in un modo particolare. Sugli utili viene prelevato il 2 per cento fisso per il capitale e il residuo viene mandato per metà alla riserva e per l'altra metà viene restituito alle cooperative in ragione degl'interessi passivi pagati alla Banca. La più grossa cooperativa francese è quella di Parigi detta l'Union des coopérateurs.
Belgio. - È nota a tutti la diffusione che ebbero nel Belgio i principî della mutualità: su queste basi è sorto il movimento cooperativo con due organizzazioni tipiche che si chiamano Belgische Borembond (Lega dei contadini belgi) con sede a Lovanio e l'Ufficio cooperativo belga con sede a Bruxelles. La prima organizzazione si rivolge particolarmente ai piccoli proprietarî e ai coltivatori, la seconda agli operai dei centri industriali: la prima è guidata da persone del partito cattolico, la seconda da esponenti del partito operaio e socialista. La lega dei contadini ha numerose istituzioni cooperative che mirano a facilitare gli scambî agrarî: l'Ufficio cooperativo comprende le Maisons du peuple, le quali sono organizzazioni di consumo con finalità mutualistiche di assistenza. Le "Case del popolo" sono organizzate in forma cooperativa a responsabilità limitata, i soci sono quasi esclusivamente lavoratori, vendono al pubblico e gli utili sono destinati alle Casse di malattia, di disoccupazione e di assistenza.
La Casa del popolo è il tipo di cooperativa nel quale il lavoratore trova, oltre che i generi alimentari, sale di riunione, conferenze, teatro, infine un'organizzazione diretta alla sua cultura: la più nota è la Maison du peuple di Bruxelles; la più antica e la più forte è la Voruit di Gand.
Svizzera. - Altro paese in cui la cooperazione di consumo ha tradizioni ed esempî notevoli. La prima organizzazione di consumo fu costituita a Ginevra nel 1846; la più potente cooperativa è l'Allgemeiner Konsumverein di Basilea con 150 mila soci. Le 516 cooperative svizzere di consumo sono raggruppate nell'Unione svizzera delle società di consumo con sede a Basilea, costituita nel 1890 e comprendente le seguenti aziende: 1. Cooperativa per la produzione dei mobili; 2. Latteria cooperativa delle società svizzere di consumo; 3. Cooperativa di assicurazione "La previdenza popolare"; 4. La lega delle cooperatrici svizzere. Nel 1927 in unione con i sindacati di mestieri, fu costituita la Banca dei sindacati e delle cooperative. Il movimento svizzero è a responsabilità limitata, vende ai soli soci, è apolitico; deve al suo spirito di disciplina i costanti successi ottenuti. Le cooperative di consumo sono anche molto diffuge in Polonia, Cecoslovacchia, Iugoslavia, Svezia, Norvegia e Finlandia.
Cooperative degli agricoltori. - La cooperazione agraria ha raggiunto un considerevole sviluppo in tutto il mondo. Le varie forme però che di essa si sono venute attuando nei varî paesi non differiscono sostanzialmente da quelle italiane che saranno in seguito ampiamente illustrate: perciò una trattazione particolare sarebbe superflua in questa sede.
Accenniamo soltanto alla Russia ove le cooperative sorsero dopo il 1860 con una funzione reazionaria, promosse da funzionarî statali e da ricchi borghesi. Sennonché dopo il congresso del 1896, che stabilì un centro coordinatore a Mosca, le cooperative vennero man mano affermando la loro vera funzione economico-sociale. Dalla rivoluzione del 1905 alla pace di Brest-Litowsk corre in Russia il periodo eroico della cooperazione, che si afferma principalmente nel campo agrario e artigiano. Nel 1917 si costituì con funzione economica e di comando effettivo il centro cooperativo di Mosca (Centrosojuz), che oggi conta oltre 20 milioni di cooperatori.
Altro paese da ricordare è la Romania, ove la grande riforma agraria, intesa ad assicurare la terra ai contadini, se da una parte segnò la fine delle cooperative d'affitto, dall'altra si servl del sistema cooperativo per rendere possibile e facile il passaggio della terra dai grandi proprietarî latifondisti ai contadini. Un tipo di cooperativa per l'acquisto della terra era sorto poco prima della guerra: la riforma agraria lo chiamò ad uno sviluppo grandissimo e ad un'enorme importanza. Non solo, ma col sorgere della piccola proprietà, sorsero infiniti nuovi problemi che i contadini non potevano risolvere se non cadendo nelle rapaci mani degli usurai (che costituiscono una delle più tremende piaghe della Romania) oppure dando il massimo impulso alle cooperative. La seconda via naturalmente fu preferita ed oggi pochi paesi del mondo devono tanto della propria prosperità economica alla cooperazione, quanto la Romania.
Cooperazione operaia di lavoro. - Questa forma di cooperazione ha avuto principio in Francia, ove ha trovato un ambiente particolarmente favorevole al suo sviluppo, come quella di consumo in Inghilterra e quella di credito in Germania. Notevole è lo sviluppo raggiunto da questa forma di cooperazione in tutti i paesi civili, specialmente in Francia ove fin dal 1884, a Parigi, fu fondata la Chambre Consultive des Associations ouvrières de production. Le origini di questa forma di cooperazione risalgono ai falansterî del Fourier. La più celebre fra le società di produzione è il familistère di Guise che fu dapprima la casa Godin, sorta dopo i moti del 1830. Nel Belgio Edoardo Anseele, fondatore del "voruit" di Gand, costitui nel 1913 in forma anonima ma non cooperativa, la Banca belga del lavoro con capitale di fr. 1.000.000 di cui il 60% era sottoscritto e versato dalle organizzazioni cooperative e il 40% da privati azionisti, le cui azioni furono regolarmente commerciate in borsa. Lo sviluppo di questa banca consentì la formazione di diverse società anonime, nelle quali la metà delle azioni è sottoscritta da società cooperative e l'altra metà da capitalisti privati. Con questo sistema è stato possibile alle cooperative di Gand d'iniziare alcune grandi industrie, fra le quali: 1. filature e tessiture riunite con il capitale di franchi 6.000.000 e fr. 3.440.000 di riserve; 2. nuova tessitura di lino con il capitale di fr. 1.000.000 e fr. 46.000 di riserva; 3. armamento di Ostenda con un capitale di fr. 4.000.000 e proprietaria d'una flotta di battelli da pesca.
Particolare importanza hanno queste cooperative negli Stati Uniti d'America per il carattere che esse presentano, oltre che per lo sviluppo raggiunto. Mentre in Europa, dice il Rabbeno, sono gli operai della piccola industria, o artigiani indipendenti, che non potendo resistere alla concorrenza degli opifici forniti di macchine, ricorrono alla cooperazione, la quale serve così come mezzo preventivo per evitare che nella trasformazione industriale lavoratori indipendenti e partecipanti al profitto passino nella condizione di salariati; negli Stati Uniti invece si rivolgono alla cooperazione operai salariati, spesso appartenenti alla grande industria, i quali, in seguito a scioperi mal riusciti, non volendo adattarsi alle condizioni fatte dai padroni e non volendo trasportarsi altrove costituiscono una nuova industria per loro conto. La causa che li determina pertanto caratterizza quelle associazioni di produzione come vere cooperative.
Cooperative edilizie. - In Inghilterra, nel 1835, sorse l'idea di costruire case per gli operai e fu costituita la Società per il miglioramento delle classi lavoratrici che ebbe carattere filantropico. Nel 1845 altre società edilizie sorsero col proposito di realizzare fini economici, oltre che filantropici. Ma la maggiore diffusione queste cooperative l'ebbero in America, ove ben presto riuscirono a costruire interi quartieri, quasi delle città, tanto da procurare a Filadelfia il nome di City of Homes.
In Francia nel 1853 a Mulhouse venne costituita la Société Mulhousienne des cités ouvrières con 12 azionisti, che sottoscrissero settanta azioni, di lire cinquemila ciascuna e con una sovvenzione dello stato di lire trecentomila. Altre società del genere furono costituite a Bellerville, a Blan, Colmar, Creusot e in altri centri industriali. È da ricordare in particolar modo il familistère di Godin per il Comune societario ove si applicavano le forze dell'ingegno e della mano con una combinazione armonica per l'utile di tutti. Era un grande fabbricato in un terreno di sei ettari attraversato dall'Oise, e circondato da giardini, orti, frutteti. Non mancavano sale di ricreazione e spacci economici di macelleria, drogheria, ecc. Vi era persino il "bambinaio", ove le madri potevano lasciare i bambini a delle nutrici, mentre esse attendevano al loro lavoro.
Altrove, uguali necessità diedero luogo a uguali provvedimenti e in Danimarca, in Olanda, nella Svezia, nella Norvegia, nella Russia, nella Spagna, in Germania, nel Belgio ottimi fabbricati sorsero per dare riposo morale e materiale all'operaio.
La cooperazione in Italia.
Varie forme di cooperative. - Le cooperative di consumo. - La cooperazione di consumo sorse in Inghilterra nel 1844. In Italia l'Associazione generale degli operai di Torino aprì nel 1854 il primo Magazzino di previdenza. Nel 1865 altro ne sorse per opera della Società di mutuo soccorso universale di Sampierdarena; però una diffusione del movimento cooperativo di consumo cominciò solo dopo il 1880. Le prime cooperative di consumo ristrette ai soci furono quelle promosse tra i ferrovieri fino a quando sul sistema inglese fu costituita da Luigi Buffoli nel 1886 l'Unione cooperativa a Milano con 134 soci e lire 1772 di capitale. L'Unione cooperativa nel suo massimo sviluppo raccolse 17.320 soci e 109 milioni di vendite, con un capitale di 6.000.000 di lire e 2 milioni di riserva. In quel periodo nacquero l'Unione militare a Roma (1889), l'Unione cooperativa di Firenze (1890), l'Unione cooperativa di consumo di Verona, la Cooperativa ferroviaria di consumo di Torino (1892), la quale nel 1899 si fuse con il Magazzino della società generale operaia e diede luogo all'Alleanza cooperativa torinese che, insieme con le Cooperative operaie di Trieste, rappresentano le più grandi e le più tipiche cooperative italiane. Il movimento delle cooperative di consumo ha fatto numerosi tentativi, incominciando nel 1905, per costituire un Magazzino centrale e sono tutti miseramente caduti per lo spirito di separatismo delle grandi e delle piccole cooperative, sicché soltanto recentemente è stato possibile organizzare un Ente centrale approvvigionamenti, con sede a Milano. Attualmente le cooperative di consumo in Italia sono 3334 e svolgono annualmente un giro di affari di circa due miliardi di lire. Esse sono inquadrate in una Federazione nazionale delle imprese cooperative di consumo, nel cui seno costituiscono un gruppo autonomo le cooperative per il consumo dell'energia elettrica, che sono circa un centinaio. La Federazione aderisce all'Ente nazionale della cooperazione e alla Confederazione nazionale dei commercianti.
Cooperative degli agricoltori. - La cooperazione agraria, le cui prime manifestazioni in Italia risalgono al 1865, anno in cui sorsero le Banche popolari di Milano, Cremona e Bologna, cui seguirono, nell'86, le affittanze collettive e nell'89 i consorzî agrarî, si è venuta svolgendo in rispondenza alle moderne esigenze dell'agricoltura. Soffermandoci sulle categorie d'interesse strettamente agrario, rileviamo come la cooperazione di credito sia rappresentata in Italia dalle banche popolari (tipo Schulze-Delitzsch, adattato alle particolari condizioni del paese da Luigi Luzzatti) in numero di 600, di cui è notevole l'aiuto dato agli agricoltori; e dalle casse rurali (tipo Raiffeisen) in numero di 2682 al 31 dicembre 1928, con lire 1.214.233.786 di depositi e con circa 800 milioni di lire erogati in prestiti agli agricoltori in tale anno. Importanza speciale hanno i consorzî agrarî per l'acquisto in comune di merci e macchine agricole e la rivendita ai soci e anche ai non soci. Alla fine del 1928 se ne annoverano 615 con 500.000 soci, 150 milioni di lire tra capitale e riserve, con 1.600.000.000 di lire di vendite per il 1927. Secondo le direttive più recenti si tende ad allargare la loro funzione anche alla vendita dei prodotti dei soci. Essi fanno capo alla Federazione di Piacenza, che è la più potente organizzazione italiana per il commercio cooperativo delle materie utili all'agricoltura, e che nel 1929 vendette merci per lire 342.141.730 e macchine per lire 29.177.539. La cooperazione di produzione si è particolarmente affermata con le latterie e con le cantine sociali.
Le latterie sociali cooperative sono enti costituiti allo scopo di lavorare il latte in comune, in un locale unico, sotto la direzione di un casaro, e di vendere vantaggiosamente, per conto dei singoli soci, i prodotti ottenuti. I soci provvedono alla consegna del latte, che in parte viene pagato settimanalmente, in parte a fine di esercizio, ripartendosi gli utili dopo aver prelevato una quota per la riserva e un'altra per l'ammortamento delle spese d'impianto. L'organizzazione delle latterie sociali ha variato notevolmente nel tempo; prima fu a sistema familiare a prestito reciproco del latte, ed ebbe origine in Olanda. Verso il 1806 per felice iniziativa del comandante le milizie del presidio di Osoppo (Friuli) vennero istituite le prime latterie turnarie di prestanza, in cui la lavorazione veniva fatta successivamente nelle case dei singoli soci, ove gli associati portavano il proprio latte. Da queste forme rudimentali sono sorte le attuali latterie cooperative che hanno raggiunto un notevole sviluppo in tutti i paesi del mondo. Al 31 dicembre 1928 le latterie sociali in Italia erano 1276, con 921.308 soci effettivi e 12.020 soci portatori; il patrimonio era costituito da un valore in immobili di lire 1.167.108, in macchine e in attrezzi di lire 5.573.697. Nel 1927 furono lavorati 3.762.536 quintali di latte. La produzione fu di quintali 1.653.584 di latte, 257.567 di formaggio, 88.413 di burro, 803.245 di siero, 3561 di ricotta.
Le cantine sociali, sorte allo scopo di accomunare le uve dei consociati per ottenere il tipo unico di vino e smerciarlo alle migliori condizioni; sono costituite da viticultori, i quali si propongono anche di sottrarre la loro produzione all'instabilità e all'impressionabilità del mercato delle uve, garantendo nello stesso tempo la trasformazione e la conservazione del prodotto stesso. Può dirsi, in genere, che le cantine sociali perseguano i seguenti scopi: 1. provvedere alla difesa dei produttori e agli squilibrî del mercato; 2. valorizzare i prodotti con la costanza dei tipi; 3. utilizzare i sottoprodotti delle uve; 4. migliorare la viticoltura e le zone in cui sorgono; 5. unire in uno stesso organismo economico le varie categorie che collaborano alla produzione delle uve, stringendo fra loro rapporti di collaborazione e contemperando i rispettivi interessi, organizzando infine in forma cooperativa i fattori della produzione per l'incremento dell'agricoltura. In Italia le cantine sociali, cominciate a sorgere verso il 1900, sono ora abbastanza diffuse. Presentemente ne esistono 96 in tutt'Italia (è all'avanguardia la Venezia Tridentina con 39 cantine sociali) che raccolgono fra tutte oltre 8000 soci e lavorano annualmente un milione di quintali di uve, con una produzione media di 700.000 ettolitri di vino.
Sempre nel campo della cooperazione di produzione vanno ricordate le fabbriche cooperative di concimi chimici, sorte per mettere un freno alle eccessive pretese dei fabbricanti e per servire da calmiere dei prezzi. Se ne annoverano 18, con una capacità di produzione annua di circa 2.775.000 quintali.
Con crescente successo si diffondono pure gli essiccatoi cooperativi di bozzoli, che permettono agli agricoltori di vendere il prodotto al momento più opportuno senza soggiacere alla necessità di cederlo a prezzi troppo bassi. Se ne contano 89. Negli ultimi anni sono anche sorte cooperative specializzate per la vendita dei prodotti ortofrutticoli, che hanno il loro centro nella Sezione vendite collettive prodotti del suolo, istituita a Bologna dalla Federazione italiana dei consorzî agrarî.
Caratteristico è il gruppo delle affittanze collettive o associazioni di lavoratori agricoli aventi lo scopo di procurarsi con contratti d'acquisto d'affitto o di mezzadria l'uso della terra che essi coltivano. L'affittanza collettiva per quanto ha riferimento alla forma di conduzione può essere: a conduzione unita, a conduzione divisa e a conduzione mista. Le prime hanno tutte le caratteristiche delle grandi aziende condotte in economia. La differenza sostanziale sta nel fatto che all'imprenditore privato si sostituisce la società dei lavoratori che ha assunto l'impresa. La società come ente giuridico dispone del terreno e del capitale fisso e circolante, assume personale fisso a salario annuale per la cura e l'uso del bestiame e delle macchine; per l'esecuzione di altri lavori dell'azienda, assume anche personale avventizio a giornata e con salario ad ora e per talune colture con contratto in partecipazione. Un tipo speciale delle cooperative agricole a conduzione unita è la mezzadria collettiva. Le cooperative a conduzione divisa hanno la fisionomia e l'ordinamento delle aziende appoderate. All'imprenditore privato si sostituisce l'associazione di lavoratori che gestisce l'azienda. Essa è divisa in piccole unità colturali ciascuna delle quali viene assegnata per la coltivazione ad una famiglia di lavoratori soci. La cessione viene fatta per contratto d'affitto e di colonia. Il socio immesso sul podere, come prima rispondeva del suo operato verso il locatore, ora risponde verso la società; per tutti i soci è la società che risponde verso il locatore così per il pagamento del canone stabilito come per l'osservanza delle norme contrattuali. Le cooperative agricole a conduzione mista riassumono le due forme sopra accennate; anno per anno nelle cooperative a conduzione mista vengono stabilite le località dell'azienda e le estensioni delle singole colture. Le zone assegnate a cereali sono sempre annualmente frazionate in lotti; ogni lotto tende ad essere tanto largo da bastare a una famiglia di lavoratori, e ciascun lotto viene assegnato a una famiglia. La parte a prato e a pascolo viene tenuta e coltivata a conduzione unita; dove c'è bestiame, anche la stalla è tenuta in solido dalla società. Questa in molti casi provvede alla aratura come a tutte le operazioni tecniche commerciali che ogni socio da solo non può compiere: trebbiatura, trasporti, assicurazioni, acquisti, vendite, ecc. La loro situazione alla fine del 1928 si riassumeva nelle seguenti cifre: società, 314; soci, 46.724; superficie coltivata, ha. 242.643.26; capitale e riserve, lire 30.282.097; valore del bestiame lire 37.211.090; degl'immobili, delle macchine e degli attrezzi, lire 41.128.315; produzione del 1927 valutata in lire 133.198.937. Grandi possibilità di sviluppo sono offerte a queste cooperative dal vasto piano per la bonifica integrale delle terre predisposto dal governo italiano con legge 24 dicembre 1928, n. 3134, e dai progetti in corso per l'emigrazione interna e per la colonizzazione.
Cooperaziione operaia di lavoro. - Le cooperative di produzione in Italia, di cui la più antica è la Società artistico-vetraria di Altare sorta nel 1855, sono inquadrate in una Federazione nazionale delle imprese cooperative tra lavoratori dell'industria, la quale conta nel suo seno circa 2000 cooperative con 139.372 soci, con 62.755.536 di lire di capitale e impianti industriali per lire 56.854.234; esse occupano giornalmente 60.636 operai e nel 1929 hanno corrisposto 219.216.055 lire di salarî. Le industrie in essa rappresentate, secondo la classifica della Confederazione generale dell'industria italiana, sono: dei costruttori edili con 1069 cooperative; dell'industria grafica con 37; del legno con 55; del marmo e della pietra con 76; della pesca e affini con 44; delle industrie meccaniche e metallurgiche con 44.
(Per la legge italiana 25 giugno 1909, n. 442, relativa alle cooperative di produzione e lavoro, v. qui sotto il paragrafo Diritto vigente).
Cooperative edilizie. - La prima cooperativa edilizia fu costituita in Italia dal granduca di Toscana nel 1849. Torino nella stessa epoca volse il pensiero alle "orribili soffitte" e finalmente a Roma nel 1866 alcuni volonterosi misero insieme un discreto peculio a cui si aggiunse un credito d'un milione, ottenuto al 4% presso la Banca nazionale per la costruzione di case cooperative. L'industre Milano aiutò queste cooperative regalando il terreno di costruzione, e Bologna diede origine a quella società anonima cooperativa per la costruzione e il risanamento di case operaie in Bologna che oggi conta 30 case, 800 inquilini, 3000 soci con un capitale azionario di 250.000 lire e un capitale di riserva di oltre cinque milioni. In Italia v'è tutta una legislazione che riguarda le cooperative edili cui sono annesse molte agevolazioni economiche e fiscali. Il loro numero ammonta a circa un migliaio e costituiscono una Federazione autonoma aderente all'Ente nazionale della cooperazione.
Cooperazione di credito. - Vedi le voci cassa: Casse rurali; banca: Banche popolari.
Diritto vigente. - Le cooperative non hanno una legge organica. Il nostro codice di commercio si occupa delle cooperative come società commerciali quando si propongono l'esercizio di atti commerciali, vale a dire quando s'interpongono fra produttore e consumatore a scopo di lucro, e assumono una delle tre forme di società riconosciute dalla legge; e, salvo alcune speciali disposizioni indispensabili per il loro carattere economico, le società cooperative per lo più assumono la forma delle anonime. Un primo tentativo di legislazione per le cooperative si ebbe con la legge 12 maggio 1904, n. 178, che modificando l'art.4 della legge 11 luglio 1889, n. 6216, ammise alla stipulazione a licitazione o a trattativa privata per appalti di lavori di costruzioni e di manutenzioni, di forniture e di servizî pubblici per un importo non superiore a 200.000 lire, le associazioni cooperative di produzione e lavoro legalmente costituite fra gli operai, e le cooperative agricole. Con la legge 19 aprile 1906, n. 126, la disposizione sulla cauzione fu estesa alle società cooperative di produzione e lavoro non chiamate a licitazione e concorrenti a pubbliche gare per importi non superiori a 200.000 lire. La legge 7 luglio 1907, n. 533, autorizzò le società di ripartizione ad impiegare le somme versate dagli associati e loro interessi, anche in prestiti alle società cooperative di produzione, di lavoro e di consumo. Norme analoghe alla legge 12 maggio 1904, n. 178, sono state emanate con le leggi 19 luglio 1907, n. 549, per le Calabrie, e 10 novembre 1907, n. 844 (T. U.), per la Sardegna. Il diritto amministrativo, con norme che ogni giorno si vanno accrescendo, interviene per garantire e facilitare gli scopi delle varie cooperative.
Si devono innanzi tutto ricordare due fondamentali provvedimenti: la legge 25 giugno 1909, n. 422, e il regolamento 12 febbraio 1911, n. 278. La legge 25 giugno 1909 autorizzò le società cooperative di produzione e lavoro, legalmente costituite, a riunirsi in consorzio per assumere appalti di opere pubbliche dello stato e degli enti morali, anche a trattativa privata, salvo determinati limiti. Il consorzio è costituito, e lo statuto viene approvato, con decreto reale su proposta del ministero competente. Contro il diniego del decreto di costituzione del consorzio e contro la negata approvazione in tutto o in parte dello statuto, è ammesso il ricorso al Consiglio di stato in sede giurisdizionale. Il consorzio di cooperative costituisce una persona giuridica; è sottoposto alla vigilanza ministeriale, pur non essendo i suoi atti soggetti ad approvazione superiore, godendo il consorzio di cooperative piena autonomia.
Anche ai consorzî di cooperative di produzione e lavoro sono applicabili alcune esenzioni e riduzioni di tasse di bollo, nonché il privilegio dell'insequestrabilità del prezzo d'appalto; ma il r. decr. 30 dicembre 1923, n. 2880, assoggettò, fino al 31 dicembre 1926, a tassa fissa minima di registro gli atti di cessione a favore dell'Istituto nazionale di credito per la cooperazione; mentre il r. decr. 30 dicembre 1923, n. 2882, disciplinò l'applicazione dei privilegi tributarî concessi e concedendi in materia di tasse di registro alle società cooperative.
Col regolamento 12 febbraio 1911, n. 278, sono stati regolati l'ordinamento delle cooperative nonché la costituzione e il funzionamento dei consorzî ammessi ai pubblici appalti. Sono quindi ammissibili ai pubblici appalti le cooperative di produzione e lavoro, quelle agricole e quelle miste, cioè le cooperative riunenti gli scopi e i caratteri di varie cooperative appartenenti alle precedenti, o che si prefiggono in via di integrazione altri scopi cooperativi. Il r. decr.-legge 10 febbraio 1927. n. 196 (legge 18 novembre 1928, n. 2689), fissò i limiti della quota sociale e delle azioni per le società cooperative. Già il r. decr.-legge 17 settembre 1925, n. 1735 (legge 18 marzo 1926, n. 562) vietò ai soci impiegati d'una cooperativa di consumo, di partecipare, per la durata del rapporto d'impiego o di lavoro, alle assemblee della società cooperativa stessa.
Per quanto concerne l'intervento della pubblica amministrazione sono da ricordare il registro prefettizio e la vigilanza degli organi governativi. È prescritto che presso ogni prefettura del regno sia tenuto un registro nel quale si iscrivono le cooperative della provincia ammissibili agli appalti indicati dalle leggi 12 maggio 1904, n. 178, e 19 aprile 1906, n. 126, previo il parere della commissione provinciale. Contro l'iscrizione e il decreto del prefetto è ammesso il ricorso, che però non ha effetto sospensivo, al ministero competente. Altre particolarità concernono: il rifiuto o la cancellazione dell'iscrizione, la cancellazione d'ufficio, da parte del ministero, delle cooperative prive dei caratteri necessarî per l'iscrizione; la sospensione per atto del ministero, d'ufficio o su ricorso degl'interessati, di nuove iscrizioni; la sospensione degli effetti dell'iscrizione già avvenuta per constatata violazione di leggi o di regolamenti, o di altre irregolarità sanabili. Riguardo agli effetti della cancellazione, ove l'amministrazione appaltante non ritenga di sciogliere il contratto, i lavori in corso saranno ultimati secondo il contratto stesso.
La vigilanza sulle cooperative è esercitata dal ministero e dalla commissione provinciale. Presso il ministero è istituita, con r. decreto, una commissione centrale nel cui seno viene eletto un comitato centrale. La commissione provinciale di vigilanza è istituita in ogni provincia; è presieduta dal prefetto e ne fanno parte alcuni determinati funzionarî governativi. Essa ha funzioni consultive per le iscrizioni, sospensione e cancellazione di cooperative dal registro prefettizio; ha funzioni ispettive sull'ordinamento e funzionamento delle cooperative iscritte; ha funzioni integratrici, di carattere facoltativo; infine, ha funzioni conciliative. I bilanci delle cooperative vengono trasmessi dalla prefettura, cui si debbono presentare entro quattro mesi dalla chiusura della gestione, al ministero.
Il r. decr. 5 aprile 1925, n. 662, modificò il regolamento per le cooperative di produzione e lavoro e loro consorzî ammessi ai pubblici appalti, approvato con r. decr. 12 febbraio 1911, n. 278. Inoltre il r. decr.- legge 30 dicembre 1926, n. 2288 (legge 15 dicembre 1927, n. 2499), dettò le norme per la vigilanza sul funzionamento delle società cooperative e per l'istituzione dell'Ente nazionale per la cooperazione. L'Ente nazionale per la cooperazione, ha lo scopo di assistere, sviluppare e coordinare le cooperative, le associazioni di cooperative ed enti mutualistici, aderenti all'istituzione dell'ente stesso, salvo tutto ciò che concerne i rapporti sindacali. Seguendo la via delle riforme intraprese, il r. decr.- legge 13 agosto 1926, n. 1554, autorizzò la messa in liquidazione coatta, mediante decreto reale, dei consorzî riconosciuti dalle vigenti leggi, e di tutte le associazioni di cooperative erette in ente morale, prive di sufficienti attività per far fronte ai loro debiti. Il r. decr.-legge 19 maggio 1927, n. 843, riordinò l'Istituto nazionale di credito per la cooperazione, e ne mutò la denominazione in quella di Banca nazionale del lavoro e della cooperazione, modificandone la struttura e rivedendone i compiti in relazione ai principî stabiliti nella carta del lavoro (v.).
Il regolamento 12 febbraio 1911 dettò altresì disposizioni particolari per gli appalti di lavori, di forniture e di servizî pubblici a cooperative, e prescrisse che le disposizioni medesime debbono applicarsi oltre che a tutte le amministrazioni dello stato, comprese le autonome, anche a quelle delle provincie, dei comuni, delle istituzioni pubbliche di assistenza e di beneficenza, degl'istituti per le case popolari, dei consorzî idraulici, di difesa arginale, d'irrigazione, di scolo e di bonificazione, e di quelle altre che sono soggette alla vigilanza governativa. Per quanto riguarda i consorzî di cooperative, questo regolamento ha avuto cura di disciplinarne anche l'attività e il loro funzionamento. Poiché per la legge 25 giugno 1909, n. 422, le società cooperative di produzione possono riunirsi in consorzio per assumere appalti di opere pubbliche dello stato e degli enti morali, era naturale che fossero dettate norme per la costituzione dei consorzî, e fissati i requisiti richiesti per i loro statuti, nonché le condizioni per gli appalti ai consorzî medesimi. Degni di particolare menzione sono le disposizioni relative alla vigilanza sui consorzî di cooperative che il ministero, d'intesa con la commissione centrale, esercita sopra questi enti valendosi anche della commissione provinciale.
I consorzî legalmente costituiti debbono trasmettere al ministero con il proprio bilancio annuale consuntivo, prospetti semestrali circa il movimento delle cooperative consorziate. In caso d'inadempimento delle disposizioni legislative o d'inosservanza degli statuti, rilevati d'ufficio o comunque se ne abbia avuto notizia, o per accertamento o su denunzia di qualsiasi interessato, il ministero invita il consorzio a uniformarsi alla legge o allo Statuto e in caso di rifiuto può, con suo decreto, e occorrendo, d'intesa con il ministro dei Lavori pubblici, sentita la commissione centrale, sciogliere l'amministrazione del consorzio, nominare un amministratore provvisorio. Può il ministro, sentita la commissione centrale, sciogliere con decreto reale il consorzio che abbia persistito negli inadempimenti che determinarono la gestione straordinaria; come pure lo scioglimento può essere decretato per gravi ragioni d'ordine pubblico, ovvero quando la trasgressione sia di natura tale che ne sia impossibile o difficile la riparazione. Con lo scioglimento d'ufficio vengono nominati i liquidatori del consorzio. Oltre che per lo scioglimento d'ufficio, i consorzî si sciolgono quando sia decorso il termine stabilito per la loro durata, o quando si sia raggiunto lo scopo per cui sorsero; ma anche per qualsiasi causa lo scioglimento può essere deliberato a maggioranza dell'assemblea dei delegati. In ogni caso con la deliberazione di scioglimento vengono nominati i liquidatori, a cui sono applicabili le disposizioni del codice di commercio. Durante la fase di liquidazione e ai soli effetti di questa, permane la personalità giuridica del consorzio; non possono però essere assunti nuovi appalti dai liquidatori, salvo la continuazione di quelli in corso, e salvo la stipulazione degli atti addizionali necessarî per il compimento degli appalti iniziati.
La legge 26 settembre 1920, n. 1495, agevolò il credito alle cooperative di lavoro e dei loro consorzî, autorizzando gl'istituti di emissione a riscontare all'Istituto nazionale di credito per la cooperazione cambiali fino alla concorrenza di 100 milioni al saggio uguale alla ragione normale dello sconto, garantite con la cessione dei mandati delle pubbliche amministrazioni appaltanti. Dette disposizioni, per il r. decr. 8 aprile 1923, n. 1073, e per quanto riguarda la cessione di mandati di pagamento per somme dovute dalle pubbliche amministrazioni a cooperative e consorzî di produzione e lavoro per appalti di opere pubbliche, sono state estese alle operazioni che l'Istituto nazionale di credito per la cooperazione compie nelle nuove provincie. Il decr. ministeriale 3 novembre 1921 istituì una commissione straordinaria per la revisione delle cooperative di produzione e lavoro e loro consorzî legalmente costituiti; e successivamente il r. decr. 29 ottobre 1922, n. 1548, provvide al riordinamento della commissione centrale per le cooperative.
Due tipi di società cooperative dobbiamo particolarmente ricordare per l'azione che verso di esse svolge la pubblica amministrazione: e cioè le cooperative agricole e le cooperative fra i pescatori. La legge 7 luglio 1907, n. 596, portò alcune disposizioni a favore delle piccole associazioni agricole di mutua assicurazione, ma un elenco delle società cooperative agricole dev'essere periodicamente inviato al ministero competente, con una copia del foglio degli annunzî legali della provincia nel quale è pubblicato il bilancio annuale di ognuno degli enti. Ma la disposizione più importante per le piccole società cooperative agricole riguarda le esenzioni fiscali che sono loro concesse, purché le cooperative siano rette coi principî della mutualità. Le stesse esenzioni sono applicate alle associazioni agricole di mutuo soccorso che non assumono rischi superiori a una determinata somma (300.000 lire). A tali associazioni è pure esteso il disposto dell'art. 228 del codice di commercio, relativo all'esenzione degli atti costitutivi e di recesso e ammissione dei soci, dalle tasse di registro e di bollo. Il decr. legge 8 ottobre 1916, n. 1336, emanò provvedimenti per agevolare il credito alle associazioni agrarie; e successivamente il decr.-legge 20 settembre 1917, n. 1676, disciplinò la concessione in affitto a società cooperative agricole di produzione e lavoro, dei terreni di proprietà dello stato, e dei diritti di pesca ad esso spettanti nelle acque pubbliche. Un altro decr.-legge (4 agosto 1918, n. 1228) stabilì le norme per le affittanze di terreni coltivabili di proprietà delle provincie, dei comuni e degli altri enti pubblici a società cooperative agricole legalmente costituite; mentre il regolamento legislativo (16 gennaio 1919, n. 55) si occupò dell'ordinamento e delle funzioni dell'Opera nazionale dei combattenti, e il r. decr. 22 aprile 1920. n. 516, del credito fondiario e agrario a favore di associazioni dei lavoratori della terra. Vanno pure ricordati il r. decr.-legge 7 giugno 1920, n. 775, che autorizzò la sezione del credito agrario del Banco di Sicilia a concedere mutui a cooperative agricole della Sicilia per l'acquisto di fondi rustici, al fine di quotizzarli fra singoli agricoltori, coltivatori diretti; e il regolamento 14 novembre 1920, n. 1703, che provvide al funzionamento della sezione del Credito fondiario ed agrario istituito presso l'Istituto nazionale di credito per la cooperazione. Anche per le società cooperative fra i pescatori sono state adottate speciali provvidenze.
Le norme concernenti le cooperative fra i pescatori sono contenute nella legge 11 luglio 1904, n. 378, la quale apportò concessioni speciali alle società cooperative di lavoro e produzione fra gl'iscritti marittimi esercenti la pesca, costituiti in un unico sindacato generale; nel regolamento 30 dicembre 1909, n. 830, nel regolamento 27 marzo 1913, n. 312, art.43 (testo unico 6 gennaio 1918, n. 135, all. C, art. 40). La legge 11 luglio 1904, n. 378 prescrisse che le cooperative di lavoro e produzione fra gl'iscritti marittimi esercitanti la pesca nell'Adriatico fino a S. Maria di Leuca, che si costituiscano in un unico sindacato da approvarsi dal governo, possono ottenere riserve speciali esclusive, anche gratuite di pesca, diverse da quelle di cui all'art. 141 del codice della marina mercantile, e all'art. 7 della legge sulla pesca. Le concessioni saranno accordate dal Ministero della marina d'intesa con quello dell'agricoltura, sentite le amministrazioni pubbliche interessate. Le predette società cooperative sono esenti per dieci anni dalle tasse di bollo e registro per gli atti di compravendita, e di pegno di battelli pescherecci, e dall'imposta di ricchezza mobile sugli utili netti accertati con i bilanci annuali. Eguali concessioni vengono accordate a cooperative di pescatori. Ai sindacati cooperativi tra i pescatori il governo può concedere un sussidio iniziale sino a 30.000 lire estensibile nell'Adriatico a 50.000. Il sindacato può riscuotere il 2,50%, dell'utile netto delle sue cooperative. Tali fondi saranno erogati dal sindacato per dare incremento all'industria della pesca. Il ministero promuove ricerche scientifiche e pratiche, sussidia scuole pratiche di pesca contribuendo ai 2/5 della spesa per quelle istituite da enti morali locali, e favorisce le cooperative pescatori con premî. Sono state pure concesse una regia nave per la scuola di pesca in Venezia e per asilo dei figli dei pescatori, e la caserma (ex convento) dei cappuccini a Chioggia per dare ricovero alle vedove dei marinai e pescatori della località. Le norme principali del regolamento per l'esecuzione della legge concernono i sindacati previsti dagli articoli 1, 2, 4, 6 della legge 11 luglio 1904, n. 378, e costituiscono la rappresentanza collettiva delle cooperative pescatori delle rispettive zone. I sindacati sono cinque e comprendono ampie zone litoranee nel Tirreno, nell'Adriatico e nel Ionio. I sindacati sono istituiti per decreto reale che ne fissa le sedi per le zone diverse dell'Adriatico, sentita la commissione consultiva della pesca, o in caso d'urgenza, il comitato permanente della pesca. Il ministero è rappresentato nei sindacati da un suo delegato. Nel mese di novembre i sindacati devono presentare al ministero il programma dell'attività che intendono esplicare nell'anno successivo insieme col preventivo della spesa; e questi piani debbono essere sottoposti, per l'esame e per il parere della concessione del contributo governativo, al comitato permanente della commissione consultiva della pesca. Nel mese di febbraio il sindacato deve dare ragguaglio al ministero dell'opera svolta nell'anno precedente. Gli aiuti pecuniarî sono concessi in varie forme, e cioè: concorso a premî, a spese d'impianto, anticipazioni per spese d'acquisto d'imbarcazioni, premî di vigilanza sulla pesca, contributi per iscrizioni per la previdenza e per l'inabilità e vecchiaia. Le proposte sono fatte dal sindacato o dalla commissione consultiva della pesca, o dal consiglio superiore del lavoro. Alla commissione consultiva, o in caso d'urgenza al suo comitato permanente, devono essere sottoposti i programmi per gli studî e le indagini sulle condizioni biofisiche delle acque, sugli effetti dei diversi metodi e istrumenti di pesca, e sulle condizioni della pesca e dei pescatori, come, in genere, quelli sopra ogni altra ricerca da farsi. Sono dettate alcune norme per la scuola che può avere carattere continuativo o essere costituita di corsi temporanei. All'amministrazione della scuola provvede una commissione di vigilanza nella quale sono rappresentati gli enti che concorrono al suo mantenimento. Il regolamento approvato col r. decr. 27 marzo 1913, n. 312, per l'esercizio della pesca marittima nella Libia, stabilisce che le cooperative di tale colonia fra i pescatori siano per dieci anni esenti da qualsiasi tassa per gli atti di loro costituzione, e da qualsiasi imposizione governativa sul ricavato della vendita dei prodotti pescati e di quelli preparati e ciò anche se si tratti di cooperative costituite in Italia ed esercenti nella colonia. Il testo unico delle leggi sulle tasse di bollo (decr.-legge 6 gennaio 1918, n. 135, art. 40) esenta gli atti di compravendita e di pegno dei battelli pescherecci delle cooperative di lavoro e produzione fra gl'iscritti marittimi esercitanti la pesca.
Le imprese cooperative sono state inquadrate agli effetti sindacali dal r. decr. 21 aprile 1927, n. 718, per il quale le associazioni d'imprese cooperative costituite a norma dell'art. 8 del r. decr.-legge 10 luglio 1926, n. 1130, costituiscono federazioni nazionali di categoria aderenti alle confederazioni nazionali sindacali delle imprese similari a norma dell'articolo 34,2° capoverso del r. decr. predetto, agli effetti della disciplina giuridica del contratto di lavoro.
Recentemente però, in seguito al voto espresso dal Consiglio nazionale delle corporazioni nella sessione dell'ottobre 1930 per la definizione del problema dell'inquadramento sindacale delle cooperative, sono state emesse - in base all'art. 23 della legge 3 aprile 1926, n. 563, che delega al governo del re la competenza di emanare le norme d'attuazione della legge stessa - nuove disposizioni con cui si conferisce alle imprese cooperative un nuovo assetto corrispondente alla loro natura e funzione specifica.
Fondamentalmente queste norme stabiliscono: 1. estensione di diritto alle cooperative dell'applicazione dei contratti collettivi di lavoro stipulati dalle associazioni sindacali per le imprese similari della stessa categoria; 2. adesione delle cooperative a federazioni nazionali di categoria; 3. conferimento alle federazioni di una competenza piena ed esclusiva in materia assistenziale; 4. adesione delle federazioni all'Ente nazionale della cooperazione, avente funzioni di tutela della cooperazione: 5. collegamento delle federazioni con le confederazioni sindacali e con l'Ente nazionale della cooperazione attraverso scambî obbligatorî di rappresentanti nei rispettivi consigli direttivi; 6. obbligo di contributo a favore delle federazioni e dell'Ente nazionale della cooperazione da parte di tutte le cooperative, anche se non aderenti.
Restano disciplinate dagli articoli 8 e 34 del r. decr. 1° luglio 1926, n. 1130, le federazioni delle cooperative di credito e d'assicurazione, che continuano ad avere funzioni sindacali e aderiscono alle confederazioni similari. Va infine rilevato che per l'ordinamento dei servizî dei Ministeri dei lavori pubblici, dell'agricoltura e delle foreste, e delle corporazioni (r. decr. 14 novembre 1929, n. 2183), le cooperative di produzione e lavoro sono sottoposte alla dipendenza del Ministero delle corporazioni.
Resta da accennare alle cooperative di consumo, edilizie, e di credito regolate dalle norme generali sulle società cooperative, come tali, e da disposizioni particolari che hanno per oggetto il conseguimento dei loro scopi speciali. Per le società cooperative di consumo oltre ai provvedimenti per agevolare il credito ad enti autonomi di consumo debitamente riconosciuti, a cooperative legalmente costituite e loro consorzî (decr.-legge 26 maggio 1918, n. 723) sono da ricordare: il r. decr. 24 luglio 1919, n. 1459, che recò norme per la somministrazione dei crediti da parte del tesoro dello stato alle cooperative per enti e istituti di consumo per acquisto, conservazione e distribuzione dei generi di prima necessità; il r. decr. 7 novembre 1920, n. 1599, autorizzò l'istituto di credito per la cooperazione a impiegare in operazioni di credito a favore di cooperative o enti di consumo il fondo di 20 milioni di cui all'art. 6 del r. decr. 24 luglio 1919, n. 1459; il r. decr.-legge 16 febbraio 1927, n. 334, limitatamente ad un anno mantenne in vigore l'autorizzazione data agl'istituti di credito ordinario e cooperativo e all'Istituto nazionale di credito per la cooperazione, di concedere aperture di credito in conto corrente e prestiti cambiarî ad enti autonomi di consumo, a cooperative di consumo e loro consorzî, garantendosi con la costituzione del privilegio speciale sulle merci e derrate acquistate e su tutte le altre di proprietà del debitore. Anche il r. decr.-legge 29 novembre 1923, n. 2926, ebbe lo scopo di agevolare il credito ad enti autonomi di consumo e ai loro consorzî. A favore di enti di consumo fu ancora emanato il r. decr.-legge 11 dicembre 1924, n. 2088 che autorizzò la Cassa depositi e prestiti, gl'istituti di credito e di emissione, le casse nazionali infortunî, le compagnie di assicurazione, anche a deroga dei proprî statuti, a fare aperture di credito in conto corrente di natura commerciale a favore dell'Istituto nazionale di credito per la cooperazione sino alla concorrenza di 50 milioni di lire. Il provvedimento stabilì altresì che le sovvenzioni siano dall'Istituto nazionale di credito per la cooperazione destinate esclusivamente al finanziamento di aziende annonarie, di consorzî di produttori che vendono direttamente al pubblico, di enti e cooperative di consumo, per fornire agli enti stessi i mezzi per acquistare i generi di prima necessità e venderli a prezzi modici ai consumatori.
Quanto alle società cooperative edilizie, è da ricordare la legge 7 luglio 1907, n. 533, che autorizzò le società tontinarie e di ripartizione a impiegare le somme versate dagli associati e loro interessi anche in mutui per costruzioni di case popolari e acquisti di beni immobili urbani, e per ciò che riguarda il loro particolare funzionamento, il r. decr. 30 novembre 1919,n. 2318, che riunì in testo unico le leggi per le case popolari e per l'industria edilizia.
Altre particolari disposizioni riguardano le società cooperative di credito; così, il r. decr. 23 maggio 1915, n. 711, aumentò il fondo di 300 milioni di cui al r. decr. 18 agosto 1914, n. 827, per anticipazioni da parte degl'istituti di emissione; il decr.-legge 21 maggio 1916, n. 672, agevolò la smobilitazione dei crediti dei Monti di Pietà delle società cooperative di credito e delle casse rurali cooperative.
Norme di carattere fondamentale da applicarsi a tutte le cooperative sono contenute nel r. decr. 11 dicembre 1930, n. 1882, tendente a rendere più efficiente la vigilanza governativa sulle società cooperative.
La vigilanza sulle cooperative è di competenza del Ministero delle corporazioni in virtù di leggi speciali e delle norme generali contenute nel r. decr.-legge 30 dicembre 1926, n. 2288.
La riforma dei poteri di controllo del r. decr. 11 dicembre 1930 si riassume in tre punti: 1. conferimento ai commissarî dei poteri dell'assemblea; 2. riconoscimento al Ministero delle corporazioni della facoltà di sostituire il liquidatore; 3. revisione obbligatoria e scioglimento delle cooperative che da almeno due anni non svolgono attività sociale.
Con questo ultimo decreto la legislazione italiana si avvia al riconoscimento dell'obbligatorietà della revisione delle società cooperative, in conformità di quanto è già fissato in altri paesi d'Europa: così la Germania col testo unico del 20 maggio 1898, l'Austria con legge del 10 giugno 1903, la Romania con legge 28 marzo 1929. In Italia la revisione obbligatoria fu chiesta la prima volta nel 1886 da una commissione di studio e, con maggior vigore, nel 1896, da un'altra commissione presieduta dal Vivante per la riforma della legislazione cooperativa italiana. Benché il principio non sia stato ancora legalmente sancito, già di fatto l'Ente nazionale della cooperazione esercita la revisione delle società aderenti con notevoli vantaggi morali e pratici.
Istituto superiore di cooperazione e legislazione sociale. - Con r. decr. 4 settembre 1925, n. 1764, l'Università libera della mutualità agraria e cooperazione, promossa nel 1921 dal Luzzatti con l'intento di creare in Roma un centro di studî sul movimento cooperativo, fu eretto in ente morale e diventò Istituto superiore della cooperazione, delle assicurazioni del lavoro e della previdenza sociale. L'anno seguente i programmi d'insegnamento della vecchia Università furono ampliati. L'inquadramento di tutte le cooperative nell'Ente nazionale della cooperazione (v. sopra) e il nuovo ordinamento sindacale e corporativo dato allo stato italiano, ebbero la loro influenza sul successivo sviluppo dell'Istituto e sui suoi corsi d'insegnamento che furono divisi (1928) in corsi pratici ed elementari per funzionarî, amministratori e soci di cooperative (corsi che si svolgono nei centri più importanti del movimento cooperativo) e in un corso superiore a Roma.
Nel 1929 l'Istituto è stato più esattamente denominato Istituto superiore di cooperazione e legislazione sociale, con programma che si propone di raggiungere i seguenti scopi: preparare i dirigenti e i tecnici specializzati nel campo della cooperazione, delle assicurazioni, del lavoro, della previdenza sociale ed in quello sindacale; costituire centri di cultura cooperativa e sindacale per gli studiosi, secondo la dottrina fascista; provvedere alla raccolta organica e ben ordinata di tutte le pubblicazioni apparse in materia di cooperazione, di legislazione sociale e di sindacalismo in Italia e all'estero (l'attuale biblioteca conta oltre 1500 volumi esclusivamente su tali materie).
Bibl.: E. Bareggi, Delle società cooperative, Milano 1871; P. Manfredi, Le società anonime cooperative, Milano 1885; U. Rabbeno, La cooperazione in Italia, Milano 1886; C. Vivante, I limiti della cooperazione, Milano 1890; C. G. Albonico, La legge storica del lavoro, Cuneo 1893; H. Harwood, Law Cases Affecting Coop. Societies (C. W. S. Annual 1895); Gabriel, Les Sociétés coopératives et la réforme législative, Parigi 1897; M. Pantaleoni, Esame critico dei principî teorici della cooperazione, in Giornale degli economisti, 1898; G. Valenti, L'associazione cooperativa e la distribuzione della ricchezza, Modena 1902; G. Scherma, La storia economica della cooperazione, Palermo 1903; L. Rodino e P. Manfredi, Della necessità di disciplinare l'ordinamento delle società cooperative e con quali regole (relazione al V Congresso nazionale giuridico forense), 1904; E. Bassi, I problemi della cooperazione, Monza 1905; M. Mariani, Il fatto cooperativo nell'evoluzione sociale, Bologna 1906; P. Bernardi, Società cooperative e appalti di lavori pubblici (pubblicazione della Ragioneria generale dello stato), Roma 1911; U. Rabbeno, Le società cooperative di produzione, Milano 1915; A. Mariotti, Appunti intorno alla teoria della cooperazione, Napoli 1915; A. Loria, Il movimento operaio, Palermo 1916; A. Nast, Le régime juridique des coopératives, Parigi 1919; A. Vergnanini, I principi della cooperazione, Milano 1920; A. Finocchiaro, Le società cooperative di consumo, Roma 1920; F. Coppola d'Anna, Codice della cooperazione e formulario, Firenze 1921; V. Totomianz, La coopération mondiale, Villeneuve-Saint-Georges 1923; F. Virgili, La coop. nella dottrina e nella legisl., Milano 1924; B. Biagi, La cooperazione e i combattenti, Roma 1925; id., Il carovita e la cooperazione di consumo, Roma 1925; R. Labadessa, La cooperazione e lo stato, Roma 1925; U. Ricci, Dal protezionismo al sindacalismo, Bari 1926; C. De Carolis, La cooperazione agraria in Italia, Roma 1927; E. Lama, Il contratto collettivo nelle aziende cooperativistiche, Roma 1928; R. Scheggi, Le regole di Rochdale, in La finanza cooperativa, 1929; R. Labadessa, Le varie concezioni dell'associazione cooperativa, Roma 1929; R. Scheggi, La cooperazione nell'Italia fascista, Milano 1929; id., Le società per lo sviluppo della cooperazione in Francia, Roma 1928; R. labadessa, La cooperazione italiana in regime fascista, Roma 1929; id., La cooperativa, idee e realtà; O. Fantini, Educazione e cultura cooperativa in Italia e all'estero, Roma 1930; E. Lama, Cooperazione, Lanciano 1930; G. Bottai, la Carta del lavoro, Roma 1928; id., L'ordinamento corporativo dello stato; A. Casalini, Cenni di storia del movimento cooperativo in Italia, Roma 1922. V. anche i varî scritti di L. Luzzatti, sulla mutualità e sulla cooperazione.