Copie d'obbligo nel processo amministrativo telematico
L’art. 7, co. 4, d.l. 31.8.2016, n. 168 ha previsto che sino all’1 gennaio 2018 per i ricorsi proposti dinanzi al giudice amministrativo, di primo o di secondo grado, dopo l’entrata in vigore del processo amministrativo telematico deve essere depositata almeno una copia cartacea del ricorso e degli scritti difensivi, con l’attestazione di conformità al relativo deposito telematico. La sez. VI del Consiglio di Stato 3.3.2017, n. 874, con una pronuncia che non è rimasta isolata, ha inteso tale disposizione come condizione per la fissazione dell’udienza pubblica o camerale e, se già fissata, per la decisione della causa.
Il primo gennaio 2017 è entrato in vigore il Processo amministrativo telematico (PAT). L’avvio del PAT ha subito uno slittamento di sei mesi, ad opera dell’art. 1, d.l. 30.6.2016, n. 1171, rispetto al termine iniziale dell’1.7.2016, previsto dal co. 1 bis art. 38, d.l. 24.6.2014, n. 902.
Nel rinviare alla trattazione completa, svolta da D’Alessandri3, nella quale sono segnalate le novità epocali introdotte dal PAT, in questa sede appare utile fare un breve cenno al processo amministrativo telematico per potersi poi soffermare sulla portata del co. 4 dell’art. 7, d.l. n. 168/2016 e sulla lettura che dello stesso è stata data dalla giurisprudenza del giudice amministrativo.
Il co. 3 del cit. art. 7, d.l. n. 168/2016 ha previsto che le disposizioni dettate sul PAT hanno efficacia con riguardo ai giudizi introdotti con i ricorsi depositati, in primo o in secondo grado, a far data dall’1.1.2017; ai ricorsi depositati anteriormente a tale data continuano ad applicarsi le norme vigenti alla data di entrata in vigore (31.8.2016) dello stesso decreto, fino all’esaurimento del grado di giudizio nel quale sono pendenti all’1.1.2017, e comunque non oltre l’1.1.2018. Dunque sino all’1.1.2018 si avrà il cd. “doppio binario”, nel senso che per i ricorsi, in primo o secondo grado, già pendenti alla data dell’1.1.2017 non si applica il PAT e gli scritti e i documenti di parte e degli ausiliari del giudice devono essere depositati in formato cartaceo, salvo l’obbligo di depositare copia informatica del documento cartaceo, che non ha valore legale e non deve essere effettuato con le modalità del PAT, come prescritto dall’art. 136, co. 2, c.p.a.4, nel testo vigente sino al 29.10.2016, e cioè fino all’intervento del cit. art. 7, d.l. n. 168/2016.
Peraltro, anche per i giudizi in regime PAT la carta non scompare. Il co. 4 art. 7, d.l. n. 168/2016 ha, infatti, previsto che «A decorrere dall’1.1.2017 e sino all’1.1.2018, per i giudizi introdotti con i ricorsi depositati, in primo o in secondo grado, con modalità telematiche deve essere depositata almeno una copia cartacea del ricorso e degli scritti difensivi, con l’attestazione di conformità al relativo deposito telematico»5.
Dunque, deposito telematico, seppure con modalità del tutto diverse, prima e dopo l’1.12017, ma differente valore giuridico assegnato allo stesso. Prima del PAT, il valore giuridico era infatti attribuito al solo cartaceo, pur dovendo il deposito telematico contenere l’attestazione della sua conformità al cartaceo; dopo l’entrata in vigore del PAT, il valore giuridico è del solo deposito digitale, ma la copia cartacea deve contenere l’attestazione di conformità al relativo deposito telematico. Il co. 4 dell’art. 7, d.l. n. 168/2016, sia per ragioni prudenziali – e cioè per non affidare gli scritti e i documenti del giudizio esclusivamente all’informatica nella fase di prima attuazione del PAT – ma anche per consentire ai magistrati, abituati allo studio degli atti processuali cartacei, un approccio più graduale con la nuova realtà, ha quindi previsto che nel primo anno di PAT ci sia il doppio deposito, telematico e cartaceo, quest’ultimo limitato «ad almeno una copia» «del ricorso e degli scritti difensivi», e non anche dei documenti (come prevedeva il co. 2 art. 136 c.p.a., nel testo vigente prima dell’entrata in vigore del PAT). Da rilevare che la formula utilizzata dal legislatore del d.l. n. 168/2016 non era molto differente dall’analogo ed inverso obbligo che, come si è detto, era stato previsto dal co. 2, art. 136 c.p.a. Norma, quest’ultima, che non aveva dato luogo a problemi interpretativi e, quindi, a significativi interventi giurisprudenziali. Diversamente, invece, per il co. 4 dell’art. 7, d.l. n. 168/2016, sul quale si è in breve tempo formata una giurisprudenza consolidata, ad iniziare dall’ordinanza, emessa in sede cautelare, Cons. St., VI, n. 874/2017, che ha letto tale disposizione come volta ad introdurre una condizione per la fissazione dell’udienza pubblica o camerale e, se già calendarizzata, per la decisione della causa, nel senso che in caso di mancato deposito l’affare non è deciso6.
Si tratta di arresto che ha suscitato non poco clamore nel mondo forense.
Appare dunque necessario ripercorrere l’elaborato iter argomentativo tracciato dal giudice di appello a supporto della conclusione alla quale è pervenuto. Il Cons. St., VI, ord. n. 874/2017 ha ritenuto corretto, nell’ambito di un’interpretazione ragionevolmente teleologica del co. 4 dell’art. 7, d.l. n. 168/2016, ricostruire la cd. “intenzione del legislatore” (di cui all’art. 12, co. 1, delle «Disposizioni sulla legge in generale» anteposte al Codice civile) nei sensi implicati dal generalissimo «principio di conservazione» degli effetti dell’atto (nella specie: normativo), codificato dall’art. 1367 c.c.7, che, sebbene riferito al contratto, per la sua natura e il suo contenuto ben si attaglia a essere utilizzato, fra l’altro, quale canone di declinazione di una corretta interpretazione teleologica, anche in relazione agli atti normativi. Richiamando un precedente in termini dello stesso Consiglio di Stato8, nell’ordinanza si è affermato che la predetta regola ermeneutica, espressamente codificata all’art. 1367 c.c. per l’interpretazione dei contratti, deve intendersi applicabile, per la sua evidente valenza logica e generale, anche all’esegesi delle leggi, con la conseguenza che tra più opzioni interpretative possibili dev’essere preferita quella che consente alla norma di produrre qualche effetto, rispetto alla lettura secondo cui il precetto resterebbe privo di ogni utilità.
Ciò premesso, l’ordinanza ha ancora chiarito che nel processo amministrativo, per tutto l’anno 2017, il precetto in forza del quale «per i giudizi introdotti con i ricorsi depositati, in primo o in secondo grado, con modalità telematiche deve essere depositata almeno una copia cartacea del ricorso e degli scritti difensivi, con l’attestazione di conformità al relativo deposito telematico», è finalizzato a consentire (in primo luogo al Collegio) una più agevole lettura degli atti processuali. La norma, quindi, ha imposto che sia depositato quanto meno una copia degli scritti difensivi, copia che deve quindi correttamente definirsi “copia d’obbligo”; le ulteriori copie, che le parti volessero spontaneamente produrre, sono invece “copie di cortesia”, proprio perché giuridicamente non obbligatorie.
Ciò chiarito, Cons. St., VI, ord. n. 874/2017 ha affrontato la questione relativa alle conseguenze dell’omessa produzione della cd. “copia d’obbligo”, escludendo che siano accettabili le soluzioni estreme, e cioè considerare o del tutto omessa la fattispecie del deposito fino al versamento in atti della “copia d’obbligo”, con potenziali conseguenze anche in punto di ricevibilità del ricorso o della costituzione o, al contrario, del tutto irrilevante, sul piano processuale, l’omissione di tale adempimento (ad onta del fatto che esso è qualificato come “doveroso” dalla legge), ovvero ancora consentirne l’effettuazione anche in udienza o in camera di consiglio in limine rispetto alla trattazione dell’affare (eventualità, quest’ultima, cui comunque osterebbe il chiaro disposto dell’art. 55, co. 5-8, c.p.a., per i procedimenti cautelari; e dell’art. 73, co. 1, c.p.a., per tutti gli altri). Ad avviso della Sezione deve invece affermarsi che il deposito della copia cartacea d’obbligo da parte del ricorrente è condizione per l’inizio del decorso del termine dilatorio di 10 giorni liberi a ritroso dall’udienza camerale (ovvero 5 nei casi di termini dimidiati), di cui all’art. 55, co. 5, c.p.a. (secondo cui «Sulla domanda cautelare il collegio pronuncia nella prima camera di consiglio successiva al ventesimo giorno dal perfezionamento, anche per il destinatario, dell’ultima notificazione e, altresì, al decimo giorno dal deposito del ricorso. Le parti possono depositare memorie e documenti fino a due giorni liberi prima della camera di consiglio».), con conseguente impossibilità che, prima dell’inizio di tale decorso sia fissata detta udienza ovvero, comunque, che, in caso di fissazione comunque avvenuta, il ricorso cautelare sia trattato e definito in un’udienza camerale anteriore al completo decorso del medesimo termine9. Analoga soluzione con riferimento al giudizio di merito, in relazione al quale il deposito è precondizione per il corretto esercizio della potestà presidenziale di fissazione dell’udienza ex art. 71, co. 3, c.p.a. (ovvero, comunque, che, in caso di fissazione comunque avvenuta, il ricorso di merito sia trattato in un’udienza, pubblica o camerale, anteriore al decorso del termine a ritroso di quaranta giorni, ovvero venti giorni nei casi di dimidiazione, di cui all’art. 73, co. 1, c.p.a.). Ad avviso del giudice di appello, ove pure dovesse ritenersi che la mancata produzione della copia d’obbligo non impedisse la decisione della misura cautelare monocratica ex art. 56 c.p.a. e della conseguente doverosa fissazione della camera di consiglio collegiale ex art. 56, co. 4, c.p.a., certo è che la trattazione collegiale in tale sede va comunque considerata condizionata al tempestivo deposito della copia d’obbligo nel termine dilatorio fissato da tale ultima norma (salvo dimidiazione o abbreviazione del termine stesso), sotto pena di rinvio della trattazione collegiale fino all’espletamento dell’incombente (e pur se con gli effetti estintivi della misura cautelare presidenziale di cui al secondo periodo del cit. art. 56, co. 4)10.
Nonostante il giudice di appello faccia sempre riferimento al deposito da parte del ricorrente/appellante, (il «deposito della copia cartacea d’obbligo da parte del “ricorrente” è condizione per l’inizio del decorso del termine dilatorio …»), si ritiene – e tale rilievo assume rilevanza, come si dirà, nell’esame della condivisibilità del tipo di sanzione processuale individuata – che le conclusioni alle quali è pervenuto siano applicabili ad ogni caso di omesso deposito, indipendentemente dalla parte rea dell’inadempimento. Ciò in considerazione della ratio, individuata dalla stessa ord. Cons. St., VI, n. 874/2017, sottesa alla previsione del co. 4 dell’art. 7, d.l. n. 168/2016, «finalizzato a consentire (in primo luogo al Collegio) una più agevole lettura degli atti processuali»: tutti gli scritti delle parti, quindi, nessuno escluso.
Non è dubbio, come ha affermato il Consiglio di Stato, che il co. 4 dell’art. 7, d.l. n. 168/2016 ha introdotto un obbligo in capo a tutte le parti del giudizio di depositare “almeno” una copia cartacea del ricorso e degli scritti difensivi. Il problema – che ha indotto il giudice di appello ad intervenire con una pronuncia espressa e chiara, che non lascia alcuno spazio ad una diversa applicazione pratica del precetto introdotto dal cit. co. 4 dell’art. 7, d.l. n. 168/2016 – è la mancata previsione di una sanzione per l’ipotesi di inadempimento. Tale carenza avrebbe certamente vanificato di fatto, in non pochi casi, la disposizione che, invece, almeno nel primo anno di vigenza del PAT, appare utile alla formazione del fascicolo cartaceo del ricorso (dei motivi aggiunti e del ricorso incidentale) e delle memorie, al fine di tutelarsi a fronte di problematiche che dovessero insorgere nella prima fase applicativa del PAT e portare alla perdita irreversibile di dati, nonché per facilitare lo studio del fascicolo di causa ai magistrati e consentirgli un approccio graduato al digitale11.
Come si è detto, anche l’art. 136 c.p.a. – che conteneva, al co. 2, analoga, e contraria, previsione – aveva introdotto un obbligo non sanzionato. Sul punto era stato chiarito12 che «Con la previsione in discorso, comunque, la copia informatica riceve un riconoscimento di sicura ufficialità, tant’è che il difensore deve attestare la conformità del contenuto informatico a quello cartaceo. Non si tratta però di un riconoscimento “pieno”, poiché l’inosservanza del deposito non comporta alcuna decadenza, ma consente soltanto alla segreteria del Tribunale di richiederlo.
Con la conseguenza che, mentre il mancato deposito cartaceo nei termini prescritti determina, come è ovvio, le conseguenze previste dal Codice, quello informatico viene concepito come mero fatto accessorio la cui assenza non riceve sanzione processuale». La conseguenza della mancata previsione normativa di una sanzione ha comportato, come era facile attendersi, che l’intento del legislatore di porre le basi, sin dal 2010, per un processo telematico che viaggiasse parallelo con quello cartaceo, seppure senza il carattere dell’ufficialità, non ha trovato concreta attuazione se non nel 2017, con l’effettiva entrata in vigore del PAT. Alla mancata osservanza, da parte degli avvocati, del precetto contenuto nel co. 2 art. 136 molti TAR e il Consiglio di Stato hanno ovviato facendo ricorso alla digitalizzazione degli atti processuali, con dispiego di mezzi economici e forza lavoro.
Proprio nella consapevolezza che l’effettiva osservanza dell’obbligo introdotto dal co. 4 dell’art. 7, d.l. n. 168/2016 avrebbe incontrato analoghe difficoltà, Cons. St., VI, ord. n. 874/2017, ha individuato la sanzione processuale da applicare in caso di omesso deposito di almeno una copia degli scritti di parte.
Se la lettura del co. 4 dell’art. 7, d.l. n. 168/2016, offerta dall’ord. Cons. St., VI, n. 874/2017, è del tutto condivisibile, è invece dubbio se la sanzione processuale individuata sia quella più appropriata, e in particolare se ci sia proporzione tra l’inadempimento imputato (omesso deposito di copia cartacea) e la sanzione comminata (rinvio della fissazione della camera di consiglio o della pubblica udienza o, se già fissate, rinvio della decisione).
Sanzione certo gravosa, che si appalesa ancora più afflittiva se a non essere decisa è l’istanza cautelare, che presuppone una estrema gravità ed urgenza della trattazione (nella richiesta di misure cautelari monocratiche: art. 56, co. 1, c.p.a.) o un pregiudizio grave e irreparabile durante il tempo necessario a giungere alla decisione del ricorso (nella richiesta di misure cautelari collegiali: art. 55, co. 1, c.p.a.), con il concreto rischio che la pronuncia possa giungere quando ormai non ha più alcuna utilità (si pensi ad una ammissione con riserva alle prove scritte di un concorso o alla demolizione di un manufatto abusivo). Conseguenze, queste, che possono ricadere anche sulla parte non inadempiente, che subirebbe una lesione da un fatto a sé non imputabile, ove a non aver depositato la copia cartacea sia stata la controparte. La peculiarità della sanzione individuata dal Consiglio di Stato è infatti quella di gravare, di fatto, su tutte le parti del rapporto processuale e non solo su quella resasi responsabile del comportamento omissivo. E già questo profilo è da solo sufficiente a far dubitare della correttezza della decisione, in parte qua, del giudice di appello.
È evidente, quindi, come la “decisione di non decidere”, operata dal Presidente (che non fissa la camera di consiglio o l’udienza pubblica) o dal Collegio (che rinvia la trattazione della domanda), si possa prestare anche ad un uso distorto e strumentale. È ben vero che essendo, come si è detto, la disposizione volta (anche) a consentire al Collegio una più agevole lettura degli atti processuali, il mancato deposito non può essere invocato dalle parti (tanto meno da quella che non ha adempiuto all’obbligo di depositare almeno una copia cartacea degli atti del processo amministrativo) per posporre la trattazione del ricorso13. Ciò non toglie, però, che la parte, che ha interesse al rinvio della decisione, può non ottemperare all’obbligo, confidando nel rinvio disposto d’ufficio dal giudice.
Si tratta dunque di un effetto, connesso all’omesso deposito – deposito che finisce per essere una condizione di procedibilità della (trattazione della) domanda –, di non lieve portata, che non trova giustificazione in una impossibilità materiale, per il giudice, di decidere: come si è detto, infatti, (v. supra, § 1) l’unico deposito ad avere efficacia legale è quello telematico.
Si ritiene, peraltro, che la proporzionalità tra inadempimento imputato e sanzione processuale inflitta non sia ravvisabile neanche ove si consideri che il mancato deposito della copia d’obbligo si pone in violazione del principio di leale collaborazione tra le parti processuali e il giudice, e finisce per risolversi, probabilmente, in un allungamento dei tempi di definizione delle controversie.
Non pare utile, al fine di dimostrare il contrario, il richiamo ad un’altra ipotesi in cui, nel sistema processuale amministrativo, a tutela del principio di leale collaborazione tra le parti processuali e il giudice è stata individuata una sanzione che può condizionare (al pari della sanzione individuata da Cons. St., VI, ord. n. 874/2017) direttamente il contenuto della decisione del ricorso.
Il riferimento è all’art. 13 ter dell’allegato 2 al c.p.a.14, che ha disciplinato il principio di sinteticità degli scritti di parte, di cui all’art. 3, co. 2, c.p.a., demandando ad un decreto del Presidente del Consiglio di Stato15 l’individuazione dei criteri e dei limiti dimensionali che le parti devono seguire nel redigere il ricorso e gli altri atti difensivi16. Quest’ultimo, al dichiarato fine di «consentire lo spedito svolgimento del giudizio», ha espressamente introdotto limiti dimensionali agli scritti di parte, derogabili, in casi particolari, su autorizzazione del Presidente del Consiglio di Stato, del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Siciliana e del Tribunale amministrativo regionale. Lo sforamento non autorizzato dei limiti consente al Collegio di non esaminare le questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo (co. 5 del cit. art. 13 ter dell’allegato 2 al c.p.a., secondo cui «L’omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione»). Evidente, dunque, come si è detto, il condizionamento diretto sul contenuto della decisione del ricorso, atteso che proprio il motivo non esaminato avrebbe potuto essere quello decisivo per un diverso esito del giudizio. Ciò nonostante, l’introduzione di limiti dimensionali e la sanzione prevista per l’inadempimento a tali obblighi non sono stati considerati “denegata giustizia”, ponendosi il comportamento della parte in violazione del principio di leale collaborazione tra le parti processuali e tra queste e il giudice e del principio di ragionevole durata del processo, costituendo la sinteticità uno dei modi per arrivare ad una giustizia rapida ed efficace17. Anzi, con riferimento alla pregressa disciplina sulla sinteticità degli atti di parte, dettata in relazione al solo rito appalti dal decreto del Presidente del Consiglio di Stato 25.5.201518, il Consiglio di Stato19 aveva ritenuto che «Una così precisa disciplina, attuativa di un precetto legislativo cogente, non può essere interpretata riduttivamente, riferita ai soli fini delle spese di giudizio, ma attiene alla regolamentazione del modo di svolgimento del processo amministrativo, che deve improntarsi a correttezza e lealtà, e non può tollerare un uso abusivo degli strumenti processuali, così come tipizzato dagli atti normativi sopra indicati, e deve consentire una rapida soluzione delle questioni, conformemente al principio di ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost.». Al dichiarato fine di evitare «la beffa di norme processuali, prescrittive di oneri ed obblighi, ma minus quam perfectae, ovvero prive di una sanzione», il giudice di appello non solo ha giudicato corretta la decisione del TAR di limitare la delibazione del ricorso entro i limiti consentiti dal regolamento del Presidente del Consiglio di Stato, ma ha anche applicato la sanzione per lite temeraria in favore dello Stato, ai sensi dell’art. 26, co. 2, c.p.a.
Ebbene, ad avviso di chi scrive la differenza tra l’ipotesi esaminata con la sentenza Cons. St., V, n. 3372/2016 e quella oggetto dell’ord. Cons. St., VI, n. 874/2017 è evidente e tale da rendere condivisibile le conclusioni cui è giunta la sentenza e opinabili, invece, quelle cui è pervenuta l’ordinanza: la norma che ha disciplinato il principio di sinteticità (sia il co. 6 dell’art. 120 c.p.a., nella formulazione vigente all’epoca in cui era stato proposto il ricorso di primo grado conclusasi con la sentenza confermata dal Cons. St., V, n. 3372/2016, sia l’art. 13 ter dell’allegato 2 al c.p.a.) ha espressamente previsto le conseguenze della violazione di detta regola, mentre il co. 4 art. 7, d.l. n. 168/2016 ha introdotto il precetto (obbligo di depositare almeno una copia cartacea degli scritti di parte) ma non la sanzione, individuata dal giudice di appello.
La sproporzione tra inadempimento e sanzione emerge con maggiore evidenza ove si consideri che con l’entrata in vigore del PAT la carta avrebbe dovuto scomparire del tutto. Il mondo forense aveva ritenuto di poter bilanciare le nuove e, almeno inizialmente, complesse incombenze connesse al processo telematico con un risparmio di costi e di tempo legati al deposito cartaceo presso le segreterie degli uffici giudiziari. Le incombenze sono, invece, raddoppiate20.
Per concludere, giova ricordare che una siffatta grave conseguenza, quale è quella del rinvio della decisione, non è stata prevista neanche nel caso, non meno grave, di omesso versamento del contributo unificato, ipotesi, pur nella sua diversità, analoga a quella in esame, perché il mancato assolvimento dell’obbligazione tributaria non impedisce, di fatto, di decidere la controversia. Ebbene, la giurisprudenza21 ha univocamente affermato che, ai fini dell’instaurazione e prosieguo del giudizio, è irrilevante l’assolvimento degli oneri tributari al riguardo stabiliti, salvo l’obbligo di regolarizzazione a carico dell’ufficio che ha ricevuto l’atto. La causa va comunque in decisione anche se il contributo unificato non è stato versato. Chiarito dunque che, come si afferma nell’ord. Cons. St., VI, n. 874/2017, una sanzione per l’inosservanza del precetto contenuto nel co. 4 dell’art. 7, d.l. n. 168/2016 deve essere inflitta, si ritiene si possa fare ricorso all’art. 21, co. 1, c.p.a., nel senso di aumentare la condanna alle spese – anche in sede cautelare – se la parte, che non ha effettuato il deposito cartaceo, è risultata soccombente e di compensare la condanna nel caso in cui a non aver assolto l’obbligo previsto dal cit. co. 4 è chi è poi risultato vincitore del giudizio. Tale conclusione trova conforto nell’art. 4, co. 7, d.m. 10.3.2015, n. 5522, secondo cui «Costituisce elemento di valutazione negativa, in sede di liquidazione giudiziale del compenso, l’adozione di condotte abusive tali da ostacolare la definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli». Tra queste condotte non può non includersi l’omesso deposito della copia d’obbligo, che, come si è detto, rendendo più difficile lo studio delle cause rappresenta un ostacolo alla celere definizione delle controversie.
1 Recante «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative in materia di processo amministrativo telematico», conv. in l. 12.8.2016, n. 161.
2 Recante «Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari», conv. con modificazioni dalla l. 11.8.2014, n. 114.
3 V. in questo volume, Diritto processuale amministrativo, 2.1.2. Processo amministrativo telematico: violazione delle regole tecniche.
4 Il co. 2 dell’art. 136 c.p.a., nel testo vigente sino al 29.10.2016, prevedeva che «2. I difensori costituiti, le parti nei casi in cui stiano in giudizio personalmente e gli ausiliari del giudice depositano tutti gli atti e i documenti con modalità telematiche. In casi eccezionali, il presidente può dispensare dall’osservanza di quanto previsto dal presente comma, secondo quanto previsto dalle regole tecniche di cui all’articolo 13 delle norme di attuazione».
5 Si tratta di previsione già contenuta nella versione delle regole tecniche (definitivamente approvate con d.P.C.M. 16.2.2016, n. 40, recante «Regolamento recante le regole tecnico-operative per l’attuazione del processo amministrativo telematico») trasmessa alla Presidenza del Consiglio, poi stralciata perché ritenuta in contrasto con le finalità di un processo che doveva essere tutto digitale.
6 Alle stesse conclusioni di Cons. St., VI, ord. n. 874/2017sono pervenuti Cons. St., VI, ord. caut. 3.3.2017, nn. 877, 880, 881, 885, 888, 890, 891 e 919; Cons. St., VI, ord. caut. 24.4.2017, n. 1711; TAR Lazio, Roma, II ter, ord. caut., 17.5.2017, n. 2374; TAR Lazio, sez. II ter, ord. coll., 8.5.2017, n. 5490; TAR Lazio, sez. II ter, ord. caut., 5.4.2017, n. 1708; TAR Lazio, Roma, I, ord. caut., 9.3.2017, n. 1155; TAR Lazio, Roma, I, ord. coll, 9.3.2017, nn. 3259 e 3258.
7 Ai sensi dell’art. 1367 c.c. «Nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno».
8 Cons. St., III, 9.1.2017, n. 22. In termini anche Cass. civ., S.U., 5.6.2014, n. 12644, secondo cui «il giudice di merito, … fornendo una lettura della sopravvenuta disposizione, tale da svuotarne del tutto la portata precettiva, neppure ha tenuto conto della generale regola ermeneutica c.d. ‘di conservazione degli atti’, espressamente codificata dall’art. 1367 c.c., in materia contrattuale, ma da ritenersi operante, in quanto espressione di un sovraordinato principio generale insito nel sistema, anche e soprattutto in tema di interpretazione della legge, sulla scorta della quale, tra le diverse accezioni possibili di una disposizione (normativa, amministrativa o negoziale), deve propendersi per quella secondo cui la stessa potrebbe aver qualche effetto, anziché nessuno».
9 Per le parti diverse dal ricorrente, il termine per il deposito della copia d’obbligo va individuato – senza effetti ostativi alla trattazione e alla definizione dell’affare – in quello di cui all’ultimo periodo del cit. art. 55, co. 5, c.p.a., per i giudizi cautelari, e nel primo di quelli di cui all’art. 73, co. 1, c.p.a., per quelli di merito (fatte salve la dimidiazione o l’abbreviazione dei termini).
10 In applicazione dei predetti principi con ord. Cons. St., VI, n. 874/2017, il Consiglio di Stato ha disposto il rinvio della trattazione della domanda cautelare a data futura, da fissare solo dopo che sia stato effettuato il deposito delle copie cartacee d’obbligo ad opera della parte ricorrente e nel rispetto del termine dilatorio ex art. 55, co. 5, c.p.a.
11 Ad avviso di De Nictolis, R. Il processo amministrativo telematico. Magistratura amministrativa e Avvocatura per l’efficienza del sistema giustizia, in www.giustiziaamministrativa.it, 2017, «Non va trascurato nemmeno il fattore “psicologico”: a parte il tema dei magistrati che non sono “nativi digitali”, molti, se anche perfettamente in grado di usare gli strumenti telematici, considerano la copia cartacea una sorta di “coperta di Linus”, uno strumento che esorcizza la paura che il sistema informatico possa all’improvviso non funzionare. Anche con il fattore psicologico bisogna fare i conti, perché togliere all’improvviso la coperta di Linus può provocare reazioni di insofferenza, e decisioni iperformaliste, come è già accaduto in relazione al PCT».
12 Brugaletta, F., Art. 136 c.p.a., in Garofoli, R.Ferrari, G., a cura di, Codice del processo amministrativo, Roma, 2012.
13 Proprio per evitare tale uso distorto ha chiarito TAR Sicilia, Catania, III, 13.3.2017, n. 499 che il precetto, contenuto nel co. 4 dell’art. 7, d.l. n. 168/2016, è volto a consentire al Collegio una più agevole lettura degli atti processuali, di guisa che non può essere invocato dalle parti (tantomeno da quella che non ha adempiuto all’obbligo di depositare almeno una copia cartacea degli atti del processo amministrativo) per posporre la trattazione del ricorso.
14 L’art. 13 ter dell’allegato 2 al c.p.a. è stato inserito dall’art. 7 bis, co. 1, lett. b), n. 2, d.l. n. 168/2016, conv., con modificazioni, nella l. 25.10.2016, n. 197.
15 Il decreto è stato adottato il 22.12.2016 e modificato con successivo decreto 16.10.2017. Con lettera del 22.12.2016 il Presidente del Consiglio di Stato ha raccomandato ai magistrati il rispetto delle regole di sinteticità e chiarezza anche nella redazione delle pronunce.
16 Sulle nuove regole introdotte dal decreto del Presidente del Consiglio di Stato 22.12.2016, v. in questo volume, Diritto processuale amministrativo, 2.1.3 Il principio di sinteticità.
17 Cass. civ., S. U., 17.1.2017, n. 964, secondo cui la sentenza del Consiglio di Stato, che dichiara inammissibile l’appello per violazione dei doveri di sinteticità e chiarezza, non configura un diniego di giurisdizione. Ed invero, l’inammissibilità del ricorso, anche in appello, per violazione del principio di specificità (e di chiarezza) dei motivi di censura è espressamente prevista dagli artt. 40, co. 2, e 101, co. 1, c.p.a., con la conseguenza che il Consiglio di Stato non ha decampato dai limiti interni della giurisdizione, facendo comunque applicazione di una previsione di inammissibilità espressamente stabilita dal Codice del processo amministrativo in relazione ad una fattispecie concreta approfonditamente analizzata. A queste conclusioni la Corte di Cassazione (Cass., II, 20.10.2016, n. 21297) era già pervenuta, affermando che tali condizioni sono ora fissate nel nostro ordinamento dall’art. 3, co. 2, c.p.a., che esprime un principio generale del diritto processuale, la cui mancata osservanza espone il ricorrente al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, in quanto idonea a pregiudicare l’intelligibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, con ciò ponendosi in contrasto con il principio di ragionevole durata del processo, costituzionalizzato con la modifica dell’art. 111 Cost., e, per altro verso, con il principio di leale collaborazione tra le parti processuali e tra queste ed il giudice, risolvendosi, in definitiva, in un impedimento al pieno e proficuo svolgimento del contraddittorio processuale.
18 Principio introdotto dalla lett. a) co. 1 dell’art. 40, d.l. 90/2014, conv., con modificazioni, nella l. n. 114/2014, che ha modificato il co. 6 dell’art. 120 c.p.a.
19 Cons. St., V, 26.7.2016, n. 3372, secondo cui il dovere di sinteticità, sancito dall’art. 3, co. 2, c.p.a., è strumentalmente connesso al principio della ragionevole durata del processo (art. 2, co. 2, c.p.a.), a sua volta corollario del giusto processo, che assume una valenza peculiare nel giudizio amministrativo caratterizzato dal rilievo dell’interesse pubblico in occasione del controllo sull’esercizio della funzione pubblica e che è infatti icasticamente richiamato dal co. 1.
20 Sul punto v. Anselmi, D., Conclusioni al Convegno 12 maggio 2017 Processo Amministrativo Telematico. Magistratura Amministrativa e Avvocatura per l’efficienza del Sistema Giustizia, in www.giustiziaamministrativa.it, 2017.
21 Cons. St., VI, 23.7.2008, n. 3647.
22 Recante «Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247» (in Gazz. Uff. 2.4.2014, n. 77).