COORDINATE (fr. coordonnées; sp. coordenadas; ted. Koordinaten; ingl. coordinates)
Generalità. -
1. Si tratta di un termine matematico, del quale gioverà chiarire il significato in via intuitiva, prima di passare alla definizione precisa e ai necessarî sviluppi teorici. Consideriamo un tronco ferroviario rettilineo, che si polunghi dai due lati a partire da una stazione O. Se una locomotiva muove da O verso destra, in ogni istante essa dista da O di un certo numero x di metri; sicché la sua posizione lungo la linea è perfettamente determinata dalla conoscenza di questo numero. Lo stesso accade, se la locomotiva muove da O verso sinistra. Possiamo convenire di rappresentare una distanza percorsa verso destra, col numero che ne esprime la misura preceduto dal segno +, e dire che si tratta di una distanza positiva; e di rappresentare una distanza verso sinistra, col numero che ne dà la misura preceduto dal segno −, e dire che si tratta di una distanza negativa. Così ad ogni posizione o punto lungo la linea, viene a corrispondere - cioè ad esser "coordinato" - un numero, positivo o negativo, il quale ci dice, col suo segno, da qual parte di O si trova il punto; in guisa che, viceversa, assegnato il numero col segno resta determinato il punto. Questo numero si chiama la coordinata (ascissa) del punto. Dunque un punto può esser determinato sopra una retta mediante un numero col segno, che resta ad esso coordinato.
Consideriamo ora una città di pianura, attraversata da levante a ponente e da mezzodì a tramontana da due strade principali, che si taglino ad angolo retto; e si chiamino rispettivamente il Rettifilo e il Corso (fig.1). Esse dividono la città in quattro quadranti. Ogni punto di uno di questi può esser determinato mediante i numeri x, y, che misurano le sue distanze (espresse p. es. in metri) rispettivamente dal corso e dal Rettifilo. Ma siccome la stessa coppia x, y, può corrispondere a quattro punti diversi (ciascuno dei quali appartiene a un determinato quadrante), per evitare l'inconveniente si potrà convenire di dare il segno + alle distanze contate a ponente del Corso ed il segno − a quelle contate a levante; e, del pari, il segno + alle distanze a tramontana del Rettifilo, il segno − a quelle a mezzogiorno. Così ad ogni coppia di numeri x, y, coi segni, corrisponderà un sol punto della città; sicché punti della città e coppie x, y, resteranno coordinati fra loro. Perciò i numeri x, y, coi segni, si chiamano le coordinate del punto. Dunque un punto in un piano può esser determinato mediante una coppia di numeri coi segni.
Analogamente un punto dello spazio è determinato mediante tre numeri x, y, z, coi segni (coordinate di quel punto) che rappresentano le sue distanze da tre piani fissi uscenti da un medesimo punto e perpendicolari a due a due (in una stanza, il pavimento e due pareti fra loro contigue). A quei tre numeri occorre dare i segni, per distinguere i punti degli otto ottanti in cui i piani fissi dividono lo spazio; altrimenti ad una terna di numeri (senza segni) corrisponderebbero otto punti dello spazio: uno in ciascun ottante.
Così il metodo delle coordinate sostituisce ai punti i numeri, e trasporta nel dominio del calcolo algebrico lo studio delle proprietà geometriche delle figure; fa cioè la geometria mediante l'algebra, dando luogo a quel ramo di matematica che si chiama geometria analitica.
2. Gli architetti egiziani, per riportare in più grande scala un disegno su una parete, lo riferivano a un reticolato a maglie quadrate. Già i primi astronomi determinavano la posizione di una stella sulla sfera celeste, mediante due numeri (ascensione retta e declinazione); e l'introduzione delle coordinate geografiche risale ad Ipparco.
I Romani, fondando una città, usavano segnare sul posto due solchi fra loro perpendicolari, ai quali riferivano la posizione futura di piazze, strade, templi, ecc.; e pare appunto che il nome di tempio (dal gr. τέμνω "divido") derivi da tale usanza. Lo stesso metodo era tenuto nella preparazione dei piani di guerra.
Archimede, Apollonio Pergeo e molto più tardi J. Keplero, adoperarono implicitamente coordinate cartesiane (nello studio delle coniche), limitandosi però a sistemi di riferimento intrinsecamente legati alla figura.
Qualcosa di più vicino al concetto di coordinate nella moderna accezione, si trova in un disegno d'ignoto del sec. X o XI d. C., che studia le traiettorie dei pianeti, riportandone latitudine e longitudine rispettivamente come ordinata ed ascissa (v. Bullettino del Boncompagni X, 1878, p. 377 segg.). Questo metodo fu seguito in astronomia fino alla fine del sec. XIV; il suo studio divenne obbligatorio in varie università, e formò il soggetto di due notevoli lavori di N. Oresme, in cui, benché ci si limiti alla considerazione di serie discrete di punti, si può ritrovare il primo germe dei diagrammi rappresentativi di funzioni.
3. I metodi algebrico-geometrici prima di Descartes. - L'algebra, quale oggi viene concepita, può dirsi sorga con Diofanto (sec. III d. C.), in quanto l'algebra dei greci ha sempre veste geometrica, se si eccettuano alcuni metodi per l'estrazione delle radici e per la risoluzione numerica delle equazioni di 2° grado. Gli Arabi coltivarono assai l'algebra, risentendo potentemente l'influsso dei matematici greci e indiani; e, invertendo il procedimento dei loro predecessori, dimostrarono la possibilità di effettuare costruzioni geometriche, riconducendole alla risoluzione di un'equazione. Questo metodo fu adottato e ampiamente sfruttato da Leonardo Pisano nella sua Practica geometriae (1220), e da quasi tutti gli scrittori del sec. XV, come p. es. Regiomontano, J. Widmann e L. Pacioli. In tal guisa venivano sempre più stringendosi i legami fra algebra e geometria, sì che nel secolo successivo con l'uso di considerazioni geometriche Cardano e N. Tartaglia stabilirono l'esattezza delle loro formule algebriche per la risoluzione delle equazioni cubiche, e lo stesso può dirsi di R. Bombelli, che nella sua Opera d'Algebra (Bologna 1579) trattò pure delle equazioni di 4° grado, considerando per primo aree e segmenti negativi; mentre G. Benedetti applicò la geometria per dimostrare formule d'algebra, seguito in ciò dal francese F. Viète, che nel 1593 diede una sistematica interpretazione geometrica delle varie operazioni algebriche, preludendo così alla creazione della geometria analitica. All'opera del Viète s'ispira il trattato di M. Ghetaldi De resolutione et compositione mathematica (Roma 1630), in cui, metodicamente, per risolvere un problema geometrico s'introduce un'incognita acconcia, che vien determinata procurandosi un'equazione, risolvendola e interpretando geometricamente la formula risolutiva. Per maggiori particolari, v. algebra.
4. Descartes, Fermati e i loro continuatori. - Nel 1637 compare a Leida La Géometrie di R. Descartes, opera fondamentale, la cui importanza fu posta in piena luce solo molto tempo dopo. In essa, stabilita come già aveva fatto il Viète la relazione fra operazioni algebriche e geometriche, s'introducono nel piano coordinate cartesiane (oblique) per lo studio di particolari questioni di geometria; le coordinate sono indicate, come tuttora si usa, con le lettere x, y, e definite sostanzialmente come qui è indicato al n. 9 (anche se la definizione non è simmetrica rispetto ai due assi). Descartes riconosce inoltre che una curva si può considerare come luogo di punti, le cui coordinate rendono soddisfatta un'equazione: e, pur senza fare uno studio sistematico di tale equivalenza tra curve ed equazioni, divide le curve piane in geometriche e meccaniche (ossia, con la denominazione oggi in uso, dovuta a G. W. Leibniz, in algebriche e trascendenti) e dimostra che per le prime il grado dell'equazione non si altera con una traslazione degli assi.
Per quanto la priorità della scoperta della geometria analitica sia per solito attribuita a Descartes, pare assodato che P. de Fermat possedesse i metodi proprî di questa scienza, prima che fosse pubblicata la Géométrie. Ad ogni modo l'opera geometrica di Fermat, pubblicata postuma nel 1679, è della massima importanza; vi si trovano fra l'altro le equazioni della retta e dei varî tipi di coniche.
Nel sec. XVII già si hanno altri cultori di Geometria analitica, come J. Wallis, J. De Witt, Ph. de La Hire. Nel sec. XVIII quasi tutti i più autorevoli matematici si occuparono delle nuove teorie, specie J. Newton, L. Euler e G. Cramer, a cui occorre aggiungere G. W. Leibniz, A. C. Clairaut, J. H. Lambert e J. L. Lagrange - sì che la Geometria analitica ricevette un assetto che parve definitivo.
5. Ulteriori sviluppi del concetto di coordinate. - Nuove estensioni del concetto di coordinate si ebbero al principio del sec. XIX, dal sorgere della Geometria proiettiva, cioè di quella teoria geometrica che studia le proprietà delle figure, che non si alterano per proiezioni e sezioni. La geometria proiettiva, soprattutto traverso l'opera di J. Steiner e K. G. Ch. Staudt, si costituì in dottrina autonoma, escludendo ogni processo deduttivo ed ogni mezzo d'indagine, che non fosse geometrico puro o, come si suol dire, sintetico (v. geometria). Ma i concetti da essa introdotti, i risultati generali conseguiti, e i problemi posti, fornirono nuova materia di ricerca. Basti ricordare che la geometria proiettiva considera come suo oggetto lo spazio ampliato, che si ottiene aggiungendo e, per così dire, equiparando ai punti, alle rette e ai piani ordinarî o proprî, i cosiddetti elememi improprî, o all'infinito, cioè il punto improprio (o direzione comune ad una retta e a tutte le sue parallele), la retta impropria (o insieme di tutti i punti improprî comuni ad un piano e a tutti i suoi paralleli), il piano improprio (o insieme di tutti i punti improprî dello spazio). Di qui, per la geometria analitica, il problema di definire nuovi tipi di coordinate, che fossero atte a individuare, alla stessa stregua, i punti proprî e quelli improprî (coordinate omogenee), e, più oltre, che conservassero inalterata la loro definizione geometrica di fronte a quante e quali si volessero proiezioni e sezioni (coordinate proiettive).
D'altro canto uno degli acquisti salienti della geometria proiettiva è la legge di dualità. Orbene è a questa scoperta che si ricollega la veduta generale del Plücker, per cui, come elementi generatori delle figure, si assumono, in luogo dei punti, dapprima le rette, e poi, per ulteriore estensione, altri enti geometrici quali si vogliono (curve, superficie, corrispondenze o trasformazioni, ecc.). Si perviene così al concetto di una geometria astratta, come studio d'una qualsiasi varietà di elementi, che si chiamano punti, senza annettere a questa parola alcun significato rispondente all'intuizione fisica, ma solo assumendo come postulati talune ben determinate relazioni fra codesti elementi; e, caso per caso, nasce il problema di definire in un tale spazio astratto un sistema di coordinate, atte a determinare gli elementi o punti. Da questo punto di vista la geometria analitica dello spazio ordinario (o a tre dimensioni) appare come lo studio della varietà di tutte le possibili terne (ordinate) di numeri, onde, poi, per estensione ad un intiero positivo n qualsiasi, sorge la geometria iperspaziale (v. iperspazio).
Con un'ulteriore estensione, si sono considerate anche varietà, i cui elementi si possono determinare solo con infinite coordinate. Di ciò si ha già un cenno nell'Habilitationsschrift di B. Riemann; e di geometrie di spazî ad infinite dimensioni si occuparono, precorrendo più moderni e sistematici sviluppi (v., ad es., fourier: Serle di Fourier; funzionali; Serie), G. Veronese (in Fondamenti di geometria, Padova 1891) e S. Pincherle (in Operazioni distributive, in collaborazione con U. Amaldi, Bologna 1901).
Va infine notato che talvolta, per assicurare la biunivocità della corrispondenza fra i punti (o elementi) d'una varietà a un dato numero n di dimensioni e le rispettive coordinate, si è condotti ad assumere per essi un numero m > n di coordinate, non più fra loro indipendenti, bensì legate da certe m − n ben determinate relazioni. Tali coordinate si dicono soprannumerarie o sovraboondanti.
Elementi di geometria analitica cartesiana. -
6. Processo usato dalla geometria analitica. - Nello studio analitico d'una questione o d'un problema di geometria, si possono distinguere tre momenti:
a) Messa in equazione della questione o del problema. - S'introduce cioè un sistema di coordinate, e, in riferimento ad esso, si traducono i varî legami geometrici fra gli elementi della figura, in altrettante equazioni.
b) Deduzione dalle equazioni ottenute precedentemente, di altre che siano loro conseguenze, o, in particolare, risoluzione di dette equazioni. - Quest'operazione, di carattere prettamente analitico, può generalmente venire semplificata da accorgimenti suggeriti dalla geometria analitica.
c) Interpretazione geometrica dei risultati analitici conseguiti.
Uno dei vantaggi più sensibili dei metodi analitici, nei confronti dei metodi sintetici, consiste nella grande faailità - a cui si deve la creazione di varî importanti rami di geometria - di definire nuovi enti geometrici, e nella possibilità di effettuarne sistemaiicamente lo studio. A tale riguardo v. coniche; curve; quadriche; superficie; vettori, ecc.
Daremo qui gli elementi della geometria analitica che permettono, nei casi più semplici, l'effettuazione del processo dianzi indicato, limitandoci per brevità alle questioni metriche.
7. Versi e principio dei segni sulla retta. Coordinate ascisse. - Una retta indefinita può essere percorsa in due sensi o versi, inversi l'uno all'altro o opposti; quando sulla retta si fissa uno di questi versi come verso positivo (e l'altro come negativo) si dice che si è orientata la retta. Su una retta orientata, r, si attribuisce un segno anche ad ogni segmento AB (di cui si distingua il primo estremo A dal secondo estremo B): cioè il segmento si dice positivo o negativo secondo che il verso che va da A a B coincide o no con quello assunto come positivo sulla retta. Conseguentemente si assume come misura di AB il numero segnato, che ha per valore assoluto la sua lunghezza (rapporto di AB all'unità di misura adottata) e il segno + o −, secondo che AB è positivo o negativo. Se di un segmento AB si designa con questo stesso simbolo la misura (nel senso or ora chiarito), si ha:
Più generalmente, presi comunque su r più punti A, B, C,..., K, L, vale la seguente relazione (di M. Chasles):
fra 4 punti A, B, C, D di r sussiste inoltre la relazione (di L. Euler):
Ciò premesso, si fissino su una data retta r un punto O e un verso positivo. Scelta comunque un'unità di misura, ad ogni punto P di r corrisponde un numero segnato x = OP, che si dice la coordinata ascissa del punto P (figura 2). Inversamente, dato un numero segnato x resta individuato su r un punto P (ed uno solo), la cui ascissa è x. Il punto O ha ascissa nulla, e si dice l'origine delle coordinate; esso divide r in due semirette, luoghi dei punti la cui ascissa è positiva o negativa. La distanza d = PP1 di due punti P e P1 di ascisse x e x1, è espressa da d = x1 − x.
Se si prende un punto O′ di ascissa k come nuova origine, a seconda che si lascia fisso o si cambia il verso positivo, la nuova ascissa x′ di un punto P è legata alla primitiva dalla relazione:
8. Estensione alle altre forme di 1a specie. - Quanto s'è detto per le rette (o punteggiate) si può estendendere alle altre forme fondamentali di 1a specie, cioè al fascio di rette (insieme delle rette d'un piano che passano per un punto, proprio o improprio, detto centro) e al fascio di piani (insieme dei piani passanti per una retta propria o impropria, detta asse). Per es., in un fascio di rette proprio (cioè a centro proprio) si possono distinguere due sensi di rotazione, fra loro opposti. Fissatone uno come positivo, ossia - come si dice - orientato il fascio, e prese in esso due rette a, b, quali si vogliono, l'angolo ab, di cui bisogna far rotare a intorno al centro, perché si sovrapponga a b, risulta determinato a meno di un multiplo arbitrario, positivo o negativo, di due angoli retti; onde resta determinata a meno di un multiplo di π, la rispettiva misura in radianti. Se le rette del fascio si considerano orientate (n. prec.), si aggiungerà la condizione che anche il verso positivo di a venga a coincidere col verso positivo di b, con che la misura in radianti di ab risulta determinata a meno di multipli di 2π. Nell'uno e nell'altro caso si ha ab + ba ⊄ 0 e, più generalmente, ab + bc + kl + la ⊄ 0, rispettivamente mod. π o mod. 2π; per il significato del segno v. aritmetica.
Presa nel fascio orientato una retta o (origine), in corrispondenza ad ogni retta p del fascio resta individuato il numero x = tang op (che vale ± ∞ se p è ortogonale ad o); e viceversa, dato x, resta individuata la p; il numero x si dice la coordinata tangente della retta p.
9. Coordinate cartesiane nel piano. - Fissate comunque su un piano due rette orientate Ox e Oy uscenti da un punto O (fig. 3), e su ciascuna un'unità di misura, restano determinati su quelle due sistemi di coordinate ascisse di origine O (n. 7). Preso nel piano un qualsiasi punto P, le parallele condotte per esso alle rette Oy e Ox seghino rispettivamente Ox e Oy nei punti A e B: ebbene, le ascisse x e y di questi punti nei suddetti sistemi, si assumono come coordinate (cartesiane) del punto P. Reciprocamente, date x e y restano individuati su Ox e Oy i punti A e B, e conseguentemente anche il punto P, come quarto vertice del parallelogramma costruito su OA e OB.
Il punto O ha entrambe le coordinate uguali a zero, e si dice l'origine delle coordinate cartesiane; le due rette Ox e Oy si chiamano rispettivamente l'asse delle ascisse e l'asse delle ordinate, i numeri x e y dicendosi ascissa e ordinata del punto P.
Queste parole derivano da locuzioni usate da F. Commandino nella versione latina dell'opera di Apollonio sulle coniche (Bologna 1566); la parola origine compare col significato anzidetto verso la fine del secolo XVII, p. es. in G.-F.-A. de L'Hôpital, Analyse des infiniment petits (Parigi 1696); infine la parola asse si può far risalire ad Apollonio Pergeo.
Spesso si dice brevemente punto (x, y) in luogo di punto di ascissa x e ordinata y; e gli assi coordinati si chiamano anche asse (delle) x e asse (delle) y. I due assi dividono il piano in 4 regioni angolari, in ciascuna delle quali i punti hanno coordinate di segni determinati.
Quando occorre, si orienta il fascio di rette di centro O (n. 8) in modo che xy risulti compreso fra 0 e π (mod. 2π); tale orientazione, che si può poi per parallelismo trasportare ad ogni altro fascio di rette del piano, si dice relativa al dato sistema di coordinate. Per solito, gli assi si scelgono orientati in guisa che il senso delle rotazioni positive relativo alle coordinate sia quello contrario al movimento delle lancette dell'orologio (senso antiorario).
Le coordinate cartesiane si dicono ortogonali o oblique a seconda che gli assi sono o non sono ortogonali fra loro. Nelle une e nelle altre si sceglie per lo più una medesima unità di misura sui due assi Ox e Oy.
10. Equazioni di luoghi geometrici. - Un legame o equazione
fra le coordinate cartesiane d'un punto, esprime geometricamente che il punto stesso è vincolato a stare su una curva o luogo geometrico; e viceversa, le coordinate d'un punto mobile su una curva devono soddisfare ad un legame, che si chiama l'equazione cartesiana della curva. Quest'ultima si dice algebrica o trascendente a seconda che è algebrica o trascendente la sua equazione cartesiana.
Affinché il luogo dei punti soddisfacenti alla (2) sia una curva - nel significato intuitivo della parola - occorre che la funzione F renda soddisfatte opportune condizioni (v. curve), su cui non ci soffermiamo. Se F dipende da una sola delle coordinate (p. es. x), il luogo rappresentato dalla (2) si compone ili rette parallele ad uno degli assi (all'asse y); se F è funzione pari o dispari di una delle coordinate (p. es. x), il luogo è simmetrico rispetto ad uno degli assi (all'asse y) nella direzione dell'altro; se infine F è omogenea nelle due coordinate, il luogo si compone di rette uscenti dall'origine (L. Euler 1748).
Come caso particolare, la (2) si può presentare sotto la forma y = f(x): la curva, di cui essa è l'equazione, si dice allora il grafico o diagramma della funzione f. Può anche darsi che i varî punti di una curva abbiano coordinate
esprimibili come funzioni di una terza variabile t; questa prende il nome di parametro (parola introdotta da C. Mydorge nella teoria delle coniche, a significare il latus rectum o ὀρϑία degli antichi, e quindi usata in tale accezione generale da G. W. Leibniz), e conseguentemente le (3) si dicono (G. Cramer, A. L. Cauchy) le equazioni parametriche della curva. Se le ϕ, ψ, vi sono funzioni razionali di t, la curva si dice razionale (L. Cremona) o unicursale (A. Cayley).
Le coordinate (x, y) d'un punto comune a due curve
soddisfanno alle loro equazioni; e viceversa, ad ogni soluzione di questo sistema, corrisponde un punto comune alle due curve.
Osserviamo infine che talvolta si è condotti a considerare nel piano sistemi di infinite curve, che si possono mettere in corrispondenza biunivoca con i valori di uno o più parametri: ad es., un sistema di curve ∞1 (cioè dipendenti da un solo parametro u) sarà rappresentato da un'equazione della forma F(x, y u) = 0.
11. Equazione della retta. Fascio di rette. - I più semplici luoghi geometrici sono quelli rappresentati da un'equazione algebrica di 1° grado:
essi non sono altro che rette. Reciprocamente ogni retta si rappresenta in coordinate cartesiane con un'equazione siffatta (P. de Fermat); e precisamente, l'equazione della retta congiungente due punti distinti (x1, y1), e (x1), può porsi sotto l'una o l'altra delle due forme equivalenti
che si possono anche interpretare come condizioni d'allineamento dei tre punti (x, y), (x1, y1) e (x1).
L'equazione della retta congiungente due dati punti, si trova in J.-B. Biot (1802), J. Plücker (1828), e - con l'annullarsi di un determinante in A. L. Cauchy (1843). Una retta divide il piano in due regioni; le coordinate di due punti che non appartengono alla retta fanno assumere al primo membro della sua equazione valori di uno stesso segno o di segni opposti, secondo che i due punti stanno o non stanno in una stessa regione. Va rilevato che nella (4) i coefficienti a, b, non possono essere contemporaneamente nulli; e - conformemente al n. 10 - l'annullarsi di uno di essi implica che la retta corrispondente sia parallela ad uno degli assi; mentre l'annullarsi del cosiddetto termine noto c, equivale al passaggio della retta per l'origine (in particolare l'asse x ha per equazione y − 0, e l'asse y ha l'equazione x − 0).
Se è c ≠ 0, la (3) si può porre sotto la forma segmentaria
in cui p e q indicano le lunghezze dei segmenti staccati dalla retta sugli assi Ox e Oy a partire dall'origine.
Due rette r e r′, di equazioni
risultano distinte, sempre e solo quando i coefficienti a, b, c, della prima non siano proporzionali agli omologhi coefficienti a′, b′, c′, della seconda, cioè, quando sia
In quest'ipotesi, se non è
le due rette hanno un punto in comune (e uno solo), le cui coordinate si hanno risolvendo il sistema (5), per es., con la regola di G. Cramer (v. determinanti). Se invece vale la (6), le (5) risultano incompatibili, onde le rette r, r′, non avendo alcun punto (proprio) in comune sono fra loro parallele; dunque la (6) è la condizione di parallelismo delle rette (5).
La condizione necessaria e sufficiente affinché tre rette
passino per uno stesso punto (proprio o improprio), o, come sisuol dire, formino fascio, è (G. Lamé, 1818):
Se tale condizione non è soddisfatta, e cioè le tre rette non formano fascio, ogni retta del piano si può rappresentare mediante una combinazione líneare delle loro equazioni, ossia, detti A, A′, A″ i primi membri di queste, l'equazione di ogni retta si può porre sotto la forma λA + λ′A′ + λ″A″ = 0. Questa notazione abbreviata, già considerata da G. Lamé (1818) ed ampiamente sfruttata da E. Bobillier (1827) e da J. Plücker (1828-1831), permette sovente di rendere più spediti i calcoli e più espressive le formule.
12. Trasformazione delle coordinate cartesiane. - Quando si passa da un sistema di assi cartesiani Oxy ad un altro O′x′y′, le antiche coordinate (x, y) di un punto P si esprimono mediante le nuove (x′, y′), con le formule
dove x0, y0 sono le vecchie coordinate della nuova origine O′, e α1, α2, β1, β2, sono certe costanti (dipendenti dall'orientamento dei nuovi assi x′, y′, rispetto agli antichi) tali che Δ = α1 β2 − α2 β1 ≷ 0.
Reciprocamente, equazioni di questo tipo si possono sempre interpretare geometricamente come formule di trasformazione delle coordinate cartesiane.
Sembra che la loro forma già fosse nota a R. Descartes (lettera a Mersenne, 1638). Per il caso, considerato più sotto, delle coordinate ortogonali, esse sono state stabilite da F. van Schooten nella Geometria a Renato Descartes (Leida 1649).
Dette equazioni si possono facilmente invertire. Esse mostrano che una funzione razionale intera F(x, y) di grado n nelle x, y, si trasforma in una funzione razionale intera, e dello stesso grado n, nelle x′, y′. Il numero intero n si dice l'ordine della curva algebrica F(x, y) = 0 (la classificazione delle curve algebriche in base all'ordine si deve a J. Newton).
Va rilevato il caso in cui i nuovi assi risultino paralleli, di ugual verso e con le stesse unità di misura degli antichi (ossia si possano ottenere da questi con una traslazione); le formule di trasformazione si riducono allora a x = x0 + x′, y = y0 + y′. Il segno del determinante non nullo Δ, ha il seguente significato geometrico: esso vale + o -, a seconda che i sensi delle rotazioni positive relative ai due sistemi di coordinate (n. 9) sono concordi o discordi.
Nel caso in cui entrambi i sistemi di coordinate siano ortogonali, Δ risulta un determinante ortogonale, uguale a + 1, e, ove si indichi con ϕ l'angolo dell'asse x′ con l'asse x, le formule di trasformazione divengono rispettivamente:
13. Formule relative a distanze, angoli ed aree. - In questo numero ci riferiremo sempre a coordinate cartesiane ortogonali. La distanza di due punti (x0, y0) e (x, y) è espressa da
talché l'equazione cartesiana del cerchio di centro (a, b) e raggio r, è data da
Da essa risulta che il cerchio è una cifra algebrica di 2° ordine, la cui equazione gode della proprietà caratteristica di non contenere il termine in xy, e di avere x2 e y2 col medesimo coefficiente. Se il centro cade nell'origine, l'equazione si riduce a
se ne deducono le equazioni parametriche del cerchio:
(per il significato geometrico del parametro ϑ, cfr. il n. 26); o anche, posto t = tang (ϑ/2),
che dimostrano il cerchio essere una curva razioonale (n. 10).
Date nel piano due rette r, r′, nel loro fascio risulta determinata un'orientazione, relativa al sistema di coordinate a cui ci si riferisce (n. 9); e quindi l'angolo rr′ è individuato mod. 2π o mod. π, a seconda che le due rette sono o non sono orientate (n. 8). In particolare una retta r orientata forma con gli assi due angoli α = xr e β = yr, i cui coseni, determinati in valore assoluto e segno, si dicono i coseni direttori della retta. Essi (essendo α = β + π/2) sono legati dalla relazione caratteristica
e cambiano solo di segno quando s'inverte l'orientazione di r. Il loro rapporto
non dipende dall'orientazione di r, e si dice la pendenza o coefficiente angolare o rapporto direttivo della retta stessa. La tangente dell'angolo (determinato mod. π), formato da due rette r e r′ di coefficienti angolari m e m′, vale
onde m - m′ è la condizione di parallelismo delle due rette, e mm′ = − 1 è la condizione di ortogonalità.
L'equazione di una retia non parallela all'asse delle x, si può sempre porre sotto la forma
dove m è il coefficiente angolare della retta, e ρ la lunghezza con segno del segmento da essa intercetto sull'asse delle y a partire dall'origine. ze la retta r è data mediante l'equazione (4), i suoi coseni si calcolano con le formule:
e quelli di una retta n normale a r con le:
ove la scelta del segno di fronte al radicale dipende dall'orientazione della retta.
Facendo figurare questi ultimi coseni direttori, l'equazione di r si può scrivere sotto la forma normale (o di Hesse)
in cui ρ rappresenta la distanza dell'origine O dalla r. Per ridurre a forma normale l'equazione (4) di una retta r, basta dividere il suo primo membro per
la distanza d'un qualsiasi punto P dalla r, è misurata dal valore, cambiato di segno, che il primo membro della sua equazione assume quando al posto delle x, y, vengano sostituite le coordinate di P.
All'area A d'un poligono convesso di vertici P1 (x1, y1), P2 (x2, y2),... Pn(xn, yn), si conviene di attribuire il segno
o -, a seconda che sul suo contorno il verso P1P2 ... PnP1 coincide o no col verso delle rotazioni positive relativo alle coordinate (n. 9). Con ciò si ha (K. F. Gauss)
in particolare l'area di un triangolo P1P2P3 è espressa da
14. Punti e rette immaginarî. - L'applicazione delle coordinate alla risoluzione e discussione dei problemi algebrici, conduce a un'estensione convenzionale del concetto di punto. Si vogliano, ad es., trovare le intersezioni di una retta r con una circonferenza C. A tal fine, in geometria analitica, si deve far sistema delle equazioni di r e di C, dalle quali, eliminando una delle coordinate, p. es. la y, si deduce un'equazione di 2° grado nella sola x, che dà le ascisse delle intersezioni cercate. Ora quest'equazione ha sempre due radici; ma queste possono essere reali e distinte o reali e coincidenti oppure complesse coniugate. In questo ultimo caso, per generalità di linguaggio, si può convenzionalmente dire che la retta r e la circonferenza C hanno comuni i due "punti immaginarî", che hanno per ascisse le due radici dell'equazione di 2° grado dianzi considerata e per ordinate i corrispondenti valori complessi di y′, che, presi ciascuno con una di codeste due radici, soddisfanno al sistema delle equazioni di r e C. Questo modo convenzionale di dire è giustificato dal fatto che le due soluzioni complesse di codesto sistema rispecchiano un'effettiva relazione geometrica fra retta e cerchio; infatti, se si cercano tutte le altre circonferenze, che, nel senso or ora chiarito, segano la r nei medesimi due punti immaginarî comuni a questa retta e a C, si trova che esse formano un fascio (v. cerchio; coniche, n. 22), analogamente a quanto accade per le circonferenze che passano per due punti reali.
Così, in generale, si conviene di chiamare punto immaginario ogni coppia di valori complessi delle x, y, e di estendere a questi nuovi punti le formule stabilite nel caso dei punti reali (condizione di allineamento, distanza, ecc.). Conseguentemente si chiama retta immaginaria l'insieme dei punti, le cui coordinate soddisfanno a un'equazione di 1° grado in x, y, i cui coefficienti siano complessi (e, naturalmente, non proporzionali a numeri reali).
Se si dicono coniugati due punti immaginarî, di cui siano tali tanto le ascisse quanto le ordinate, e, similmente, coniugate due rette immaginarie, di cui siano coniugati i coefficienti omologhi delle corrispondenti equazioni, si riconosce che la congiungente di due punti immaginarî coniugati è una retta reale, e l'intersezione di due rette immaginarie coniugate (non parallele) è sempre un punto reale.
Giova aggiungere che gli elementi immaginarî possono anche venire introdotti dal punto di vista sintetico, indipendentemente dalle coordinate (K. G. Ch. Staudt, C. Segre, ecc.).
15. Coordinate cartesiane ed equazioni di luoghi geometrici nello spazio. - Si fissino nello spazio tre rette Ox, Oy, Oz, spigoli di un triedro, e su ciascuna di queste un verso come positivo e un'unità di misura; in tal guisa (n. 7) resta determinato su ognuna delle tre rette un sistema di coordinate ascisse, avente O come origine.
Preso nello spazio un qualsiasi punto P, i piani per esso paralleli alle facce Oyz, Ozx, Oxv del triedro considerato, seghino gli spigoli opposti Ox, Oy, Ox rispettivamente nei punti A, B, C (fig. 4): le ascisse x, y e z: di questi punti nei suddetti sistemi, si assumono come coordinate cartesiane del punto P. Date comunque queste coordinate, restano individuati i punti A, B, C, e conseguentemente il punto P, come vertice opposto ad O nel parallelepipedo costruito su OA, OB, OC.
L'idea d'individuare i punti dello spazio mediante coordinate, si trova già - per quanto sotto forma incompleta - in R. Descartes e Ph. de La Hire (1679); nel 1698 J. Bernoulli utilizza le coordinate per la determinazione delle geodetiche su certi tipi di superficie.
Il primo a pubblicare una trattazione sistematica di geometria analitica a tre dimensioni (che però restò per lungo tempo pressoché ignorata) è stato A. Parent, il quale in un lavoro del 1700 scrisse l'equazione della sfera e di altre superficie, e nel 1702 studiò l'iperboloide rotondo ad una falda (che riconobbe essere una superficie rigata), e l'elica.
Nel 1729 L. Euler introdusse nello spazio coordinate cartesiane, per lo studio di curve e superficie. Nello stesso anno A. Cl. Clairaut presentò all'Accademia di Parigi le sue Recherches sur les courbes à double courbure (pubblicate due anni dopo) che costituiscono un vero e proprio trattato di geometria analitica a tre dimensioni: quivi, oltre alla determinazione di tangenti, normali, ecc., per le curve sghembe, si trovano le equazioni di piani, coni, sfere, paraboloidi, superficie di rotazione, ecc.
Passando dal piano allo spazio, la terminologia e le formule non subiscono che lievi modificazioni. Così, per es., il punto O (che ha le tre coordinate nulle) si dice l'origine; le facce e gli spigoli del triedro fissato, si dicono i piani e gli assi coordinati; per i punti che stanno su essi, rispettivamente 1 o 2 coordinate sono nulle: le coordinate cartesiane si dicono ortogonali o oblique, a seconda che gli assi sono o non sono mutuamente ortogonali, ecc.
Un legame o equazione F (x, y, z) = 0 fra le coordinate cartesiane di un punto nello spazio, esprime in generale geometricamente che il punto è vincolato a stare su una superficie; e viceversa. La superficie si dice algebrica o trascendeme, secondoché è algebrica o trascendente la sua equazione cartesiana.
Se nell'equazione cartesiana manca una delle coordinate, p. es. la z, la superficie è un cilindro con le generatrici parallele all'asse delle z; se mancano due coordinate, p. es. y e z, la superficie è costituita da uno o più piani paralleli a Oyz. Un cono col vertice nell'origine si rappresenta con un'equazione omogenea nelle x, y, z; una superficie di rotazione attorno all'asse delle z - supposte le coordinate ortogonali - si rappresenta con un'equazione in cui le x, y, figurano solo attraverso la combinazione x2 + y2; e reciprocamente.
Date due superficie di equazioni
le coordinate di ogni punto, che sia comune ad esse, soddisfa entrambe queste equazioni; e viceversa. Si può quindi dire che il sistema di codeste due equazioni rappresenta il luogo dei punti comuni alle due superficie, il quale sarà generalmente una curva. Un tale sistema (sotto ipotesi qualitative che non stiamo a precisare, e che del resto sono generalmente soddisfatte) si può risolvere rispetto alle x, y, ossia porre sotto la forma equivalente x = f (z), y = ϕ(z). Queste due equazioni, prese separatamente, rappresentano i cilindri che proiettano il luogo suddetto rispettivamente secondo le direzioni degli assi delle y e delle x.
Una curva può da ultimo venire rappresentata parametricamente (G. Cramer 1750, A. L. Cauchy 1826) con equazioni della forma x = ϕ(t), y = ψ(t), z = χ(t), le coordinate dei punti della curva ottenendosi da queste al variare del parametro t.
Anche le superficie possono venire rappresentate parametricamente (K. F. Gauss, 1827), mediante equazioni del tipo
16. Piani e rette nello spazio. - Ogni piano, nello spazio riferito a coordinate cartesiane, risulta definito come luogo dei punti, le cui coordinate x, y, z, soddisfanno a un'equazione lineare, cioè del tipo
dove a, b, c, d, denotano 4 numeri dati; e, viceversa, ogni equazione di questo tipo definisce, nel senso or ora detto, un piano. Esso passa per l'origine sempre e solo quando sia d = 0, mentre l'annullarsi di uno degli altri tre coefficienti caratterizza i piani paralleli a quell'asse, di cui viene a mancare nell'equazione la coordinata. La condizione necessaria e sufficiente affinché 4 punti P(x, y, z) e P (x, y, z) per r = 1, 2, 3 giacciano in un piano, è data da
cosicché, se si riguardano indeterminate o correnti le x, y, z, e prefissate le xr, yr, zr per r = 1, 2, 3, è questa l'equazione del piano P1P2P3.
L'equazione (7) di ogni piano non passante per l'origine (d ≷ 0) si può scrivere sotto la forma (segmentaria)
dove p, q, r, sono le lunghezze con segno dei segmenti tagliati dal piano sugli assi, a partire dall'origine.
Dati due piani π, π′ di equazioni
si considerino le due matrici
e se ne denotino con k, k′ le caratteristiche (v. determinanti). Se k′ = 1 (e quindi anche k = 1), cioè se le (8) hanno i loro 4 coefficienti proporzionali, i due piani coincidono; se k = 1 e k′ = 2 (cioè se sono proporzionali nelle (8) i coefficienti delle x, y, z, ma non i termini noti), i due piani sono paralleli; infine se k = 2 (e quindi anche h′ = 2), i due piani si segano. In quest'ultimo caso, il sistema delle due equazioni (8) definisce la retta intersezione dei due piani π, π′. Viceversa, ogni retta è rappresentabile (in infiniti modi) con un sistema siffatto. Ogni altro piano passante per la retta di equazioni (8) è rappresentato da una conveniente combinazione lineare di queste.
Se ab′ = a′ b′ ≷ 0 (cioè se la retta non è parallela al piano xy) le (8) si possono risolvere rispetto alle x, y (il che equivale a sostituire ai due piani generici π e π i due piani per la retta, paralleli rispettivamente all'asse y e all'asse x), e le equazioni della retta assumono l'aspetto
dove x0, y0 sono le coordinate, nel piano x y, della intersezione di questo piano con la retta (equazioni ridotte della retta).
Le equazioni della retta congiungente i due punti x1, y1, z1 e x2, y2, z2 si possono scrivere
17. Formule metriche nello spazio cartesiano. - In quest'ordine di questioni giova adottare, come qui faremo, coordinate cartesiane ortogonali (cfr. n. 15). La distanza di due punti (x0, y0, z0) e (x, y, z) è data da
cosicché per la sfera di centro (a, b, c) e raggio r vale l'equazione
D'una qualsiasi retta orientata dello spazio, si dicono coseni direttori i coseni degli angoli che essa forma con gli assi. Questi tre coseni, che denoteremo senz'altro con α, β, γ (e che restario inalterati se la retta si sposta parallelamente a sé stessa, mentre cambiano segno se s'inverte l'orientazione della retta), sono legati dalla relazione
che è per essi caratteristica, nel senso che ogni terna di numeri soddisfacenti alla (9) fornisce i coseni direttori di una ben determinata direzione.
Fra le terne di numeri proporzionali a tre numeri dati ad arbitrio a, b, c, una sola (determinata a merio del segno) soddisfa alla (9), e fornisce perciò i coseni direttori di una direzione; essa è data da
dove il doppio segno corrisponde all'arbitrarietà dell'orientazione.
Se α, β, γ e α′, β′, γ′ sono i coseni direttori di due rette orientate r, r′, si ha
talché la condizione di ortogonalità di due rette è data da
Nell'equazione (7) d'un qualsiasi piano π, i coefficienti a, b, c, delle x, y, z, sono proporzionali ai coseni direttori della perpendicolare o normale al piano, cosicché, dividendo ambo i membri della (7) per
si dà ad essa l'aspetto (equazione normale o di Hesse)
dove α, β, γ, denotano i coseni direttori della normale, mentre ρ fornisce la distanza di π dall'origine (col segno che le compete rispetto all'orientazione adottata per la normale). Il valore che assume il primo membro della (7′), quando vi si sostituiscono alle x, y, z, le coordinate d'un qualsiasi punto P, dà (con segno cambiato) la distanza da P al piano.
I coseni direttori di una retta di equazioni (8) o (8′) sono proporzionali rispettivamente a
Le equazioni della retta passante per un generico punto P(x0, y0, z0) e avente i coseni direttori α, β, γ, sono
Per mezzo dei coseni direttori delle singole rette e delle normali ai singoli piani, si esprimono agevolmente le condizioni di parallelismo e di ortogonalità fra piani, fra rette e fra rette e piani.
18. Trasformazioni delle coordinate cartesiane ortogonali. - Tutte le possibili terne Oxyz di assi cartesiani ortogonali si dividono in due classi ben distinte. Per riconoscerlo s'immagini (fig. 5) una persona ritta sul piano xy, coi piedi in O e il capo dalla parte delle z positive, la quale guardi una semiretta, che, inizialmente disposta lungo il semiasse positivo delle x, vada a sovrapporsi al semiasse positivo delle y, rotando intorno ad O di un angolo retto. Codesta persona vede rotare la semiretta mobile "da sinistra verso destra", oppure "da destra verso sinistra" e, nell'uno e nell'altro caso, vedrebbe rotare nel medesimo senso il semiasse positivo y verso il semiasse positivo z o il semiasse positivo z verso il semiasse positivo x, qualora si disponesse lungo il semiasse positivo y o, rispettivamente, lungo il semiasse positivo z. Nel primo caso la terna Oxyz si dice sinistra o destrorsa, nel secondo destra o sinistrorsa. Tutte le terne destre (come pure le sinistre) sono fra loro sovrapponibili, mentre una terna destra non può sovrapporsi che all'opposta al vertice di una terna sinistra.
Ciò premesso, si vogliano trovare le relazioni che intercedono fra le coordinate x, y, z, e x′, y′, z′, d'un medesimo punto generico P, rispetto a due diverse terne Oxyz e O′x′y′z′. Per individuare la posizione della seconda terna rispetto alla prima, basta dare, rispetto a questa, le coordinate x0, y0, z0, della nuova origine O′, e i coseni direttori degli assi x′, y′, z′, che si denoteranno coi simboli indicati nella tabella
e che (trattandosi di coseni direttori di tre rette a due a due ortogonali) sono legati dalle sei relazioni
Di qui risulta che il determinante dei nove coseni è uguale a 1; e precisamente vale il segno + o il segno −, secondo che le due terne hanno la stessa orientazione (cioè sono entrambe destre o sinistre) oppure sono di orientazione contraria.
In ogni caso le formule volute di trasformazione sono date da
e ove si risolvano rispetto a x0, y0, z0, e si denotino con x0′, y0′, z0′ le coordinate di O rispetto ad O′x′y′z′, si ottiene
sull'interpretazione cinematica di queste formule, v. cinematica.
19. Cenno sulle coordinate plückeriane. - Queste coordinate, pur uscendo dal quadro della geometria cartesiana, sono ad essa intimamente legate. Nel piano Oxy, il Plücker, considerando come elemento generatore delle figure la retta, assunse a coordinate u, v, di questa i reciproci, invertiti di segno, dei segmenti che essa taglia sugli assi, a partire dall'origine (restando così escluse le rette passanti per l'origine). Se ax + by + c = 0 (con c ≷ 0) è l'equazione cartesiana della retta, si ha
e la condizione necessaria e sufficiente affinché un punto (x, y) e una retta (u, v) si appartengano, risulta data da
Se in quest'equazione (che, ove si riguardino le u, v, come date e le x, y, come variabili, dà l'equazione della retta di coordinate u, v) si considerano invece come date le x, y, e come variabili le u, v, risulta da essa definito il fascio di tutte le rette passanti per il punto (x, y) (equazione di codesto punto, come centro o inviluppo del fascio di rette).
Più in generale, una qualsiasi equazione Φ(u, v) = 0 definisce un sistema ∞1 di rette, che di regola costituiscono l'insieme delle tangenti a una determinata curva (inviluppo). Questo inviluppo si dice algebrico, se tale è l'equazione; e il grado di questa (numero delle tangenti dell'inviluppo passanti per un punto generico del piano, computate quelle eventualmente multiple o immaginarie) si dice classe dell'inviluppo.
Similmente nello spazio si dicono coordinate u, v, w, di un piano non passante per l'origine, i reciproci, invertiti di segno, dei segmenti da esso tagliati sugli assi (a partire da O), talché per un piano di equazione (7), con d ≷ 0, si ha
e la condizione di appai-tenenza di punto e piano è data da
Questa equazione, ove si riguardino date le x, y, z, e variabili le u, v, w, dà l'equazione del punto (x, y, z) come centro o inviluppo d'un fascio di piani: e, più in generale, un'equazione w(u, v, r) = o rappresenta di regola una superficie come inviluppo dei suoi piani tangenti.
Coordinate omogenee e coordinate proiettive. -
20. Coordinate omogenee. - Le ascisse sulla retta e le coordinate cartesiane nel piano e nello spazio, non sono atte a individuare i punti improprî o all'infinito, la cui considerazione è essenziale per lo studio delle proprietà proiettive delle figure (n. 5). A questo inconveniente si può ovviare rendendole, come si suol dire, "omogenee". Per chiarire il procedimento, riferiamoci al piano, in cui supporremo prefissato un qualsiasi sistema di coordinate cartesiane. Preso un punto P, con l'intento di farlo poi tendere all'infinito in una generica direzione, pensiamone le coordinate x, y, come rapporti di due numeri ad un terzo (arbitrario, purché diverso da zero), ponendo
Così, intanto, ad ogni punto (proprio) vengono associati tre numeri x1, x2, x3 (con x3 ≷ 0), di cui interessano soltanto i mutui rapporti, in quanto il terzo, per ipotesi diverso da zero, si può assegnare ad arbitrio, risultando determinati gli altri due dalle (10). Viceversa, comunque si prefissino tre numeri x1, x2, x3 (con x3 ≷ 0), resta individuato, in base alle (10), un punto (proprio). I tre numeri x1, x2, x3, o, come spesso si scrive (a ricordare l'arbitrarietà di un fattore di proporzionalità), xi :x2: x3, si dicono coordinate (cartesiane) omogenee del corrispondente punto (proprio); e questa estensione del concetto di coordinate risulta giustificata dal fatto che, traverso un ovvio passaggio al limite, conduce a individuare analogamente con una terna di numeri anche ogni punto improprio P∞.
Infatti, per localizzare un tale punto, basta dare una retta passante per esso, ad es. la OP∞, che ha un'equazione della forma y = mx (dove m è il rapporto direttivo della retta o, se si vuole, di P∞). Tenendo conto di quest'equazione e delle (10), si riconosce che sulla OP∞ il generico punto proprio P, che ha l'ascissa x, ha coordinate omogenee proporzionali a1, m,1/x, talché, facendo tendere la x a ± ∞, si è condotti ad assumere come coordinate omogenee di P∞ i tre numeri 1: m: 0 (determinati, come nel caso dei punti proprî, a meno di un arbitrario fattore di proporzionalità). Così, ad es., ai punti improprî dell'asse delle x e delle y competono le coordinate 1: 0: o e, rispettivamente, 0: 1: 0.
La x3 = 0, come caratteristica dei punti improprî, si dice l'equazione della retta impropria. In coordinate omogenee l'equazione d'ogni altra retta del piano (come si riconosce sostituendo nella ax + by + c = 0 alle x, y, le loro espressioni (10) e moltiplicando per x3) assume l'aspetto
cioè resta lineare, ma diventa omogenea; e diventa omogenea anche la equazione d'un qualsiasi altro luogo (onde la qualifica di "omogenee" data a questo tipo di coordinate). Per es., l'equazione generale d'un cerchio in coordinate cartesiane ortogonali omogenee è data (n. 13) da
onde per i punti d'intersezione del cerchio con la retta impropria x3 = 0 risultano le due equazioni x12 + x22 = 0, x3 = 0, le quali definiscono i due punti improprî immaginarî coniugati (n. 14) 1: ± i: 0 (punti ciclici; v. cerchio; ciclici, punti).
In modo analogo s'introduce l'omogeneità sulla retta, riferita a un qualsiasi sistema di ascisse, e nello spazio riferito a coordinate cartesiane quali si vogliono. Nel primo caso a ogni punto proprio di ascissa x si attribuiscono, come coordinate, due numeri x1: x2, definiti, a meno di un arbitrario fattore di proporzionalità, dalla condizione x1/x2 = x, mentre a coordinate del punto improprio si assumono i due numeri 1: 0 o due altri ad essi proporzionali. Nello spazio le coordinate omogenee x1: x2: x3: x4 di un punto proprio sono definite dalle condizioni
mentre per un punto improprio P∞ la x, è nulla e le x1, x2, x3, vanno prese uguali alle coordinate cartesiane ordinarie d'un qualsiasi punto della retta OP∞ (in coordinate ortogonali, proporzionali ai coseni direttori di codesta retta). Perciò la x4 = 0 è l'equazione del piano improprio; e anche qui l'equazione d'un qualsiasi piano, come pure d'ogni altro luogo, risulta omogenea.
Notiamo infine che si possono rendere omogenee, in modo analogo, anche le coordinate plückeriane, sia nel piano che nello spazio. Poiché nel piano le coordinate plückeriane di una retta di equazione ax + by + c = 0 sono date (n. 19) da u = a/c, v = b/c, e d'altra parte per introdurre l'omogeneità bisogna porre u = u1/u3, v = u2/u3, si riconosce che, in ultima analisi, le coordinate plückeriane omogenee u1: u2: u3 di una retta non sono altro che i coefficienti della rispettiva equazione cartesiana. Esse, a differenza delle coordinate plückeriane ordinarie (n. 19), risultano atte a individuare anche le rette passanti per l'origine, per ciascuna delle quali si ha ua - 0 (equazione dell'origine). Così nello spazio le coordinate plückeriane omogenee u1: u2: u3: u4 dei piani, sono i coefficienti delle rispettive equazioni cartesiane, e la u4 = o caratterizza i piani passanti per l'origine.
In coordinate cartesiane e plückeriane, le une e le altre omogenee, la condizione d'appartenenza di un punto e di una retta nel piano, di un punto e di un piano nello spazio, è data rispettivamente da
21. Birapporto. - Le coordinate cartesiane (e plückeriane) omogenee sono atte bensì a individuare al pari degli elementi proprî anche quelli improprî; ma non si prestano allo studio delle proprietà proiettive delle figure, perché il loro significato geometrico non si conserva inalterato per proiezioni e sezioni. Per mostrare come invece si possano definire sistemi di coordinate soddisfacenti a quest'ultima esigenza o, come si suol dire, proiettive, è necessario chiarire anzitutto un concetto fondamentale.
Dati su una retta r quattro punti proprî A, B, C, D (di cui importa l'ordine in cui si considerano, senza che con ciò s'intenda che quest'ordine coincida con quello, in cui i quattro punti si susseguono sulla retta), si dice doppio rapporto (A. F. Möbius) o rapporto anarmonico (M. Chasles) o birapporto (C. Segre) dei quattro punti, nell'ordine considerato, e si denota con (ABCD) il numero definito per mezzo di rapporti di segmenti orientati (ma indipendente dall'unità e dal verso adottati sulla retta)
Gli stessi quattro punti A, B, C, D, si possono considerare in altri 23 ordini diversi (in quanto le permutazioni di 4 oggetti sono 4! = 24, vedi combinatoria, analisi), e a ciascuna di queste quaderne ordinate di punti corrisponde un ben determinato birapporto; ma si dimostra che il valore del birapporto non muta, se nella corrispondente quaderna si scambia la prima coppia di punti con la seconda, oppure, in ciascuna di queste due coppie, il primo punto col secondo, cioè, p. es.,
Così le 24 quaderne si distribuiscono in 6 classi di 4 ciascuna, tali che le quaderne di ciascuna classe hanno tutte il medesimo birapporto. Prendendo in ogni classe una quaderna, p. es. quella che comincia con A, otteniamo come rappresentanti delle 6 classi le quaderne
Orbene, i valori dei corrispondenti birapporti, se il primo si indica con h, sono dati rispettivamente da
e risultano generalmente tutti diversi. Notiamo incidentalmente che essi diventano uguali a coppie se è h = - 1 e si ha precisamente
In questo caso la quaderna A, B, C, D (come le altre sette aventi il medesimo birapporto -1) si dice armonica o costituente un gruppo armonico (v. armonico: Gruppo armonico), e la considerazione di siffatte quaderne armoniche è fondamentale per gli sviluppi della geometria proiettiva.
Tornando al birapporto in generale, osserviamo che, facendo coincidere D successivamente con A, B, C, si trova (nel primo caso con un passaggio al limite)
e ancora con opportuni passaggi al limite si riconosce quale valore si debba per continuità attribuire al birapporto d'una quaderna, di cui un punto qualsiasi vada all'infinito; e si verifica che si mantengono valide anche per siffatte quaderne i teoremi dianzi enunciati intorno agli effetti prodotti sul valore del birapporto dai varî possibili cambiamenti d'ordine dei quattro punti. In particolare c'interessa di rilevare che si ha
Ma la proprietà saliente ed essenziale del birapporto di quattro punti è il suo carattere proiettivo, con che s'intende affermare che, se con un qualsiasi numero di proiezioni e sezioni si passa da quattro punti A, B, C, D, presi ad arbitrio su una retta r (fig. 6), a quattro punti A′, B′, C′, D′ di un'altra retta r′ (eventualmente sovrapposta a r), si ha sempre
Aggiungiamo che il birapporto (abcd) d'una quaderna ordinata di rette a, b, c, d, di un fascio si può assumere, per definizione, uguale al birapporto dei quattro punti, secondo cui codesta quaderna risulta segata da una retta r qualsiasi del suo piano (in quanto un tale birapporto di punti non dipende dalla scelta della r); e del resto questo birapporto, se il fascio è proprio, si può anche definire direttamente in base all'uguaglianza
E per una quaderna A∞ B∞, C∞ D∞ di punti improprî, il birapporto si definisce come uguale a quello delle rette, che proiettano codesta quaderna da un qualsiasi centro proprio (in quanto la scelta di questo centro non influisce sul valore, cui si è così condotti).
22. Coordinate proiettive sulla retta. - Prefissati su una retta r tre punti distinti quali si vogliono I, O, U, si dice coordinata proiettiva d'un generico punto P, rispetto ai punti fondamentali I, O, U, il birapporto x (IOUP). L'adozione d'un tale birapporto come coordinata è legittima in quanto, una volta scelti i punti I, O, U, ad ogni punto P corrisponde un valore per x e uno solo, e viceversa. D'altra parte la ragione della qualifica "proiettiva" è evidente: se con un qualsiasi numero di proiezioni e sezioni si mette in corrispondenza (proiettiva) la r con un'altra qualsiasi retta r′, e sono I′, O′, U′, P′, i punti corrispondenti di I, O, U, P, il punto P′ ha, rispetto a I′, O′, U′, la stessa coordinata proiettiva di P rispetto ad I, O, U (n. prec.). Ai tre punti fondamentali I, O, U, competono rispettivamente, in virtù delle (11), le coordinate ∞, 0, 1, e perciò codesti tre punti si chiamano punto-infinito, punto-zero e punto-unità. Se come punto-infinito si prende il punto improprio della retta, si ha, in base alla (12), (I∞ OUP) = OP/OU, cioè la coordinata proiettiva si riduce all'ascissa di origine O e di unità (orientata) OU. In ogni caso il birapporto di quattro punti è dato dal cosiddetto birapporto delle rispettive coordinate proiettive (o in particolare ascisse) x1 x2, x3, x4, cioè dall'espressione
Quando si cambiano i punti fondamentali (in particolare quando si passa da ascisse a coordinate proiettive), la relazione tra la vecchia e la nuova coordinata d'un medesimo punto risulta della forma
L'inconveniente che al punto fondamentale I competa una coordinata infinita si elimina, introducendo, come al n. 20, l'omogeneità.
23. Coordinate proiettive nel piano e nello spazio. - Per comprendere le ragioni della definizione, che qui s'intende dare, si pensi prefissato nel piano un sistema di coordinate cartesiane e si chiamino I∞, J∞ i punti improprî degli assi x, y rispettivamente, U1, U2 le proiezioni su codesti due assi (ciascuna in direzione parallela all'altro asse) del punto U(1,1) e infine P1, P2 le analoghe proiezioni del generico punto P (fig. 7). Le coordinate cartesiane x, y di P si possono definire, in virtù della (12), per mezzo delle equazioni
che, denotando con (J∞ ∣ I∞ OUP) il birapporto della quaderna di rette che proiettano I∞, O, U, P da J∞ e dando analogo significato a (I∞ ∣ J∞ OUP), si possono scrivere
Poiché queste relazioni hanno evidente carattere proiettivo, si è condotti per ovvia generalizzazione alla definizione seguente: presi ad arbitrio nel piano come "fondamentali" tre punti (purché non allineati) I, J, O, e un quarto punto U, fuori dei lati del triangolo IJO (fig. 8), si dicono coordinate proiettive di un generico punto P, rispetto al prefissato riferimento, i 2 birapporti
Il nome di coordinate è giustificato dal fatto che in tal modo risulta stabilita una corrispondenza biunivoca (e continua) fra i punti del piano e le coppie ordinate (x, y) di numeri (con una eccezione che chiariremo fra un momento); e il carattere proiettivo di siffatte coordinate è senz'altro evidente.
Va notato che, mentre ai punti O e U competono, in virtù delle (11), le coordinate 0,0 e, rispettivamente 1, 1 (talché U si dice punto-unità), in I e J, come in ogni altro punto della retta IJ, entrambe le coordinate diventano infinite. Per eliminare questo inconveniente giova introdurre l'omogeneità. Ora si verifica agevolmente, in base all'identità segmentaria di Eulero (n. 7), che
cosicché, denotando oramai i tre punti fondamentali I, J, O, con A1, A2, A3 (per togliere ogni apparenza di un ufficio privilegiato per l'uno o per l'altro), si perviene a definire come coordinate proiettive omogenee d'un generico punto P, rispetto al triangolo fondamentale A1A2A3 e al punto-unità U, i tre numeri x1: x2: x3 definiti, a meno di un arbitrario fattore di proporzionalità, dalle relazioni
Le coordinate dei vertici A1, A2, A3 del triangolo fondamentale sono rispettivamente 1: 0: 0, 0: 1:0, 0: 0: i e le equazioni dei lati opposti A2 A3, A3 A1, A1 A2, sono date da x1 = 0, x2 = 0, x3 = 0.
Se si cambia sistema di riferimento, le relazioni tra le vecchie e le nuove coordinate proiettive sono del tipo
dove ρ denota un arbitrario fattore di proporzionalità e i coefficienti as sono altrettante costanti, il cui determinante - modulo della sostituzione lineare (13) - è diverso da zero (v. determinanti), talché le (13) sono univocamente invertibili. Poiché le coordinate cartesiane omogenee rientrano come caso particolare in quelle proiettive (quando uno dei lati del triangolo fondamentale si mandi all'infinito), sono del tipo (13) anche le formule di trasformazione delle coordinate cartesiane omogenee in coordinate proiettive; onde risulta che anche in queste ultime coordinate ogni retta, senza eccezione, è rappresentata da un'equazione (omogenea) di 1° grado.
Restando ancora nel piano, i cui punti siano riferiti a un qualsiasi sistema di coordinate proiettive omogenee, si chiamano coordinate proiettive omogenee u1: u2: u3 di una retta i coefficienti della rispettiva equazione (cfr. n. 20); e giova notare che queste coordinate si possono anche definire direttamente per mezzo di birapporti di rette, in forma duale di quella dianzi indicata per le coordinate puntuali. Il rispettivo riferimento è costituito dal trilatero A1 A2 A3 e dalla retta-unità (di coordinate 1: 1: 1), la quale a priori si potrebbe prefissare ad arbitrio (purché non passante per alcun vertice del trilatero fondamentale). Ma quando, come dianzi, si riferiscono i punti e le rette ai vertici e, rispettivamente, ai lati d'un medesimo triangolo-trilatero e si vuole che le eoordinate delle rette coincidano coi coefficienti delle rispettive equazioni, la retta-unità va scelta in una posizione ben determinata rispetto al punto-unità (deve essere la cosiddetta retta armonica di esso, rispetto ad A1, A2, A3; e i due sistemi di coordinate che così si ottengono per i punti e per le rette si possono dire fra loro associati. Con tale riferimento, la condizione di appartenenza di punto e retta risulta espressa dalla solita relazione (n. 20)
che, in questa sua accezione generale, costituisce la base del principio di dualità (v. dualità).
Notiamo infine che le precedenti definizioni di coordinate proiettive si estendono in modo ovvio ai punti e ai piani dello spazio; ma su ciò non ci dilungheremo.
Piuttosto aggiungiamo che, con J. Plücker, si possono definire coordinate proiettive (e in particolare metriche) anche per le rette dello spazio nel modo seguente. Se su una generica retta si prendono ad arbitrio due punti P′, P″ di coordinate proiettive (o in particolare cartesiane) omogenee x′, e xr″ per r = 1, 2, 3, 4, i minori del 2° ordine
che si possono estrarre dalla matrice
si riducono a 6 essenzialmente distinti e non tutti nulli. Essi si alterano solo proporzionalmente, al variare della coppia di punti P′, P″, sulla loro congiungente, e risultano legati fra loro dalla relazione quadratica
Reciprocamente, 6 numeri prs = − psr (per r, s = 1, 2, 3, 4), non tutti nulli e soddisfacenti alla (14), provengono sempre nel modo or ora detto da una ben determinata retta. Essi si dicono coordinate plückeriane o, anche, grassmanniane (proiettive, omogenee e sovrannumerarie) della retta nello spazio.
In linea storica, le coordinate proiettive puntuali (sulla retta, nel piano e nello spazio) furono introdotte da A. F. Möbius (1827), cui si deve anche l'introduzione della omogeneità, ripresa e precisata da J. Plücker. A questi, come già si disse, risalgono le coordinate di retta nel piano e di piano nello spazio (1828-1831). Come birapporti - senza far uso del concetto di misura - le coordinate proiettive furono considerate da K. G. Ch. Staudt (1857) e, in modo più completo, da W. Fiedler (1888). Quanto alle coordinate della retta nello spazio, che attribuimmo al Plücker (1865), erano state già prima introdotte da H. G. Grassmann (1844) e A. Cayley (1859-1862), ma spetta al Plücker il merito d'aver fondato, con la Neue Geometrie des Raumes (1868), una geometria in cui la retta è assunta come elemento generatore delle figure. Pur rimandando per più precise notizie alle voci geometria e retta, aggiungiamo che codesta geometria dello spazio rigato è stata ulteriormente sviluppata (dal 1868 in poi) da F. Klein, al quale si deve l'idea feconda di considerare le rette dello spazio ordinario come punti (cfr. n. 5) d'una quadrica, definita dalla (14), in uno spazio a 5 dimensioni. Sul significato geometrico delle coordinate delle rette nello spazio e sulle loro particolarizzazioni metriche, v. E. D'Ovidio, in Giornale di matematiche, Napoli 1873.
Altri sistemi notevoli di coordinate. -
24. Svariatissimi sono i sistemi di coordinate, che sono stati via via escogitati per la trattazione di problemi di geometria, di meccanica, di astronomia, di geodesia. In una ideterminata questione di geometria, la scelta dell'uno o dell'altro sistema è subordinata a criterî, che, secondo le vedute del Klein (v. geometria), si possono riassumere dicendo che il sistema adottato deve essere tale che le trasformazioni del gruppo, rispetto al quale ha senso la questione da trattare, lo mutino in un sistema dello stesso tipo, e di più risultino, in codesto sistema di coordinate, rappresentabili nella forma più semplice possibile.
Così in una questione di geometria elementare (gruppo dei movimenti e delle similitudini) convengono le coordinate cartesiane ortogonali, mentre quelle oblique si prestano alla trattazione di problemi di geometria affine (gruppo delle affinità). Invece in geometria proiettiva (gruppo proiettivo), giova ricorrere alle coordinate proiettive, di cui ci siamo occupati al numero precedente.
Qui, dopo avere accennato al concetto di coordinate sotto il suo aspetto più generale, daremo qualche ulteriore esempio di particolari sistemi d'uso corrente.
25. Coordinate generali o curvilinee. - Consideriamo per semplicita il caso del piano. Riferitolo a coordinate cartesiane ortogonali x, y, immaginiamo dati su esso due sistemi ∞1 di curve, cioè dipendenti ciascuno da un parametro arbitrario (u per il primo, v per il secondo), e supponiamo (fig. 9) che, almeno in una certa regione R del piano, passi per ogni punto una curva, e una sola, di ciascun sistema (sistema doppio di curve). Quest'ipotesi si traduce analiticamente nella condizione che le equazioni dei due sistemi di curve siano, almeno in R, risolubili univocamente rispetto a u e v sotto la forma
Così ad ogni punto P di R vengono associati due valori u, v, che si dicono coordinate curvilinee o generali del punto P. Viceversa a due valori u, v, presi ad arbitrio in un conveniente campo (quello che le (15) fanno corrispondere a R), rispondono due curve (una per ciascun sistema), e quindi, tante posizioni di P, quante sono le intersezioni di codeste due curve in R; e la corrispondenza si può rendere biunivoca, riducendo convenientemente la regione R (v. per un esempio espressivo, il n. 28). Le curve dei due sistemi considerati si dicono linee coordinate, e precisamente si chiamano "linee u" quelle su cui si conserva costante la v, "linee v" quelle su cui resta costante la v.
In modo analogo si definiscono le coordinate curvilinee su una superficie qualsiasi; quando essa si rappresenti parametricamente (n. 15), coordinate curvilinee dei suoi singoli punti sono i corrispondenti valori dei due parametri.
Nello spazio si ottengono coordinate curvilinee considerando un sistema triplo di superficie, cioè una terna di sistemi ∞1 di superficie tali che per ciascun punto, almeno in una certa regione, passi una superficie, e una sola, di ciascun sistema. Le superficie dei tre sistemi, su ciascuna delle quali resta costante una delle coordinate curvilinee, si dicono superficie coordinate, mentre si chiamano linee coordinate le curve d'intersezione di tutte le possibili coppie di superficie appartenenti a sistemi diversi, cioè le curve su cui restano costanti due coordinate curvilinee.
Tanto nel piano e sulle superficie, quanto nello spazio, sono particolarmente importanti le coordinate curvilinee ortogonali, cioè quelle in cui si segano ad angolo retto due linee o, rispettivamente, due superficie coordinate di sistema diverso quali si vogliono (sistemi doppî ortogonali di curve e sistemi tripli ortogonali di superficie).
Notiamo infine che rientrano in questo concetto di coordinate generali anche le cartesiane e le proiettive, per le quali nel piano le linee coordinate costituiscono fasci (improprî o proprî) di rette, e nello spazio le superficie e le linee coordinate sono date da fasci (improprî o proprî) di piani e, rispettivamente, da stelle (improprie o proprie) di rette.
Le coordinate curvilinee sono d'uso continuo sulle superficie in geometria differenziale e, per i sistemi di punti vincolati olonomi, in meccanica razionale (coordinate lagrangiane, v. cinematica, n. 34). Esse sono state introdotte sul piano da G. W. Leibniz, nello spazio da G. Lamé e in meccanica, come è indicato dal nome, dal Lagrange.
26. Coordinate polari nel piano. - Preso nel piano un punto O (polo) su una retta orientata r (asse polare), e fissati un verso positivo per le rotazioni e un'unità per le lunghezze, restano individuati per ogni punto P del piano (distinto da O) il valore assoluto ρ della distanza OP e la misura in radianti ϕ dell'angolo (compreso fra 0 e 2π), che va dall'asse polare alla retta OP, orientata da O verso P (fig. 10). Viceversa, dati questi due numeri, resta individuato P. Essi si dicono coordinate polari del punto e precisamente ρ si chiama il raggio vettore, ϕ l'anomalia o azimut.
Talvolta, per seguire il moto d'un punto lungo curve che passino per il polo o girino intorno ad esso e per evitare discontinuità fittizie nella variazione delle corrispondenti coordinate polari, conviene ammettere che, per continuità, ρ possa diventare anche negativo e che ρ possa uscire dall'intervallo da 0 a 2π.
Le linee coordinate sono qui cerchi di centro O (ρ = cost.), e semirette uscenti da O (ϕ = cost.).
Il quadrato della distanza di due punti (ρ1, ϕ1), (ρ2, ϕ2) è dato da ρ12 + ρ22 − 2ρ1 ρ2 cos (ϕ2 − ϕ1).
Se si considera il sistema di coordinate ortogonali x, y, che ha come asse delle x l'asse polare e come asse delle y la perpendicolare ad esso nel polo O, orientata in modo che il conseguente verso positivo delle rotazioni coincida con quello adottato per le coordinate polari, le formule che permettono di passare da queste alle coordinate cartesiane sono
Le coordinate polari nel piano sono state introdotte da J. Bernoulli (1691), ma se ne trova un accenno nell'opera di Archimede sulle spirali.
In alcune questioni è utile determinare la posizione d'un punto P per mezzo delle rispettive distanze ρ, ρ′, da due poli fissi (coordinate bipolari), e talvolta, in luogo di ρ, ρ′, si assumono come coordinate la loro semisomma e la loro semidifferenza. Il sistema doppio delle linee coordinate è qui costituito da una schiera di coniche a centro confocali, come per le coordinate ellittiche di cui daremo cenno al n. 28.
27. Coordinate polari nello spazio. Coordinate geografiche. - Fissato nello spazio un punto O (polo), una retta r orientata per O (asse polare), un semipiano α uscente da r (semipiano polare) ed un verso positivo nel fascio di piani di asse r, ogni punto P dello spazio può venire individuato mediante la sua distanza ρ(≥ 0) dal punto O, l'angolo ϑ (compreso fra 0 e π) delle due rette orientate r e OP, e l'angolo ϕ (compreso fra 0 e 2 π) dei due semipiani α e rP (fig. 11). I tre numeri ρ, ϑ e ϕ vengono rispettivamente detti raggio vettore, colatitudine (o distanza zenitale) e longitudine (o azimut) del punto P e complessivamente costituiscono le sue coordinate polari.
Preso un sistema di coordinate cartesiane ortogonali avente O come origine, r come asse delle z, il semiasse delle x positive nel semipiano α e l'asse y diretto in modo che il senso risultante delle rotazioni nel piano xy (n. 13) collimi con quello fissato nel fascio di piani di asse r, le formule che permettono il passaggio dalle coordinate polari (ρ, ϑ, ϕ) alle coordinate cartesiane (x, y, z) di uno stesso punto P, sono:
Le superficie coordinate sono sfere di centro O (ρ = cost.), falde di coni rotondi di vertice O e asse r (ϑ = cost.) e semipiani uscentì da r (ϕ = cost.). Se a ρ si dà un valore costante, le (16) sono le equazioni parametriche della sfera di centro O e raggio ρ, e i parametri ϑ e ϕ si possono interpretare sulla sfera come coordinate curvilinee. Precisamente π/2 − ϑ e ϕ sono le coordinate geografiche: latitudine e longitudine; l'asse polare incontra la sfera nei due poli N. e S., e il piano equatoriale la sega lungo un circolo massimo (equatore); infine le linee coordinate ϑ = cost. sono sulla sfera circoli minori (paralleli) situati in piani paralleli all'equatore, e le linee ϕ = cost. sono i semicircoli massimi (meridiani) terminanti ai due poli.
Affini alle coordinate geografiche sono sulla sfera celeste le coordinate astronomiche (v. astronomia: Astron. sferica) e sul geoide le coordinate geodetiche (v. geodesia).
Le coordinate polari nello spazio, di cui si trova un cenno in A. Cl. Clairaut (1731), sono state introdotte nello spazio da J. L. Lagrange (1773), che ha dato le (16), considerando in luogo di ϑ la latitudine. Quanto alle coordinate geografiche, benché fossero già note agli antichi (n. 2), solo nel 1796 furono adoperate da J. Skene per definire sulla sfera delle curve mediante equazioni. Trattazioni sistematiche di geometria analitica sulla sfera, si devono a C. Gudermann ed a Th. S. Davies, che introdussero sulla sfera nuove coordinate (1830); e altri tipi ancora furono poi usati da J. Liouville, F. A. Möbius, J. Casey, ecc.
Alle coordinate polari vanno ravvicinate le cilindriche. Talvolta è vantaggioso individuare (con L. I. Magnus, 1837) i punti P dello spazio, dando la z e le coordinate polari ρ, ϕ, della sua proiezione P′ sul piano xy (piano equatoriale), e appunto questi tre numeri (z, ρ, ϕ) si dicono coordinate cilindriche di P, perché le superficie coordinate sono piani e cilindri.
Se poi si indicano con λ, μ, ϑ, gli angoli della semiretta orientata OP con gli assi x, y, z, si può individuare P anche per mezzo delle coordinate sovrannumerarie λ, μ, ν e ρ = O P, legate dalla cos2λ + cos2μ + cos2ν = 1, oppure (W. Killing, 1885) mediante le
legate dalla ξ2 + η2 + ζ2 + k2τ2 = k2 (con k = cost. arbitraria). Queste ultime, dette coordinate del Weierstras s, si sono dimostrate particolarmente utili in geometria non euclidea.
28.Coordinate ellittiche. - È questo uno dei più notevoli esempî di coordinate curvilinee ortogonali (nel piano e nello spazio). Per definirle nel piano, ricordiamo che la schiera delle coniche confocali ad un'ellisse di semiassi a, b (con a > b) è rappresentata (v. coniche,n. 22) dall'equazione
ed è costituita da ∞1 iperboli e da ∞1 ellissi; le prime sono date dalla (17) per −a2 〈 λ 〈 − b2, le seconde per λ > − b2, e, poiché per ogni punto del piano, fuori degli assi, passa una conica ed una sola di ciascun sistema, ad ogni coppia di valori x, y, entrambi diversi da zero, la (17) fa corrispondere due valori λ1, λ2 ben determinati, tali che − a2 〈 − b2, λ2 > − b2. Viceversa, presi ad arbitrio due valori λ1, λ2, soddisfacenti a queste due limitazioni, l'iperbole e l'ellisse (17) ad essi corrispondenti si segano in quatto punti, simmetricamente disposti rispetto agli assi, le cui coordinate sono date complessivamente, in base alla (17), da
e resta individuato uno dei quattro punti, quando sì sappia a quale appartenga delle quattro regioni in cui il piano è diviso dagli assi. I due numeri λ1, λ2, sono appunto le cosiddette coordinate ellittiche.
Partendo dalla schiera delle parabole confocali (e coassiali), si è condotti ad un analogo sistema di coordinate paraboliche; e nello stesso modo, considerando il sistema triplo ortogonale delle superficie di una schiera di quadriche a centro o di paraboloidi confocali, si perviene alle coordinate ellittiche (G. Lamé, 1834) o paraboliche nello spazio, di cui le prime dànno luogo anche a taluni casi limiti notevoli. Per un sistema di coordinate ellittiche dello spazio λ1, λ2, λ3, i tre sistemi ∞1 di superficie coordinate sono rispettivamente costituiti da ellissoidi, iperboloidi a una falda e iperboloidi a due falde, e se λ3 = cost. sono gli ellissoidi, le λ1, λ2 forniscono su ciascuno di essi un sistema di coordinate curvilinee (dette anch'esse ellittiche), che, ad es., furono usate dal Jacobi nella determinazione per quadrature delle geodetiche dell'ellissoide.
I sistemi di quadriche confocali furono incontrati da P.S. Laplace e K. F. Gauss (1813) nelle loro ricerche sull'attrazione newtoniana dell'ellissoide omogeneo e poi studiate sistematicamente da Ch. Dupin, J. Ph. M. Binet, Ch. G. J. Jacobi (che li estese, con le relative coordinate ellittiche agli spazî a quante si vogliono dimensioni), G. Lamé, J. Plücker, ecc.
29. Coordinate di altri enti geometrici. - È spesso sommamente utile, come per il primo ha mostrato J. Plücker (nn. 5, 19), d'introdurre coordinote di enti geometrici che non siano punti, il che sostanzialmente equivale a considerare tali enti come punti d'uno spazio ad un conveniente numero di dimensioni (n. 5). Così, per es., una qualsiasi sfera si rappresenta in coordinate cartesiane ortogonali dello spazio con un'equazione del tipo (n. 17)
dove a, b, c, d, sono quattro costanti; orbene, questi quattro numeri a, b, c, d, possono venire assunti come coordinate non omogenee della sfera nello spazio. Conviene talora introdurre, come ulteriore coordinata, il raggio r, a cui si attribuisce un segno, venendo così - come si dice - ad orientare la sfera (E. Laguerre); si ottengono in tal guisa per le sfere 5 coordinate a, b, c, d, r, non omogenee e sovrannumerarie (n. 5), legate dalla relazione quadratica
e che possono agevolmente venire sostituite da 6 coordinate omogenee e sovrabbondanti. Per r = 0 la sfera si riduce al suo centro, e si ottengono nel modo anzidetto coordinate di punto nello spazio.
Considerazioni di natura non molto dissimile dalle precedenti, hanno condotto G. Darboux e F. Klein ad introdurre le cosiddette coordinate policicliche e polisferiche, d'importanza fondamentale per la Geometria dei cerchi e delle sfere (che si deve principalmente ad A. F. Möbius, E. Laguerre, S. Lie). Su questo argomento v. G. Darboux, Leçons sur la theorie générale des surfaces, t. I (Parigi 1914), p.265; G. Tzitzéica, Géométrie différentielle projective des réseaux (Bucarest 1924), p. 23; W. Blaschke, Vorlesungen über Differentialqeometrie, III (Berlino 1929).
Bibl.: Data l'immensa vastità della bibliografia riferentesi a questo argomento, ci limitiamo a citare l'articolo di E. Müller, Die verschiedenen Koordinatensysteme, in Encyklöpadie der math. Wiss., III, i, i, Lipsia 1907-10, pp. 596-770, e i seguenti trattati italiani, attualmente più diffusi: E. D'Ovidio, Geometria analitica, Torino 1896; G. Castelnuovo, Lezioni di geometria analitica e proiettiva, Roma-Milano 1904, 7ª ed., Roma 1931; L. Bianchi, Lezioni di geometria analitica, Pisa 1908, 3ª ed., Bologna 1920; L. Berzolari, Geometria analitica, voll. 2, Milano 1910, 2ª ed., ivi 1920; E. Ciani, Lezioni di geometria proiettiva ed analitica, Pisa 1912; id., Il metodo delle coordinate proiettive omogenee nello studio degli enti algebrici, Pisa 1915, 2ª ed., Torino 1928; F. Severi, Lezioni di geometria analitica, Padova 1920; U. Amaldi, Lezioni di geometria analitica, Padova 1923; E. Bortolotti, Lezioni di geometria analitica (con una notevole introduzione storica), voll. 2, Bologna 1923; G. Scorza, Elementi di geometria analitica, Messina 1925; G. Fano-A. Terracini, Lezioni di geometria analitica e proiettiva, Torino 1930; A. Comessatti, Lezioni di geometria analitica e proiettiva, I, Padova 1930.